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Due lauree con 110 e lode nella Casa di reclusione di Padova

Quel “lusso” dell’università in carcere

In realtà, lo studio per una persona detenuta è uno straordinario

strumento di crescita, di cambiamento, di presa di coscienza

 

Che in carcere qualcuno arrivi anche a laurearsi può sembrare “un lusso”, in realtà è una fatica importante, perché dà un senso alla carcerazione e impedisce di buttare il tempo coltivando solo rabbia e noia. A Padova, nella Casa di reclusione c’è una sezione particolare, il Polo universitario, che funziona grazie alla disponibilità di operatori penitenziari, Università, docenti e volontari, che insieme concorrono a creare una situazione, in cui lo studio è uno straordinario strumento di crescita e di cambiamento. Due detenuti laureati in pochi giorni, due centodieci e lode sono la migliore dimostrazione dell’utilità di questi percorsi.

 

Studiare per imparare a rispettare la propria libertà e quella degli altri

 

di Daniele C.

 

Riuscire a raccontare cosa sia stato il percorso di studi durato sei anni, da quando mi sono iscritto al corso di ragioneria dell’istituto Gramsci nella Casa di reclusione di Padova al raggiungimento della laurea in Progettazione e Gestione del Turismo Culturale, è piuttosto complicato. Innanzitutto vorrei ricordare che il Polo universitario in carcere esiste grazie a tutte quelle persone della società civile e delle istituzioni che hanno voluto promuoverlo e sostenerlo, all’Università che ha aderito al protocollo d’intesa, ai volontari che ci lavorano attivamente, alla città di Padova che ha consentito al “progetto istruzione in carcere” di raggiungere gli obiettivi che qui vorrei mettere in risalto. Ma a dare valore al Polo universitario sono state anche le persone, che operano all’interno delle carceri per farle diventare un luogo di risocializzazione e permettere che chi sconta la pena acquisisca una diversa concezione della vita.

Sono due in particolare gli insegnamenti che questa esperienza mi ha lasciato come uomo. Il primo è l’aver assimilato gradualmente una coscienza civile: attraverso lo studio del diritto, della storia, della nascita degli stati moderni, della loro evoluzione, ho potuto comprendere quanto vada rispettato uno stato democratico come il nostro. Prima di iniziare questo percorso, nonostante avessi già trentacinque anni, per me l’apparato statale era qualcosa di molto distante, che avevo visto solo attraverso ciò che incontravo nei quartieri delle periferie urbane, dove sono cresciuto con un’idea poco chiara del bene comune. Lo studio mi ha dato la “cassetta degli attrezzi” con cui riparare quelle cose che si sono rotte durante la vita e che avevo trascurato. Mi piace ricordare in proposito l’etimologia del termine rieducare, questa idea di “tirare fuori nuovamente” qualcosa che già esiste in noi, che in questo caso credo significhi ritrovare il momento in cui abbiamo iniziato ad assimilare informazioni e azioni sbagliate e imparare a confrontarle con quelle giuste e a correggerle.

Il secondo insegnamento riguarda il fatto che, attraverso lo studio inserito in un contesto istituzionale, una persona mette a frutto l’intelligenza in modo proficuo. Ma anche la parola “intelligenza” l’ho studiata, imparando che significa “leggere all’interno”, leggere tra le righe. Nella società contemporanea un cittadino che vuole essere libero deve saper valutare criticamente le informazioni che continuamente gli vengono propinate come già verificate e “certificate”. Più si conosce e più si sa leggere in profondità e usare l’intelligenza per apprezzare le scelte di vita che aiutano a rispettare la propria libertà e quella degli altri.

 

110 e lode per dire che cambiare si può

 

di Elton Kalica

 

Sono contento di vivere in un Paese in cui l’istruzione è ancora pubblica e funziona. Quando vivevo in Albania, non ho mai avuto dubbi sull’equità della scelta che un paese fa di offrire a tutti la possibilità di studiare senza doversi svenare. A maggior ragione, trovandomi a vivere nella condizione di emigrato e poi anche di detenuto, mi sono sentito fortunato che ci siano nel Paese che mi ospita delle leggi giuste.

Qualche giorno fa mi sono laureato in Scienze Politiche. I membri della commissione d’esame sono entrati in carcere, portando con sé le loro toghe, e dando a quel momento la dovuta solennità. Ma non erano solo le toghe ad abbellire l’atmosfera. C’è stato anche un afflusso di persone che non avrei mai immaginato, i volontari e i docenti che mi hanno sempre sostenuto nello studio, ma anche tutta la direzione del carcere e l’ufficio comando degli agenti.

Questo fiume di persone si è poi disposto con disciplina alle mie spalle assistendo in silenzio alla discussione, che è durata quaranta minuti esatti. Poi c’è stato il conferimento ufficiale del titolo di dottore, seguito da un lungo applauso e anche da qualche lacrima.

In galera la comunicazione con le istituzioni non è delle migliori, e iscrivermi all’università è stata una procedura complicata, ma alla fine ci sono riuscito. Ormai è un lontano ricordo, ma non posso dimenticare il timido entusiasmo con il quale ho intrapreso questo cammino. Non era un periodo felice, anzi avevo appena finito di scontare quindici giorni d’isolamento per una rissa, quando decisi che non potevo andare avanti vivendo in uno stato di guerra perpetua, non potevo passare anni e anni di violenza e isolamento. Ho deciso allora che per dare una svolta alla mia vita dovevo cambiare comportamento e soprattutto cambiare testa. Quale modo migliore per farlo che studiare?

Oggi sono riuscito a trasmettere a tutte le persone che mi conoscono quell’iniziale entusiasmo che non è più timido, ma erompe come una lava incandescente da tutti i miei pori.

Dopo l’esame finale ho ricevuto parecchi complimenti, ma se sono riuscito a incoronare questo percorso di studi con un 110 e lode, è senz’altro merito dei volontari che mi hanno fornito quei punti di riferimento che mi erano mancati nella mia vita da immigrato, una mancanza che prima mi aveva portato a commettere un reato, e poi, una volta in galera, mi spingeva sempre di più nel baratro della cattiveria e della violenza. Oggi credo di aver fatto vedere che cambiare si può, dimostrando anche ai miei professori che il loro lavoro è la strada migliore per rieducare e restituire delle persone migliori alla società.

 

Studio anche per non deludere le persone che mi sono care

 

di Piero Paviola

 

Ho intrapreso la via dello studio in carcere esclusivamente per un arricchimento intellettuale personale. Desideravo dimostrare alle persone che hanno sofferto le ripercussioni del mio distacco da loro, che i loro intenti di infondermi le basi di una sana coscienza civica non erano falliti solo per colpa delle mie scelte sbagliate, che comunque non costituiscono tutta la mia vita, e che non dovevano sentirsi deluse, poiché finché c’è buona volontà non bisogna mai rassegnarsi ed escludere la possibilità di un riscatto sociale.

Studio perché amo le materie artistiche che ho scelto di approfondire, e perché confido che le conoscenze che sto acquisendo mi consentiranno di manifestare più efficacemente e con maggior forza ciò che sento e voglio esprimere.

Reputavo del tutto idiota lasciar trascorrere anni di vita, che si sarebbero rivelati altrimenti del tutto bui e svilenti, adeguandomi ad accettare passivamente il peggio che qualcuno pensava mi fosse riservato. Non c’è nessun intento opportunistico dietro la mia scelta, nessun desiderio di ottenere qualche vantaggio, anche perché ho avuto modo di constatare che gli sforzi, come quelli che sto facendo, talvolta sono guardati addirittura con sospetto.

Al contrario, proprio questo mi ha infuso ulteriore determinazione nel conseguimento di un titolo che mi darà una maggiore autorevolezza e competenza nelle mie scelte future.

Indubbiamente l’ambiente creato per permetterci di studiare è d’aiuto. Non credo che mi sarebbe stato possibile compiere un percorso complesso come il conseguimento della laurea in un ambiente diverso, come quello che c’era quando stavamo in celle sovraffollate e con un costante clima di instabilità emotiva.

Sono felice per i miei compagni che hanno raggiunto il prestigioso traguardo della laurea. È un grande arricchimento intellettuale per loro e una soddisfazione per le loro famiglie.

Ancor più, spero che il risultato raggiunto possa rappresentare una possibilità di migliorare la loro vita, consentendo loro uno sbocco professionale soddisfacente.

Sono contento anche per chi ha promosso simili opportunità di studio, perché penso che possa sentire di aver fatto molto bene nel proprio percorso umano.

 

 

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