Editoriale

 

Tu di che razza sei: umana o disumana?

 

di Ornella Favero

 

Se abbandoni un cane sei disumano, e se abbandoni a se stessi 64.000 esseri umani in carceri che ne conterrebbero a malapena 43.000 cosa sei?

Per contrastare la prima causa del fenomeno del randagismo, vale a dire l’abbandono dei cani, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ha lanciato una campagna di sensibilizzazione della popolazione con questo slogan: Tu di che razza sei: umana o disumana? La questione è un po’ sempre la stessa: siamo un Paese che fa grandi campagne sul rispetto delle condizioni di vita degli animali, ma si permette tranquillamente di far vivere peggio di polli da batteria migliaia di uomini, allo stesso modo che pretendiamo di punire con sempre più galera chi arriva da altri Paesi e non rispetta la legge, e nello stesso tempo siamo fra i popoli con il più basso senso di legalità. Fare prevenzione partendo da una situazione così contraddittoria non è facile: perché tanti ragazzi delle scuole arrivano agli incontri in carcere intrisi di queste contraddizioni, severissimi nei confronti di chi commette reati, ma propensi all’indulgenza sui propri comportamenti a rischio, e noi dobbiamo lavorare per far entrare un po’ di “complessità”, di vita reale complessa nel loro mondo dominato dalle semplificazioni televisive.

Non è un caso che tutti gli interventi di chi si occupa di carcere e di prevenzione dei reati ruotino intorno a questa parola, complessità. Nella sua relazione alla Giornata di studi “Prevenire è meglio che imprigionare”, Mauro Grimoldi, psicologo che si occupa di “adolescenze estreme”, ha detto: “Quando andiamo a cercare le ragioni per cui avviene un reato, soprattutto se è un reato grave, abbiamo bisogno di sapere che ci inseriamo automaticamente e immediatamente in un’ottica di complessità. Per entrare nell’ottica della complessità, e capire i perché, dobbiamo essere molto prossimi al soggetto che commette il reato”. Ecco, questo è il modo in cui si deve lavorare per fare davvero prevenzione, e forse questo dovrebbe anche essere il modo in cui si dovrebbe fare informazione: entrare nell’ottica della complessità, e poi della prossimità, avvicinarsi cioè ai percorsi di chi è arrivato a commettere reati per capire, per vedere qualcosa di più del reato e basta. E infatti per i ragazzi che “si avvicinano” al carcere si apre tutto un universo di conoscenza davvero straordinariamente importante ed efficace nell’aiutarli a diventare un giorno adulti responsabili: efficace perché sentir raccontare come si arriva a violare la legge, all’inizio spesso con piccole infrazioni, e poi “abituandosi” all’illegalità è un modo per aprire davanti ai loro occhi un mondo che non è semplicemente quello dei “delinquenti”, ma che li costringe a vedere di fronte a sé delle persone, e a misurarsi con le loro vite, vite appunto “complesse”. Ma è proprio questo il senso della prevenzione, abituare i ragazzi non ad annullare la complessità fingendo che il bene e il male siano facili da identificare e dividere, ma ad affrontarla, studiarla, riconoscerla anche dentro se stessi, saper muoversi nel mondo senza semplificare, escludere, vivere con la paura del diverso.

 

 

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