Salviamo gli affetti

 

Un carcere “a misura di famiglie”

 

di Ornella Favero, Ristretti Orizzonti

 

Più di un detenuto ha detto oggi: è molto più difficile per noi confrontarci con gli studenti che stare in cella. Ecco, è proprio questo il senso di un carcere diverso, di un carcere più aperto: un carcere aperto è più faticoso di un carcere, come tanti vorrebbero, chiuso e lontano dalla società. Perché l’assunzione di responsabilità a cui ti costringe un carcere più aperto e più umano è molto diversa rispetto al sentirsi vittime, stesi in branda, chiusi in cella a non far niente dalla mattina alla sera. Quindi quello che noi stiamo proponendo non è un regalo per i detenuti, no, anzi forse parliamo di una pena più faticosa, una pena che passa per la responsabilità invece che per la deresponsabilizzazione.

Per quel che riguarda invece le nostre proposte per un carcere più umano, “a misura di famiglie”, vorremmo dialogare con Lucia Castellano, perché alcune cose a Bollate già si fanno, e noi vorremmo anche che queste diventassero le proposte di tutte le associazioni di volontariato.

Sono proposte per le quali le persone detenute devono dire: io prima di pensare a me e ai miei diritti, voglio pensare che ci siano dei diritti soprattutto per la mia famiglia.

Il primo problema che solleviamo, che è una sorta di “buco nero”, è quello dei trasferimenti,, guardate c’è un termine che la dice lunga, “sballamenti”. La persona detenuta è una merce che viene sballata da un carcere all’altro, se poi sei straniero è ancora più facile che ti succeda di girare da un carcere all’altro, perché “tanto, non ha una famiglia qui”, e quindi mandiamolo da un’altra parte senza farci troppi problemi.

Allora noi chiediamo all’Amministrazione penitenziaria più trasparenza sui trasferimenti, e per esempio che non vengano trasferite le persone che stanno facendo un percorso di studio o di lavoro, sappiamo che dovrebbe essere così, ma spesso succede il contrario. I criteri dei trasferimenti dovrebbero essere più trasparenti, e la persona detenuta dovrebbe in qualche modo sapere perché e dove finirà. Chiediamo sostanzialmente una umanizzazione di quella che è la cosa più disumana, appunto lo sballamento della merce-detenuto da un carcere all’altro.

Per quel che riguarda i colloqui, sei ore al mese di colloquio sono veramente una miseria, ma come si fa a dire che una persona può mantenere i legami famigliari, “coltivare” gli affetti, in sei miserabili ore al mese?

Sappiamo che a Bollate molti detenuti fanno otto ore di colloquio al mese. Io credo che già con questo Ordinamento penitenziario sia possibile dilatare le ore di colloquio. Una richiesta poi che viene da molti, so che non farà piacere a chi lavora in carcere però ragioniamoci su, è che anche la domenica sia giorno di colloquio, perché alcune famiglie veramente hanno grandi difficoltà a venire in altri giorni.

Le condizioni in cui le famiglie vengono accolte a colloquio poi sono spesso indecenti: in molte carceri si fanno ore di attesa, ore senza uno spazio decente, bisogna che almeno vengano costruite delle strutture, dei prefabbricati con dei servizi, spazi in cui le persone che arrivano, bambini, anziani, possano aspettare in condizioni dignitose.

Oggi c’è qui la mamma di Elton, è venuta dall’Albania e di solito può fare solo un po’ di ore di colloquio, mi ha appena detto che, in 13 anni di detenzione del figlio, oggi per la prima volta ha fatto una cosa cosi emozionante, che è riuscire a mangiare assieme a lui.

In questo carcere una volta all’anno si organizza la festa del papà, che è un’occasione per fare dei colloqui diversi. Non potrebbero allora essere incentivate, aumentate queste occasioni per dare la possibilità ai detenuti di mangiare con i propri famigliari? Guardate, sembra strano ma il rito del mangiare insieme è un momento importante, cosa ci vuole per fare questo? io credo che ci voglia molto poco.

Però ci vogliono delle indicazioni chiare da parte del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, perché queste iniziative non devono essere sempre affidate, come dire?, al buon cuore di un direttore. Noi qui a Padova abbiamo fatto un incontro in redazione con il direttore della Casa di reclusione, che su questi temi si è dimostrato molto disponibile, ma perché queste non devono essere delle indicazioni che riguardano tutte le carceri italiane?

 

“Umanizzare le pene” perché oggi nelle galere di umanità ne è rimasta davvero poca

 

Un’altra cosa che chiediamo oggi, anche questa minima, è che vengano attrezzate delle aree per dei colloqui più decenti: diamo cioè a queste famiglie, ai bambini, il modo di vedersi in condizioni cha per lo meno assomiglino a condizioni normali.

Le telefonate poi: finalmente l’Amministrazione ha recepito la richiesta di chiamare ai telefoni cellulari, ci sono persone qui dentro che da anni non parlano con le loro famiglie perché nessuno di loro ha un telefono fisso. Ecco che una circolare ha introdotto questa straordinaria possibilità. Ma una telefonata di dieci minuti alla settimana per alcune persone è l’unica forma di contatto con le famiglie, ci vuole così tanto ad ampliare questa possibilità? Ci sono un sacco di Paesi in cui si telefona liberamente dal carcere, allora ci vuole davvero così tanta fatica ad aumentare almeno i tempi delle telefonate? Se una persona detenuta i minuti che ha per telefonare potesse gestirseli come vuole, sarebbe già un passo avanti, perché magari uno ha bisogno di chiamare a casa oggi, e non domani, se ha un figlio che sta male e vuole avere notizie sul suo stato di salute. Ampliare la durata delle telefonate e permettere di gestirle in modo un po’ più libero è allora la nostra richiesta.

Ultima questione, i rapporti tra l’Amministrazione penitenziaria e le famiglie. Negli uffici pubblici oggi c’è un servizio d’informazione che si chiama URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico), non è pensabile allora che l’Amministrazione capisca che per esempio i famigliari non sono persone che devono essere punite con il carcere, ma sono delle persone che hanno dei diritti, fra i quali anche il diritto di avere delle risposte gentili, delle risposte almeno?

Vi chiediamo allora: istituite qualcosa di simile, fate in modo che i famigliari possano avere delle notizie e delle risposte e che ci sia una faccia diversa dell’Amministrazione nei confronti delle famiglie, date modo alle persone che stanno male e che sono ricoverate, come è successo a Stefano Cucchi, di vedere i propri famigliari.

Oggi fa quasi impressione parlare di “umanizzazione” delle pene, perché l’altra faccia di questa frase è che siamo disumani nel trattare le persone, cioè se chiediamo una umanizzazione è perché ci sono degli aspetti di gestione di questi problemi che non sono da esseri umani, facciamoli diventare allora tali.

Per ultima, tiriamo fuori la nostra vecchia proposta di una legge sull’affettività e sull’intimità che io credo sia fondamentale, una proposta sulla quale il volontariato ha sempre dimostrato troppa timidezza. È ora invece di smetterla di aver paura di parole come “colloqui intimi, sesso”, e di dire le cose come stanno: intimità, sesso, sono momenti fondamentali anche della vita famigliare, che famiglie si possono salvare se non si permette loro di avere una qualche forma di vicinanza vera?

Ecco queste sono forse le uniche cose in grado in questo momento di alleviare le condizioni pesanti del sovraffollamento e i rischi altrettanto pesanti di suicidi, speriamo che le nostre richieste trovino rapidamente delle risposte da parte dell’Amministrazione.

 

 

È la legge che ci dice che dobbiamo rinsaldare i rapporti dei detenuti con le loro famiglie

 

di Lucia Castellano, Direttrice del Carcere di Bollate

 

Mi avete “promosso” capo del Dipartimento, in realtà io non posso rispondere che per la periferia in cui lavoro, per cui mi avete fatto una serie di domande come se io stessi a Roma e avessi qualche potere decisionale, io purtroppo o per fortuna sto a Milano e potere decisionale ne ho soltanto nell’ambito della mia cinta muraria, per cui rispondo di quello che cerchiamo di fare a Bollate.

I problemi che avete posto sono problemi diversificati, perché in alcuni casi c’è bisogno dell’intervento del legislatore, per cui sicuramente la legge sull’affettività non c’è in questo momento e quindi aspettiamo altre competenze che non sono le nostre.

Però anche su questo ci sono altri modi per garantire l’affettività, per esempio i permessi premio che sono un modo molto più dignitoso se vogliamo, che non consumare le ore d’intimità all’interno di un carcere. Per altro se si considerano le condizioni delle nostre carceri mi rie­sce difficile di immaginare dei posti deputati ai colloqui intimi. Quello dell’affettività è un problema veramente molto difficile, perché non riusciamo neanche a garantire dei colloqui dignitosi, figuriamoci dei colloqui intimi dignitosi, mentre invece lo strumento del permesso premio esiste, esiste il lavoro all’esterno con l’allargamento dei suoi spazi, perché il lavoro all’esterno con l’articolo 21 nella nuova formulazione prevede che si possa stare con le famiglie per consumare un pranzo assieme o stare a casa propria, per cui diciamo che è ricompreso il diritto all’affettività.

Quindi possiamo utilizzare moltissimo le norme che già abbiamo, articolo 21 e articolo 30 ter, mi stupisce la persona detenuta che è intervenuta prima, che si trova da 13 anni in carcere, come è possibile che non abbia ancora ottenuto un permesso, non so e non voglio sapere i suoi fatti, ma è una cosa strana perché comunque il permesso dovrebbe essere un modo graduale di riacquistare la libertà. Anche se auspichiamo sempre che ci sia questa legge sull’affettività, ripeto che nelle condizioni delle nostre carceri, dove noi non garantiamo i diritti, non so quale diritto venga prima o venga dopo, ma i diritti più elementari tipo il diritto all’igiene personale, perché la gente mangia a tre metri da dove va in bagno, figuriamoci poi il diritto all’affettività, quindi diciamo che siamo molto, molto indietro come Amministrazione.

Sui trasferimenti invece la legge c’è, quindi la è un problema nostro amministrativo, perché la legge dice il principio proprio della territorializzazione della pena, quindi la pena va scontata presso le proprie famiglie. Conosco le carceri del nord e so che il livello di sovraffollamento è tale che per garantire la quiete del carcere si sfollano soprattutto gli stranieri, i quali finiscono spesso in Sardegna, nelle isole in posti dove sono lontani perché non hanno riferimenti famigliari.

C’è comunque una circolare che vieta i trasferimenti quando si seguono corsi scolastici, corsi di formazione o attività trattamentali, e qui sta alle singole aree pedagogiche dell’istituto far valere questo divieto, quindi mettersi d’accordo molto banalmente tra area pedagogica e matricola per evitare che la persona che segue corsi di formazione sia trasferita. C’è questa possibilità e quindi su questo basta semplicemente far valere una normativa con una circolare che già esiste.

Per quanto riguarda i colloqui e i rapporti con i famigliari, abbiamo visto quanto siano essenziali questi rapporti. Anche qui ci sono delle precise disposizioni normative che dicono che i famigliari devono essere avvertiti dei trasferimenti dei detenuti a spese dell’Amministrazione, quindi siamo noi che riceviamo il detenuto che dobbiamo alzare il telefono e dire che il detenuto è arrivato a destinazione, magari si fa dopo l’avvenuto trasferimento per motivi di sicurezza, però nel momento in cui arriva a destinazione noi siamo tenuti a farlo.

A San Vittore per esempio da anni il dottor Pagano aveva istituito lo Sportello famiglie, c’era un Vicedirettore deputato una volta alla settimana dalle 9 alle 13, che è già pochissimo perché pensate quante persone ci sono a San Vittore, ad ascoltare le famiglie.

Anche questo la legge non lo vieta, anzi se noi dobbiamo partire sempre dall’articolo 28 dell’Ordinamento che ci dice che dobbiamo rinsaldare, rafforzare e migliorare i rapporti dei detenuti con le loro famiglie, ciò significa che se anche stessero in crisi con la loro famiglia, noi dobbiamo aiutarli a migliorare questi rapporti.

Figuratevi che compito ci dà lo Stato, quindi lo Sportello famiglie si può fare con qualunque tipo di operatore pedagogico, o della Polizia penitenziaria perché no, o della dirigenza penitenziaria se uno è fortunato ed ha molti Vicedirettori, quindi è una cosa che si può fare tranquillamente.

 

Sei colloqui e quattro telefonate al mese sono una cosa risibile

 

Il problema dei colloqui: sicuramente rispetto al diritto all’affettività l’Amministrazione, pur armata della migliore buona volontà, ha le armi spuntate perché sei colloqui e quattro telefonate al mese sono una cosa risibile.

Però anche qui se uno vede il diritto all’affettività in maniera un po’ più globale del mero colloquio, allora rientrano ancora una volta il 30 ter e l’articolo 21 allargato, e rientra anche la possibilità di consumare un pranzo con i famigliari che la legge prevede. La legge prevede di consumare pasti con i famigliari indipendentemente dai colloqui, voi sapete che la legge ha eliminato la differenza tra colloqui ordinari e colloqui premiali, l’ha levata per fortuna, però come particolare riconoscimento ai detenuti perché non dare il pranzo una volta al mese, a Natale, Pasqua, a Ferragosto?

Per esempio noi lo facciamo sistematicamente per i giovani adulti, i ragazzi dai 19 ai 25 anni hanno diritto ad un pranzo al mese con la propria famiglia, allora che cosa abbiamo fatto? vi do delle dritte di organizzazione spicciola, poiché i poliziotti dei colloqui giustamente erano oberati di lavoro, abbiamo, assieme ai detenuti, deciso che cucinassero loro, i detenuti, per le loro famiglie in modo da non obbligare ogni mese il poliziotto a sezionare tutto il pranzo portato da fuori, che diventa una fatica bestiale, il pranzo arriva freddo e sezionato, quindi è frustrante per tutti.

Allora cucinano i detenuti per le loro famiglie e una volta al mese si mangia assieme, è una cosa che si può assolutamente fare e non c’è niente di trascendentale, purtroppo non si può aumentare il numero dei colloqui anche perché le forze che noi abbiamo sono molto esigue soprattutto qui al nord, a Bollate ma credo anche qui a Padova i poliziotti penitenziari sono in numero molto, molto esiguo, quindi non ce la facciamo a garantire più giorni di colloquio. Il problema della domenica per lo meno da noi sussiste perché i poliziotti non ce la fanno a garantirlo anche alla domenica. In compenso per esempio abbiamo garantito i pomeriggi, il sabato pomeriggio, per cui i bambini che vanno a scuola possono andare a vedere il papà il sabato pomeriggio.

Io suggerirei che si potrebbe costituire un comitato di detenuti assieme agli educatori che fanno le proposte e poi la direzione le valuta.

Una cosa importante sono le telefonate, credo che il Garante dei detenuti della Regione Toscana, Franco Corleone, ma anche altri abbiano insistito tantissimo per le telefonate ai cellulari e finalmente lo si è ottenuto, il che significa che se la società preme un po’ e non si arrende all’autoreferenzialità del carcere, il carcere lentamente prende delle pieghe diverse, e la giornata di oggi ne è una testimonianza vivente.

Quindi adesso si può telefonare al cellulare, si può telefonare con le schede telefoniche in molti istituti tra i quali Bollate, dove stiamo installando ora questo sistema, per cui il detenuto può telefonare quando gli pare a lui.

È chiaro che questa per noi è una comodità perché significa che il centralinista non deve stare li a chiamarlo, è chiaro che il detenuto deve avere la gentilezza di fare un uso non contrabbandato di queste schede con i compagni, però questo fa parte del rapporto “negoziale” tra le istituzioni e la propria utenza.

Ma comunque si può risolvere il problema del “devo telefonare oggi perché mio figlio sta male”, se ho la scheda posso telefonare, sempre dieci minuti, a quel numero, però nei giorni e nelle ore che preferisco.

E quindi rispetto al diritto all’affettività molto non c’è, molto c’è e si può pretendere e molto si può costruire. A Bollate per esempio non c’è la possibilità di avere rapporti sessuali evidentemente perché è contro la legge, ma abbiamo un monolocale gestito dalla cooperativa Spazio Aperto Servizi, praticamente è un monolocale dotato di televisione, un posto per fare i compiti, si può mangiare e stare con i bambini, insomma un posto dove i detenuti possono passare mezza giornata con i famigliari.

È chiaro che questa è una goccia nel mare perché con 1030 detenuti, soltanto sedici famiglie possono beneficiare di questa possibilità e sono le famiglie più problematiche, che sono poi assistite dagli psicologi di questa cooperativa. Questa è secondo me una delle più belle iniziative che abbiamo fatto a Bollate, che potrebbe essere tranquillamente mutuata in altre carceri, basta avere qualcuno che la sponsorizza e la finanzia, ma questo è un modo per allargare le maglie finché te lo consente naturalmente la legge, quindi io non sarei così pessimista, perché direi che molto si può fare e molto si deve fare.

Io credo che la storia della famiglia Cucchi abbia dimostrato in modo tragico ed estremo, ma si può applicare in maniera meno tragica e meno estrema a tutti voi che siete fuori dalle porte del carcere, abbia dimostrato che se uno insiste i veli si squarciano, le opacità si chiariscono, le verità vengono a galla e le cose si fanno.

Allora non è solo colpa dell’Amministrazione Penitenziaria che non vuole, che non sa, che è lenta e un insieme di cose che già sappiamo, ma è anche “colpa”, o meglio responsabilità di chi la subisce, questa Amministrazione Penitenziaria, senza far nulla per cambiare le cose.

Allora vi lancio una piccola proposta, prendete l’Ordinamento penitenziario e il regolamento, e lì vedete tutto quello che si può fare e pretendetelo. Grazie

 

 

 

Bisogna pretendere l’applicazione dell’Ordinamento penitenziario

 

di Rita Bernardini, Deputata Radicale eletta nel Partito Democratico

 

Mi riaggancio alle ultime parole pronunciate dalla dottoressa Castellano, sono così d’accordo sul fatto di prendere l’Ordinamento penitenziario e pretenderne l’attuazione che avevo fatto una proposta in tal senso, e in ogni istituto in cui vado per visitarlo, chiedo sempre ai detenuti se hanno l’Ordinamento penitenziario. Quasi tutti mi rispondono di no, allora chiedo: avete lo statuto interno, il regolamento interno dell’istituto? E quasi tutti mi rispondono ugualmente di no, non è a disposizione di chi è chiamato a rispettare le regole del carcere.

Molte delle richieste che sono state fatte oggi sono richieste minime che già esistono in altri Paesi europei, dovrebbero essere oggetto di proposte di legge da approvare in fretta, però vi dico già che se ricordate il dibattito che si tenne alla Camera dei Deputati sulle mozioni riguardanti le carceri, la maggioranza respinse proprio, della nostra mozione che aveva avuto quasi un centinaio di firme, la parte sull’affettività in carcere.

Respinse anche la parte che chiedeva l’istituzione del Garante nazionale dei detenuti, e parte che riguardava l’umanizzazione di certi regimi, perché qui si è parlato di tanti problemi, però c’è una categoria di detenuti della quale non si parla mai e sono quelli del 41 bis.

Qui si è parlato dei bambini, ebbene i bambini che vanno a trovare i genitori che stanno al 41 bis, possono, se hanno un’età inferiore a 12 anni, abbracciarli per dieci minuti durante il colloquio, mentre se hanno più di 12 anni devono vedere il padre o la madre da dietro un vetro.

Questa è alla lunga una forma vera e propria di tortura, e anche questa parte è stata rifiutata, noi chiedevamo semplicemente di rendere il 41 bis almeno compatibile con le direttive europee, nemmeno quello è stato accettato.

Poi ci sono tutte le altre parti della mozione, che sono state invece approvate, di cui dobbiamo pretendere l’applicazione, però vedete c’è una cosa che voglio dire, io credo che la politica che viene fatta oggi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non è una provocazione la mia, ma sia una politica letteralmente impazzita. Perché che senso ha, per esempio, avere intorno al 50 per cento dei detenuti che vivono la loro detenzione lontani dai loro famigliari, ma sapete che cosa comporta questo in termini di spesa soprattutto per coloro che sono in attesa di giudizio?

Comporta, per fare un esempio, che quando c’è il processo, io devo portare il detenuto che ho sfollato all’Ucciardone a Brescia dove si celebrerà il processo, con una scorta di quattro agenti che devono prendere l’aereo assieme al detenuto, che poi devono soggiornare a Brescia e poi devono ritornare, ma quanto costa tutto questo?

Ecco perché io dico che è una politica letteralmente impazzita, allora penso che dobbiamo agire per riportarla alla ragione. Una parte della mozione che è stata approvata riguarda proprio la territorializzazione della pena, che del resto è scritta già nell’Ordinamento Penitenziario.

Noi pretendiamo giustamente che chi ha sbagliato paghi, ma quando lo Stato sbaglia chi paga? quando paga? Se il ministro della Giustizia arriva a dire che le carceri italiane sono illegali e sono contrarie alla nostra Costituzione, questo Stato, queste istituzioni che violano la Costituzione e l’Ordinamento penitenziario sanno che cosa vuol dire violare una legge? Io credo che su questo dobbiamo riflettere, anche perché se uno Stato non rispetta le sue stesse regole, perde di credibilità rispetto al cittadino, e queste situazioni alla lunga diventano pericolose.

Un’ultima riflessione: a Ristretti Orizzonti, per il suo sito e la sua rivista, a me piacerebbe che fosse affidata un’altra delle cose che non è stata approvata nella nostra mozione, però ce la facciamo da soli, ed è l’anagrafe pubblica delle carceri italiane.

Vorrei vedere una bella cartina, dove per ogni istituto ci siano i lavori in corso, gli appalti, proprio la trasparenza. E poi quanto costa comprarsi dei prodotti all’interno dell’istituto, quanti detenuti ci sono, quanti agenti, quanti psicologi, quanti educatori, un’anagrafe aggiornata in tempo reale, e in più tutta una sezione del sito, io cosi la immagino, in cui per ogni istituto si danno anche tutte le cose positive che succedono. Perché anche le cose positive occorre valorizzarle con gli operatori, con i volontari, con tutti quelli che credono che questa sia una istituzione da riformare profondamente, perché senza un collegamento vero della società con queste istituzioni io credo che non andremo molto avanti.

 

 

Abbiamo bisogno solo di far funzionare le leggi che già ci sono

 

di Salvatore Pirruccio, Direttore della Casa di Reclusione di Padova

 

Si è parlato oggi di Ordinamento penitenziario, dei tanti benefici di cui i detenuti possono essere destinatari e dei comportamenti che bisogna tenere per realizzare il dettato normativo, specialmente quello previsto dalla nostra Carta Costituzionale. Ecco, sono convinto che se fossero applicate concretamente tutte le ipotesi previste dall’Ordinamento penitenziario e da tutte le leggi che nel tempo lo hanno modificato ed integrato, ci accorgeremmo che, forse, non abbiamo alcun bisogno di nuove leggi.

Esistono già le necessarie misure alternative alla detenzione; possiamo avvalerci di tante opportunità che consentono al detenuto di scontare la pena fuori dal carcere; bisognerebbe ampliarne l’applicazione ma non parlo solo della semilibertà o dell’affidamento, c’è tutto un sistema di detenzione domiciliare che dovrebbe essere maggiormente  sfruttato, anche perchè bisognerebbe stabilire, una volta per tutte, se qualsiasi crimine, anche quello che procura minore allarme sociale, debba essere sanzionato con il carcere.

Se così si ritenesse di agire, incrementando l’esecuzione penale presso il proprio domicilio, con riguardo anche solo a coloro che devono scontare 2 o 3 anni di reclusione, anche come residuo di maggior pena, la popolazione detenuta si ridurrebbe notevolmente e potremmo ricavare subito 6 o 7.000 posti letto superando, almeno nell’immediato, il grave stato di sovraffollamento e mantenendo, con i dovuti controlli, il detenuto sul territorio si faciliterebbe il suo reinserimento sociale annullando anche gli effetti negativi del carcere ove la misura fosse attribuita in sede processuale ma, l’applicazione delle varie ipotesi alternative al carcere non dipende dall’Amministrazione penitenziaria, bensì dalla Magistratura che decide di attribuire o meno un determinato beneficio anzicchè un altro ovvero respingere tutte le istanze degli interessati.

Un problema diverso è quello dei permessi premio la cui concessione, in molti Stati europei, rientra nella competenza dell’Amministrazione penitenziaria e credo che anche in Italia la legge dovrebbe essere modificata in tal senso perchè la concessione dei permessi è misura amministrativa  inserita nel percorso trattamentale e rieducativo del condannato e, nonostante riguardi la libertà del soggetto non può essere giurisdizionalizzata: deve essere uno strumento a disposizione di chi ha il compito di tentare il reinserimento del detenuto nella società.

Per queste brevi riflessioni non credo che si debba procedere alla emanazione di altre leggi con il rischio di sopportare possibili modifiche in sede legislativa che stravolgerebbero l’originaria intenzione di coloro che le propongono ovvero non essere mai approvate per il mancato raggiungimento di accordi tra forze contrapposte.

 

Maria Pia Giuffrida, Dirigente generale dell’Amministrazione penitenziaria e responsabile dell’Osservatorio nazionale sulla giustizia riparativa e la mediazione penale, ha comunicato di aver istituito a livello nazionale una rete di mediatori che stanno attualmente svolgendo una sperimentazione, che riguarda circa 20 casi di reati gravi, seguendo delle procedure che sono state istituzionalizzate dall’Osservatorio. Si tratta di situazioni particolarmente delicate, monitorate dalla stessa dottoressa Giuffrida seguendo delle procedure estremamente dettagliate.

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