Donne dentro

 

Un posto dove le mamme condannate

possono rimanere sempre con i propri figli

 

Si può evitare di separare il figlio dalla madre se il magistrato concede gli arresti domiciliari in una comunità di recupero, e soprattutto se si trova una comunità disposta ad ospitarli

 

di Ilir Ceka

 

C’è una piccola comunità nell’hinterland milanese che oltre ai soliti problematici ospiti (emarginati, ragazzi con problemi di tossicodipendenza) ha pensato di accogliere le mamme detenute con bambini minori. La legge prevede che le condannate possono tenere in cella i propri figli fino al compimento dei tre anni, dopo di che il bambino viene affidato ai servizi sociali. Per evitare questo trauma sia per le madri che per i figli, la comunità "A Stefano Casati" si è offerta di creare un luogo dove le condannate possono espiare la pena in una forma paragonabile agli arresti domiciliari, ma con la possibilità di stare insieme ai propri figli, e non solo. Potranno seguire corsi di formazione professionale e attività di ricreazione e risocializzazione per facilitare il reinserimento nel modo più adeguato e civile. Chi gestisce la comunità ha pensato a tutto poiché, se la pena sarà mutata dal magistrato in altre misure alternative alla detenzione, le mamme detenute saranno in grado di trovare anche un vero contratto di lavoro e lentamente riguadagnare una vita indipendente.

Attualmente, nella comunità di Via Imbonati di Renate Brianza vengono ospitate due madri, assieme ai loro figli, che ogni mattina si recano all’asilo come tutti i loro coetanei. Un numero esiguo rispetto alle 150 donne attualmente detenute nelle carceri del capoluogo lombardo, ma che può diventare un ottimo esempio per tutte le comunità di recupero presenti nel territorio. Un esempio che, se adottato da altre realtà simili, sarà sicuramente un atto di civiltà e porterà soltanto giustizia per le donne che, oltre alla pena, si trovano a pagare (e far pagare ai propri figli) una condanna aggiuntiva sicuramente ingiustificata.

Abbiamo contattato la dottoressa Graziella Roveda, direttrice della comunità di Renate Brianza (Milano) dove sono ospitate le mamme detenute, che ci ha dato modo di intervistare lo psicologo del centro, Roberto Lombardi.

 

Quante mamme con bambini sono ospitate nella vostra comunità?

La comunità accoglie persone bisognose di varie categorie, prevalentemente minori e persone con problemi di dipendenza.

Ultimamente abbiamo ospitato anche sei mamme con i loro bambini, delle quali due sono detenute agli arresti domiciliari. Però ultimamente sono state introdotte delle modifiche sulle procedure di accreditamento. è molto probabile che, a seguito di queste modifiche, in futuro avremo la possibilità di ospitare solo quattro donne con i rispettivi figli.

 

Esiste un programma di trattamento per queste donne?

Ovviamente esiste un programma trattamentale. La permanenza delle ospiti in comunità ha come obiettivo il superamento di condizioni di disagio di natura psicologica e sociale. Le mamme pertanto svolgono, compatibilmente con le necessità dei loro bambini, tutte le attività previste dal programma, che hanno come obiettivo l’accompagnamento delle persone ad una autonomia concreta e psicologica. Tali attività si dividono in attività di formazione al lavoro nel laboratorio annesso alla comunità, attività ricreativo-culturali ed attività strettamente di natura educativo-psicologica.

Le attività ricreativo-culturali consistono in corsi di disegno, di computer, di lingua inglese, poi si praticano attività come la pallavolo, escursionismo/arrampicata sportiva in montagna e cineforum, mentre le attività educativo–psicologiche psicoterapia individuale e di gruppo, training autogeno, gruppi di discussione comunitaria, gruppi di mamme condotti da una pedagogista che le coinvolge in discussioni riguardanti i problemi dei loro bambini. Poi abbiamo colloqui individuali di verifica con la direzione in merito all’andamento del programma e un gruppo di introduzione alla psicoterapia.

 

Quanti educatori ci sono in comunità?

Oltre a Graziella Roveda, che è la direttrice, ci sono cinque educatori professionali, una obiettrice di coscienza, uno psicologo e circa dieci volontari.

 

Le mamme detenute hanno la possibilità di trovare anche un lavoro?

Abbiamo delle attività di formazione al lavoro che comprendono un gruppo di discussione sul proprio curriculum lavorativo e in generale sul mondo del lavoro. Nel quadro della formazione facciamo un corso di ricamo ed uno di lavorazioni artistiche. Inoltre, a turno, ciascuna ospite svolge un vero e proprio lavoro che consiste nella preparazione dei pasti oppure nella pulizia della casa. Tutte attività retribuite. Anche il servizio di cura ai bambini è svolto a turno dalle mamme, che quindi si occupano pure dei bambini delle loro colleghe che sono impegnate durante gli orari di attività. Di giorno, i bambini che abbiano l’età necessaria vengono inseriti al nido, alla materna o alla scuola.

 

Quindi le persone che ospitate lavorano tutte?

Tutte le persone all’interno della comunità partecipano ai lavori del laboratorio, fove si svolge la formazione al lavoro. Alcune persone possono essere responsabili di particolari compiti all’interno dell’organizzazione della vita comunitaria: lavanderia, stireria, lavori esterni e altro.

Quando le persone arrivano alla fase di reinserimento, che è la fase conclusiva del programma, possono essere assunte con un contratto a termine dalla cooperativa "Valore Lavoro", che è la cooperativa che gestisce il laboratorio interno alla comunità. Possono in tal modo accantonare una certa somma di denaro che servirà in seguito al loro reinserimento all’esterno. Se una persona ha già delle capacità che le permettono di accedere ad un lavoro esterno, può saltare il passaggio dell’assunzione interna.

Gli stipendi delle ospiti assunte dalla cooperativa vengono pagati con i ricavi del lavoro che viene svolto nel laboratorio di formazione. Purtroppo la resa economica di tale laboratorio è piuttosto modesta per una serie di fattori (scarsa presenza delle ospiti in laboratorio per altri impegni, scarsa produttività legata alla loro attitudine e condizione psicologica sono alcuni degli esempi) e così il numero delle persone che possono essere assunte è ridotto a due in uno stesso periodo di tempo.

 

Ci può raccontare qualcosa in più delle attività dei bambini?

Durante la giornata vanno all’asilo o a scuola. La sera, invece, la trascorrono con le loro mamme. Esiste uno spazio giochi attrezzato all’interno della comunità, e la domenica, se la mamma è nella fase di programma che lo consente, possono uscire con la mamma per recarsi al parco, all’oratorio e nelle altre uscite che vengono organizzate. I bambini molto piccoli, che ancora non possono andare al nido, passano invece molto più tempo con la loro mamma.

 

Che tipo di vita offre la comunità, e cosa viene fatto per il futuro delle ospiti?

La vita è abbastanza impegnata, non c’è molto tempo per l’ozio. Si tratta di una vita improntata all’affrontare le proprie responsabilità. Si discute molto: ogni persona è caldamente invitata a raccontare di sé, delle proprie esperienze, dei propri vissuti, dei propri pensieri. Tutto questo lavoro di confidenza ha come obiettivo il mobilitare energie che permettano alla persona di costruirsi un futuro che la veda inserita responsabilmente ed in modo adulto nella società. Insomma, un percorso orientato al proprio successo nella vita.

Una volta che una persona ha risolto o ha attenuato i propri conflitti interni, inizia a costruire il suo futuro concretamente, attraverso la ricerca di una casa e di un lavoro.

È un posto dove si fatica per crescere: ogni persona ci porta i suoi malesseri, i suoi conflitti, le sue parti infantili e pian piano impara a gestirli attraverso la confidenza fatta a qualcuno piuttosto che attraverso l’agito compulsivo, che genera sempre problemi.

 

Com’è strutturato il centro?

La comunità è una casa normale, organizzata però per accogliere una comunità: al piano terra c’è il salone, dove si mangia e si tengono le riunioni serali di organizzazione della giornata successiva, oltre allo spazio attrezzato per i bambini; ci sono la cucina, la lavanderia, il guardaroba, l’ufficio, la dispensa. Al primo piano ci sono le camere, i bagni ed il locale infermeria.

All’ultimo piano ancora una camera col bagno e la sala terapia dove si svolgono colloqui e gruppi.

Intorno alla casa, infine, c’è un giardino con cortiletto con alcuni giochi per i bambini.

Avere sei anni e veder sparire

dall’oggi al domani tutti e due i genitori

 

E poi imparare a capire cha cos’è il carcere e perché un padre e una madre possono anche finirci dentro

 

di Patrizia

 

Per due anni e mezzo, il tempo trascorso in carcere, ho pensato a come avrei fatto a spiegare a mia figlia quello che è successo a me e a suo padre. Avere sei anni e veder sparire, dall’oggi al domani, tutti e due i genitori non è stato certo facile per lei, delle spiegazioni certamente gliele dovevamo dare e io su questo ho lavorato moltissimo. Quello che mi era molto chiaro era la consapevolezza e la volontà di dire la verità.

Trovare in carcere la forza per portare avanti un percorso e quindi anche la voglia di riprendere il rapporto madre-figlia è importante, è fondamentale, come è fondamentale non prendersi in giro e non essere false, prima con noi stesse e poi con gli altri. In carcere con la psicologa che mi seguiva ho parlato molto di mia figlia, di me, di com’ero e di come sono, di cosa voglio. Lei non mi ha mai detto "Devi fare così", ma "Potresti fare così", e di questo la ringrazio perché ho compreso che è così che un operatore deve lavorare, dare consigli e farti ragionare, aiutandoti a capire e a seguire il tuo cuore.

Adesso mia figlia ha quasi undici anni, e devo raccontarle del carcere, di come ci sono finita, perché io sono a casa e invece il suo papà no, cos’è la detenzione domiciliare e poi l’affidamento, cos’è la droga, il furto, perché fanno male e quindi vengono vietati per legge e perché chi trasgredisce viene arrestato. Un po’ alla volta le dico quello che funziona ma anche quello che non funziona in questo sistema, perché ci sono contraddizioni, perché non sempre la legge è uguale per tutti. Quello che spero riesca a capire è che con i suoi genitori potrà parlare serenamente perché riceverà sempre delle risposte.

Sapete, non è facile far capire a un figlio che lo spinello è vietato perché fa male e la sigaretta non è vietata, eppure fa male anche questa, anzi forse fa ancora più male. Comunque lei è fortunata perché ha due genitori che di esperienze ne hanno fatte molte, e i nostri consigli saranno sicuramente più veri e sicuri di tante parole che si sentono e leggono dai media. Cercare le risposte nelle persone che hanno vissuto direttamente un’esperienza che ci crea curiosità è, in fondo, alla base della possibilità di vivere veramente.

Dopo averle parlato del carcere sono passata, con molta cautela, all’argomento "papà", a spiegarle dov’era, cosa faceva: piano piano ho provato a proporle di venire con me a trovarlo in carcere. I suoi no, detti con sofferenza, mi facevano male, erano lontani i tempi in cui lui la prendeva in braccio e facevano le capriole sul letto, era sparito tutto in un attimo, e poi il vuoto, l’assenza. Riempire quel vuoto non era più possibile, ma costruire qualcosa di nuovo sì.

L’incontro padre-figlia è stato emozionante, adesso il loro rapporto prosegue molto bene, quel vuoto durato quattro anni sta per essere sostituito e l’amore, l’allegria si stanno concretizzando in qualcosa che loro due si scambiano con gesti ogni volta che si vedono, non è più solo un sentimento che sei costretto a portarti dentro senza alcuna possibilità di dimostrarlo.

Io ho scelto di dire la verità perché non voglio vivere nell’ipocrisia, nella falsità, ma sopratutto perché i figli devono sapere tutto dei genitori: quali cose buone possiamo insegnare se non siamo sinceri e coerenti con loro? Non avrei mai sopportato il peso e la paura che un domani mia figlia mi dicesse: "Perché non me l’avete detto?".

Per quanto difficile possa sembrare dire la verità adesso, è molto più difficile ed è forse troppo tardi sentirsi porre questa domanda un domani. Lei adesso sta bene, non mostra disagio e sembra aver accettato questa verità come una cosa normale: ed in effetti, con tutto quello che può succedere nella quotidianità delle persone, è una cosa che fa parte della vita anche il carcere, il carcere non è virtuale, i detenuti non sono fantasmi, è una realtà che ci coinvolge tutti, e prima ce ne rendiamo conto e insegniamo ai nostri figli a capire, prima vivremo veramente, senza finzioni e senza inutili bugie.

 

 

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