Dentro & fuori

 

Il momento più critico della vita di un detenuto

quello dell’ingresso in carcere

 

A Milano l’Osservatorio Carcere e Territorio sta studiando un servizio "Nuovi giunti", che faccia fronte davvero ai disagi del primo impatto con la detenzione

 

di Graziano Scialpi

 

Il momento dell’arresto e dell’entrata in carcere è uno degli eventi più stressanti che si possano immaginare, soprattutto se è la prima volta. Le manette, le foto segnaletiche, le impronte digitali, la registrazione in matricola, il doversi spogliare nudi, la perquisizione, poi una serie di rapidi incontri con il medico, giusto per accertare che non si è in fin di vita, e con lo psicologo, se è in servizio. Quindi il primo impatto con i rumori del carcere e il suo incessante sbattere di cancelli. Infine l’arrivo in cella dove, vuoi per ragioni giudiziarie, vuoi perché bisogna aspettare che si liberi un posto in una cella "comune", fin troppo spesso ci si ritrova da soli con il proprio dramma. Per cui, nel momento più cruciale e critico, il neodetenuto non può nemmeno contare sul sostegno, sulla solidarietà, sull’esperienza e, non ultimo, sulla discreta sorveglianza dei carcerati ormai "scafati". Il risultato è che una significativa percentuale dei suicidi e degli atti di autolesionismo che si verificano in carcere è concentrata nei primi giorni della detenzione.

Per cercare di ovviare a questo e ad altri problemi della vita carceraria l’Osservatorio Carcere e Territorio di Milano ha avviato un gruppo di studio che, con l’appoggio del Comune di Milano, intende elaborare una sintesi con le diverse proposte operative e i percorsi fondamentali da intraprendere.

«In passato erano già stati realizzati dei progetti per aiutare il "nuovo giunto" ad orientarsi in carcere», racconta Ottavio Moffa, referente del progetto Ekotonos e componente della segreteria dell’Osservatorio. «Anche il Comune di Milano aveva finanziato un opuscolo, impostato più o meno come "Il carcere, istruzioni per l’uso" elaborato da Ristretti Orizzonti, ma, una volta terminati i fondi, questo materiale informativo non è stato più distribuito. La nostra idea è di recuperare e rilanciare questi progetti, integrandoli con altre esperienze significative come la vostra di Padova».

Al momento le proposte elaborate dal gruppo di studio si articolano in sette punti:

1. Individuare una figura istituzionale che affianchi lo psicologo nell’accogliere i nuovi giunti, fornendo loro tutte le informazioni necessarie.

2. Creare un opuscolo informativo "agile" e in diverse lingue, che aiuti il detenuto a orientarsi tra i vari servizi offerti dal carcere.

3. Realizzare una locandina da affiggere nelle celle che ricordi al neodetenuto le informazioni fondamentali, che spesso non vengono recepite durante i colloqui con gli operatori a causa della particolare situazione psicologica.

4. Fornire una formazione mirata e strumenti idonei agli agenti di Polizia penitenziaria che prestano servizio nell’area dei nuovi giunti.

5. Coinvolgere associazioni e enti nella collaborazione con gli operatori penitenziari.

6. Introdurre figure di traduttori e mediatori per i detenuti stranieri.

7. Rendere più approfondito il monitoraggio dello stato di salute dei nuovi giunti, soprattutto per quanto riguarda i tossicodipendenti.

«Come Osservatorio abbiamo già incontrato l’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Milano, Tiziana Maiolo», spiega Ottavio Moffa. «Nelle prossime settimane incontreremo l’Assessore ai Servizi Sociali della Regione Lombardia e stiamo cercando di coinvolgere anche la Provincia, che in passato ha già partecipato all’Osservatorio».

Il miglioramento del servizio per i nuovi giunti non è l’unico di cui si sta occupando l’Osservatorio in questo periodo. L’obiettivo più ampio è quello di "fotografare" la realtà integrale delle tre carceri milanesi: San Vittore, Opera e Bollate. Per questo motivo, oltre al gruppo di studio sull’arresto e l’ingresso in carcere, stanno operando altre tre commissioni di studio. Un gruppo si sta occupando della Permanenza in carcere, cioè della vita dietro le sbarre in tutti gli aspetti che investono la sfera personale (salute, affettività, relazioni); la sfera progettuale (formazione, progettazione occupazionale) e la sfera trattamentale (misure alternative, benefici di legge e programmi trattamentali integrati).

Un terzo gruppo si sta occupando dell’Accompagnamento all’esterno, e cerca di realizzare una mappa di tutti i servizi e i soggetti che operano per i detenuti e gli ex detenuti nel territorio milanese, con l’obiettivo di realizzare una rete di collaborazione tra le molte realtà del privato sociale che promuovono programmi di inserimento. La quarta commissione si sta occupando dell’Esterno, cioè della realizzazione di percorsi di accompagnamento e inserimento lavorativo per chi esce dal carcere.

 

L’unione fa la forza: l’Osservatorio Carcere e Territorio di Milano

 

L’esperienza di Milano, che risale ormai al 1993, è una delle prime, ma ormai la convinzione che per poter realizzare qualcosa di concreto per il carcere, senza disperdere inutilmente le energie e senza duplicare gli interventi, è necessario che le organizzazioni del volontariato e del sociale uniscano e coordinino i loro sforzi si sta rapidamente diffondendo. Anche a Padova, recentemente si è costituita un’associazione Carcere e Territorio che raccoglie numerose associazioni di volontariato e cooperative sociali. E la strategia funziona. Ne sono prova i risultati ottenuti nel reperire alloggi per gli ex detenuti dall’Associazione Carcere e Territorio di Brescia.

Per quanto riguarda l’Osservatorio di Milano, il cui fine è di fornire risposte concrete alle aspettative di risocializzazione dei detenuti, è stato costituito presso il Comune di Milano, Settore Servizi Sociali per Adulti, e riunisce il Privato Sociale e il volontariato, i referenti istituzionali del Comune di Milano, la Provincia, la Regione, l’Amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali che si occupano delle problematiche dei detenuti ed ex detenuti. L’organo decisionale dell’Osservatorio, che si riunisce periodicamente presso i locali del Comune, è l’Assemblea che nomina anche i membri della segreteria.

 

L’Osservatorio si propone di:

informare e formare la pubblica opinione attorno ai problemi legati alla detenzione e agli istituti di pena;

aprire l’istituzione carceraria al territorio e alla società civile di cui fa parte, sia attraverso progetti interni di natura formativa educativa e risocializzante, sia attraverso l’attuazione di misure alternative alla detenzione previste dalla legge;

coagulare attorno a progetti di utilizzo delle norme dettate dalla riforma penitenziaria (rivolti a detenuti/e prossimi alla dimissione e a soggetti nelle condizioni di poter accedere alle misure alternative) tutte le forze politiche e sociali disponibili, le associazioni culturali, nonché il volontariato locale;

favorire la circolazione delle informazioni rispetto ai diversi progetti.

Il racconto di sé per imparare a comunicare dal carcere con chi sta nel mondo "fuori"

 Nella Scuola Media di Limena, i detenuti si raccontano e i ragazzi li interrogano

 

di Ornella Favero

 

Quando ci hanno proposto di partecipare con dei detenuti a una iniziativa sui temi della legalità nella Scuola Media di Limena, la nostra prima reazione è stata di dire di no: troppo piccoli i ragazzi, troppo difficile parlare di carcere a dei quattordicenni, troppo alto il rischio di andare a proporre dei discorsi di tipo "terroristico" su quello che si deve fare o non fare per non finire in carcere. Poi, "tirati per i capelli", abbiamo accettato, e l’esperienza è stata invece del tutto positiva.

È un’esperienza che ci spinge a dire che bisogna andare di più nelle scuole, con iniziative che mettano a confronto i ragazzi fuori con quelli che stanno "dentro"; bisogna organizzare attività di prevenzione nei quartieri, anche per ribadire che il carcere non è una realtà "altra" estranea alla vita della città; bisogna pensare a momenti di incontro che coinvolgano di più i giovani. Momenti nei quali le persone detenute imparino a raccontare e raccontarsi: perché è il racconto di sé, la testimonianza che servono di più, che rompono le certezze delle persone "perbene" di non avere niente a che fare col carcere proprio perché fanno capire che "dentro" non ci sono i mostri, c’è più spesso gente come noi, figli di famiglie "regolari" che per motivi diversi sono finiti nell’illegalità.

E sono proprio i percorsi che hanno portato a uscire dalla legalità a interessare di più i ragazzi delle scuole: perché oggi i comportamenti cosiddetti "a rischio", soprattutto legati all’uso di sostanze stupefacenti, sono diffusi, ma la consapevolezza che per questi comportamenti si può anche finire in carcere è scarsa. Ed è diffusa anche la voglia di possedere sempre di più oggetti costosi e di permettersi certi lussi che danno potere e autorità all’interno del "branco", e se necessario di procurarseli senza badare tanto al come e alle conseguenze.

Se è vero allora che imparare a scrivere o a narrare la propria storia, dare importanza al racconto autobiografico, è anche una forma di "cura di sé", un modo per stare un po’ meglio con se stessi, è altrettanto vero che quando un detenuto riesce a ripercorrere alcuni momenti della sua storia di fronte a dei ragazzi, a parlare con loro e comunicare delle emozioni, per quei ragazzi quel racconto può essere una specie di "cura preventiva".

Quelle che seguono sono le testimonianze di un detenuto di Ristretti che ha partecipato a un incontro nella scuola media di Limena e poi dei giovanissimi studenti, scritte appunto dopo quell’incontro, che spiegano bene come un confronto diretto con chi ha vissuto sulla sua pelle l’esperienza del carcere può essere efficace come e più di tanti discorsi teorici sulle regole e sulla legalità. A patto però che anche le persone detenute mettano in discussione il loro modo di comunicare: perché i vittimismi e le lamentele, anche quando hanno mille valide motivazioni, non funzionano, inducono solo in chi ascolta una sensazione di fastidio e di rifiuto, funziona invece l’esperienza del carcere raccontata con le parole semplici e sobrie della quotidianità.

A scuola è giusto far conoscere ai ragazzi anche i lati oscuri della vita

 

di Nicola Sansonna

 

È sempre molto emozionante essere il centro dell’attenzione, specialmente se la platea è composta da 50 ragazze e ragazzi sui 12-13 anni. Per la seconda volta, dopo l’esperienza dell’anno scorso, sono tornato nella scuola media statale Beato Arnaldo di Limena, nell’ambito del progetto: "Prevenzione alla devianza giovanile".

Abbiamo parlato coi ragazzi dei perché della devianza, della percezione che hanno di cosa è legale e cosa no, dei rischi della droga, dell’alcol. Mi sono piaciuti quei visi vispi, attenti che scrutavano me e andavano oltre il detenuto che era seduto davanti a loro, cercando la persona.

Parlare della mia storia segnata da 25 anni di galera, descrivere gli episodi che quando ero molto giovane parevano normali avvenimenti, storie comuni di periferia, e che invece hanno rovinato la mia esistenza, travolgendola in maniera irreparabile, mi dà sempre una certa emozione mista ad una buona dose di rabbia e di rimpianto per non aver capito nulla al momento giusto.

Ho parlato dello spirito di emulazione, della voglia di affrontare le sfide, del carisma a volte negativo che può avere un giovane leader a cui, per sentirsi forti, fighi, si tenta d’assomigliare. Se il tipo "tosto" del gruppo è un balordo, e per procurarsi i soldi per la moto, per la discoteca, per i vestiti firmati, commette qualche furtarello, probabilmente qualcuno del gruppo lo seguirà nella sua strada che porta verso la devianza, i piccoli reati e poi quelli più grandi, dunque il carcere.

Ho spiegato ai ragazzi com’è il carcere, il penale come il nostro e i giudiziari dove lo spazio vitale è minimo, dove se uno si alza, l’altro deve restare in branda, dove c’è il turno per lavarsi, per pisciare, per radersi, le celle pensate per due persone ne contengono sei, i cameroni sono stipati all’inverosimile. Ho anche parlato delle attività che si riescono a fare in carcere, della nostra voglia di riscatto, del nostro desiderio di libertà, dei nostri affetti bistrattati, trascurati. I primi commenti che con un po’ di fatica sono giunti hanno dato il via ad una serie di domande e curiosità che ho cercato di soddisfare al meglio.

Il problema della detenzione minorile, e la proposta avanzata da alcuni parlamentari di portare la punibilità a dodici anni, ha attirato senz’altro l’attenzione e suscitato molti commenti. La speranza è che questa proposta resti sulla carta.

Dall’incontro con i ragazzi porto con me quella sana curiosità, quella voglia di capire che rende ogni domanda, anche le più spinose, accettabile; e se le nostre parole domani faranno riflettere un solo ragazzo prima di fare un errore, questi incontri hanno avuto senso. Ed in ogni caso ne hanno, perché la formazione dell’individuo passa anche attraverso la conoscenza dei "perché del male". Conoscere, sapere, essere informati oggi, è un’arma per poter dire un no convinto domani.

Parlano i ragazzi che hanno "messo il naso" in carcere

attraverso i racconti dei detenuti ospiti della loro scuola

 

"Io sono libera loro no!", di Martina

 

Quando mi sveglio mi sento bene e sono tranquilla, faccio colazione e mi vesto.

Si svegliano loro? Loro cosa fanno?

Loro si svegliano e si vedono in gabbia e ogni mattina alzarsi con l’angoscia di stare molto tempo in quella stanza che non prenderà mai il nome di camera da letto; fanno colazione con persone che non conoscono.

Io posso andare fuori guardare per ore il cielo e pensare a tante cose che dovrò fare, qualche volta penso che non sono mai contenta delle cose che ho.

Loro, carcerati, potranno vedere sempre il cielo però non quanto vorrebbero e pensare a quanto può essere importante la vita, quello che per me può essere una cosa realizzabile, per loro è un sogno che potrebbe essere infinito.

 

"Riflessione: evitare di compiere cose che la Legge non permette", di Silvia

 

Secondo me per evitare di fare cose brutte (reati, rapine, ecc..), bisogna prendere e cercare una strada giusta. Quando sono venuti da noi i due carcerati o detenuti, ci hanno raccontato molte cose, che secondo me e per quanto mi riguarda sono servite a chiarire molti dubbi che avevo. Ci hanno raccontato un po’ le loro storie e a me hanno colpito molto. Uno di loro, che si chiama Nicola, ci ha raccontato che lui, più o meno alla nostra età, ha iniziato a frequentare tipi "poco di buono", e insieme hanno iniziato a fare piccole cose (che poi piccole non sono), del tipo rubare qualcosa ai supermercati e poi sempre più, rubavano i motorini e hanno fatto anche rapine. Lui mi ha fatto capire che da piccole cose poi si arriva a fare anche cose molto più grandi. L’altro (che non ricordo il nome), era un ragazzo marocchino, che è entrato in carcere per spaccio di droga. E questo è successo frequentando tipi non affidabili.

Io ho riflettuto molto, e penso che prima di andare assieme a persone che non conosco, è meglio cercare di conoscerle, e poi se sono persone brave, allora ci si può stare. Poi, bisogna anche usare il cervello, lo so che sembra facile da dire, io un po’ posso capire certe persone che si trovano costrette, ma quando c’è la possibilità di scegliere, là bisogna usare la testa. Queste due persone sono davvero molto coraggiose, perché raccontano quello che hanno fatto ma non deve essere facile per niente.(…)

 

Un incontro speciale, di Laura

 

Cari Nicola e Larbi, mentre vi ascoltavo, ho provato a immaginare la mia vita rinchiusa in carcere. Mi sono detta: "È come stare a casa da scuola quando sei ammalata, e non puoi nemmeno alzarti dal letto che c’è sempre la mamma che ti dice: "Non fare questo, non fare quello e non fare neanche quell’altro!" Beh! Forse non è proprio così, ma io la vedo così. Però, là non c’è la mamma, ci sono le dure "regole" che se non vengono rispettate sono guai seri! Ho letto che se uno ritarda di dieci secondi o se si fa la barba in doccia, subito scattano le "punizioni" e non sono una bazzecola, fino a quarantacinque giorni in più di carcere.

Trovo che queste regole siano, a dir poco, molto dure. E che dire della proposta di legge per cui i ragazzi dovrebbero essere punibili a dodici anni? A parer mio questa è una crudeltà. Come si può strappare ad una famiglia un bambino di dodici anni?

Anche i miei compagni, in maggioranza, sono della mia stessa idea. E poi, un bambino a quell’età non è ancora del tutto consapevole e non pensa alle conseguenze delle sue azioni! È un errore pensare che il carcere sia la soluzione di ogni tipo di problema!

Sono anch’ io del vostro parere: più servizi, meno carcere! Beh! Non ho altro da dire, ho solo da augurarvi che, dopo l’uscita dal carcere, voi abbiate una vita semplice e felice!

 

"Vivere liberi", di Roberta

 

Ogni volta che ti guardo, mi viene tristezza sapendo che tu sei come molti altri, per errori commessi, lì dentro, rinchiuso in te stesso in quell’orribile carcere con i tuoi piccoli spazi in cui c’è posto per due mentre siete in quattro.(…)

Quando eri piccolo e avevi un gruppo di amici le piccole birichinate sembravano cose da eroi, ora quelle birichinate le stai scontando in un luogo che non perdona niente a nessuno, ma nonostante ciò questa esperienza aiuta a crescere e migliorare, e a non fare più errori a causa dei quali si può perdere il sapore e la bellezza della vita.

 

"Un incontro con due carcerati? Ma non avevi paura?", di Giorgia

 

Giorgia : Ehi Matteo come va?

Matteo : Bene grazie! E tu cosa hai fatto di bello oggi?

Giorgia: Oggi a scuola è successa una cosa bellissima.

Matteo: E cioè? Hai incontrato un nuovo ragazzo?

Giorgia: No!! Noi ragazzi di terza media abbiamo fatto un incontro, con due carcerati.

Matteo: Con due carcerati? Ma non avevi paura?

Giorgia: Si avevo paura all’inizio ma poi quando uno dei due ha iniziato a raccontare la sua vita, la sua esperienza e i suoi sbagli mi sono ricreduta.

Matteo: Volevo esserci anch’io! Peccato che alle scuole superiori come la mia non organizzano mai questi incontri. Ma cosa hai colto dalle loro testimonianze?

Giorgia: Ho capito molte cose! Mi sono sentita bene dopo un dialogo così particolare, ho capito quanto sia importante il rispetto delle regole, anche le più banali.

Matteo: A quali regole ti riferisci?

Giorgia: Il rispetto del vivere civile e considerare un bene prezioso la libertà.

Matteo : Ti ringrazio molto di avermi reso partecipe di questo incontro!

Giorgia: Ma io sarò sempre grata a Nicola e a Larbi per avermi raccontato queste esperienze tanto personali che però… aiutano a crescere. Ciao

 

Ecco i motivi per i quali molti ragazzi entrano nella malavita, di Giulia

 

"Tutti avevano il motorino, si vestivano alla moda, con vestiti firmati, e io no!": questo è il motivo per cui molti ragazzi iniziano a rubare, ed entrano nella malavita.

Nicola, uno dei due detenuti che abbiamo incontrato, ha iniziato ad avere a che fare con la giustizia a 14 anni per rivalsa sociale; è entrato in una banda per fare una cosa "diversa", per sentirsi più forte. Così, viene rinchiuso nel carcere minorile a 15 anni, e poi quando a 17 anni esce, inizia a far rapine… piuttosto consistenti con la gente conosciuta in carcere; per tutto questo sta ancora scontando la condanna.

Un altro giovane detenuto che abbiamo conosciuto è un marocchino, un ragazzo istruito, da come si è presentato. È arrivato a Milano per lavorare e per crearsi una vita normale, ma purtroppo si è messo nei guai, come tanti ragazzi extracomunitari che non sono molto accettati qui in Italia e finiscono nella malavita.

Sono molti, moltissimi ormai gli stranieri che entrano in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti. Per loro l’Europa, l’Italia erano il benessere, la ricchezza, la possibilità di una vita dignitosa. Ma ciò che sognano nei loro paesi poveri e sottosviluppati, non si trasforma in realtà, quando arrivano da noi.

E allora, per vivere, anzi per sopravvivere, accettano tutto, anche spacciare droga. (…)

 

Da quando abbiamo conosciuto dei detenuti, abbiamo capito cosa vuol dire godere della propria libertà!, di Arianna & Laura

 

Caro Nicola, da quando ti abbiamo conosciuto abbiamo capito cosa vuol dire godere della propria libertà! Deve essere molto difficile vivere lì dentro, soprattutto quando si sa di avere una famiglia che ti aspetta. Abbiamo capito che stare in carcere crea moltissime aspettative verso il dopo: il lavoro, la casa. Ma la realtà è ben diversa: casa e lavoro non ci sono e spesso per i tossicodipendenti nemmeno il posto in comunità. Abbiamo cercato di immaginare come potrebbe essere la vita di un ex-detenuto dopo aver scontato la propria pena; la gente, infatti, è sempre pronta a giudicare e molte volte ad escludere coloro che sono stati in carcere quando invece possono essere delle persone "speciali" Siamo rimaste sorprese dal tuo sguardo che ci voleva trasmettere la tua incredibile voglia di vivere come una persona "libera". (…)

 

"Caro Amico…", di Valentina

 

Probabilmente, come me, anche tu a 14 anni pensavi al tuo futuro chiedendoti come sarebbe stato, che lavoro avresti fatto e con chi avresti passato la tua vita. Eri pieno di speranza pieno di sogni ma… è bastata una promessa di una "vita migliore" senza fatica a cambiare per sempre il tuo destino.

Gli "amici" o presunti tali ti hanno "imbambolato" facendoti credere che il trasgredire piccole regole era una cosa giusta e necessaria. E tu caro amico non ti sei accorto che con quei tuoi piccoli gesti la strada dell’illegalità era vicina. Si, è vero, all’inizio era solo un gioco forse solo per farsi notare, ma poi è diventato un vizio… Ed ora ti trovi a dovere scontare le colpe di quel tempo in cui credevi che trasgredire le regole era una moda. (…)

 

Grand hotel o stalla, di Samuel e Giulio

 

"In fondo deve essere quasi come stare in un albergo: la tv in camera accesa tutto il giorno; stare sdraiati sulla branda a oziare, dormire, leggere e studiare, se si vuole". Questa, pensavamo fosse la vita in carcere, poi abbiamo ascoltato Nicola, e abbiamo appreso un’altra realtà, quella dei carceri sovraffollati, dove in una cella da 2 si sta in 5-6 e per stare in piedi in due, tre devono sedersi.

Ci ha colpito il senso di solidarietà che si stabilisce tra i carcerati come reazione della condizione dura e deprimente della reclusione e che dimostra un’umanità e un altruismo che tra le persone normali spesso non c’è.

Nicola ci ha raccontato che i vestiti dei carcerati sono detti per scherzo "condannati all’ergastolo" perché rimangono dentro, anche quando ormai i loro proprietari sono scarcerati.

Gli immigrati, infatti, non avendo parenti che possano portare loro quello di cui hanno bisogno, si passano i vestiti e si aiutano vicendevolmente. Questa è la realtà del carcere di oggi: sovraffollamento, condizioni di vita degradanti.

Anche il Papa ha chiesto un atto di clemenza per i detenuti da parte dello stato Italiano. Possibile che non si riesca a varare un mezzo indulto per i carcerati comuni?

 

"In via Due Palazzi…", di Martino

 

Fino a ieri non mi ero mai posto il problema di come vivessero i detenuti in un carcere. Forse perché non l’ho mai visto trattato né da qualche trasmissione televisiva, né da giornali, né da altre fonti di informazione. Sono convinto che l’opinione pubblica è poco sensibile a queste problematiche perché non le conosce!!! Il "condannato" fa notizia finché è processato, quando scatta la pena non si parla più di lui, non esiste più. Sentendo le storie dei nostri due interlocutori ho provato disagio, dispiacere per non avere avuto prima la possibilità di aprire gli occhi su questa triste e dolorosa realtà (…)

Raccontando a casa mia le storie di vita che ho sentito qui a scuola non ho potuto trattenere la commozione: "Quanto distanti siamo gli uni dagli altri". Ognuno di noi, preso dai propri "impegni", non ha più il tempo di guardarsi intorno. Non stiamo forse anche noi diventando "prigionieri"? o meglio dire "schiavi" delle nostre vite "programmate" su pregiudizi ed egoismo? (…)

 

 

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