Caro detenuto ti scrivo

 
 
I ragazzi scrivono i detenuti rispondono

Una corrispondenza particolare

 

Come hanno vissuto la vostra condanna i vostri cari?

 

di Angela Barbiero

4a A Itas P. Scalcerle

 

Cari Amici,

sono ormai passati quasi cinque mesi da quando, davanti ad un foglio bianco, dovevo scrivere i miei pensieri su un argomento, il carcere, di cui sapevo ben poco. Ora mi ritrovo a scrivere una lettera a voi… non è facile, anche se le cose che vorrei dirvi e chiedervi sono ancora molte. Sicuramente questa esperienza ha sensibilizzato molti di noi, facendoci conoscere un mondo prima parallelo e che ora si è unito alla nostra strada; con le vostre parole ci avete fatto capire cosa vuol dire essere privi di libertà, cosa vuol dire incontrare le vostre famiglie, i vostri figli sotto gli occhi di poliziotti pronti a fermarvi davanti a due mani che si toccano, ci avete spiegato com’è questa grande casa e come ci si vive dentro, a volte anche per sempre. “Penso che se un giorno avessi l’occasione di visitare il carcere ne sarei molto emozionata”, avevo scritto ed è proprio stato così, quando quel lunedì mi sono ritrovata a percorrere il vostro lungo corridoio arricchito di dipinti per renderlo meno triste e più accogliente.

Questa mattina mi sono svegliata presto, e assieme a mio padre siamo passati davanti al carcere. Le sensazioni che provavo prima di conoscere tutto questo non le ho provate, anzi ho sorriso, perché ora so che dietro a quelle sbarre ci stanno alcune persone con un grande desiderio di cambiare. Poi ho visto Andrea, stava aspettando l’autobus, sentivo una grande voglia di fermarmi, di scendere a parlargli. So che ha iniziato il suo periodo di pena alternativa, e che lavora fuori dal carcere, e avrei voluto sentire le sue prime impressioni riguardo a questa nuova vita. Una delle mie grandi passioni è la musica, con essa si possono trasmettere chiaramente gli stati d’animo, più volte ascoltando canzoni il mio pensiero è andato a voi; principalmente con Bohémien Rapsodia dei Queen, quando dice:

Madre, ho appena ucciso un uomo,

Gli ho puntato la pistola sulla testa,

E premuto il grilletto, ora è morto,

Mamma, la vita era appena iniziata,

Ma ora sono andato e l’ho buttata via.

Mi chiedo se anche per voi è stato così, se avete provato le stesse emozioni di quest’uomo e come hanno vissuto la vostra condanna i vostri genitori, le vostre mogli, i vostri figli. Ora devo salutarvi e voglio farlo con una frase di un’altra canzone di Vasco: “Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio, sopra la follia.” Un abbraccio e… grazie!!

 

 

Ho apprezzato il racconto delle vostre esperienze di vita

 

di Roberta Bacchin

4a A Itas P. Scalcerle

 

Cari reclusi,

ho provato una sensazione fortissima prima di varcare quel gran cancello rosso… Non mi ero mai sentita in quello stato d’animo: ero pervasa da sentimenti contraddittori. Ero felice ed emozionata di poter conoscere una realtà della quale avevo pochissime informazioni, ma al tempo stesso sentivo anche paura, angoscia e tristezza. Ho passato delle ore molto piacevoli con voi, dall’incontro con Nicola e Francesco nel nostro istituto al nostro incontro in carcere, dal concerto alla partita di pallavolo, ma soprattutto ciò che ho apprezzato di più è il racconto delle vostre esperienze di vita.

Le vostre testimonianze, infatti, mi hanno fatto capire che è molto dura sentirsi isolati dal resto del mondo, vivere ogni giorno alla stessa maniera e allo stesso ritmo degli altri, restare lontano dai propri cari. Anche se le mie opinioni riguardo al carcere sono cambiate, penso comunque che se una persona commette dei reati è giusto che sia punita e che rimedi a ciò che ha commesso.

Non affermo però che il carcere debba essere un luogo in cui si punisce chi commette delle ingiustizie e che una volta uscite queste persone saranno escluse ed “etichettate” per tutta la vita come “pericolose”. Dico invece che, secondo me, il carcere, oltre a punire una persona, serve anche a farle capire gli errori commessi, serve a rieducarla e a cercare di reintegrarla nella società in modo che possa avere un’altra possibilità di vivere in essa.

 

 

Ci avete fatto capire che la libertà è la felicità

 

di Alessia Sorgato

4a A Itas P. Scalcerle

 

Cari detenuti,

in questo momento vi sto pensando, mentre guardo fuori dalla finestra una realtà che voi ora non state vivendo, che vi è stata negata per un vostro errore, una realtà che forse un giorno tornerete a rivivere, seppure con grandi difficoltà. Entrando dentro il Due Palazzi ho visto i bellissimi dipinti sulle pareti, realizzati con colori sgargianti, penso per voi anche densi di nostalgia, perché dentro quelle fredde mura non li potete trovare da altre parti: erano i colori della vita di un tempo e guardandoli avete modo di ricordarla, forse è la memoria stessa a rendervi ancora “vivi”, a darvi la forza di andare avanti. Questi dipinti rendono questo luogo più vivace e allegro, ma in fondo, forse, sono soltanto degli inganni per nascondere, in realtà, il nero dentro di voi: la tristezza e la solitudine. La vera prigione è dentro di voi! Se vi sto scrivendo è proprio per ringraziarvi di quanto, nel vostro piccolo, avete fatto: ci avete aiutati a capire quali siano i veri valori della vita, la libertà e la felicità, o meglio, che la libertà è la felicità.

 

 

Ora, posso contribuire ad “ammorbidire” la società per il vostro rientro

 

di Laura Failla

4a A Itas P. Scalcarle

 

Cari ristretti,

questa esperienza con voi mi ha resa molto più sensibile di fronte a certe notizie o situazioni. Ripensando a ciò che ho scritto all’inizio dell’anno riguardo le mie impressioni sul carcere senza conoscerlo, ora noto sul serio come certe immagini dentro di noi siano frutto di stereotipi. Ogni giorno veniamo influenzati dai media e di conseguenza ci creiamo una barriera, un muro altissimo che abbiamo paura di varcare. è trascorso ormai quasi un mese da quella mattinata passata in carcere, molto importante perché tanti ragazzi oltre a me e ai miei compagni hanno avuto la possibilità di conoscervi, di cantare e ridere con voi, di scambiarsi uno sguardo e un sorriso. Sono stata molto colpita dalla maglietta della banda musicale, in stile “BANDA BASSOTTI”, vi ho stimati molto in quel momento perché con quelle maglie avete dimostrato che siete in grado di vivere anche ironicamente la vostra situazione.

Fortunatamente, io come altre cinque mie compagne, ho avuto la passibilità di tornare in carcere per un’amichevole di pallavolo con il gruppo di detenuti che hanno seguito il corso per diventare arbitri ed è stato ancora più emozionante, perché lo sport ha sempre fatto parte della mia vita e l’averlo potuto condividere con voi l’ha reso sicuramente ancora più importante. Sono state due giornate di poche parole, ma tanti gesti che sicuramente sono più indelebili. Ora quando guardo qualche servizio giornalistico sul carcere… mi sento più vicina a quel mondo, se prima non riuscivo a capire, anzi non potevo capire la vita di un essere umano “dentro”, ora la posso almeno immaginare, posso ricordarmi di voi e parlando di voi alle persone che conosco, ai miei famigliari, posso contribuire ad “ammorbidire” la società per il vostro rientro.

 

 

Immagino che quella coda che io ho fatto una sola volta sia ben più penosa per i vostri cari

 

di Laura Cocchio

4a Asp Itas P. Scalcerle

 

A voi che leggerete,

mi piace cominciare così la mia lettera, invece che con  “cari carcerati” o “cari detenuti”, perché prima di tutto siete essere umani e io mi rivolgo a voi. Questa esperienza ha cambiato molto il mio modo di vedere il carcere. Da telefilm-dipendente quale sono, io ero convintissima che mi sarei trovata di fronte ad un ambiente grigio, sporco e pieno di persone con facce da malviventi, tutte muscoli, cicatrici e tatuaggi… ma  quanto mi sbagliavo!! La maggior parte di voi ha facce normalissime e nessuno potrebbe mai distinguervi dai volontari che lavorano con voi se non fosse per il tesserino! Queste non sono, però, le uniche cose che mi hanno colpito. Tutti quei controlli, i divieti di portare all’interno del carcere praticamente tutto, il dover aspettare che le sbarre dietro di me si richiudessero prima di vedersi aprire quelle davanti… non sono claustrofobica di natura, però mi sentivo molto soffocata. Immagino che quella coda che io ho fatto una sola volta sia molto più lunga e penosa per i vostri cari che vi vengono a trovare.

Noi della prigione abbiamo visto la versione “rose e fiori” con tutte le attività e le iniziative a cui potete partecipare, abbiamo visto il vostro lato divertente, ma non la vera vita che c’è in carcere. Come sono le vostre giornate là dentro? Come si riesce a vincere la solitudine e la lontananza dai propri cari? Alcuni di voi hanno parlato di genitori che non hanno la possibilità di affrontare un viaggio così lungo e costoso per venirvi a trovare, altri di amici ai quali ci si credeva legati da una profonda amicizia, ma che sono spariti subito dopo la condanna… La prigione è dura.

Mi spiace molto per la vostra situazione, ma non provo pietà. A costo di sembrare una persona fredda e troppo severa, durante la nostra discussione a fine concerto, mentre vi ascoltavo raccontare le vostre esperienze, mi sono trovata a pensare: provo tristezza per loro, ma perché sono qui dentro? Avete commesso degli errori, più o meno gravi, ed ora state scontando la vostra pena. Molti saranno pentiti, altri no; prima o poi dovrete rientrare in questa società che vi ha giudicato e che di sicuro per il primo periodo vi guarderà con sospetto, ma così è la vita, le vostre scelte vi hanno condotto qui e io non posso che augurarmi che questo periodo di reclusione vi abbia aiutato a capire. Con questo vi saluto cari compagni (part-time!)… di carcere, con la speranza di poter un giorno ripetere questa avventura.

 

 

L’aver scoperto una realtà parallela alla nostra ha fatto crescere una parte di me

 

di Katia Mezzaro

4a Asp Itas P. Scalcerle

 

A coloro che leggeranno questa lettera, voglio raccontare come ho vissuto la giornata trascorsa nel carcere Due Palazzi di Padova, le mie emozioni, gli stati d’animo… La giornata si è aperta con un concerto, al termine del quale noi studenti potevamo fare ai detenuti delle domande per soddisfare le nostre curiosità o chiarire i nostri dubbi… Ho notato una cosa molto bella… Anche se queste persone sono rinchiuse, in loro c’è una gran voglia di vivere. Tra loro c’era un affiatamento che non pensavo. Quando rispondevano alle domande, si esprimevano in un certo modo, con grande umanità. Ero affascinata dalle loro parole. E mi sono subito chiesta: “Ma come fanno queste persone ad essere in carcere? Cos’avranno mai fatto di male per meritare tutto questo? Forse sono state costrette a trasgredire o forse si sono trovate in mezzo ad una situazione particolare?… ma pure loro hanno un cuore…”. Quest’esperienza è stata molto importante per me, e devo ammettere che l’aver scoperto una realtà  “parallela” alla nostra ha fatto crescere una parte di me. Prima avevo tutt’altra idea del carcere: pensavo fosse un posto tetro, con sbarre di ferro arrugginito, e che rinchiuse vi fossero persone cattive e brutte, diverse da noi. Invece siamo tutti uguali a questo mondo. Tutti. Mi sbagliavo…

 

È stato difficile osservarli impotente, mentre venivano ricondotti nelle celle

 

di Valentina Gasparin

4a A Itas P. Scalcerle

 

Cara libertà,

osservando lo sguardo di alcuni dei detenuti rinchiusi nel carcere Due Palazzi di Padova, mi sei apparsa così lontana; per molti, ormai, soltanto un ricordo del quale forse non potranno più godere, poiché la loro esistenza è stata macchiata da colpe indelebili, un ricordo che sfuma lentamente ed inesorabilmente con il trascorrere dei giorni talmente lunghi da sembrare addirittura interminabili.

Ammetto di essermi sentita anche piuttosto disorientata, non appena io e i miei compagni abbiamo varcato quella soglia che divide la speranza (in alcuni casi, però, diventata assoluta rassegnazione) dalla libertà, l’indipendenza e l’autonomia che caratterizzano la vita all’esterno. Non è facile ascoltare le confessioni dei detenuti senza ripensare alla propria, di vita, all’immensa fortuna di cui godiamo di poter assaporare, giorno per giorno, la libertà, tornare dai propri cari ogni sera e avvertire il loro affetto continuamente, sapere, insomma, che noi dal carcere possiamo uscire quando vogliamo, mentre loro sono lì e sono costretti a rimanerci per anni.

Le loro testimonianze sono forti e toccanti come quella di un detenuto che ci ha detto che con il passare del tempo si è reso conto che l’unico modo per non sprofondare nel baratro della pazzia è quello di cercare di mantenere vivi il più possibile, dentro di sé, gli affetti, le parole di conforto provenienti dall’esterno, il ricordo della famiglia, della moglie, dei figli e della vita in generale, che continua frenetica anche senza di loro oltre quell’altissima cancellata. È stato davvero difficile per me osservarli impotente, mentre venivano ricondotti nelle loro celle dopo essere stati perquisiti (questo dopo la partita di pallavolo), vederli allontanarsi lungo quel freddo corridoio scortati dalle guardie, ma, soprattutto, incrociare i loro sguardi, alcuni dei quali sembrano davvero invocare aiuto, e sapere di non poter fare nulla… ripeto, non è affatto facile! Al tempo stesso, però, con rammarico, ho notato che esistono due diversi tipi di detenuti: quelli che vivono il carcere come un'espressione costruttiva ed assolutamente protesa al recupero nella società e coloro che, invece, sembrano non accettare affatto la reclusione, tanto meno le sue regole.

Dopo averli ascoltati mentre discutevano tra loro, ho capito che i primi traggono, attraverso una profonda e lunga riflessione incentrata su loro stessi e la loro vita, gli spunti necessari per ricominciare a vivere con la convinzione di poter diventare persone migliori, ammettendo i propri sbagli e cercando in tutti i modi di evitare la recidiva, e che i secondi, al contrario, come se non bastasse ciò che hanno commesso in libertà, tendono a trasgredire anche dietro le sbarre. Carcere come rinuncia, carcere come privazione, carcere come opportunità di miglioramento? Probabilmente non sarà mai data una risposta a questi miei interrogativi, ma non credo che esista sforzo maggiore del cercare di entrare in contatto con l’ambiente carcerario per capirne i disagi, le mancanze, le proibizioni, e, risultato più appagante, dell’incrociare lo sguardo di alcuni detenuti i cui occhi sembrano ringraziarti per la sola presenza proveniente dall’esterno.

 

 

Non ho un’opinione precisa su di voi, spesso mi sento combattuta

 

di Giulia Franchin

4a A Itas P. Scalcerle

 

Ciao ragazzi,

ho pensato molto a quale potesse essere l’intestazione di questa lettera: cari… carissimi… cari reclusi… ma mi sembravano tutte inadatte, così ho scelto due parole molto semplici, due parole quotidiane… e proprio perché semplici e quotidiane mi sono sembrate adatte. Chi avrebbe mai pensato che un giorno sarei “finita in carcere” senza mai aver commesso un reato? Il carcere pensato da coloro che “sono fuori” è quello che si vede nei film americani dove i detenuti vengono rappresentati come giganti alti due metri, muscolosi e pelati, che si azzuffano tra loro, e dove non manca la violenza sessuale, ed invece quello che ho visto sono stati tanti uomini normali vestiti con felpe, maglioni, jeans e scarpe da ginnastica… Sinceramente sono stata contenta che ciò che pensavo non corrispondesse alla verità… mi sono rallegrata nel vedere che ci sono attività interne al carcere, divertenti come il gruppo musicale, importanti come il lavoro e la scuola e passatempi “utili” come la lettura: è pur sempre un carcere dove si sconta una pena ma almeno così è reso meno “severo”. 

Voglio essere sincera: non ho un’opinione precisa su di voi, spesso mi sento combattuta, a volte vi compatisco ed a volte vi aggredisco. Dopo aver letto alcuni articoli riguardanti la sanità nelle carceri dove era descritta la drammatica situazione nella quale i medici sono costretti a lavorare e voi ad essere curati, stavo male per voi perché, secondo me, la pena dovrebbe essere pienamente rispettosa delle vite dei detenuti, però poi mi rendo conto che se siete lì è perché avete violato la legge, rovinando la vostra vita e quella di qualcun altro. Forse la mia “confusione interiore” è comune e comprensibile perché non credo che ci siano persone che stanno da una parte o dall’altra… Nemmeno la giornata passata con voi mi ha chiarito questa confusione, però mi ha fatto vedere cos’è veramente il carcere.

 

 

La libertà è un bene impagabile che vi auguro di riconquistare

 

di Alessandra Bartoli

4a A Itas P. Scalcerle

 

Cari amici,

sono una delle tante ragazze che qualche settimana fa ha avuto l’occasione di far visita al vostro carcere. L’immagine che più mi è rimasta impressa nella memoria è la splendida accoglienza che ci avete riservato, facendoci sentire decisamente a nostro agio in un ambiente così freddo, irreale, a noi totalmente sconosciuto. A te Andrea, in particolare, che ci hai detto che a breve avresti iniziato a lavorare all’esterno, auguro con tutto il cuore di vivere questi tuoi primi giorni di libertà “vigilata” con serenità e coraggio, senza timori del giudizio altrui e senza la paura di ricadere negli errori precedenti. A volte penso come sia possibile commettere certi crimini e ritrovarsi nelle vostre condizioni; non so quali siano i problemi che vi hanno portato ad agire in modo sbagliato e faccio fatica ad immedesimarmi in voi, perché vivo la mia vita di tutti i giorni con serenità e protetta ancora dai miei genitori. Forse è brutto da dire, ma mi auguro vivamente di non dovermi mai trovare nella vostra situazione, perché non so se avrei la vostra forza e la tenacia di affrontare ogni giorno una vita da reclusa: la libertà è un bene impagabile che vi auguro di riconquistare.

 

 

Grazie per aver fatto sì che aprissi gli occhi su questa realtà

 

di Federica Brugnolo

4a A Itas P. Scalcerle

 

Uno sconvolgente alternarsi di emozioni. Questo è ciò che io, cari Amici, ho provato davanti a quel cancello che, una volta aperto, mi avrebbe fatto conoscere la vostra realtà che tanto mi incuriosiva. Ero convinta che sarei arrivata davanti al carcere calma, serena, per nulla spaventata, e invece più l’incontro si faceva reale, concreto, più sentivo crescere in me l’ansia, l’agitazione, ma anche la curiosità e la voglia di entrare e vedere con i miei occhi il mondo del carcere. Devo essere sincera: sono rimasta un po’ impietrita davanti ai controlli effettuati prima di entrare. La freddezza e il distacco delle guardie carcerarie, i controlli sotto il metal detector, tutto mi ha in un certo senso “sconvolta”. In un primo tempo ho pensato che questa sensazione fosse dovuta al fatto che ero così impaziente di entrare che, nonostante sapessi che erano indubbiamente necessari, quei controlli minuziosi e quella lunga attesa mi sembravano futili, sembrava quasi fossero un ostacolo tra me e il mondo al di là del cancello. Poi, pensandoci bene, a mente fredda, mi sono resa conto che in verità non erano i controlli in sé e nemmeno la lunga attesa fuori dai cancelli che mi turbavano.

Quello che realmente mi impietriva era il pensiero che quello che stavo vivendo io i vostri familiari, i vostri figli e le vostre mogli lo devono affrontare ogni volta che hanno la possibilità di vedervi. Mi chiedevo (e mi chiedo tuttora!) se sia giusto costringere delle mogli, dei bambini, dei genitori a star fuori ad aspettare per molto tempo (magari al freddo) un colloquio probabilmente troppo breve per dirsi tutto ciò che si vorrebbe. Una volta arrivata in auditorium, non posso negare di avere provato comunque un po’ di diffidenza, poi però ho incrociato i vostri sguardi, sguardi di persone come me, con la stessa voglia di godersi quel momento così speciale, ed è stato allora che mi sono lasciata coinvolgere completamente.

 

 

Credevo che un carcerato fosse una persona “cattiva” e ormai vuota

 

di Alessia Guion

4a Asp Itas P. Scalcerle

 

Cari detenuti,

Prima di entrare al Due Palazzi, la mia idea di carcere era piuttosto limitata. Pensavo che i carcerati fossero abbandonati a loro stessi, qualche volta anche sottomessi dalle guardie, e forse quest’idea me l’ha data il film “Il miglio verde”. Quando ho iniziato a percorrere quel corridoio che ci portava all’incontro con voi, la prima cosa che mi è balzata agli occhi sono stati i dipinti sulla parete, che mi hanno suscitato una stranissima impressione, perché sono stati fatti da persone che nella vita hanno commesso degli errori, ma che comunque hanno un cuore e un’anima (visto che un’altra idea che avevo, piuttosto banale, era che un carcerato sia una persona “cattiva” e ormai vuota, “isolata”) e grazie a quei quadri hanno tirato fuori qualcosa che partiva da dentro, delle emozioni e una gran voglia di migliorare. Quando poi nell’auditorium la band ha iniziato a suonare, sinceramente mi è venuta la pelle d’oca, mi è molto piaciuta questa cosa, il concerto e poi il dibattito che ha fatto crescere contemporaneamente sia noi che voi. Noi - credo - abbiamo lasciato qualcosa a voi, e con questo intendo una speranza, il desiderio di farvi capire che comunque la vita fuori continua e vi attende, e voi avete lasciato qualcosa a noi, cioè esperienze di vita vissuta che ci fanno riflettere e avere idee più costruttive su una realtà che non ci appartiene.

 

 

Pensavamo di essere i protagonisti di un telefilm americano

 

di Chiara Turetta

4a D Itas P. Scalcerle

 

Caro amico detenuto,

innanzitutto scusami se mi rivolgo a te con tale appellativo. Purtroppo, per questa nostra società che vorrebbe distinguere sempre più nettamente ciò che è bene da ciò che è male, tu vieni designato come “il cattivo”. Io non condivido questa categorizzazione e la visita che abbiamo avuto la fortuna di compiere a quella che è per il momento la tua “casa” ha rafforzato le mie convinzioni. Questa visita te la racconterò allora con i miei occhi di neodiciottenne fino ad allora totalmente estranea alla realtà carceraria in cui ti trovi. All’inizio, i miei compagni ed io pensavamo di essere i protagonisti di uno dei tanti telefilm americani proposti dalla TV. Il rigido clima invernale non aiutava a rendere meno estenuanti i minuziosi controlli di sicurezza cui siamo stati sottoposti prima di poter varcare i pesanti cancelli del Due Palazzi. Lo so, non ti racconto nulla di nuovo rispetto alla tua quotidianità fatta di chissà quanti controlli, ma per noi l’impatto è stato abbastanza forte.

Poi siamo entrati e lo scenario ha inaspettatamente cambiato tono. Ci ha accolti un lungo corridoio, luminoso con tanti dipinti sui muri. In un carcere pensavamo di trovare un corridoio stretto, buio, disadorno e sporco, perché l’immaginario collettivo questo tramanda, quasi fossimo ancora fermi ai tempi di Dickens, invece ne abbiamo trovato uno simile a quello della nostra scuola, se non più sprizzante. La nostra meta era l’auditorium, la vostra sala comune. Qui ci avete intrattenuti con poche ma significative canzoni e tante risposte alle nostre domande. Se le rigide misure di sicurezza non ce lo avessero impedito, sarei stata molto curiosa di visitare anche altre parti del penitenziario e sono sicura che avrei trovato altri motivi per apprezzare il vostro impegno. In particolare penso ci sarebbe stata utile una visita al reparto in cui alcuni di voi hanno l’opportunità di frequentare lezioni scolastiche e universitarie, oppure la redazione del vostro giornale. Per noi, studenti a volte svogliati ed eccessivamente lamentosi, la passione che ci mettete sarebbe sicuramente stata da stimolo e da esempio. Ancora grazie di averci permesso di conoscere il vostro mondo, ora noi vi attendiamo nel nostro.

 

 

Ho cambiato parecchie idee su di voi

 

di Nick McCartney J.

4a D Itas P. Scalcerle

 

Caro Nicola,

L’incontro per me più interessante e produttivo è stato quello che ha coinvolto anche te di persona, qui nel nostro istituto, assieme ad un altro tuo “collega” che fa parte della redazione di ‘Ristretti Orizzonti’. Rispetto alla prima lettera che vi ho scritto ho cambiato parecchie idee su di voi, e in positivo! Io sono quello che hai incontrato in aula finita la conferenza, se ti ricordi ho parlato di te, perché mi era capitato di soffermarmi maggiormente sul tuo articolo “Il ritorno in ‘quasi libertà’” dovendo preparare per la classe l’argomento del rientro nella società dopo il periodo di detenzione.

Questa lettera non sarà come tutte le altre che “tirano le somme” di come sono andate le cose, ma è solo un modo per salutarti e augurarti buona fortuna. La tua storia mi è sembrata incredibile, soprattutto per tutti quegli anni che ti hanno dato per aver combinato qualcosa dentro il carcere… per questo ti auguro buona fortuna per il futuro e anche ti raccomando di evitare a tutti i costi quel “fallimento dietro l’angolo”. Quindi a presto, perché spero verremo ancora coinvolti in futuro in questo progetto molto costruttivo ed in certo modo deterrente… sappiamo tutti cosa voglio dire, perché conoscendo prima certe cose si cerca di evitarle.

 

 

Qualcosa dentro la mia mente è cambiato

 

di Ana Maria Tcaciuc

4a A Itas P. Scalcerle

 

Lettera per tutti i detenuti.

Dopo aver fatto l’esperienza di entrare in contatto con voi, devo dire che qualcosa dentro la mia mente è cambiato. Prima chiudevo gli occhi e vedevo solo immagini brutte, luoghi freddi, senza luce… adesso ho veramente avuto la possibilità o di confermare la mia visione del carcere o di togliermi quelle immagini dalla mente… Appena uscita dall’autobus ho visto degli edifici circondati da grandissimi sbarramenti, più grandi decisamente di quanto mi aspettavo, con cavi elettrici all’interno che appena s’intravedevano in cima. Non so se gli sbarramenti erano elettrici, ma quei cavi mi facevano un po’ paura… Non ero mai passata sotto il metal detector, e soprattutto non mi è mai successo di lasciare un mio documento ad una persona per poter entrare in un edificio, mi ha fatto un po’ impressione e mi sono messa nei vostri panni capendo cosa significa essere controllati, obbedire a persone sconosciute e fare ciò che loro vogliono, come è necessario per la buona condotta di un carcere.

Quando sono entrata nella sala dove si è tenuto il concerto e vi ho visto col sorriso sulle labbra, non conoscendovi, ho pensato alle vostre pene… se erano giuste o ingiuste, per lunghi o corti periodi, come avete reagito a questo cambiamento, se eravate brave persone… domande che mi mettevano in crisi. Poi la discussione, le risposte che ci avete dato ci hanno fatto un po’ capire i vostri caratteri, le vostre colpe, i vostri rimpianti dopo l’impatto col carcere. E la cosa che più mi è rimasta impressa nella mente è la vostra definizione del carcere padovano: “ISOLA FELICE”; chiaramente avete specificato che non tutte le case di reclusione sono uguali, ma io sono contenta che nella città in cui vivo ci sia un carcere considerato da chi ci vive come una piccola isola “felice”.

 

 

È stata una delle esperienze più belle e forti della mia vita

 

di Laura Conti

4a A Itas P. Scalcerle

 

Care persone recluse,

Ho cominciato scrivendo “persone”, non perché prima di questa esperienza non vi considerassi tali, ma proprio perché ho confermato questa mia idea!! Per me questa parola ha un grosso significato. Come mi è capitato di sentire, la gente che vive la sua vita fuori dal carcere a volte vi giudica come dei mostri, dei pazzi o persone senza sentimenti. Ma ho potuto vedere con i miei occhi che non è così!! Durante l’incontro che è avvenuto “da voi”, alcune frasi dette mi hanno colpito, perché era evidente che esprimevano i vostri sentimenti, quelli che stavate provando in quel momento. Anch’io, prima di venire a farvi visita, ho provato vari sentimenti: di disagio, rabbia (non riuscivo a rispondere al perché dovevo andare a “conoscere” qualcuno che non aveva seguito le regole) e di paura (non sapevo cosa avrei ricavato da questo incontro), ma con voi ho capito che i detenuti non sono tutti senza cuore.

Una cosa importante è stata detta da un uomo che si è sentito triste quando ha visto delle ragazze che gli ricordavano le figlie… per me è stato “toccante”, perché ho capito che quell’uomo deve soffrire molto di non poter parlare con le proprie figlie tutti i giorni, vederle crescere, star loro vicino. Devo dire la verità: in principio ero un po’ titubante sul fatto di partecipare a questo progetto, ma alla fine mi sono resa conto che è stata una delle esperienze più belle e forti della mia vita e mi dispiace avervi incontrato solo una volta perché agli altri incontri non ho potuto partecipare. Io sono quasi sicura che quelli “bravi” non siamo stati noi studenti e professori ad avere il “coraggio” di entrare in carcere, ma voi!! Voi perché forse sapevate che comunque ci sarebbe stato qualcuno pronto a giudicarvi, ma non ci avete dato tanta importanza e alla fine si è riusciti a “costruire” questo progetto, che spero di poter rifare prima o poi. Forse anche perché eravate curiosi di sapere cosa pensano i “giovani d’oggi” sul carcere e su chi ci vive.

Devo ammettere una cosa però: sono ancora convinta che una persona che ha “sgarrato” deve scontare la sua pena, e io non sarei molto propensa alle riduzioni perché, a mio parere, le riduzioni, oltre alla pena, riducono anche la gravità del reato. Sono d’accordo, però, che non ci sia la pena di morte, perché forse per qualcuno che commette vari reati gravi (come gli assassini) potrebbe essere una “liberazione”, in quanto, a mio avviso, è molto più doloroso e difficile convivere per il resto della propria vita con il rimorso, sempre se lo si ha.

 

 

Sento spesso dire che il carcere ha tutti i comfort e i servizi

 

di Giulia Gottardo

4a A Itas P. Scalcerle

 

Lunedì 24 gennaio, oltre ad essere il giorno del mio compleanno, era il giorno in cui la mia classe ed io saremmo dovuti andare a visitare il carcere Due Palazzi. Dico “saremmo” perché purtroppo io non sono potuta andare: avendo scoperto in malo modo di essere allergica ad un farmaco, quella mattina ero dal medico. Ci tenevo a visitare il carcere, perché mi sarebbe piaciuto vedere con i miei occhi quel luogo sconosciuto, ma tanto commentato. Infatti spesso, guardando il telegiornale o leggendo i quotidiani, capita di parlare tra famigliari e amici proprio del carcere. Una cosa che molti pensano è che il carcere ha tutti i comfort e i servizi, ma chi lo può dire?! Questo è uno dei motivi per cui ci tenevo a visitarlo, per poter testimoniare ciò che avrei visto e provato quel giorno.

un'espressione di cui posso però parlare in prima persona è proprio questa: qualche mese fa, due detenuti del Due palazzi sono venuti in visita alla mia scuola, mostrandoci un video dov’erano presentati altri carcerati che parlavano di sé e della loro attuale vita in carcere. Questo mi ha colpito molto, perché è stato bello da parte di quelle persone poterci informare su quel mondo che non conosciamo aprendosi con noi, rendendoci partecipi della loro vita, com’era e com’è. Soprattutto è stata una prova che persone, come quelle del video e così credo molte altre, la loro pena non troppo leggera la stanno scontando.

 

 

La voglia di non lasciarsi scappare opportunità utili

 

di Eva Bertoldi

4a A Itas P. Scalcerle

 

Cari signori,

a gennaio di quest’anno per la prima volta sono entrata in un carcere. Quando siamo arrivati abbiamo dovuto aspettare un po’ per oltrepassare la prima porta: ci hanno controllato le carte d’ identità e abbiamo dovuto depositare cellulari e zaini, ci siamo dovuti togliere il berretto o il cappuccio se ce l’avevamo, e aprirci la sciarpa... insomma, questo primo impatto per me non è stato proprio bello... Io mi guardavo attorno, ero molto incuriosita dall’ambiente, e dal fatto che le guardie che ci accompagnavano non aprivano la porta successiva se non si era richiusa quella da dove eravamo appena passati.

Entrati nel carcere abbiamo percorso corridoi lunghissimi, con finestre strette e sbarrate. Sapevo che c’erano le sbarre alle finestre, però vederle quel giorno mi ha fatto stare un po’ male; è chiaro che sono necessarie, però credo che per una persona vedere sempre quello spiraglio di luce tagliato a quadretti sia molto dura nel tempo, almeno a me ha dato l’impressione di impotenza. Per fortuna c’erano dei dipinti a dare un po’ di colore a quei corridoi!! Quando siamo arrivati in auditorium, davanti a noi c’erano gli strumenti musicali di un gruppo “speciale”. Mi è piaciuto davvero molto il vostro concerto, perché credo che la musica sappia avvicinare le persone. Poi c’è stato il “colloquio”, vi siete disposti davanti a noi, per rispondere alle nostre curiosità e domande. All’inizio c’è stata un po’ di timidezza, la mia “paura” era quella di porvi delle domande che avrebbero potuto farvi ricordare momenti che vi avrebbero fatto star male.

Per fortuna poi si è rotto il ghiaccio iniziale, e abbiamo cominciato a parlare insieme. Ho capito molte cose da questa esperienza: innanzitutto che non è giusto giudicarvi dal di “fuori” come persone che in carcere stanno fin troppo bene e hanno poco da fare; inoltre dai vostri discorsi e articoli di Ristretti Orizzonti ho capito che sono fondate le vostre richieste di maggior tutela della salute e di privacy per gli incontri con i vostri familiari o amici… Io ho visto in voi la voglia di darvi da fare, intanto per il vostro tempo in carcere: voglia di non lasciarsi scappare opportunità utili, come lo studio, il lavoro, e attività come questa organizzate dai volontari che ammiro molto.

 

 

Ho capito che è importante riuscire a vivere al meglio ogni giorno della nostra vita

 

di Jessica Piasente

4a D Itas P. Scalcerle

 

Ciao a tutti!!

Ho pensato che cominciare scrivendo “cari detenuti” era un po’ deprimente… così inizio salutandovi. Sono rimasta molto colpita dalla visita in carcere. Non mi aspettavo un ambiente così colorato, sono rimasta affascinata dai dipinti che c’erano sulle pareti e anche dal colore dei cancelli: rosso. Ho trovato tutto ciò in contrasto con l’ambiente in cui mi trovavo: la vivacità dei colori suggerisce allegria, voglia di vivere… ma ai miei occhi il carcere era sempre stato un ambiente in “bianco e nero”… non avevo nemmeno mai considerato la possibilità che ci fosse addirittura un gruppo musicale. A questo proposito, sono stata colpita dallo sguardo di coloro che cantavano e dalla loro espressione in generale: avevano il volto segnato, un volto che esprimeva la personalità di qualcuno che ha capito qualcosa di importante sulla vita, che magari sfugge ad altri.

Questa visita mi ha fatto riflettere su alcune cose, come il fatto di riuscire a vivere al meglio ogni giorno della nostra vita in quanto unico e irripetibile. Può sembrare qualcosa di scontato, ma varcare quel cancello che mi separava dalla libertà e entrare in carcere mi ha dato un senso di distanza dalla normalità, quasi come se avessi timore di poter perdere tutto quello che io considero “normale”: uscire di casa per andare a scuola o ad un allenamento, vedere i miei amici, dormire nel mio letto quando torno a casa e così via.

 

 

Ho visto uomini con voglia di comunicare le proprie emozioni

 

di Silvia Forin

4a D Itas P. Scalcerle

 

Cari amici di “Ristretti Orizzonti”, prima di tutto voglio complimentarmi con voi per il lavoro che svolgete nella vostra redazione, perché credo che il vostro intento di raccontare una realtà il più delle volte ignorata sia molto costruttivo e utile a tutti coloro che hanno la possibilità e la volontà di conoscere senza preconcetti. Durante il “nostro percorso” mi sono resa conto che l’ignoranza su questo argomento è veramente molta, e la mia per prima. Non avrei mai pensato, ad esempio, che il carcere potesse anche diventare un luogo dove i detenuti avessero la possibilità di imparare, riflettere, interagire, apprendere e fare esperienze, se pur nei limiti che l’ambiente stabilisce, che, da quanto ho capito, sono veramente ti.

Molti di noi non hanno mai voluto pensare al detenuto come a una persona con grandi aspettative di vita o speranze, come una persona in grado di comunicare i propri sentimenti o di “rimboccarsi le maniche” per migliorare il proprio presente e futuro. Forse è più facile pensare a voi come “i cattivi” o forse, come ho fatto io, non pensarvi affatto. Mi rendo conto però che questo è uno sbaglio. Non si possono “dare etichette” così spregiudicatamente e definitivamente. In alcuni di voi, infatti, ho visto uomini con voglia di migliorarsi e comunicare alla “gente” le proprie emozioni.

Forse questa mia piccola riflessione vi risulta banale e per lo più scontata, ma per me, che non ho mai avuto grandi opinioni a riguardo, significa essere in grado di considerare una realtà in tutti i suoi aspetti, senza giudicare spietatamente. Io non so quali fossero le vostre aspettative riguardo a questo progetto e se le mie parole possono in qualche modo farne parte, sono certa però che, nel mio piccolo, ho percorso un’espressione di vita indimenticabile.

 

 

Precedente Home Su Successiva