I ricomincianti

 

Il ritorno in famiglia dopo la galera

Quando "per il tuo bene", quasi tutti pensano di sapere cosa sia giusto per te…

 

di Nicola Sansonna

 

Quando si è lontani dalla propria famiglia, il desiderio più grande è quello di tornare a casa, e se questa separazione si prolunga per anni quel desiderio si trasforma in dolore, in vero e proprio malessere fisico. In disagio dell’anima.

 

Quante notti passate in bianco a fare calcoli aritmetici, a giocare con il tempo, a misurare la detenzione: ho preso 30 anni – per esempio – e tra quindici anni ho la metà pena, però posso accedere prima ai benefici con la buona condotta, la liberazione anticipata, che sono tre mesi all’anno da scalare al fine pena, quindi in una decina d’anni dovrei essere nei termini… Ma poi, c’è sempre l’imprevisto. Un attimo di nervosismo e rispondi male ad un agente, una sigaretta fumata dove non si dovrebbe, uno spioncino chiuso per potersi garantire un minimo di privacy mentre si è in bagno, una scazzottata per una partita di calcio, ed ecco che i tuoi calcoli matematici vanno a farsi benedire. Solo in carcere fumare una sigaretta in un corridoio può costare da 25 a 250 euro di multa, oltre alla perdita di 45 giorni di liberazione anticipata. E questo per ciascuna delle infrazioni come quelle che ho appena descritto, e si potrebbe andare all’infinito, anche se nessuna di fatto rientra nel codice penale, perché sono infrazioni o piccoli reati ormai depenalizzati. Ma, "in esclusiva", a noi detenuti costano 45 giorni di galera.

Quando hai superato il tempo che ti separa dalla libertà, quando ti sei adattato finalmente all’ambiente ed hai imparato a sopravvivere al carcere, quando sei riuscito a darti degli obiettivi (studio, corsi professionali da frequentare), quando la vita in carcere ti sembra quasi normale… finalmente una notte i conti tornano! Potrò accedere al primo beneficio dell’ordinamento penitenziario.

 

Il tanto sospirato permesso! É un punto d’arrivo, ma allo stesso tempo un punto di partenza.

Un punto d’arrivo, perché finalmente puoi aspirare al beneficio di 45 giorni di permesso premio l’anno. Di partenza, perché con i permessi inizia il rientro in famiglia e la possibilità di ricostruirti un futuro. Notare, però, che si parla sempre di beneficio, mai di diritto. Come recita infatti l’Ordinamento penitenziario, i benefici non sono un diritto acquisito (il magistrato può concedere). In fatto di misure alternative e permessi non esistono diritti ma benefici, che vengono concessi o meno a seguito di valutazioni incrociate: sentito e valutato tutto il possibile, educatrici, assistenti sociali, indagini sociofamiliari, informazioni delle forze dell’ordine e, se è il caso, del comitato per l’ordine e la sicurezza.

I primi permessi di solito non vengono concessi a casa direttamente, ma presso quelle che vengono definite strutture protette (la casa d’accoglienza, qualche convento, le scuole, incontri per convegni). Finalmente, dopo parecchi tentativi, una mattina ti chiama l’agente dell’ufficio matricola e ti consegna il tanto agognato documento. La prima cosa che leggiamo tutti è la scritta grande al centro del foglio, che può essere: (il magistrato) Rigetta, oppure, Concede.

Finalmente si esce! Molti amici, ed io pure, abbiamo più volte descritto quel senso di inebriamento mentale che provi appena esci. Tutto attira la tua attenzione, ti incuriosisce. Sembra tutto troppo veloce, le macchine vanno ad una velocità impressionante anche se non superano i settanta all’ora, la gente ha fretta, corrono come delle trottole. Ma dove vanno, con tutta quella fretta? Sembra che d’improvviso il mondo abbia accelerato il suo ritmo. L’odore di scarico delle macchine lo senti fortissimo. I profumi ti sembrano troppo intensi. Ricordo il primo caffè espresso che presi dopo 12 anni di carcere: il solo odore, appena entrai nel bar, mi diede una "scarica di caffeina" allo stato purissimo…Poi piano piano ti abitui. Sino a renderti presto conto che sei tu ad aver rallentato i tuoi ritmi vitali, operazione necessaria per conservare lucidità e sanità mentale, una sorta di auto-anestetizzazione, che l’organismo - e forse la psiche - opera su se stesso, per adattarsi all’ambiente innaturale in cui per tanti anni ha vissuto.

Camminare tra le persone, comprarsi un giornale all’edicola, fare colazione in un bar, scegliersi una pasta fresca e assaporarla lentamente in un cappuccino… Farsi il biglietto del treno, telefonare a casa dove sono in attesa che arrivi. Sono fuori, sto arrivando! Vorresti gridarlo al mondo intero, intanto lo dici alle persone care.

 

Finalmente sei a casa tua. Ma questa affermazione dopo anni di galera non risponde sempre al vero.

Quella che tu chiamavi casa tua, non esiste più. Ora c’è la casa di tuo fratello, di tua sorella, di tuo cognato, dei tuoi nipoti, di tuo figlio. Quei ragazzi che hai visto crescere tramite foto, e qualche colloquio, li ritrovi mogli, mariti, padri. L’affetto, l’amore reciproco, quello è immutato e se possibile accresciuto, e questo lo percepisco ogni istante come l’ho percepito in tutti questi anni di carcere. La vita fuori dal carcere scorre veloce, ed è bellissimo vedere come la tua famiglia si sia allargata, e come grazie ai nostri vecchi che hanno sempre predicato l’unità familiare, siano riusciti a restare uniti. Ognuno a casa sua, ma uniti. Mi appassiona sentire l’entusiasmo con cui parlano di lavoro, ognuno con l’esperienza della propria età, competente quanto basta, e con sempre una propensione a migliorare. Lavoro necessario per vivere, lavoro per soddisfare i propri bisogni, per completare il progetto di vita che ognuno si è costruito. Il dio danaro la fa da padrone comunque, nelle discussioni tra uomini, mentre le donne preferiscono decisamente altri temi. Certo tu ti confronti, discuti, ma i termini in cui lo fai fanno parte di un’altra epoca, anche se tu ti sei tenuto relativamente aggiornato e nonostante che – come nel mio caso – durante la detenzione mi sia diplomato geometra ed abbia anche messo in pratica la mia preparazione lavorando, sia pure per un breve periodo (otto mesi per il Comune di Bologna). In casa, siamo in tre geometri: mio nipote, mia sorella ed io. Nel frattempo prendi decisioni che riguardano la tua vita, che naturalmente è piena zeppa d’errori un po’ in tutti i campi, anche se alcune cose positive restano. A questo punto accade qualcosa di particolare, dettato dal desiderio di farti del bene, dalla voglia di vederti finalmente sistemato e definitivamente fuori dal carcere.

 

Proprio perché sei un noto esperto d’errori, c’è la paura che possa ripeterne

Ad esempio tutti temono che tu possa avere grosse delusioni d’amore, che aggiunte alla situazione piuttosto nevrotica dei permessi, delle misure alternative, possono diventare una miscela dolorosa e insostenibile.

Quindi diventa naturale parlare a tutto campo di cosa hai intenzione di fare: lavoro, affetto, prospettive di vita in generale. Ognuno ha la sua idea, tutti parlano per il tuo bene, anche se a volte non si ha la stessa percezione delle cose. In ogni caso anche questo fa parte di quel lento processo di ritorno alla normalità, quindi di una fase di lento e progressivo riappropriarti di quello che oggi è la tua realtà e di quello che domani potrà essere il tuo destino. Certo i problemi da affrontare saranno molti, ma la determinazione c’è, e so di non essere solo: oltre alla mia famiglia ho una compagna, ed insieme è più dolce affrontare questo periodo delicato della mia vita.

Da Padova a Torino ci sono circa quattrocento chilometri. Il viaggio dura circa quattro ore e mezza. Se viaggiando su un treno, ad esempio il Venezia-Milano-Torino, vi capita di vedere un tipo assorto a contemplare il bellissimo paesaggio che la pianura padana offre, e lo fa per lungo tempo, forse sono io. O qualche mio compagno in permesso premio.

 

 

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