Prospettiva: lavoro

 

A Brescia "Carcere e territorio" è un’associazione

che ha rotto gli steccati e messo insieme tutti

 

Perché solo lavorando insieme chi sta "fuori" può pensare davvero a trovare casa e lavoro a chi sta "dentro"

 

Carlo Alberto Romano è Docente di criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi di Brescia, ed è poi direttamente impegnato "sul fronte carcere" come vice Presidente dell’Associazione Carcere e Territorio di Brescia, una delle realtà più attive e vivaci in Italia proprio per la capacità "miracolosa" che ha avuto di coordinare un po’ tutti quelli che a Brescia hanno a che fare col carcere. Lo abbiamo "interrogato" nella nostra redazione, della quale è stato ospite, su tutte le iniziative che la sua associazione ha messo a punto sui temi del lavoro e del reinserimento di detenuti ed ex detenuti.

 

Vorremmo prima di tutto avere da lei informazioni sullo Sportello di integrazione e orientamento al lavoro di Brescia, perché anche qui a Padova tra i progetti a lungo termine rientra l’avviamento di un’attività simile.

 

Lo sportello formalmente nasce come un’iniziativa del privato sociale, convenzionato con la Provincia che eroga un contributo a questo specifico fine. Da un’idea originale è andato poi evolvendosi in un modo credo abbastanza intelligente, che ha permesso, attraverso una sinergia tra la Provincia e la nostra associazione, l’individuazione sia di spazi operativi sia di spazi concettuali necessari a un’opera di questo genere.

A questo punto l’associazione "Carcere e territorio", per non trovarsi a dover gestire una cosa più grande di quelle che erano le proprie possibilità, ha fatto secondo me un passaggio importante: si è convenzionata a propria volta con un consorzio di cooperative sociali, dal momento che le cooperative sociali gestivano già uno sportello di integrazione al lavoro, specialmente orientato sulle fasce svantaggiate. Da questo punto di vista c’era quindi una facilità a comprendere le esigenze dell’avviamento al lavoro di persone, che sono solitamente fuori dal mercato del lavoro o non facilmente inseribili o comunque più deboli. Gli operatori del consorzio gestiscono perciò per conto dell’associazione "Carcere e Territorio" lo sportello, sia quello direttamente connesso al Progetto Carcere della provincia di Brescia, che prevede una presenza fisica di operatori due mattine la settimana nei locali della Provincia dove vengono ricevute le persone interessate, sia attraverso l’operatività del loro sportello d’integrazione al lavoro.

 

Com’è organizzato invece lo sportello dentro al carcere?

Lo sportello all’interno ha un referente, più tutta una rete di volontari dell’associazione. Il referente è la persona che è stata incaricata dall’associazione della gestione dello sportello stesso, e che oltre a svolgere colloqui raccoglie tutte le segnalazioni che provengono dalla rete dei volontari ma non solo, perché oggi si lavora anche con le segnalazioni degli educatori penitenziari e del CSSA.

 

Sappiamo che avete coinvolto nell’attività di sportello anche i famigliari, può spiegarci come?

Ho citato prima il fatto che lo sportello esterno apre due mattine a settimana, e sostanzialmente l’apertura è voluta proprio per i famigliari. Da questo punto di vista devo dire che mi sembra che la strada tracciata sia assolutamente efficace, perché un punto di contatto esterno oltre a quello interno è ciò che permette un raccordo tra il detenuto e la famiglia, che la scarsità dei colloqui a disposizione in carcere non sempre garantisce.

 

Visto che a Venezia si sta tentando di fare uno sportello con il Comune e non ci sembra che sia così automatico da parte delle detenute capire come attivarsi in prima persona e utilizzare questo strumento, ci piacerebbe sapere se avete fatto una particolare "promozione" dello sportello, una campagna per farne capire l’utilità.

Voi sapete che in carcere le possibilità di divulgazione interna di notizie non sono estremamente sviluppate, c’è una necessità forte di far correre la voce. Io ritengo che sia molto importante da questo punto di vista tutta la rete del volontariato, che deve lavorare in modo attento ed efficace, e quando ha una segnalazione riferire subito all’operatore, che è quello che permette di coordinare meglio l’attività, mentre prima era ogni singolo volontario che si prendeva la briga di andare a cercare il posto di lavoro dal suo amico carrozziere piuttosto che dal suo amico artigiano, e così si andava avanti in modo improvvisato, sull’esperienza e sull’apporto personale. Creare un coordinamento serve per creare anche una buona prassi esportabile, ed io credo molto che l’esperienza positiva possa essere proposta anche in altre sedi, perché non ha senso se rimane solo l’esperienza di Brescia, che è già un’isola felice dal punto di vista dei rapporti con il carcere da parte del territorio.

La Provincia da questo punto di vista ci ha dato credito e ascolto e ha inserito questo progetto di integrazione al lavoro in un più ampio progetto, denominato "Progetto carcere", per il quale però non ho visto ancora una serie di iniziative altrettanto importanti dello sportello. Finora c’è stata infatti solo la firma di una convenzione con tutte le parti sociali, l’associazione industriali di Brescia, l’associazione degli artigiani e altre realtà, nella quale tutti si impegnano ad agevolare i progetti che prevedono l’inserimento dei detenuti. Su questo documento sono arrivate tutta una serie di convergenze, compresa quella del Tribunale di Sorveglianza. Il problema è, secondo me, che a questa convergenza di consensi non è conseguita una vera e propria presa in carico da parte dell’imprenditoria Profit, tanto è vero che, quando lo sportello ha bisogno di trovare i posti di lavoro per le persone detenute o ex detenute, deve rivolgersi sempre all’impresa sociale.

 

C’è forse una scarsa professionalità degli ex detenuti, riguardo ad una professionalità specifica richiesta dalle aziende?

No, non è questo il punto, tanto è vero che l’impresa privata ricorre spesso ai contratti di lavoro interinale, e quindi non va a cercare particolari professionalità.

 

È la mancanza di sgravi fiscali, di cui godono invece le cooperative, il freno al coinvolgimento degli imprenditori Profit?

Però la legge Smuraglia da questo punto di vista avrebbe dovuto garantire, incentivare, invogliare, ma probabilmente la Smuraglia è un ottimo strumento non sufficientemente conosciuto, altrimenti anche gli imprenditori privati avrebbero potuto essere "ingolositi", quantomeno dal credito d’imposta di 516 euro. La Provincia, consapevole di questo problema, mi ha chiesto allora di realizzare un vademecum dedicato al tema del lavoro penitenziario infra e extramurario, da distribuire agli imprenditori, in cui si dice quali possono essere i benefici dell’imprenditore profit che voglia assumere un detenuto, cosa che abbiamo fatto come associazione "Carcere e territorio"; siamo in attesa della pubblicazione.

 

Sappiamo che avete fatto anche una indagine su un campione di imprenditori bresciani, nella prospettiva di valutare le opportunità occupazionali che essi possono offrire a persone sottoposte ad esecuzione della pena. Ce ne può parlare?

Abbiamo fatto questa indagine intitolata Produttività e Solidarietà e l’abbiamo pubblicata su una prestigiosa rivista locale, "Civiltà Bresciana". Il problema è che dobbiamo assolutamente incentivare il numero delle persone che vengono assunte dalle imprese Profit, questo è lo snodo fondamentale, perché le cooperative hanno già saturato il numero di posti di lavoro che avevano a disposizione e che più o meno sono sempre coperti. Abbiamo bisogno dell’appoggio delle imprese dell’imprenditoria privata, perché senza di quelle non riusciamo a produrre un cambiamento. La Smuraglia era l’idea giusta, perché prevede che l’imprenditore venga invogliato dal punto di vista finanziario con il credito di imposta, ma sono passati quasi due anni tra l’entrata in vigore della legge e il momento in cui sono usciti i decreti attuativi e probabilmente non si è riusciti a far breccia nelle associazioni di categoria degli imprenditori. Se adesso riusciremo a diffondere questo vademecum, forse riusciremo a smuovere la categoria degli imprenditori, prospettando loro quali sono i vantaggi che derivano dall’assunzione di un detenuto, perché poi i bei discorsi sulla possibilità che, dando un’opportunità lavorativa a chi esce dal carcere, diminuisca la recidiva, all’imprenditore interessano fino ad un certo punto…

 

Non si potrebbe tentare la strada di creare non un canale diretto tra il carcere e l’imprenditoria privata, ma uno mediato attraverso le cooperative, così da far in modo che il datore si trovi ad assumere uno che ha già lavorato in cooperativa, e quindi ha superato la fase di "collaudo" ed è automaticamente "referenziato"?

Nella cooperativa nella quale sono personalmente impegnato, la Coop. Exodus di Capriano del Colle, in Provincia di Brescia, di fatto lo facciamo già, e agli imprenditori amici diciamo: "Hai un posto per una persona che ha già lavorato da noi, facendo già un certo percorso, che è andato bene, del quale quindi ti puoi fidare anche tu?", e così si liberano altri posti per far uscire altre persone dal carcere. È un percorso da perseguire assolutamente.

 

Qual è la sua opinione sulle borse lavoro erogate dagli enti locali?

Ma… sul discorso borsa lavoro, erogata dagli enti locali, non sono molto favorevole, lo ritengo un modo per pulirsi la coscienza: destinando una piccola somma a questa cosa e poi dicendo che il problema è stato affrontato. Personalmente preferisco che si faccia un intervento radicale con una progettazione di politica sociale, perché secondo me è più importante fare convenzioni, coinvolgere gli imprenditori. Perché poi comunque, finite quelle risorse messe precedentemente a disposizione, magari passata quella amministrazione, i problemi sono lì, punto e a capo. In secondo luogo abbiamo tralasciato tutta una serie di realtà che vanno oltre l’erogazione di un contributo, sono le necessità come l’alloggio, la rete delle relazioni, la ricostruzione del percorso previdenziale, delle quali l’ente locale deve farsi carico, le convenzioni con i patronati, con i sindacati, perché possano dare una mano da questo punto di vista. A me pare che l’utilizzo della borsa lavoro sia un modo per dare una risposta d’emergenza ad un problema, che invece necessita di un approccio molto più profondo ed integrato.

 

Per quanto riguarda invece la vostra esperienza con i detenuti stranieri, un datore di lavoro può ancora assumere un detenuto straniero extracomunitario, sapendo che sul suo capo pende la spada di Damocle dell’espulsione?

La situazione non è rassicurante, anche se, in un documento che abbiamo dedicato a questo tema, noi mettiamo in evidenza una cosa molto semplice, che dal punto di vista giudiziario per il cosiddetto "permesso di soggiorno ai fini di giustizia" non è cambiato nulla, perché la Bossi – Fini non si è espressa su questo punto; e quindi dovrebbe essere titolo per poter ambire a misure alternative e ad un posto di lavoro, in vigenza di un provvedimento d’esecuzione della pena. Purtroppo recenti testimonianze mi dicono che vi è stato un giro di vite anche su questo.

 

Non le sembra che nelle associazioni di volontariato ci sia un atteggiamento rinunciatario, rispetto ai problemi degli stranieri detenuti, e in particolare a questa disparità di percorso carcerario, che sembra assolutamente incostituzionale?

Credo che ci sia una sorta di riluttanza ad occuparsi del problema dei detenuti stranieri, probabilmente anche derivante da una scarsa capacità di comprensione della normativa, che è oggi ancora più complicata, anche perché in questi ultimi anni è andata stratificandosi. Dal punto di vista dell’impegno, sinceramente mi pare che ce ne sia abbastanza riguardo a questo problema, per cercare di affrontarlo seriamente, discuterlo, per farlo presente, anche se pesano gli umori dell’opinione pubblica, che non è completamente ostile, però rispetto a certi argomenti riguardanti la delinquenza del cittadino straniero è quanto meno superficiale, tende a dare risposte immediate e basate più sull’emotività che non sulla comprensione del problema.

 

Ci dà qualche informazione sul vostro progetto di "housing"?

Questa iniziativa è assolutamente collegata con il lavoro. Il ragionamento è nato da una constatazione, che spesso alcuni detenuti non potevano avere le misure alternative perché non avevano un alloggio, arrivavano in Camera di Consiglio e si sentivano dire: "Hai il lavoro ed è idoneo, purtroppo non hai un alloggio altrettanto idoneo, quindi non possiamo concederti il beneficio". Bisognava dare una soluzione a questo problema; la regione Lombardia ha erogato uno stanziamento triennale per il problema carcere, e noi siamo riusciti ad ottenere che alcuni di questi fondi fossero destinati ad alloggi per i nostri detenuti ed ex detenuti.

A Brescia è stato assegnato un certo contributo, veicolato dal Comune, nel senso che sono i comuni che si fanno garanti che i soldi che la Regione stanzia per gli alloggi siano effettivamente utilizzati per questo scopo. Siamo riusciti a mettere in piedi un progetto che secondo me ha un buon valore, siamo andati dall’Aler, l’azienda per l’edilizia popolare, e gli abbiamo proposto di darci degli alloggi in dotazione da ristrutturare, e i soldi del finanziamento regionale vengono utilizzati per la ristrutturazione. Dopo di che, i lavori di ristrutturazione vengono scontati sul canone di locazione, in modo che noi poi abbiamo un canone di locazione agevolato, che ci permetta di sistemare persone che non hanno grosse possibilità economiche. Noi abbiamo un contratto di cinque anni, 3 più 2, che ci assegna gli immobili; a nostra volta ci rendiamo garanti, e ovviamente l’Aler accetta che noi collochiamo soggetti detenuti o ex detenuti. L’affitto lo paghiamo noi, che poi chiediamo un contributo al soggetto che entra e che abbia la disponibilità di un lavoro. È un contributo assolutamente sopportabile, intorno ai 100,00 euro, comprensivo delle spese, e gli appartamenti sono molto dignitosi. Si tratta per ora di sei posti. Inoltre il Volca, che è il volontariato penitenziario della Caritas di Brescia, ha avuto a sua volta un altro finanziamento per degli alloggi, quindi in totale c’è stata una movimentazione di una quindicina di posti letto.

 

Preparando il convegno sul lavoro in carcere, che si terrà il 9 maggio a Padova, ci siamo posti il problema di discutere anche delle nuove forme di lavoro, come il lavoro interinale, e del fatto che le misure alternative sono molto rigide rispetto ad un mercato del lavoro, che è sempre più in movimento e dà sempre meno garanzie di posti fissi. Lei che cosa ne pensa, di questo problema del lavoro interinale?

Secondo me, già attualmente ci sono spazi, nella concessione delle misure alternative, per potersi adeguare alla flessibilità del mercato, sempre che il magistrato non abbia paura nel vedere scritto agenzia Adecco o Manpower; però il giudizio va dato sull’idoneità dell’agenzia interinale, così come prima andava dato sull’azienda che offriva un posto di lavoro.

 

Ma se il lavoro finisce e la persona in misura alternativa non riesce subito a trovare un’alternativa, non è pensabile una specie di "congelamento" della misura?

Il congelamento è poco probabile dal punto di vista giuridico, però dalla mia esperienza non è così immediata la revoca della misura alternativa, nel caso ci sia la perdita del lavoro, non derivata ovviamente da trasgressione del regolamento. Certo con la semilibertà è più difficile rispetto ad un affidamento, perché sulla semilibertà ci sono dei margini d’orientamento che sono un po’ più rigidi da parte sia della magistratura, sia dell’amministrazione penitenziaria, che ogni mattina deve sapere esattamente dove si trova la persona semilibera. Per l’articolo 21, dipende comunque dal direttore del carcere, perché tutto sommato se il direttore ritiene che l’agenzia del lavoro interinale sia seria, che comunichi il luogo dove il soggetto va a lavorare se termina il periodo di occupazione presso una ditta e ne inizia uno in un’altra, non vedo grossi problemi dal punto di vista giuridico.

Noi come associazione "Carcere e territorio" di Brescia ci siamo convenzionati con un’agenzia di lavoro interinale, devo dire però che non siamo molto contenti di come è andata la cosa, nel senso che dopo l’iniziale periodo d’entusiasmo, l’agenzia interinale si è scontrata con l’inevitabilità di ciò che noi prospettavamo, cioè che mentre loro generalmente hanno bisogno dei lavoratori praticamente da mattina a sera, noi non siamo in grado di reperirli perché, mentre viene fissata la camera di consiglio, viene notificata la misura e posta in esecuzione, viene firmato il piano di trattamento, passa un numero di giorni che vanifica di solito l’esigenza dell’agenzia di un contratto interinale.

Secondo me comunque ci sono dei margini di lavoro, perché non tutte le esigenze degli imprenditori che si rivolgono alle agenzie di lavoro interinale sono dettate dall’emergenza quotidiana, ci sono anche delle esigenze che possono essere programmate, e su questo si potrebbe lavorare, con la collaborazione della magistratura e dell’amministrazione penitenziaria.

 

Non si potrebbe immaginare che sia il carcere a creare uno sportello che funzioni come agenzia interinale?

Attenzione però, che la collocazione dei lavoratori con il contratto di lavoro interinale per legge è riservata a delle agenzie che devono avere delle prerogative particolari. Non è facile però, perché occorre un riconoscimento dal Ministero del Lavoro, altrimenti si creano quelle finte cooperative, che altro non fanno che procacciare lavoro interinale in violazione della legge, che giustamente prescrive determinate garanzie, piuttosto rigorose, tra le quali un investimento consistente e la rappresentanza in almeno quattro regioni.

 

Si potrebbero forse creare dei gruppi di detenuti pronti per l’articolo 21, sempre in riferimento alle agenzie interinali, che chiedono costantemente la disponibilità di personale. Così facendo si avrebbe un serbatoio, deve attingere detenuti come forza lavoro.

 

Servirebbe però un direttore disponibile a creare un gruppo di detenuti da utilizzare con l’articolo 21, mentre di solito i direttori concedono con parsimonia questa misura, evidentemente non è uno strumento in cui molti credono realmente.

 

Lo sportello di avviamento al lavoro si occupa anche di altre pratiche, ad esempio il riconoscimento della pensione, il rinnovo della patente, ecc.?

Noi per queste pratiche abbiamo due patronati che entrano in carcere. Siamo stati noi che li abbiamo chiamati in associazione, informandoli che c’era questa necessità e chiedendo loro di trovarci un referente che entrasse in carcere periodicamente per varie necessità di tipo previdenziale, pensionistico, e comunque anche per orientamento nei problemi di carattere amministrativo.

 

Voi avete una rete estesa di volontari, ma si tratta di un volontariato realmente coordinato?

Il nostro si! Da quando è sorta, nel 1997, per volontà del presidente dottor Zappa, l’associazione "Carcere e Territorio" ha fatto una scelta ben precisa: cioè, pur nascendo come associazione di volontariato, "Carcere e Territorio" non opera direttamente, ma è un ente di secondo livello nel quale confluiscono tutte le realtà che a loro volta operano sul carcere. Vi cito degli esempi: Associazioni di promozione sociale tipo U.I.S.P., Associazioni di volontariato, come il citato VolCa, Cooperative tipo A che gestiscono comunità per tossicodipendenti, come la Cooperativa di Bessimo, Cooperative tipo B di inserimento lavorativo, come la Coop. AMICI, la Provincia, i Sindacati, l’ordine degli Avvocati di Brescia, sono soci di "Carcere e Territorio", partecipano, mediante i loro rappresentanti all’assemblea o addirittura al consiglio direttivo se eletti, in modo che, e per quanto possibile, ogni iniziativa venga presa in modo congiunto. Vi sono poi prestigiosi soci singoli, Consiglieri provinciali, Consiglieri comunali, operatori penitenziari e professionisti di rilievo del tessuto cittadino.

Il consiglio direttivo si riunisce una volta al mese, ogni consigliere che abbia a cuore un’iniziativa la porta in consiglio e la discute. Il progetto di housing senza "Carcere e territorio" sarebbe stato impensabile, perché ci sarebbero state tante realtà e nessuno avrebbe agito nel modo coordinato che era necessario per potersi presentare come valido interlocutore all’Aler.

Ma oggi sarebbero impensabili tutte le iniziative importanti di progettazione di politica sociale, senza un vero coordinamento di tutte le realtà che si occupano di carcere. Per questo auspico che il nostro esempio possa essere ripercorso da altre realtà cittadine, e, ulteriormente, ci si possa davvero compattare a livello regionale e magari nazionale. Altrimenti per ogni strategia legislativa, che riguardi l’esecuzione penale, sia infra che extramuraria, continueremo a stare alla finestra mentre altri, magari privi delle nostre specifiche esperienze e competenze, decideranno anche per noi.

Quindici cooperative che si sono messe insieme

La forza del Consorzio Sol.Co. di Varese

E poi un progetto comune: lavorare vale la pena

 

Intervista a Sabrina Gaiera, Responsabile dell’Area Sociale del Consorzio Sol.Co. Varese

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Dovunque ci siano situazioni, nelle quali chi lavora nell’area del disagio è riuscito a mettersi insieme e a iniziare a collaborare, noi andiamo a "metterci il naso" per capire come hanno fatto a superare le divisioni per porsi un comune obiettivo. A Varese ci sono riusciti, come ci ha raccontato Sabrina Gaiera, Responsabile dell’Area Sociale del Consorzio Sol.Co. che mette insieme ben quindici cooperative.

 

Ci spiega brevemente la storia del Consorzio di Cooperative Sociali del quale lei è responsabile per l’Area Sociale?

Il Consorzio Sol.Co. Varese, oggi guidato dal presidente Mario Frigerio, nasce nel 1991 su iniziativa di un ristretto gruppo di cooperative sociali operanti nella provincia di Varese; proprio la necessità di condividere esperienze differenti e la volontà di poter incidere più efficacemente sul territorio attraverso progetti comuni hanno portato alla fondazione di questa rete consortile. Nell’arco dei primi dieci anni di attività il Consorzio ha percorso molta strada: oggi conta 15 cooperative socie, suddivise in 10 cooperative di tipo B – inserimento lavorativo di persone svantaggiate – e 5 cooperative di tipo A – servizi alla persona – distribuite sull’intero territorio provinciale.

Il Consorzio Sol.Co. Varese risulta inoltre pienamente integrato nella rete delle principali organizzazioni della cooperazione sociale operanti a livello nazionale, regionale e provinciale; in particolare, il Consorzio aderisce a Confcooperative Nazionale, settore Federsolidarietà, e al Consorzio Nazionale Cooperative Sociali Gino Mattarelli (CGM) di Brescia. Infine, i delegati del Consorzio presiedono abitualmente agli incontri del Polo Lombardo, tavolo di lavoro di tutti i consorzi della Lombardia per l’elaborazione e lo sviluppo di progettazioni a livello regionale.

 

Il numero di detenuti coinvolti in progetti di inserimento lavorativo risulta oggi in significativa crescita

 

Quanto personale impiega l’insieme delle cooperative, quanti sono i soggetti svantaggiati, ed in particolare detenuti ed ex detenuti?

L’insieme delle 15 cooperative socie offre un’attività lavorativa almeno a 50 soggetti svantaggiati, riconducibili a diverse tipologie di disagio – ex tossicodipendenti, portatori di handicap psichiatrico o fisico etc…–. Il numero di detenuti coinvolti in progetti di inserimento lavorativo risulta oggi in significativa crescita e comprende già una decina di persone, con differenti modalità detentive – articolo 21, affidamento, arresti domiciliari – provenienti dalle Case Circondariali di Varese, Busto Arsizio, Bollate e dal CSSA (Centro Servizi Sociali Adulti) di Como. Solitamente, sono le cooperative socie a farsi carico del loro reinserimento lavorativo, impiegando i detenuti in attività varie quali pulizie, assemblaggi, cura del verde, sartoria; tuttavia, anche un’azienda privata della provincia di Varese, operante nel settore degli assemblaggi, recentemente ha scelto di inserire due soggetti detenuti.

 

L’opportunità lavorativa viene concessa solamente ai detenuti in misura alternativa alla detenzione, oppure proseguite il rapporto di lavoro anche una volta che gli interessati hanno terminato la pena?

L’avvio ancora relativamente recente di progetti di inserimento lavorativo di soggetti detenuti non ci permette al momento di valutare la reale possibilità di proseguire il rapporto di lavoro anche dopo il termine della pena. Sicuramente, di fronte a ulteriori motivi invalidanti – ad esempio handicap fisico o precedente dipendenza da sostanze stupefacenti – viene adottata una sorta di via preferenziale a favore dell’assunzione. Negli altri casi, l’obiettivo resta quello di portare il soggetto detenuto coinvolto nel reinserimento a un buon livello di autonomia e capacità lavorativa e di offrire tutti gli strumenti necessari per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro; in sostanza, al termine della pena, se non l’assunzione vera e propria, dovrebbero essere garantite tutte le condizioni necessarie per ottenerla.

 

Quali sono le possibilità lavorative che offrite, sia all’interno sia all’esterno degli Istituti detentivi, e con quali criteri retributivi?

Il Consorzio Sol.Co. non svolge ancora alcuna attività lavorativa all’interno del Carcere, anche se si stanno valutando attentamente le concrete opportunità per avviare servizi di questo tipo. Restano tuttavia alcune difficoltà oggettive da affrontare: per esempio, la mancanza di spazi adeguati impedisce alla Casa Circondariale di Varese di organizzare attività lavorative interne che vadano al di là della semplice manutenzione delle stesse strutture penitenziarie.

Per le attività extra-carcerarie, le forme utilizzate per i progetti di inserimento lavorativo restano quelle "classiche" del tirocinio e della borsa lavoro, mentre nel caso di vere e proprie assunzioni in cooperativa vengono rispettati i parametri del Contratto Nazionale delle Cooperative Sociali.

 

Le cooperative aderenti al Consorzio si avvalgono degli sgravi fiscali previsti dalla legge Smuraglia?

Una delle nostre cooperative ha provato ad avvalersi delle agevolazioni previste dalla legge Smuraglia, sulla quale lo stesso Consorzio si prefigge certamente di raggiungere un livello di conoscenza più approfondito. I risultati raggiunti non sono stati finora del tutto positivi, soprattutto a causa della ristrettezza delle risorse economiche messe effettivamente sul campo. Sostanzialmente, la pur valida normativa non è stata accompagnata dai finanziamenti necessari per renderla pienamente operativa.

 

Molti operatori delle cooperative sostengono che durante la fase delle misure alternative nel rapporto con i detenuti non ci sono particolari problematiche, che però sorgono una volta terminata la pena: quali sono secondo lei i motivi che portano a questo "allentamento", e a volte anche alla recidiva?

Per il momento, il Consorzio non ha ancora maturato un’esperienza sufficiente per poter individuare specifiche motivazioni che potrebbero contribuire a spiegare il fenomeno, assai complesso, della "ricaduta" post-pena. Resta innegabile che qualsiasi progetto di inserimento lavorativo e sociale che coinvolga persone detenute dovrebbe ormai superare i confini temporali del periodo di detenzione e prevedere un’azione di accompagnamento almeno per i primi mesi successivi all’uscita dal carcere.

 

Ci spiega più nel dettaglio in cosa consiste il progetto "Lavorare vale la pena" avviato con altri soggetti della provincia di Varese?

Il progetto "Lavorare vale la pena" può essere definito come un percorso di formazione, orientamento e accompagnamento al lavoro avviato già all’interno delle mura carcerarie. Promosso dai due consorzi di cooperative sociali della provincia di Varese Sol.Co. Varese e Consorzio di Cooperative Sociali (CCS) di Cardano al Campo (VA), il progetto viene svolto in collaborazione con il Dipartimento delle Dipendenze – Progetto POIS (Progetto Orientamento Inserimento Sociale) dell’ASL di Varese e la Direzione della Casa Circondariale di Varese.

Alla base di "Lavorare vale la pena" è posta l’idea, innovativa per la realtà varesina, di "portare il mondo del lavoro all’interno del carcere": con questo obiettivo sono state coinvolte nel progetto alcune delle più importanti organizzazioni di categoria della provincia di Varese. La prima tappa prevede un incontro con il rappresentante dell’Unione degli Industriali della provincia di Varese (UNIVA) finalizzato a offrire un quadro della situazione attuale del mercato del lavoro nel territorio provinciale varesino – settori in espansione e in crisi, nicchie di mercato, competenze e risorse richieste dalle imprese ai lavoratori – ; successivamente, i delegati sindacali di CGIL e CISL illustreranno gli argomenti legati ai diritti e doveri del lavoratore – tipologie dei contratti, forme di collocamento, iter per la ricerca di una nuova occupazione – , mentre un addetto alla selezione aziendale curerà una simulazione di colloquio di lavoro.

Parallelamente, saranno avviati percorsi di orientamento individuale con un operatore dell’équipe del progetto, che aiuterà la persona nella definizione delle proprie risorse/competenze utilizzando specifici strumenti di analisi quali il racconto autobiografico e la stesura di un curriculm vitae. Proprio con l’obiettivo di migliorare le competenze lavorative dei detenuti coinvolti nell’iniziativa, con il mese di gennaio è partito anche un primo modulo formativo di 30 ore di informatica suddiviso tra momenti d’aula con docenti e momenti di esercitazione pratica svolti in presenza di un operatore del progetto.

Dopo un incontro di valutazione finale dell’efficacia dell’intervento da tenersi con la Direzione del carcere, le persone ritenute idonee saranno prese in carico dai servizi territoriali, sotto la supervisione del progetto POIS dell’ASL di Varese, per il sostegno alla ricerca di un posto di lavoro.

 

Quali sono gli enti ed i soggetti coinvolti in questo progetto?

I due enti promotori del progetto "Lavorare vale la pena" – Consorzio Sol.Co. Varese e Consorzio CCS Cardano al Campo (VA) – hanno potuto contare su un’ottima collaborazione con gli altri soggetti coinvolti, a partire dalla Direzione e dall’Area Trattamentale della Casa Circondariale di Varese e dall’Equipe Carcere del Ser.T. di Varese. Un ruolo particolare è stato inoltre giocato dal coinvolgimento dell’ASL di Varese – Direzione Dipendenze – Progetto POIS (Progetto di Orientamento e Inserimento Sociale): proprio all’interno di POIS è nato un Gruppo Guida sul reinserimento lavorativo in cui rientrano le principali organizzazioni di categoria della provincia di Varese – UNIVA, API, UNIASCOM, CGIL, CISL, Associazione Artigiani – ; alcune di esse hanno offerto un contributo importante anche per la realizzazione del progetto "Lavorare vale la pena". In vista di ulteriori collaborazioni, lo stesso progetto sarà infine presentato anche al CSSA (Centro Servizi Sociali Adulti) di Como e al NIL (Nucleo Inserimenti Lavorativi) dell’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Varese.

 

Qual è la situazione del mercato del lavoro nella provincia di Varese, ci sono settori in espansione?

Il mercato del lavoro della provincia di Varese si presenta oggi molto più articolato che nel passato, quando prevalevano decisamente attività produttive industriali: a una loro flessione, evidente per esempio nel settore tessile, è corrisposta una crescita notevole nell’ambito dei servizi e del commercio. Nonostante queste tendenze in atto, anche il responsabile dell’Unione degli Industriali della provincia di Varese coinvolto nel progetto "Lavorare vale la pena" ha comunque sottolineato il ruolo ancora importante della media industria: proprio in questo settore, tra l’altro, possono essere individuate buone offerte lavorative anche per persone con un basso livello formativo, che possono trovare facilmente impiego come operai generici e turnisti.

 

Quello della formazione è un tasto dolente, in mancanza della quale non è possibile reggere la competizione con il "normale" mondo del lavoro: avete previsto dei corsi per preparare anzitempo il personale?

Tutti gli incontri svolti in carcere all’interno del progetto "Lavorare vale la pena" sono stati preceduti da una specifica attività formativa: i relatori, scelti anche sulla base di una precedente esperienza di interventi nella realtà penitenziaria, hanno sempre potuto conoscere e valutare preventivamente caratteri e obiettivi del progetto; sull’altro versante, i detenuti sono stati preparati e accompagnati alle diverse fasi del progetto, sulle quali sono stati chiamati a svolgere anche apposite relazioni post-evento.

 

Allargando lo sguardo alla situazione complessiva del rapporto tra carcere e servizi del territorio varesino, quali possono essere a suo parere i dati più significativi?

L’impressione è forse quella di una macchina che, pur con grande fatica, si sta finalmente mettendo in moto: un segnale importante proviene per esempio dal mondo sindacale, che ha chiesto di aprire anche nel carcere di Varese uno Sportello Sociale su modello di quello già attivo da 2 anni nella Casa Circondariale di Busto Arsizio (VA). Del resto, anche per il progetto "Lavorare vale la pena" il coinvolgimento di numerosi e diversificati soggetti della realtà sociale e imprenditoriale provinciale, accolto con favore dalla Direzione carceraria, ha segnato un importante passo nella direzione di una più stretta relazione tra detenuti e mondo esterno. Sulla stessa linea, come Consorzio Sol.Co. abbiamo promosso anche la realizzazione di un progetto di mediazione culturale destinato ai detenuti stranieri del Carcere di Busto Arsizio (VA), che vengono guidati e assistiti nei contatti con gli avvocati, gli educatori, le famiglie e tutta la rete di servizi che ruota attorno all’istituto carcerario.

 

Consorzio Sol.Co.

Piazza della Libertà, 10

21100 - Varese (VA)

Blow up, un Centro di informatica musicale e sviluppo software che impiega detenuti ed ex detenuti

 

Ce ne parla il dottor Claudio Piunti, responsabile amministrativo e dei rapporti pubblici della Cooperativa Blow Up di Roma

 

Intervista a cura della Redazione

 

Cominciamo con una breve storia della Cooperativa Sociale Blow Up, della quale lei è uno dei responsabili, partendo da quando è nata e quali sono i suoi obiettivi.

La Cooperativa Blow Up a.r.l., costituita l’8 febbraio 1989, nasce con lo scopo sociale di sostenere il reinserimento nella società di detenuti e/o ex detenuti, tramite il fondamentale strumento di una loro ricollocazione nell’ambito lavorativo. A questo fine la Blow Up ha costruito una possibilità concreta di lavoro e di reddito per un discreto numero di soci, che hanno avuto o hanno ancora difficoltà derivanti dallo stato di detenzione, curandone in particolare l’aspetto della formazione professionale (anche durante la detenzione stessa), al fine di garantire la continuità e la riproducibilità dell’esperienza.

 

Di quali attività si occupa la Cooperativa e di quanti soci è composta?

Dopo un primo periodo di ricerca, la Blow Up ha definito la sua competenza professionale e come "Centro di informatica musicale e sviluppo software" si è consolidata nell’ambito informatico - telematico, integrando al suo interno dei soci tecnici informatici.

Tra i suoi scopi c’è anche l’organizzazione di servizi e produzioni di spettacoli, manifestazioni culturali, sportive, ricreative e musicali.

In base alla legge 381/91 è diventata Cooperativa Sociale al fine di ampliare il suo scopo sociale nell’ambito delle problematiche del disagio e dello svantaggio, ad esempio persone con handicap, fasce giovanili a rischio di esclusione sociale, fenomeni di evasione scolastica, etc.

Attualmente la Cooperativa è composta da 7 soci di cui 1 invalido e 3 detenuti, dei quali uno in assegnazione al lavoro esterno, uno in regime di semilibertà ed un altro in condizionale e tra i collaboratori ci sono tre persone in affidamento ai Servizi Sociali.

La Cooperativa è retta e disciplinata dai principi della mutualità senza fini di lucro e prossimamente si trasformerà in Piccola Cooperativa Sociale.

 

La Legge Smuraglia può incentivare il lavoro in carcere

 

La legge Smuraglia vi sta in qualche modo stimolando a portare lavoro in carcere?

La Legge Smuraglia può incentivare il lavoro in carcere se coincidono le disponibilità delle direzioni degli Istituti con quelle degli imprenditori decisi a provare questa strada.

A tal proposito noi, insieme ad un’altra Cooperativa Sociale di Roma, la Sintax - error, stiamo proponendo dei progetti agli Istituti romani da realizzare all’interno. In particolare sono tre:

impaginazione di testi scolastici per bambini ipovedenti;

formazione professionale di personale da cucina, in particolare cuochi, pastai e panificatori;

laboratorio interno per la produzione di pane e pasta biologica.

 

Ci illustra un po’ meglio questi progetti, magari approfondendo la questione legata al reinserimento?

Per i progetti di impaginazione e del laboratorio biologico (dati anche i tempi un po’ lenti della burocrazia carceraria) abbiamo presentato anche richiesta di finanziamento con la Legge Bersani, sulla riqualificazione delle periferie, per laboratori esterni dove inserire detenuti e/o ex detenuti

I percorsi d’inserimento lavorativo costituiscono l’asse portante dell’intero processo produttivo d’ogni impresa sociale. Progetti come questo, indirizzati a produrre beni e servizi per altre persone svantaggiate, oltre a favorire lo sviluppo dell’impresa contribuiscono ad incrementare la consapevolezza umana e sociale delle persone che vi partecipano, nonché al miglioramento della comunità sociale tutta. L’obiettivo è costruire strutture dove possano confluire persone escluse dal ciclo produttivo: detenuti in misure alternative ed ex-detenuti, che attraverso interventi adeguati possano costruirsi un percorso formativo indirizzato ad un inserimento concreto e duraturo, come anche proporsi essi stessi come creatori d’imprenditoria sociale.

Ne consegue che l’ottica in cui ci si muove non è solo di recupero, ma anche di prevenzione e crescita. Mirata sia a proteggere sia a stimolare, tenendo conto che spesso le persone che escono dal carcere (sia in misure alternative che per fine pena), si trovano ad affrontare esperienze lavorative non qualificate. Ne risulta che la finalità principale sia la valorizzazione delle competenze relazionali e professionali delle persone incluse in questo progetto.

 

Tornando per un attimo alla Legge Smuraglia, vi avvalete degli sgravi fiscali previsti da tale normativa e quali criteri retributivi applicate ai vostri dipendenti?

Attualmente la Cooperativa Blow Up si avvale del credito d’imposta previsto da tale legge per una persona assegnata al lavoro esterno, con l’articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario; il contratto di lavoro che applichiamo è, per tutti, quello di Collaboratore Coordinato e Continuativo. I risultati fin qui ottenuti ci incoraggiano a continuare.

 

La formazione professionale è un altro capitolo importante che vale la pena tenere sempre ben presente, pena il rischio di non reggere alla concorrenza del mercato del lavoro: effettuate corsi per preparare il personale che avete alle vostre dipendenze o che andate ad assumere?

Siamo ormai alla quinta esperienza nella realizzazione del Progetto (articolo 127 del D.L. 309/90) riguardante un corso d’informatica in funzione del reinserimento sociale e lavorativo di persone in esecuzione penale esterna (ex articolo 47 bis) per la durata di un anno.

Tale corso si realizza attraverso una convenzione col Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria – Centro Servizi Sociali per Adulti, ed il Progetto prevede l’utilizzo di sei docenti di cui tre svantaggiati ai sensi della Legge 381/91.

I risultati fin qui ottenuti ci incoraggiano a continuare: dal corso del primo anno alcune persone sono state integrate in qualità di soci della Cooperativa e sono programmatori ormai esperti che offrono collaborazione anche ad altre aziende; in questi anni nei corsi si sono messi in evidenza alcuni ragazzi che, grazie alla partecipazione a stage esterni, sono riusciti a perfezionare le loro conoscenze informatiche, che hanno consentito o consentiranno il loro reinserimento lavorativo.

Ci sembra importante ricordare che diverse altre persone, pur non riuscendo a trovare collocamento nel settore informatico, sono state indirizzate al lavoro in altri ambiti professionali.

 

A proposito di Enti locali, riuscite a lavorare in sinergia e in quale modo avviene la collaborazione?

La collaborazione è abbastanza buona, avviene tramite conoscenza diretta della nostra esperienza o presentando progetti specifici. Risulta per noi fondamentale riuscire a dare visibilità alle nostre esperienze, cercando di proporle ad altri Enti pubblici come ASL, circoscrizioni, DSM (Dipartimento di Salute Mentale), etc., in quanto alla luce dei fatti risultano strumenti efficaci al fine di combattere concretamente l’emarginazione e dare un’opportunità a persone provenienti dal carcere e dalle comunità. Un’opportunità che può essere concessa anche ad altre persone rimaste escluse dal ciclo produttivo e scolastico, a cui le Istituzioni possono dare risposte ed aiuto concreto attraverso il sostegno a realtà del terzo settore, come la nostra, che lavorano con tenacia e determinazione in questa direzione.

 

Infine il bilancio, i numeri: quante persone provenienti dall’area penale sono "passate" dalla vostra Cooperativa nel corso degli anni e con quale percentuale di successo riferita al reinserimento?

Tra tutte le persone provenienti dal carcere che in questi anni si sono incontrate con la nostra esperienza, circa 50, la percentuale di persone che sono state riarrestate è molto bassa, intorno al 6%, e come bilancio ci sembra veramente incoraggiante.

 

 

 

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