Scuola scrittura

 

Piccolo vademecum per chi vuole scrivere sul carcere
e fare informazione dal carcere

 

I toni asciutti ed essenziali del racconto sono sempre più efficaci degli "sfogatoi"

 

Quelle che seguono sono considerazioni che proponiamo alla discussione di chi, detenuti e operatori, ha voglia di occuparsi di informazione dal carcere. Se protestiamo, e quasi sempre a ragione, perché i media parlano poco e male di carcere, allora dobbiamo essere anche capaci di vedere come ce ne occupiamo invece noi, "addetti ai lavori", noi che il carcere lo conosciamo ma non sempre sappiamo comunicare con chi sta fuori. Noi che ci dibattiamo tra rischi di censura, autocensura, voglia di sfogarci, e non sempre riusciamo a trovare il tono giusto per arrivare ai nostri lettori.

 

La Redazione

 

 

  1. Scegliere temi connessi alla realtà della detenzione: possono essere le esperienze precedenti l’arresto (la devianza, la tossicodipendenza, l’immigrazione, etc.), problemi interni al carcere (la salute, il rapporto tra detenuti e con gli operatori, il lavoro, etc.), oppure legati al reinserimento (le relazioni con i famigliari, l’accesso ai benefici, le difficoltà del dopo - carcere, etc.).Su questi argomenti è probabile che i redattori - detenuti abbiano cose più originali da dire, rispetto ad un "normale" giornalista esterno al carcere, quindi devono sfruttare la propria conoscenza della materia per catturare l’interesse dei lettori.

  2. Tra i toni della denuncia urlata e quelli del lamentarsi continuo, meglio scegliere una terza via: i toni asciutti ed essenziali del racconto dei fatti sono sempre più efficaci degli sfogatoi o delle sbrodolate come certe invettive contro i politici, tipo "i signori politici che non si interessano mai di carcere…". Imparare poi a fare delle distinzioni: i politici, per esempio, non sono tutti uguali, e non serve a nessuno una accusa generica, meglio dire chi e in quale circostanza ha dimostrato questo totale disinteresse al carcere.

  3. Ricordarsi sempre di chi sono i propri lettori: se si pensa che a leggere il giornale siano detenuti, operatori, ma anche cittadini comuni con qualche interesse per il sociale, si devono evitare i linguaggi troppo specialistici, spiegare i termini tecnici (per esempio, "attività trattamentale" e "sintesi": un lettore comune non capirà mai, se non glielo spieghiamo, il significato che hanno questi termini nella realtà carceraria). Il linguaggio poi non deve essere troppo ricercato, tanto per far vedere come si è bravi. Le biblioteche sono piene di trattati sul carcere, scritti da giuristi, sociologi e via dicendo. Da un detenuto ci si aspetta altro, cioè che racconti con la testa e col cuore quello che sta vivendo ed i pensieri che la sua esperienza gli suggerisce.

  4. Partire dall’esperienza individuale per introdurre i lettori a problematiche di carattere collettivo. I "racconti di vita" suscitano emozione e curiosità (che, davanti al "caso singolo", corrono il rischio di trasformarsi in compassione, un sentimento nobile ma spesso sterile). Invece se tra le righe del racconto personale si possono riconoscere problemi comuni, o almeno condivisi da un gruppo di persone (ad esempio i tossicodipendenti, gli stranieri detenuti etc.), è più facile che il lettore sia indotto a riflettere, a porsi domande, a ricercare possibili soluzioni. Va comunque evitata la personalizzazione eccessiva, con racconti di vicende che hanno a che fare con la posizione giuridica delle persone, il loro rapporto con magistrati e avvocati, eventuali conflittualità con operatori penitenziari: un caso personale, naturalmente verificato, deve esclusivamente servire ad affrontare un problema, non ad aprire una vertenza del singolo, a meno che non si decida insieme che va fatta una denuncia precisa di una situazione insostenibile (esempio: una redazione può far propria la denuncia di un detenuto che chiede la chiusura del reparto bunker dell’ospedale, dopo aver vissuto sulla propria pelle il degrado di tali spazi).

  5. Prima di scrivere un articolo di "cronaca" bisogna documentarsi, raccogliere informazioni (da tutte le fonti possibili), studiare un po’ la materia. La lettura delle rassegne stampa sul carcere può essere un valido aiuto per spunti di discussione e di approfondimento. A maggior ragione è importante documentarsi se si vuol fare un articolo di denuncia, che deve essere preciso e argomentato, altrimenti risulta inefficace perché poco credibile. In ogni caso, negli articoli bisogna imparare ad usare il condizionale e gli avverbi dubitativi, ed evitare le affermazioni drastiche.

  6. Dare agli articoli un taglio prettamente "sociale", evitando di scivolare sul terreno delle ideologie, dove si corre il rischio di discutere all’infinito senza approdare ad alcun risultato. Un atteggiamento privo di pregiudizi appare coerente con la propria condizione di detenuti: se vogliamo che la società non ci discrimini noi per primi dobbiamo astenerci dal fare discriminazioni.

  7. Evitare gli articoli generici, con delle "tirate" inutili su temi come il lavoro in carcere o la rieducazione, tutte teoriche: se si parla di un argomento come il lavoro, meglio raccontare attività concrete, precise, interessanti perché "esportabili" da un carcere a un altro. Oppure novità in campo legislativo, o ancora segnalazioni di esperienze attraverso la voce dei protagonisti stessi.

  8. Sui problemi più complessi è molto utile una discussione preliminare in redazione, prima di mettersi a scrivere. Ed è utile poi organizzare i propri materiali in una scaletta, e non scrivere a getto continuo, per non costringere il lettore a inseguire faticosamente nel suo disordine mentale chi scrive un articolo, che dovrebbe invece informarlo e chiarirgli le idee.

  9. Vanno evitate assolutamente le generalizzazioni, che piacciono sempre molto e apparentemente sembrano molto efficaci: in realtà, dire "Tutti i corsi di formazione in carcere sono slegati dai possibili sbocchi lavorativi" è un falso, dire "Molti corsi di formazione…" è vero e condivisibile.

  10. Nella scelta dei libri da recensire, vanno privilegiati i libri che hanno a che fare col carcere o con il disagio: non per una attenzione "monomaniacale" al carcere, ma perché è difficile che un lettore sia interessato alla recensione di un romanzo, fatta da un dilettante, è invece possibile che lo sia, se questo recensore dilettante conosce però meglio di chiunque altro la materia trattata nel libro.

 

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