Posta celere

 

Cosa direi a un giovane spacciatore

Ma io, 39 anni, pluripregiudicato per spaccio, con condanne che

devono ancora andare esecutive, potrei permettermi di dirgli qualcosa?

 

di Alessio Guidotti

 

È sabato pomeriggio. Ricordo i sabati pomeriggio di tanti anni fa, 23 per l’esattezza. A quell’epoca ero un adolescente impulsivo e ribelle, il sabato pomeriggio era il giorno migliore perché si facevano parecchi soldi spacciando il fumo, tra noi spacciatori alle prime armi dicevamo che il sabato “fumano pure i muri”. Passavamo il pomeriggio a fare stecchette, lavoravamo come artigiani scrupolosi, sopra quelle saponette che trasformavamo in “stecche”. Avevo 16 anni, probabilmente è stata quella l’età in cui ho messo le basi per tutta una serie di scelte che poi mi hanno pesantemente condizionato la vita. Immagino che oggi, come 23 anni fa, ci sia qualche ragazzo che vede il sabato come “giorno di mercato”, magari per la coca che va di moda come una volta andava il fumo.

Sarebbe interessante trovarmi davanti ad un ragazzo di quella età, intento a preparare dosi, fare conti e gettare sguardi interrogativi alla bilancetta. Cosa gli direi? Sarei in forte imbarazzo, dico la verità, io: 39 anni, pluripregiudicato per spaccio, con condanne che devono ancora andare esecutive, potrei permettermi di dirgli qualcosa? Mi verrebbe spontaneo di dirgli di stare attento, e non alla polizia, ma al gioco che sta per fare. Gli direi di non permettere che il sabato diventi solo il giorno in cui qualcuno consuma qualcosa che lui ha, e va da lui per comprarla. Gli direi che il suo rischio maggiore non è quello di un arresto, quello è il minimo. Il rischio peggiore, che il mio interlocutore correrebbe, e di cui io mi sento in obbligo di avvisarlo, è di entrare in un meccanismo dove non ci saranno affatto boss con il sigaro in bocca e l’anello d’oro ad impedirgli di venirne fuori, ma solo la parte più fragile di se stesso, che però non gli permetterà più di dire di no e di fare delle scelte.

Gli direi, al mio giovane amico spacciatore, che non c’è nulla di peggio che proiettarsi a vivere pensando che il mondo e la vita siano basati sul criterio della compravendita, perché lui non lo sa ancora ma quando si vende una droga, qualunque essa sia, si entra nel vivo del peggiore dei rapporti umani: tu sei un prodotto e l’altro è un bene; tu gli dai la droga lui ti dà i soldi. Tu sei droga lui è soldi, e tutte le deformazioni mostruose di rapporti umani che nascono in questo contesto sono malformazioni vere e proprie che mischiano i sentimenti agli interessi, allora cambia la natura dei rapporti umani.

E al giovane spacciatore direi di stare attento perché questa logica del dare-avere finirà per dominare la sua vita, senza che lui se ne accorga, ed allora, sabato dopo sabato, giorno dopo giorno, lui finirà per affidare sempre maggiore importanza a quel mercato perché nella sua vita quella logica sta entrando a fare da padrona.

È possibile, poi, che lui viva anche l’illusione del gruppo, i “bravi ragazzi” uniti da uno stile di vita illegale e vincolati da solidarietà, sogni, illusioni, speranze: il gruppo servirà a dare forza a qualcosa che nasce dalla debolezza, il vincolo unirà i pochi che si affanneranno ad andare avanti, nella migliore delle ipotesi avrà, un domani, qualcuno con cui dividere l’amarezza di sogni buttati, qualcuno con cui si renderà conto che quel gioco, tanto ti dava e tanto ti levava.

Lo immagino, il mio giovane interlocutore, sorridere davanti a queste parole, alzare le spalle, ed essere convinto del fatto che io sono il classico galeotto che fa la predica al giovane pieno di vita, non mi farebbe male la sua reazione, se non per il fatto di ricordarmi le mie, perché anche io incontrai vecchi galeotti che mi facevano prediche simili. Devo ammettere che qualcuna l’ho ascoltata: o meglio, ho cercato di prendere quello che mi faceva più comodo, qualche consiglio l’ho seguito qualcun altro no. Ma è proprio quello che ho provato a seguire che non ripeterei ad un altro: non direi al giovane spacciatore “prendi questo treno che passa una volta sola, mettiti i soldi da parte, apriti un bar e fermati”, perché lo hanno detto anche a me, ma siccome conosco tutto quello che c’è di mezzo tra il dire ed il fare, siccome poi ho visto l’infelicità dentro al bar, al ristorante o la sala da gioco, allora questa idea che “fai il reato ti metti i soldi da parte e vivi come una persona normale” è una cosa così poco reale, di così infinito squallore vista nel suo complesso che non la ripeterei a nessuno. Ne ho viste troppe di queste storie per reputarle “consigliabili”, ho visto troppe vite, oltre la mia, partire a fare valutazioni in cui ci si illudeva di poter tornare a fare una vita “normale” quando di normale non si era mai fatto nulla, allora non puoi sperare che la “normalità” ti arrivi dal cielo. La “normalità” te la costruisci giorno dopo giorno, ci metti dentro la tua fantasia la tua a-normalità, e poi forse riesci a viverla.

 

Tanti giovani adolescenti, spacciatori alle prime armi, si distruggono nel giro di due anni

 

Al mio giovane interlocutore direi di pensare a questo: quanto di lui sta mettendo nel reato che sta per fare. Potrei ragionare anche in termini razionali, quelli del “gioco che vale la candela”, ma quando si ragiona in questi termini c’è un trucco: il valore di base che si dà alla candela. Quanto vale quello che si perde e quello che si ottiene? Quanto vale il tempo impiegato alla costruzione del “disegno criminoso”? Può impiegarlo diversamente il mio giovane amico in procinto di spacciare? Chi finirà per arricchire? In base alla mia esperienza, a fare una statistica casareccia, i primi a godere dei suoi soldi saranno: concessionari auto-moto, negozi di abbigliamento, ristoranti, oreficerie. Se poi andrà avanti, se dedicherà parte della sua vita al crimine, ed il crimine stesso lo avrà semimutilato affettivamente e mentalmente porterà soldi ad avvocati, libretti di risparmio che in momenti di crisi azzererà velocemente, e se sarà “abile” finirà anche per comprarsi qualcosa di “immobile” che dovrà intestare per forza a qualcun altro.

Io questo ragionamento, al mio giovane amico, lo farei a priori, perché il sogno di farsi casa e attività commerciale con i proventi del reato è il sogno piccolo-borghese di tutti i criminali (di età giovane o avanzata), ma nel caso del mio immaginario, giovane amico spacciatore sapendo che si “accontenterebbe di meno” (una moto, la macchina, una vacanza) avrei piacere di dirgli questo perché, nella logica in cui sta per entrare, il tiro si alza sempre, ogni volta che fai centro: quindi imparerà presto a desiderare e plasmare i suoi desideri e le sue necessità in base al gioco che sta imparando. Non è un bel gioco proprio per niente, ed ho fatto anche dei calcoli: nella maggior parte dei casi, tanti giovani adolescenti, spacciatori alle prime armi, si distruggono nel giro di due anni. Li ho visti con i miei occhi, i ragazzi di 18/20 anni tutti allegri perché vendevano 100 grammi di coca in una giornata, a dosi, farsi la Golf nuova, maneggiare un po’ di soldi, fare serate a donne e coca e finire ricoverati per infarto, con il naso distrutto o l’esofago lacerato.

Potrei raccontargli cose squallide come famiglie così devastate dalla brama di soldi che hanno letteralmente cresciuto (e distrutto) una generazione di spacciatori, figli e nipoti, perché quando i figli sono morti, per droga, hanno iniziato a far vendere ai nipoti. Potrei raccontargli che di solito se entri nella logica dare-avere un motivo per passare dal fumo alle polveri lo trovi. Ma il mio giovane amico spaccia droga leggera, ancora non conosce certi orrori, ancora farebbe in tempo a fermarsi. E poi non vorrei fare del terrorismo con le parole. Ma cosa mi direbbe alla fine? Di certo non butterebbe via tutto l’armamentario dello spaccio, ma può darsi che per un qualche motivo pensi un attimo a questo galeotto che gli ha fatto la predica. Lo spero, spero cioè che ci pensi oggi, o domani o tra un po’ di tempo, e non tra 23 anni dandomi ragione.

 

 

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