Editoriale

 

Il solco che divide quelli che stanno in galera,

e che rischiano di starci sempre di più, dai cittadini "incensurati"

 

L’articolo di apertura di questo numero lo dedichiamo a un tema particolare: come operare perché tutto quello che viene fatto per cambiare la condizione dei detenuti non resti un lavoro "per parrocchiette" (con tutto il rispetto per le parrocchie, che sono altra cosa), dove domina più la concorrenza sul mercato del bene che la voglia di mettere insieme le poche risorse che ci sono per sfruttarle meglio: Il concetto di base, su cui ci piace insistere, è quello che i risultati, quando si ha a che fare con il carcere, sono molto diversi se si lavora "con i detenuti" e non "per i detenuti". Sembra una sofisticata precisazione, e invece è una questione fondamentale: se guardiamo ai dati, sempre sconfortanti, della recidiva, siamo in tanti a pensare che comunque una soluzione, anche se parziale, è coinvolgere e responsabilizzare le persone che stanno dentro nel "prendere in carico se stesse", cioè cominciare a partecipare attivamente alla costruzione, per sé e per gli altri, di percorsi di effettivo reinserimento, non delegando a nessuno, né agli operatori né al volontariato, il proprio destino. Una verità elementare, ma mai abbastanza praticata, se è vero, e a noi sembra che lo sia, che molti interventi per il carcere sono interventi "spot", che durano il tempo di un corso e muoiono per lasciar posto a un altro corso, a un altro spettacolo, a un’altra iniziativa benefica. E' anche vero, però, che la realtà esterna, e la politica, poco aiutano da questo punto di vista: mentre infatti in tanti inguaribili ottimisti, volontari e operatori sociali, ci affanniamo a lavorare per dare a chi esce dal carcere una prospettiva, seppur minima, di vita dignitosa, mentre andiamo pazientemente nelle scuole per parlare coi ragazzi, smuovere i loro pregiudizi e renderli più attenti a una realtà, come quella del carcere, costantemente relegata ai margini e allontanata anche dalla vista della società dei "regolari", in Parlamento si lavora invece per rendere ancora più profondo il solco che divide quelli che stanno in galera, e che rischiano di starci sempre di più, dai cittadini "incensurati".  La parola "incensurati" però la usiamo non a caso, perché vogliamo sottolineare che fuori ci stanno sì gli onesti, ma anche tanti furbi, e tanti ricchi disonesti con buoni avvocati, e le leggi che sono in discussione negli ultimi tempi rischiano di rendere ancora più pesante questa distinzione: perché si tratta di leggi che vogliono che dal carcere i recidivi escano sempre meno, ma i recidivi per la gran parte sono i tossicodipendenti, i poveracci che escono dal carcere e si trovano sulla strada,  tutte quelle persone che fuori, nel mondo "normale", non hanno risorse. Se, invece che lavorare per dargliela, qualche risorsa in più, si punta a tenerli in galera e basta, non si vede poi, alla loro uscita (perché usciranno prima o poi, e questo è il caso di ricordarlo sempre a tutti), quale sicurezza in più possa trovare una società che per difendersi costruisce solo improbabili barricate.

 

 

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