I ricomincianti

 

Non lasciateci soli… Cerchi un lavoro e ti chiedono: "Hai precedenti penali?". Questo significa essere già penalizzati, quindi non siamo uguali agli altri neanche dopo un percorso rieducativo

 

di Patrizia Tellini

 

Nella rubrica che curiamo per il settimanale Vita e nell’ultimo numero di Ristretti Orizzonti abbiamo pubblicato la lettera di Silvano Lanzutti, detenuto a San Gimignano, che parlava delle ansie e dei disagi che accompagnano l’uscita dal carcere. Quella che segue è la risposta di Patrizia, che vive il suo "dopo carcere" lavorando per il Comune di Empoli e che ora sta faticosamente affrontando il "percorso a ostacoli" che chi esce a fine pena si trova inevitabilmente davanti.

 

La Redazione

 

Sono una ex ospite della struttura a custodia attenuata femminile di Empoli, da due anni nella fase di reinserimento. Mi occupo della redazione esterna del giornale del carcere Ragazze Fuori e consulto molto da vicino il sito Internet www.vita.it, dal quale traggo i necessari approfondimenti per le rubriche di cui mi occupo nel giornale. Ho letto con attenzione l’articolo di Silvano Lanzutti detenuto nel carcere di San Gimignano, il quale affronta la paura del reinserimento senza i giusti strumenti, a partire dalla sensibilità della società stessa nell’accoglienza. In realtà, il "dopo carcere" è il momento più importante della persona, perché se non si ha un progetto individuale per affrontare l’esterno, diventa tutto molto discutibile. Personalmente non ho ottenuto molte risposte dalla mia precedente carcerazione prima di arrivare alla custodia attenuata di Empoli.

Anch’io ho conosciuto i circuiti ordinari di grande capienza, come Rebibbia femminile e molti altri, e confesso che non sono riuscita a riflettere sulla mia tossicodipendenza e sui reati correlati a essa. Infatti, dopo i primi lunghi 6 anni di carcere, ho provato a cercare un lavoro, ma fui licenziata dopo neanche un mese, perché "qualcuno" portò in quella ditta il mio fascicolo e mi mandarono via. Quindi capisco le parole di Silvano, perché se un qualsiasi datore di lavoro non è sensibile e non vuole dare almeno una possibilità a chi ha avuto un disagio e lo ha, comunque, pagato, trovare una semplice occupazione diventa difficile.

Purtroppo, le domande che andiamo a presentare, per concorsi, o per entrare in cooperative, non necessariamente sociali, e aziende private, hanno alla terza voce la fatidica frase: Hai precedenti penali? Se sì, descrivere quale tipo di reati al punto B. Questo significa essere già penalizzati, quindi, non siamo uguali agli altri neanche dopo un percorso rieducativo. Inoltre, dopo un fine pena, arrivano le multe per le spese processuali, pari a cifre dei nostri sogni, tipo 16.000,00 euro, da pagare entro 60 giorni. Sono fastidi in più, perché anche se sei in affidamento lavorativo e quindi limitato da varie regole che il beneficio comporta, devi pagare la multa, in qualche modo. Adesso esiste il lavoro sostitutivo, che ho sperimentato, che ti permette di estinguere la multa con un impegno di volontariato presso Enti o Associazioni per un’ora al giorno, senza la sorveglianza speciale, le firme, il ritiro della patente o del documento di identità, il non poter uscire dal Comune di residenza. Tutte misure che limitano la persona alle prime armi con la ritrovata libertà. Anche all’estero non è lecito andare, se prima non sono trascorsi i 5 anni di riabilitazione che permetterà di poter tornare anche a votare, se non si ha un’interdizione perpetua, per esempio, applicata per reati legati alla criminalità organizzata.

Silvano, posso dirti che a Empoli ho avuto la possibilità di costruire con gli operatori un vero progetto di vita. Il mio percorso di recupero non si è svolto solo a Empoli, ma anche in Comunità, realtà che disconoscevo. Al momento dovuto, dal giornale Ragazze Fuori sono nati due posti di lavoro per scrivere il giornale dell’Amministrazione Comunale, Empoli. Oggi è il mio lavoro e ringrazio sempre tutti coloro che hanno creduto in questo progetto e nella mia scelta di cambiamento, fondamentale per vivere una vita diversa. Tutto dipende anche da noi; però è giusto dire che, se la persona dimostra la volontà di cambiare, ci vogliono gli strumenti per non restare soli, in mezzo a una strada. La vita di tutti i giorni è dura; sono molte le responsabilità, ma basta avere fiducia in noi stessi che tutto diventa più concreto e affrontabile. Per questo vorrei che le autorità della Giustizia pensassero a seguire da vicino i detenuti, senza ritenerli incapaci di recuperarsi, dando loro la dovuta dignità a partire dall’interno degli istituti; i giusti spazi per permettere il cambiamento, aiutando così gli ospiti, a costruire una nuova vita. Tutti noi, gli ex e quelli che ancora oggi devono pagare il debito con la giustizia, sperano in un futuro, hanno dei sogni, vogliono sentirsi liberi dentro il loro cuore. Non lasciateci soli e non dimenticateci…

Dopo carcere, un percorso ad ostacoli

 

In misura alternativa fai i conti con te stesso, ogni giorno la tua pazienza è messa alla prova e non puoi permetterti alcuna valvola di sfogo

 

di Francesco Morelli

 

Dopo carcere: un percorso ad ostacoli. Questo non doveva essere il titolo di un articolo, ma di un questionario da sottoporre - somministrare, dicono gli esperti, quasi fosse una medicina - alle persone in misura alternativa e agli ex detenuti che avrei incontrato a Venezia: uno dei tanti progetti (troppi…) da realizzare durante un permesso di 15 giorni, due settimane full immersion nella cosiddetta area penale esterna, il luogo spazio-temporale dove dovrebbe realizzarsi il reinserimento sociale dei detenuti.

Poi, in realtà, il questionario non l’ho "somministrato" per mancanza di tempo, o meglio perché, fin dal primo giorno, mi sono accorto che c’erano tante altre cose da fare, ben più urgenti. Dopo due ore nella sede del Cerchio, cooperativa che dà lavoro a 50 detenuti in misura alternativa, ti sei già reso conto che non si tratta di dipendenti "normali" e quel numero, che sembrerebbe piccolo, in realtà è enorme: tre linee telefoniche non bastano a ricevere tutte le chiamate che arrivano dai semiliberi e le loro richieste riguardano, oltre alla normale organizzazione del lavoro, una infinità di problemi personali, di incombenze burocratiche da soddisfare, e altro ancora.

Il motivo di questo ingolfamento è chiaro: attraverso l’ambito del lavoro passano la maggior parte delle possibilità di relazione dei detenuti in misura alternativa. Per avere un’informazione, o un certificato, manca il tempo di rivolgersi altrove e, a volte, manca anche l’autorizzazione a recarsi negli uffici pubblici. Ci sono molte persone, poi, che davvero non sanno come muoversi, in particolare gli stranieri, a volte finiti in carcere subito dopo l’arrivo in Italia.

Così la cooperativa diventa il punto di riferimento più naturale: alcuni problemi possono essere risolti, altri rimangono aperti, anche perché per dare parecchie di queste risposte servirebbero le competenze di un avvocato, non di un impiegato amministrativo.

Pure io ho potuto fare poco, in pratica solo riprodurre alcune istanze che si usano anche dentro il carcere e fornire qualche indicazione di massima. In compenso ho raccolto tante piccole storie che, messe assieme, possono far capire meglio cos’è la vita di una persona per metà libera e per metà detenuta.

 

Per Gianni Trevisan, presidente della cooperativa, il dipendente ideale è quello che ha una pena molto lunga "se trovo un ergastolano - si bacia la mano, prima sul dorso e poi sul palmo, in maniera eloquente - sono sicuro che righerà dritto, perché ha troppa paura di tornare dentro". Ed ha ragione, ma quello è "il suo" punto di vista (pur scherzoso e bonario). Io vedo la situazione dalla prospettiva di chi deve rigare dritto per forza e non sono altrettanto entusiasta: finché sei detenuto "a tempo pieno" hai poco da preoccuparti, c’è l’istituzione che pensa a regolare ogni singolo momento della tua giornata.

Invece in misura alternativa fai i conti con te stesso, ogni giorno la tua pazienza è messa alla prova e non puoi permetterti alcuna valvola di sfogo. Il normale stress da lavoro, i litigi, le delusioni, le vivi pure tu, come qualsiasi altra persona, però stai espiando una pena e devi già ritenerti fortunato di poterlo fare uscendo dal carcere durante il giorno. Non hai diritto di lamentarti, di protestare, di prendertela con qualcuno. Ecco, la vita da semilibero corre sul filo teso tra questa consapevolezza e l’umana reattività agli eventi negativi. Devi fare l’equilibrista.

 

Piccole storie di vita da detenuti, semiliberi, ex detenuti

 

A. è riuscito a correre su questo filo per sei anni, sta per terminare il periodo in affidamento ai servizi sociali e intende rimanere a Venezia anche dopo il termine della pena. Viene dalla Sicilia, da dove ha preferito stare lontano per sottrarsi "a una mentalità antica, che non ti lascia scampo". Ha una moglie, che ha condiviso con lui questa scelta e che ha tirato avanti da sola quando lui era in carcere. Oggi lavorano entrambi come operai, hanno due bambine, vivono in un appartamento in affitto. Ce l’hanno fatta.

 

M. è in semilibertà, ha un passato di tossicodipendenza e, oltre a lavorare in un’impresa di pulizie, deve assistere il marito, che ha le gambe amputate a causa del diabete. Corre tutto il giorno: dal carcere a casa, da casa al lavoro, dal lavoro di nuovo a casa finché, alle 21.30, rientra in carcere. Il suo bisogno più urgente è quello di riottenere la patente di guida, che le hanno revocato quando usava droga. Con la macchina arriverebbe al lavoro (che è fuori Venezia) con più calma e potrebbe pure trascorrere "ben" due mezzore in più a casa.

 

C. viene dalla Colombia, ha fatto da corriere della droga e si è preso otto anni. La sua famiglia non è poverissima, ha una barberia, ma lui voleva un po’ d’indipendenza ed è andato a lavorare come barman in città. A 18 anni era già sposato e padre. Oggi ha 25 anni, è semilibero, e manda alla moglie in Colombia ogni euro che riesce a risparmiare. Spera nell’espulsione prevista dalla Bossi-Fini, ma con il suo reato non è possibile averla. Quando gliel’ho detto non se l’è presa… "l’importante è mandare i soldi a casa: i miei genitori non sanno che sono in carcere, pensano che sia qui solo per lavoro".

 

Anche V. pensa soltanto al suo lavoro, fa la sarta nel laboratorio della cooperativa. Lei è rumena, è stata accusata di aver fabbricato dei documenti falsi per far entrare clandestinamente in Italia dei sui connazionali. L’hanno condannata a 8 anni, in contumacia, arrestata in Ungheria e trasferita in Italia a scontare la pena. In Romania ha 4 figli, dai 15 anni in giù. Vivono da soli e la maggiore fa da mamma agli altri tre. V. riesce a mandare loro 500 euro al mese, il triplo dello stipendio che le dava il governo rumeno.

 

L. ha terminato la pena da quasi due anni; è perfettamente inserito, in cooperativa ha un ruolo di responsabilità e il Comune gli ha dato un alloggio in affitto. Viene dalla Nigeria ed è finito nei guai con la giustizia davvero per "un incidente di percorso". Tutti quelli che lo conoscono sono concordi nel dire che ha una mentalità da "regolare". Lui è un po’ incazzato con le norme sull’immigrazione: il permesso di soggiorno glielo hanno dato soltanto quando si è sposato con un’italiana. "Ma come, fino a ieri ero un delinquente e non mi davano il permesso… ora che mi sono sposato non sono più un delinquente?!". Non gli ho detto che, dopo le ultime modifiche, la legge sull’immigrazione prevede l’espulsione per tutti gli stranieri pregiudicati, che siano o meno sposati con cittadini italiani… lui si è messo in regola prima del cambiamento della legge: è un "fortunato".

 

P. è pure lei ex detenuta, lavora in sartoria ed è molto brava, ma è brava anche perché è riuscita ad uscire da 10 anni di tossicodipendenza "dura". Il suo bisogno maggiore è di avere una casa, un posto tutto suo. Adesso è alloggiata in un istituto religioso; deve suonare il campanello sia per entrare che per uscire. Mi sento di dirle "brava" per la terza volta; io non sopporterei a lungo una simile condizione, soprattutto se avessi terminato la pena.

 

In questa carrellata ho parlato soprattutto degli stranieri, perché sono le persone che hanno maggior bisogno di essere sostenute, anche nell’area penale esterna, non soltanto dentro il carcere. C’è un episodio emblematico, oltre che divertente, che mi è capitato con una semilibera straniera.

La sera rimanevo in ufficio fino a tardi e, una volta, sento bussare verso le 21.00. C’è R. che già conoscevo (le ho fatto delle richieste per riavere la patente di guida) e con lei c’è F., una ragazza sui 25 anni. Hanno visto la luce accesa e, poiché dovevano rientrare in carcere alle 21.30, hanno pensato di fermarsi per chiedere un’informazione (il carcere femminile dista 5 minuti, a piedi, dalla sede della cooperativa).

F. ha una multa e vuole convertirla in libertà vigilata, ma io non posso fare molto: le spiego che la richiesta di conversione deve partire dalla Procura, lei può soltanto scrivere al procuratore, dicendo che non ha i soldi per pagare questo debito con lo Stato.

Lei non è molto convinta, comunque il discorso finisce lì, perché devono rientrare al carcere. Il giorno dopo, alle nove di mattina, R. mi telefona in ufficio e mi fa: "F. oggi è rimasta dentro, perché è il suo giorno di riposo, però mi ha detto di chiederti una cosa. Vuole sapere se tu sei disposto a sposarla". Io penso a uno scherzo e mi metto a ridere, ma lei aggiunge: "Guarda che fa sul serio, stasera devo portarle la tua risposta!".

Le faccio: "Dille di non prendersela, ma io sono già impegnato… per una ventina di anni, ancora… poi, semmai, ne riparliamo".

Credo che F. non abbia apprezzato la mia ironia, forse non le andava di scherzare perché a febbraio finisce la pena, l’aspetta l’espulsione e al suo paese non sono molto cordiali con chi viene rimpatriato con il marchio di delinquente.

 

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