Progetto Giovani

 

Com’era la tua vita prima di entrare in carcere?

 

Giovanna, studentessa "libera", e Andrea, detenuto da più di sette anni, parlano di carcere, amici che restano, amici che spariscono e altro…

 

di Andrea Andriotto e Giovanna Gasparello

 

 Giovanna: Com’era la tua vita prima di entrare in carcere?

Andrea: Allora... avevo 21 anni… e vivevo nella normalità dei ventunenni… la mia vita era più o meno uguale a quella di molti altri miei amici…

Giovanna: A proposito di amici, sei riuscito a mantenere le amicizie che avevi prima di entrare in carcere?

Andrea: Alcune… quelle più forti. Anche se, ovviamente, vivendo in una realtà di paese, tra persone che con il carcere non avevano niente a che vedere, tra persone, molte delle quali potrei dire che erano a favore della pena di morte (come lo ero anch’io)… beh, diciamo di sì, anche se alcuni contatti sono ripresi dopo un primo momento di allontanamento, ma era un allontanamento… un allontanamento dovuto all’effetto "shock"…

Giovanna: Ma hai ancora contatti con loro dopo tutti questi anni di carcere?

Andrea: Come ti dicevo, alcuni si sono fatti vivi dopo qualche mese, qualcun altro dopo qualche anno. Ancora oggi, dopo più di sette anni, mantengo i contatti, anche se molto sporadici, con qualche vecchio amico, mentre altri non li sento più direttamente, qualcuno mi manda i saluti tramite amici in comune o tramite i miei famigliari. Però spero che un giorno per alcuni di quei vecchi amici mai più sentiti basterà un "fischio" per ritrovarli… io non li ho mai più cercati, loro nemmeno, ma mi piace pensare che si tratti di quelle amicizie così… quelle che ritrovi nei momenti inaspettati, e penso che in certi casi è giusto sia così.

 

L’amicizia che supera i muri del carcere cambia inevitabilmente…

 

Giovanna: Ma come cambia un’amicizia quando ci si mette di mezzo un vetro?

Andrea: Beh… l’amicizia che supera i muri del carcere (avvalendosi del Servizio Postale, ovviamente), cambia inevitabilmente… a volte forse rafforzandosi. Non c’è più quel rapporto basato sulla quotidianità, sulle cose condivise giorno per giorno, ma credo che scrivendo sia più facile essere sinceri, sia più facile approfondire certi argomenti, certi temi… così quegli stessi rapporti cambiati per cause di forza maggiore possono diventare ancor più profondi… forse sì, è vero: meno banali! Ovviamente, invece, quei rapporti che anche fuori "non valevano niente" si sgretolano definitivamente.

Giovanna: Mi sono sempre chiesta come sia non avere l’opportunità di conoscere gente nuova, dev’essere molto pesante… e suppongo abbia un peso, un impatto diverso quando conosci qualcuno di nuovo, diverso da come sarebbe in una dimensione normale… allora, cosa significa l’arrivo in carcere di una persona esterna alla realtà in cui sei abituato a vivere? Qualcuno che non fa parte del mondo del carcere né dei vecchi amici?

Andrea: Da questo punto di vista posso considerarmi un privilegiato, perché lavorando nella redazione di Ristretti ho la possibilità di incontrare gente esterna quasi tutti i giorni… certo, è vero che anche gli esterni sono più o meno sempre gli stessi.

In ogni caso l’impatto iniziale, almeno per me, non sembra cambiato più di tanto. Credo però che di molto diverso ci sia la fase successiva, quella di un possibile approfondimento, del mantenimento del rapporto… sì, perché il rapporto si alimenta in modo totalmente diverso… E questo è solo un altro caso in cui il rapporto nato e cresciuto con il carcere di mezzo non è mai come i rapporti in situazioni normali… e sto pensando a tutti i tipi di rapporto, da quello d’amicizia, a quello di lavoro e qualsiasi altro tipo. Tutto è un po’ diverso, in un modo o nell’altro tutto un po’ distorto. Poi… occhio a generalizzare, questa ovviamente non è la regola, è solo il mio punto di vista. E so anche che c’è chi vorrebbe smentirmi subito.

 

Io trovo che il rapporto tra detenuti all’interno del carcere sia solo un rapporto di convenienza…

 

Giovanna: Cosa significa passare tutti i giorni con le stesse persone, quale rapporto si instaura con i compagni di cella o con coloro con cui condividi la quotidianità del carcere?

Andrea: Io trovo che, nella maggior parte dei casi, il rapporto tra detenuti all’interno del carcere sia solo un rapporto di convenienza… convenienza legata alla sopravvivenza. Anche la stessa solidarietà tra detenuti a volte, forse spesso, non è una solidarietà spassionata, ma di convenienza… la convenienza che ti garantisce il quieto vivere.

Poi è normale, è frequente che tra "disperati" si istaurino anche vere e proprie amicizie basate sui principi più profondi. Io stesso, come chissà quante altre persone, ho avuto modo di frequentare ed affezionarmi a persone che ritengo amiche, anche se alcuni per fortuna non sono più in carcere.

Giovanna: E se c’è uno che non riesci a sopportare, puoi riuscire a far finta di nulla?

Andrea: Certo, si può benissimo far finta di non conoscerlo… anche se secondo me la politica adottata da più di qualche detenuto è quella del "prima o poi si può aver bisogno di tutti" e comunque, sempre per la solita teoria del "quieto vivere", da come la vedo io, un "buon giorno… buona sera" non si nega a nessuno.

Poi, è ovvio che se una persona ti sta sulle palle… non devi far altro che evitarla, pur, a volte, continuando a frequentare gli stessi spazi. Ma in fondo è un po’ così fuori, quando sei costretto a condividere lo spazio di lavoro con persone che non sopporti… Cosa fai? Non è che puoi litigare tutti i giorni… ti crei il tuo spazio e lasci l’altro nel suo.

 

È difficile che una relazione non si deteriori...

 

Giovanna: E i rapporti affettivi? I rapporti con i famigliari? Con una persona che amavi? Insomma, può continuare ad esistere un rapporto "d’amore", di coppia, nonostante il carcere?

Andrea: Questo è un altro argomento soggettivo, perché dipende sempre dalle persone, da quella che sta fuori e da quella che sta dentro, dal periodo di separazione, per quanti anni il carcere "interferisce" nel rapporto. Io, per certi versi, a volte mi rendo conto di non essere poi così tanto idealista e penso che non sia un cazzo vero che l’amore supera tutte le barriere.

Ok… è vero, non bisogna mai generalizzare … ma, soprattutto quando ci si mette di mezzo una lunga pena da scontare, è difficile che una relazione non si deteriori, perché, al contrario di certi altri rapporti, questo ha bisogno della quotidianità e non si può nutrire solo con carta e penna e un’ora di colloquio a settimana.

Ma di affettività si è parlato molto, forse addirittura troppo, tanto da far pensare alle persone estranee al carcere, e non solo a loro purtroppo, che "affettività in carcere" sia un eufemismo per dire "sesso in carcere"… E se è vero che si contano sulle dita di una mano i detenuti che, avendone la possibilità, preferirebbero passare due ore mano nella mano con la propria compagna anziché far sesso lontano da occhi indiscreti, è altrettanto vero che un detenuto non ha bisogno solo del sesso, ma di tutto quello che gira attorno al sesso. Perché un uomo… una persona ha bisogno di sentirsi ammirata, cercata… valorizzata… capita… ascoltata… coccolata… amata.

E quella famosa ora di colloquio a settimana, trascorsa in una sala gremita di gente e guardati a vista da occhi molto indiscreti, non può far niente in questo senso, non può far niente per far sì che una persona si possa sentire… persona. E questo non lo sto dicendo solo per il "povero detenuto delinquente che merita di stare in galera", ma penso anche e soprattutto a quelle persone che stanno fuori, alle persone che sono legate sentimentalmente a quel detenuto.

Affettività poi significa anche rapporto genitori detenuti-figli oppure figli detenuti-genitori … ma questo è un altro argomento e sarebbe bello sentire il parere di qualche altra persona, magari non detenuta. Magari una di quelle tante persone ancora convinte che le carceri italiane siano degli hotel a 5 stelle solo perché a volte 8-10… 12 o addirittura 14 persone, chiuse in uno spazio che potrebbe essere equiparato a un ripostiglio di un hotel ad 1 stella, litigano per guardare la televisione a colori…

 

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