Editoriale

 

La buia notte del carcere

 

Che la notte che incombe sul mondo del carcere sia sempre più buia lo abbiamo capito bene leggendoci i testi delle proposte di legge sull’indulto e sul cosiddetto indultino. Due sono le semplici considerazioni che vogliamo fare in proposito, comunque vada a finire questo triste dibattito:

per quel che riguarda l’indultino, viene presentato come una specie di atto di clemenza quello che invece dovrebbe essere nella maggior parte dei casi il regolare percorso carcerario delle persone detenute: la semplice verità è infatti che già con l’attuale quadro normativo chi ha una condanna a pena inferiore ai tre anni non dovrebbe stare in carcere. C’è infatti la legge Simeone - Saraceni, che prevede una sospensione della pena in attesa di affidamento e pure la detenzione domiciliare (per chi abbia un alloggio, naturalmente). Per i tossicodipendenti c’è la possibilità di sospendere la pena e sottoporsi a un programma di recupero; c’è l’affidamento in prova ai servizi sociali per chi ha una pena fino a quattro anni (se tossicodipendente), o fino a tre anni (per chi non è tossicodipendente);

per quel che riguarda ambedue le ipotesi, indulto e indultino, una sola cosa è chiara: alla base di ogni discussione c’è la concezione che la sicurezza dei cittadini si garantisce unicamente con norme poliziesche, controlli feroci, un regime di vita da "sorvegliati speciali". E allora, si predispone un "ritorno alla vita libera" con obbligo ogni giorno di firma all’ufficio di polizia giudiziaria, rientro in casa alle nove di sera e uscita alle sette, e non c’è una parola sul fatto che più le persone che escono dal carcere hanno la possibilità di ricostruirsi una vita decente, meno rischi corrono i cittadini e il loro giusto diritto a vivere sereni. Su questo, sul fatto che è solo una qualità della vita accettabile che può far passare la voglia di tornare a commettere reati, non una virgola, mentre si sprecano fiumi di parole sul fatto che l’indulto non risolve nulla, perché a pochi mesi dalla sua concessione buona parte delle persone che ne hanno beneficiato torna a commettere reati e ritrova in fretta la via del carcere.

La notte sempre più buia delle carceri italiane è quella che bene descrivono Sergio Segio e Sergio Cusani nel loro appello per l’indulto, quando sostengono che è un vero e proprio sfascio di dignità e di legalità quello che avviene ogni giorno nelle prigioni "a causa del sovraffollamento, anzitutto; ma anche del restringimento delle misure alternative, della rigidità e disfunzionamento di molti tribunali di sorveglianza, della carenza di educatori e assistenti sociali sul territorio, della carenza assoluta di risorse che sostengano il reinserimento sociale e lavorativo, della carente attuazione del nuovo regolamento penitenziario, della non applicazione della legge sulle detenute madri, del mancato rifinanziamento delle legge Smuraglia per incentivare il lavoro dei detenuti nelle carceri e fuori, dell’ulteriore taglio nella Legge Finanziaria dei fondi per la sanità penitenziaria, ormai ridotta a pura parvenza, nonostante gli sforzi degli operatori".

Se le condizioni restano queste, che esca fra tre anni a fine pena o adesso grazie a un indulto, in ogni caso chi arriva dal carcere è quasi un miracolo se non ci ritornerà. Bisogna allora dire chiaro e tondo alla gente, che ha a cuore la propria sicurezza, che si rendono più sicure le città solo se si investe di più e si lavora meglio perché questo "miracolo" del reinserimento nella società di chi ha commesso dei reati diventi sempre più frequente.

 

La Redazione

 

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