Ornella Favero

 

"Persone dentro e volontari fuori"
Giornata nazionale di studi su volontariato penitenziario e informazione
Casa di Reclusione di Padova - 26 ottobre 2001

 

Ornella Favero

(Coordinatrice di "Ristretti Orizzonti")

 

Prima di tutto vorrei spiegare il senso di questa giornata. Io credo che sappiamo tutti che i convegni hanno delle "pesantezze", e già quando si vede un grande tavolo con tante persone intorno e si pensa che tutte quelle persone dovranno fare il loro "intervento", ci si sente affaticati, però io vorrei che voi tutti capiste il senso di fare un convegno qui, all’interno di un carcere. Allora io credo che il senso sia questo: noi pensiamo che i detenuti non debbano più farsi semplicemente "rappresentare" dal volontariato, o almeno delegare al volontariato la gestione di tutti i problemi, da quelli spiccioli, e ce ne sono tanti in un carcere, a quelli più grandi. Ecco, noi del Centro di Documentazione abbiamo proposto questa giornata per dire: no, vogliamo che non ci sia più questa delega, vogliamo lavorare perché i detenuti in prima persona si assumano un ruolo importante di informazione sul carcere, dal carcere e anche dentro il carcere. Credo quindi fosse assolutamente necessario fare questa iniziativa e farla dentro un carcere. Questo mi sembra un primo punto fondamentale, che spiega e che invita ad accettare certe fatiche e pesantezze di un’intera giornata qui dentro, per fare questo passo avanti, che ci permetta di definire meglio un possibile ruolo dei detenuti, in collaborazione col volontariato, nel campo dell’informazione.

Un secondo punto riguarda il perché abbiamo scelto questo tema. Io vorrei partire da un discorso forse cattivo, perché noi che lavoriamo qui a Padova nel campo dell’informazione dal carcere siamo dei volontari anche cattivi in certe cose. Vorrei partire da una breve citazione di uno scrittore che è qui presente e che più tardi interverrà, Edoardo Albinati, che parla di volontari concorrenti tra loro sul mercato del bene. credo che questo sia uno dei limiti che noi vorremmo cominciare a superare. Noi, che siamo forse "forzatamente" volontari, perché in carcere non c’è altro modo di intervenire se non si è operatori penitenziari o insegnanti, siamo in molti in questo ambito ad essere stanchi di questo, di essere concorrenti sul mercato del bene, e vorremmo cominciare a lavorare insieme con delle prospettive diverse. Io ritengo che questo sia fondamentale per fare dei passi avanti, perché in realtà, guardate, nel volontariato, bisogna dirselo chiaramente, succede che dentro a un carcere non ci si conosce neanche. Ognuno gestisce il suo piccolo orticello, e probabilmente tutti operano bene; cioè facendo un lavoro enorme e importante. Il problema è come uscire da questi orticelli.

E’ per questo che noi abbiamo puntato ad un discorso preciso: agire soprattutto sul tema dell’informazione, perché in una struttura chiusa, in un luogo chiuso, informare significa anche migliorare la qualità della vita. So che anche per i detenuti non è sempre facile capire questo, e sono molti probabilmente a pensare: "Con tutti i problemi che abbiamo, chi se ne frega dell’informazione?", e invece io credo che l’informazione qui sia fondamentale.

Cito due piccoli esempi. Nell’ospedale di Padova c’è un reparto-bunker dove vengono ricoverati i detenuti che hanno problemi di salute. Questo reparto-bunker è assolutamente indecente per l’ospedale, per tutti. Noi ne abbiamo parlato molto, abbiamo fatto una campagna di informazione con i nostri piccolissimi mezzi, e adesso il reparto bunker è stato chiuso, e questo ha un grande significato.

Il secondo esempio riguarda un altro problema enorme, il problema della salute in carcere. Se ne sa poco, ma quando si prende in mano una rassegna stampa sul carcere si vede che ovunque in Italia i problemi della salute in carcere, le difficoltà su questo terreno sono enormi. Noi abbiamo avviato, naturalmente con l’autorizzazione della Direzione (questo è un carcere in cui c’è un rapporto molto importante con gli operatori e con la Direzione, e c’è la possibilità di lavorare bene anche nel campo dell’informazione, perché non viene posto nessun ostacolo a questo tipo di attività), noi abbiamo avviato un’inchiesta sul tema della salute che ha coinvolto tutti i detenuti. Abbiamo fatto girare un questionario, che è stato distribuito e spiegato, dai detenuti stessi che avevano collaborato alla sua elaborazione, a tutti gli altri detenuti. Questa, per esempio, è una proposta che noi facciamo al volontariato anche di altre carceri: coinvolgere i detenuti su questi temi con delle grandi campagne di informazione, dove questi problemi vengano messi all’ordine del giorno ed escano finalmente più notizie dal carcere.

Vorrei spendere ora due parole su che tipo di informazione dovrebbe dal carcere. Nel carcere di Padova credo che ci siano un centinaio di detenuti, volontari e insegnanti che operano in questo campo dell’informazione: c’è il giornale "Ristretti Orizzonti", il gruppo "Rassegna Stampa", che forma questo Centro di Documentazione, e c’è un TG, quindi si tratta di un grosso lavoro. E qui si fa una grande battaglia per un’informazione di qualità. Io, dico la verità, mi scontro a volte con il fatto che qui dentro mi arrabbio se vedo che qualche notizia che abbiamo dato non è precisa, non è corretta, e poi mi trovo a battagliare fuori con un’informazione talmente addormentata su questi temi, l’informazione "ufficiale" intendo, da permettere anche delle colossali bugie.

Un piccolissimo esempio: è uscita qualche mese fa su alcuni giornali, fra i quali Repubblica, una notizia: "Un immigrato su dieci è ammalato di Aids". Io ho fatto un piccolo calcolo: in Italia ci saranno circa un milione e settecentomila immigrati, uno su dieci malato di AIDS, vorrebbe dire centosettantamila immigrati malati di Aids. Pensate a un "normale" cittadino, che non conosce questi problemi e veramente fa un salto sulla sedia. Vado a verificare sugli altri giornali, e com’è la vera notizia? "Un malato di Aids su dieci è immigrato". Il che vuol dire che su quarantasettemila malati dall’inizio della malattia in questi anni, quattromilasettecento sono immigrati, cioè pensate alla proporzione: centosettantamila contro quattromilasettecento! E parlo di Repubblica, non dell’ultimo giornaletto.

Allora pensate cosa vuol dire entrare in carcere e dire: dobbiamo fare un’informazione di qualità, quando fuori succede questo. Credo che sia una bella sfida, che oggi io propongo, lavorare sulla qualità e la correttezza, nel carcere dove la violazione delle regole è naturalmente la cosa più diffusa. Abbiamo persone che sono dentro esattamente per questo, per aver violato le regole. Lavorare sulle regole e sulla qualità nel luogo più senza qualità che esista in un paese, il carcere, lavorare su questi temi: ecco anche questa credo che per il volontariato sia una sfida importante. Far uscire informazione e fare uscire informazione di qualità. E questo non è semplice, perché significa soprattutto avere molte fonti. Ora, che cosa significa avere molte fonti in un carcere? Io scherzo sempre sul fatto che ho la redazione più sedentaria che ci sia, naturalmente: ho gente che, nella migliore delle ipotesi, può uscire solo in permesso, e per fortuna che in questa città le opportunità di permessi ci sono, e c’è un’attenzione particolare a questo.

Non è facile curare l’informazione, approfondire, avere più fonti lavorando in queste condizioni. Io credo, comunque, che ci sia un modo di farlo, e su questo il volontariato possa dire la sua, cioè aiutare a trovare le fonti, aiutare ad allargare per i detenuti la possibilità di contatti con il mondo esterno.

Vorrei qui aggiungere un piccolo particolare curioso, che riguarda questa città, e il lavoro che noi facciamo. Noi abbiamo qui oggi molti operatori del quartiere che ospita il carcere. Di solito i quartieri ospitano molto mal volentieri il carcere: qui succede invece una cosa curiosa, il Notiziario di questo quartiere uscirà nel prossimo mese come supplemento di Ristretti Orizzonti, cioè del giornale del carcere. Beh, mi sembra una cosa curiosa e anche molto interessante, perché fa vedere come si può ricreare un legame con la città, e lo si può fare imparando appunto ad informare.

Io credo che noi dobbiamo puntare allora su un doppio obiettivo: il primo è che informare vuol dire prima di tutto informare dentro al carcere, perché, questo bisogna dirlo chiaramente, si fa pochissimo dentro il carcere per informare, si fa pochissimo perché un detenuto possa essere più consapevole della propria condizione. Allora a Padova abbiamo fatto dei passi in avanti da questo punto di vista, anche per l’informazione per i detenuti, e credo che su questo il volontariato possa dare un notevole contributo. E questo è il primo obiettivo di cui vorremmo parlare oggi. Il secondo è far diventare il carcere più trasparente. C’è qui il Presidente dell’Associazione Antigone, che cura un "Osservatorio sulle carceri". Io ritengo che questo Osservatorio potrebbe diventare di più patrimonio del volontariato, e quindi dovrebbe essere allargato veramente a tutti quelli che operano nel carcere: detenuti, volontari e operatori penitenziari, per far diventare davvero il carcere più trasparente. Noi ci stiamo tentando.

 

 

 

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