Pier Pierucci

 

Pier Pierucci

 

Ragiono da armi con persone come Fabrizia Bagozzi, Renato Bricolo, Maria Teresa Torti e altri, attorno al tema di quale tipologia di intervento sia più opportuna ed efficace da parte degli operatori sociali nei cosiddetti luoghi del divertimento. È verissimo che viviamo in una situazione di profondo cambiamento e di continuo mutamento.

Oggi, in merito alle mode, ai comportamenti e agli stili di vita, dobbiamo abituarci a monitorare tutta una serie di quotidiane micro rivoluzioni, mentre la storia di questi ultimi decenni ci aveva abituato alle grandi rivoluzioni, come quando scoppiarono ad un certo punto le mode del beat, della new wave, del punk, ecc.

Per dirla in breve, una volta le rivoluzioni erano più evidenti. C’è qualcosa che va di moda? L’impegno nell’Aquafan di Riccione e l’esperienza di armi di gestione e conduzione di discoteche, mi hanno insegnato che capire come far divertire le persone significa in qualche modo andare a spulciare nel grande marasma dei desideri.

E da li poi ho capito che anche per imparare a commercializzare una scatola di pomodori è importante analizzare e comprendere quali sono le dinamiche del divertimento. Per questo forse esiste questa fobia nel cercare di capire cosa maledettamente va di moda"? Fatto sta è che non se ne può più. I magazine, le tv i quotidiani e le riviste specializzate sul target giovanile sembrano come impazziti. Se proviamo a collezionare tutte le mode dell’estate annunciate da testate come 1’"Espresso", "Panorama", "GQ" ecc., quest’anno erano di moda gli anni Settanta, gli anni Ottanta, il ritorno agli anni Cinquanta, il lounge, il baUnear style, e chi più ne ha più ne metta.

C’è da chiedersi: chi ha ragione"? Tutti e nessuno. Hanno ragione tutti perché quello che va di moda è tutto. Credo di non scoprire nulla di nuovo affermando che quello che conta non è il "cosa", bensì il "come": oggi è determinante il linguaggio, come è determinante il rito di un atteggiamento di consumo. E così succede che è di moda andare a ballare in discoteca alle cinque di mattina, così come allo stesso tempo è anche di moda iniziare la serata alle sei del pomeriggio e fare le due a casa di amici. Però è anche vero che non ha ragione nessuno: infatti tutte queste storie su cosa è "in" e cosa è "out" oggi hanno il sapore di essere solo vecchie, banali e inutili.

D’altronde è inutile capire cosa va di moda, quando tutto può andare di moda. Dall’argomento al rito. All’inizio degli anni Novanta, dal punto di vista del lavoro degli operatori sociali" l’obiettivo era "costruire l’argomento" intorno al divertimento ed ai suoi luoghi: allora non si discuteva neanche di portare avanti politiche di prevenzione. D’altronde, ancora oggi, è molto difficile legare un’iniziativa di carattere commerciale - o addirittura un brand - a questioni che parlano di rischio, sostanze, disagio, etc. Per quale motivo le discoteche" i luoghi del divertimento dovevano accettare di mettersi in gioco? Nella situazione odierna ritengo che l’approccio debba necessariamente essere rivoluzionato.

Oggi, in primo luogo, dall’argomento bisogna passare al rito. È un discorso che sto già facendo da tempo agli amici e agli operatori. Per ottenere risultati nei luoghi del loisir, è necessario utilizzare le dinamiche ed i linguaggi per i quali quei luoghi rappresentano un riferimento e una destinazione.

Ogni manifestazione del divertimento, ogni momento di aggregazione come tantissimi altri atteggiamenti di consumo, vive di suoi riti, di suoi linguaggi, di suoi codici.

Provocatoriamente, ritengo che intervenire direttamente sull’utente finale e sui clienti sia strategicamente sbagliato. Credo che nel momento in cui, ad esempio" si costruisce un evento, sia necessario operare con chi pensa ed organizza l’evento stesso affinché sia concepito ed organizzato con quella cultura dell’ascolto e della prevenzione utile a trasmettere messaggi capaci di dare risultati.

Quindi parallelamente ad una attività svolta direttamente sull’utente finale, è determinante essere nella stanza dei bottoni al fine di "condizionare" positivamente le scelte di chi organizza e di chi fa.

E a questo scopo diventa sempre più determinante rapportarsi con chi, nel loisir, fa impresa. È difficile lavorare con gli imprenditori del loisir?

In questi anni gli operatori sociali hanno cercato di svolgere un lavoro dal basso, sensibilizzando i gestori delle discoteche e contestualmente cercando di organizzare iniziative attraverso interv-enti nei locali, in quelle poche situazioni in cui questo era consentito. Mi piacerebbe approfondire questo concetto della difficoltà per un imprenditore di legare il proprio marchio all’uso delle sostanze, quando spesso in una discoteca l’uso di sostanze è chiaramente esistente. Provo a portare degli esempi dal mio territorio. Ho vissuto un’esperienza importante in qualità di manager del "Cellophane" di Miramare di Rimini, nel periodo ‘93-’97. Il "Cellophane" era una discoteca che ha affrontato il problema del consumo di sostanze al suo interno in maniera, a mio parere, particolarmente matura. Io sono forse l’unico gestore che ha fatto questo tipo di affermazione: si, nella mia discoteca circolano le sostanze, qual è il problema? Il mio messaggio era chiaro, ovvero: il problema non è se nella mia discoteca circolano o non circolano sostanze, il problema vero sta invece nel cosa fa il gestore per non assecondare la politica e la cultura dello "sballo".

È utile ricordare che nelle dinamiche del divertimento notturno di allora il disc-jockey, l’art director, il Pr, ecc., erano figure importanti ed inserite in un contesto "di prima linea". In questo scenario, secondo la filosofia del "Cellophane", il gestore si assume la responsabilità sociale di avere in mano uno strumento capace di essere coercitivo nei confronti dei propri giovani clienti. Seguendo il ragionamento, per il gestore consapevole, non è quindi detto che tutto quello che il mercato ti dice di fare si possa fare. Infatti i gestori dei locali si sono spesso trovati in una situazione in cui la domanda del mercato avrebbe indotto a costruire proposte di divertimento non in linea con chi non vuole coltivare la cultura dello "sballo".

Allora chiedo: quale imprenditore, in qualsiasi categoria economica, si è trovato ad affrontare un tema simile"? Io credo nessuno, facciamo il più banale degli esempi. Un anno a San Remo, Pippo Baudo ha presentato come attesissimo ospite Elton John. Questi si è fatto accompagnare sul palco da Ru Paul, il più famoso travestito di New York. La presenza di Ru Paul è stato, come forse ricorderete, un caso ed un argomento per i media, dalle tv ai giornali di tutta Italia. Se è vero che la discoteca ha la funzione di essere specchio e vetrina della mode, un gestore preparato il sabato successivo era obbligato, dalla domanda di mercato dei suoi clienti, a presentare sui cubi della pista da ballo i più bei travestiti di Parigi. Mettiamo caso che i travestiti sul cubo siano una proposta diseducativa, portatrice di disagio, o quant’altro, mi chiedo: quale dovrebbe essere la scelta del gestore?

Altro esempio. Scomodiamo il povero ragazzo morto dopo essersi Scontrato ubriaco ai 200 all’ora contro un albero. In questo caso, la colpa è sempre stata della discoteca: eppure è morto in un’auto, magari proprio il modello pubblicizzato con lo spot che esalta il concetto per cui è bello avere un turbo sotto il sedere.

E magari ha proprio quel whisky pubblicizzato tutti i giorni alle 20.30 su Rai Uno. Allora mi pongo una serie infinita di domande. Perché la responsabilità sociale ed il coinvolgimento nelle tematiche del riSChio devono essere argomenti che coinvolgono solo ed esclusivamente il gestore dei locali da ballo?

In un contesto sociale in cui tutti i giorni emerge il messaggio che è giusto che l’imprenditore viva in maniera orgogliosa la sua dimensione capitalistica perché solo al gestore di discoteche si affidano carichi di responsabilità pedagogica? Chi ha mai avvertito i gestori che gestire una discoteca significa assumersi una responsabilità sociale? E dal mOmento che ciò viene rinfacciato ai gestori, nessuno si preoccupa di formare questo senso di responsabilità? Un mio amico gestore un giorno mi disse: io apro la mia discoteca, faccio ballare la musica che c’è tutti i giorni per radio, ho le cubiste come le vedo su "Striscia la notizia", ospito i giovani che vivono nella mia città, insomma, cosa faccio di strano?

Interrogare i ragazzi non significa ascoltarli Intervenire nei luoghi del divertimento non significa sempre interagire. A volte le modalità di intervento sono inefficaci, o sorpassate, a volte interrogare i ragazzi non significa ascoltarli. L’esperienza maturata in "Aquafan" mi ha portato nel mio lavoro, che ha obiettivi commerciali, a dare molta importanza all’ascolto personale.

La conseguenza concreta è stata la nascita del laboratorio delle percezioni... un soggetto creativo che ha il compito di identificare, sentendoli e vivendoli, gli scenari attuali che stanno condizionando le dinamiche del consumo nel nostro territorio. In Aquafan riteniamo questa strada un passo avanti rispetto alle tecniche di marketing, troppo fredde e raramente di alto rigore scientifico.

Capire il mercato, per capire devo trovare tutto il coraggio che ho per affermare la mia convinzione per cui oggi. la capacità di leggere le esigenze del mercato porta quasi automaticamente a comprendere le dinamiche dei comportamenti, compresi quelli a rischio. Quindi, se volessi lanciare un messaggio agli operatori del sociale, direi di coltivare le proprie percezioni, con le quali cogliere quei "segnali deboli" utili a capire, tra le altre cose, i percorsi dei desideri.

A mio parere l’operatore sociale, se vuole specializzarsi attorno ai luoghi e alle logiche del loisir, deve poter sviluppare un proprio knok - hou, capace di dare risposte che coniughino le esigenze del mercato Con quelle della lotta al disagio, altrimenti ci troviamo oggi a parlare di discoteche techno. Quando lo scenario attuale ci mostra giovani che tirano di coca per stare semplicemente seduti tutta la sera sugli scalini di una piazza.

Il mio amico Giancarlo Dall’ara, esperto di turismo, dice che da noi in Romagna i turisti sono i pesci e gli albergatori i pescatori, ed afferma che se vogliamo crescere a livelli alti - capaci cioè di diventare tra le mète internazionali più importanti - è ora di finirla che siano i pescatori stessi ad analizzare il mare, affidando il delicato compito ai biologi marini. Bene, se i pescatori sono i gestori dei luoghi del divertimento, il futuro degli operatori sociali sta nel diventare biologi marini.

 

 

Precedente Home Su Successiva