Luigi Bucci

 

Luigi Bucci

 

Vorrei iniziare questo interv-ento a nome della Commissione azionale Tossicodipendenze del SUNAS - organizzazione sindacale componente della FSI, che da dodici anni rappresenta gli assistenti sociali ed edita un proprio periodico specializzato, il "Notiziario SUNAS". da sempre attento ai principali fenomeni sociali - ringraziando innanzitutto il Gruppo Abele che ha promosso questa importante iniziativa facendosi carico anche degli aspetti organizzativi e poi i partecipanti per essere così numerosi ed interessati.

Premesso che parlare alla fine, dopo aver ascoltato chi ha preceduto, comporta spesso una revisione parziale dell’intervento come lo si è immaginato, vorrei evidenziare non tanto la pretesa di dire delle cose nuove o originali, quanto quella di contribuire ad allargare ulteriormente il dibattito con nuov-i aspetti e modalità di riflessione. Già il titolo dell’intero convegno Strada facendo ci è sembrato, da subito, particolarmente appropriato e pieno di significati, in quanto rende chiaramente un’idea di un processo dinamico, di percorso, di incontro, di accompagnamento, di modifiche in itinere, che ci sentiamo di condividere nella nostra pratica professionale.

Un titolo dunque puntuale, preciso ed attento, perché sottolinea - nel corso d’opera – l’importanza della partenza ma anche dell’arrivo e la necessità permanente del "rivedersi".

Tutto ciò all’interno di un contenitore come quello di stasera, cioè di un incontro incentrato sugli stili di vita e di consumo e sulla rete degli interventi, appare particolarmente significativo. Quando la delegazione oggi presente, composta insieme alle colleghe Coriasco ed Erculei, ha immaginato come strutturare la relazione per la sessione nuovi stili di vita e di consumo. Quale rete di interventi... si è scelto di proporre un intervento - mosaico con spunti di riflessione e letture di più persone, contenente (in segno di compartecipazione) richiami ad alcuni elaborati messi a disposizione nel sito Internet dedicato all’evento in corso, in particolare quello del prof. R. Bricolo "Ragionamenti e interventi intorno ai nuovi consumi" e la "Carta d’Intenti/Manifesto di Perugia - 3° Sessione".

Sul primo (Bricolo) si esprimono apprezzamenti per aver sottolineato l’importanza di "avvicinare i nuovi consumatori (un numero molto grande di giovani) e le aree loro contigue, che altrimenti non avrebbero alcun contatto con adulti o comunque con persone orientate verso stili di vita diversi dai loro, per cercare di aiutarli a conoscere e riconoscere una possibile ipotesi di collegamento per eventuali loro necessità", per la ricerca delle motivazioni, di interventi e di una "strategia di azione, fondata sulla necessità di complementarietà e di concerto tra i suoi attori" (servizi sociali, scuola, mondo dello sport, del tempo libero e del divertimento, dipartimenti e servizi socio-sanitari) con i rispettivi strumenti operativi e come mezzo di ricerca e documentazione di una realtà complessa e poliedrica.

Si esprime inoltre condivisione sulla considerazione della centralità del nodo originato dalla "differenza di valutazione che gli adulti danno delle esperienze che considerano patologiche, mentre moltissimi giovani le considerano e vivono come "normali", nell’immediatezza della loro esperienza", sulla opportunità di "evitare la medicalizzazione, ma di contro favorire la presa in carico delle situazioni problematiche ed infine sulla necessità di interagire, accettare, comprendere, proporre, riproporre e riproporci (come adulti e come operatori) con il nostro sapere tecnico, pedagogico, educativo, terapeutico, psicologico".

Della Carta di intenti (Manifesto di Perugia) si condividono innanzitutto le osservazioni ed il richiamo a "non dimenticare i vecchi modelli di consumo ed i bisogni storici nell’area delle dipendenze, con le problematiche proprie, i rischi, le condizioni, le patologie, le culture che li hanno contraddistinti" ed a considerare sempre più i "nuovi fenomeni con la lente del contesto, del mercato, della salvaguardia di "normalità" dei consumatori, spesso policonsumatori, giovani italiani ed extracomunitari ecc.".

Giustamente viene detto che "dobbiamo fare sempre più i conti non con le sostanze ma con gli "stili di consumo". Non si può continuare a ragionare sull’onda degli allarmi (vedi ecstasy, cocaina...) senza tenere conto del perché delle scelte e riconoscere che hanno elementi di ricerca del piacere. Non si può continuare a partire (solo) dal disagio e dalla sua lettura per comprendere invece atteggiamenti, consumi, modalità che fanno parte ormai del contesto del mondo giovanile". È sempre meno individuabile, infatti, un soggetto tipo. Il consumo di ecstasy è oggi il più rappresentativo dei nuovi comportamenti. Il consumo regolare di cannabis e di farmaci psicoattivi diviene più frequente, così come l’uso di alcol e tabacco rientra ormai nell’uso sociale "normale", senza essere oggetto di riflessione o criticità di alcun tipo. Il fenomeno delle nuove droghe deve essere letto non tanto come una moda circoscritta a specifici ambienti giovanili quanto come espressione di un nuovo immaginario sociale che si traduce nel modo di intendere le relazioni sociali e la salute. Cambia il concetto di piacere, di tempo, cambia l’estetica, cambia la percezione del diritto a tutto ciò. L’eroina non serve, non è funzionale alla libertà, restringe gli spazi esistenziali mentre le nuove droghe li dilatano. Non si cerca la solitudine ma lo stimolo per socializzare, disinibirsi. I gruppi giovanili non si identificano con gli ambienti trasgressivi e marginali in cui era confinato l’uso di eroina. L’uso di sostanze da privato diventa evento di gruppo; la notte momento-spazio per la celebrazione di questi riti.

Questi comportamenti e ritualità hanno di fatto frantumato le modalità di spaccio, di vendita, di reperimento di sostanze. Meritano attenzione anche comportamenti compulsivi che pongono nuove domande ai servizi: gioco d’azzardo e disturbi del comportamento alimentare.

Volendo soffermarsi nei particolari dello scenario più recente derivante negli ultimi anni soprattutto dall’incremento diffuso e sommerso dell’uso di ecstasy e di altri psicostimolanti e dai cambiamenti osservati, si registra che, come descritto da Lorena Bergozzi in Alcol, fumo, droghe... no problem (in Salute e Prevenzione n. 30/2001): "L’ecstasy è diventata la sostanza simbolo (della nuova era, delle nuove generazioni...), in quanto capace di associare benessere e performance, sballo e ritorno alla normalità, divertimento notturno e doveri diurni".

Ovvero essa appare a tanti quale portatrice di un rischio che appare abbastanza controllabile nel contesto di una facile fruibilità. "A questa sostanza ed altre simili sono associati fenomeni come le "stragi del sabato sera", il sorgere di nuovi trend culturali e musicali giovanili, giocati sul confine di legalità ed illegalità (after hours, rave, techno, ecc.), oltre che manifestazioni di vandalismo immotivato, comportamenti pericolosi per se e per gli altri, esplosioni di violenza (es. negli stadi e fuori da parte di "branchi di ultrà"). L’abuso non è più così circoscritto a luoghi ben definiti e facilmente identificabili, o legati a soggetti subito riconoscibili ed etichettabili".

Il problema non è tuttavia costituito soltanto dall’immissione di una particolare, ma da "un fenomeno di pluralizzazione ed allargamento dei consumi" che coinvolge in modi diversi dal passato fasce giovanili e non solo.

Emerge infatti una realtà molto più variegata di quanto inizialmente si immaginava e gli interessati non sono solo giovani legati ad una cultura dell’emarginazione, ma anche soggetti socialmente integrati, come ad esempio lavoratori o studenti provenienti da famiglie non o scarsamente problematiche. Il fenomeno, con talune eccezioni rappresentate da

alcuni Ser.T. particolarmente sensibili ed attrezzati, sembra per ora sfuggire ai servizi pubblici e del privato sociale, conformati ai consumatori di droghe pesanti ed ai loro stili culturali.

Come ha scritto anche Philippe-Jeann Parquet, consulente del Ministro della sanità francese per la Mission Unterministerielle de Lutte contro la Drogue et la Toxicomanie (MILDT): "Le forme di tossicomania si sono evolute, sono crescenti comportamenti di uso e di uso dannoso, mentre le personalità dipendenti sono rimaste il punto di riferimento per la comprensione del fenomeno e per la realizzazione di interventi di cura e prevenzione.

Le politossicomanie o meglio il policonsumo è il comportamento più comune. I consumatori che si collocano in un comportamento di dipendenza sono in maggioranza eroinomani, si incontrano sempre più spesso consumatori dipendenti di cocaina e sostanze psicoattive.

Esiste però un’enorme popolazione di consumatori che non sono ancora in un comportamento di dipendenza. Questa popolazione pone problemi differenti da quelli posti dalle personalità dipendenti, perché sempre più si inquadrano in un "abuso" o in un "uso regolare" e apparentemente controllato.

Il problema della pericolosità dei comportamenti di consumo di sostanze psicoattive non attiene solamente alle attività farmacologiche delle molecole, ma è legata alle caratteristiche del consumatore e ai fattori economici e culturali associati. Per questo motivo è opportuno collocare le pratiche di consumo di sostanze psicoattive nel quadro dei comportamenti e delle condotte a rischio.

Questo nuovo approccio consiste nel raggruppare i comportamenti di consumo di tutte le sostanze psicoattive in un solo insieme: le "condotte di addiction". Ciò contribuisce a tener conto in misura minore della sostanza utilizzata dal consumatore e a centrare l’attenzione sui comportamenti di consumo, sviluppando una visione più ampia della prevenzione". Nei confronti del tossicomane in genere la società esprime indignazione ed irritazione sia perché egli attenta alle basi del vivere comunitario, sia per la sua scelta di isolamento ed infine per l’attacco alla proprietà altrui.

Tuttavia gli assuntori delle nuove sostanze - anche per le diverse modalità d’uso - non solo non si considerano tossicodipendenti, ma certamente non vogliono essere visti come tali. Si assiste dunque ad una reazione dell’opinione pubblica che tende a stabilire in qualche modo una convivenza con l’uso delle sostanze, sebbene gli effetti da esso derivanti siano meno gravi e più ristretti che nel passato. Quindi l’attenzione non si concentra tanto sulla sostanza quanto sugli "eventuali" danni sociali, diretti o indiretti, ad essa associati.

Momenti di crisi e di fragilità sono presenti in molte fasi della vita, in particolare nell’adolescenza e nella vecchiaia, ma anche la condizione adulta viene a condividere più spesso con il mondo giovanile aspetti di ridefinizione e scelta in termini di percorsi di vita, identità, relazioni. La dipendenza dalle sostanze o il loro uso interessano quindi diversi strati sociali della popolazione giovanile e non, e sono in relazione con condizioni di malessere e disagio causate non solo da marginalità sociale e penuria economica, ma anche da una deprivazione culturale, dalla disgregazione delle relazioni primarie familiari e sociali ecc.

Inoltre, come Rosmary Serra scrive nel suo libro logiche di rete, "Il quadro nel quale il disagio si esprime si è notevolmente complicato: si assiste, parallelamente, a un processo di differenziazione dei bisogni e a una frammentazione delle aree cosiddette del disagio sociale". L’obiettivo della salute richiama ad una responsabilità diretta le comunità locali ed i loro servizi perché ripensino gli interventi di prevenzione e di promozione della salute sul territorio e percorrano soprattutto luoghi, strade e linguaggi che gli stessi giovani frequentano.

I Dipartimenti delle dipendenze sono chiamati a farsi promotori di questo processo comunicativo che sappia coinvolgere in una sorta di "reticolato di reti" le varie agenzie presenti sul territorio con lo scopo di avviare progetti rivolti al miglioramento della qualità della vita, relativi quindi alla sfera ambientale, sociale, lavorativa, solidaristica, culturale, educativa e ricreazionale.

Così i vari servizi, tenendo conto dello scenario mutato dai nuovi modelli di consumo, devono ripensarsi e riorganizzarsi in modo duttile, flessibile, dinamico e agire nei vari contesti di vita, ridefinendo le metodologie e superando la standardizzazione delle risposte, differenziando i luoghi dell’accoglienza e della cura, valorizzando concretamente tutte le risorse professionali e sociali, integrando maggiormente i saperi e potenziando le azioni nel territorio e di intervento precoce. Gli operatori devono assumere un ruolo di agenti di collegamento e di mediazione attiva tra bisogni e domanda sociale da un lato e risorse disponibili dall’altro. È necessario dunque saper offrire interventi differenziati rivolti ad una sempre più ampia tipologia di consumatori e dipendenti, tesi a contenere i danni individuali e collettivi, sociali e sanitari e, più in generale, a prevenire in un processo educativo e culturale l’iniziazione al consumo di altre persone.

Come ha ben detto Roberto Camarlinghi in un articolo di Animazione Sociale del gennaio 2000, "La filosofia degli interventi dovrebbe essere sempre più di tipo promozionale, meno legata al singolo rischio e alla singola sostanza. È necessario quindi tentare di intercettare alcuni bisogni e messaggi giovanili (come il bisogno di protagonismo, di fiducia, del rito collettivo) con una grande rete stesa nei luoghi educativi, ma anche moltiplicando le presenze negli ambienti di vita giovanili e soprattutto offrendo occasioni di messa alla prova e di crescita. È importante che la dimensione più propriamente sociale degli interventi sia affiancata e sostenuta da una sensibilità estetica e rituale, capace di dare corpo all’immaginario".

Permettetemi, a questo punto, di rimarcare che l’assistente sociale - che per sua formazione culturale e professionale opera già nei div-ersi ambiti in un’ottica globale ed integrata - può e vuole essere l’operatore capace di tessere e coordinare correttamente l’intreccio variegato di realtà, attori e progetti.

Inoltre le strategie d’interv-ento più indicate fanno appunto riferimento a due delle tecniche proprie del servizio sociale professionale: il lavoro di rete e la community care.

Prendendo in prestito ancora le parole della Serra (ibidem). "Una comunità in grado di farsi carico dei soggetti deboli in modo competente non solo è capace di riconoscere i propri bisogni e di mobilitare le risorse necessarie per dare risposte adeguate. ma è in grado, soprattutto. di collegare in modo interdipendente le diverse fonti di sostegno e di cura".

In quest’ottica può essere raccolto anche il senso della "scommessa" compreso nel titolo stesso dell’iniziativa odierna. Una scommessa, quella degli operatori e degli utenti, da vincere lavorando non sulle persone ma con e per le persone e con il metodo del saper ascoltare non per sentire o giudicare, ma per comprendere e tendere ad "includere".

 

 

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