Prima parte

 

Giornata di Studi su 
Carcere e Immigrazione

Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001

I minorenni stranieri in Italia

1. Le leggi  riguardanti i minorenni stranieri

La normativa che riguarda o comunque incide sulla condizione giuridica dei minorenni stranieri si trova sparsa praticamente in tutti i campi della legislazione: in materia di cittadinanza, di studio, di lavoro minorile, di trattamento penale, di diritto di famiglia, oltre che naturalmente nella disciplina dell’immigrazione.

A) - Le leggi sino al 1989.

L’emanazione di regole relative all’immigrazione è un fenomeno recentissimo; sino al 1989 infatti non esisteva una legge organica in materia. L’ingresso era principalmente una questione di polizia e di sicurezza pubblica, per cui bastava e avanzava il Testo Unico di pubblica sicurezza[1]; la presenza di stranieri non era tale da destare particolari reazioni e il flusso di clandestini non aveva dimensioni così rilevanti da sollevare problemi urgenti riguardanti i diritti della salute, dello studio, delle famiglie di quelle persone; che riguardasse specificamente gli stranieri c’era una legge incentrata principalmente sui temi del lavoro e sui diritti e oneri dei lavoratori stranieri.

Ovviamente in questo quadro del tutto assenti erano norme specifiche per i ragazzi stranieri adeguate alle nuove caratteristiche del fenomeno immigratorio. Ad esempio, in materia di salute, semplicemente si prevedeva che i minorenni figli di lavoratori stranieri potessero essere iscritti al Servizio Sanitario nazionale assieme alle loro famiglie; in materia di studio, dal punto di vista pratico, la regolamentazione delle modalità di iscrizione, frequenza del minore straniero era manifestamente insufficiente, essendo di fatto ancora basata su una vecchia legge, idonea probabilmente a disciplinare l'accesso di giovani che si trasferiscano in Italia per studiare, ma del tutto inadeguata ad affrontare il problema dell'immigrazione[2].

B) – La “legge Martelli” e i successivi decreti.

Il primo intervento legislativo rilevante sia per il peso specifico delle disposizioni che per le intenzioni di chi lo volle fu il c.d. decreto Martelli[3], del 1989, il quale peraltro conteneva due sole indicazione specifiche per i minorenni: una in materia di studio, che diceva che per i minorenni stranieri ospitati in istituti di istruzione, il permesso di soggiorno era richiesto dal preside[4] ed una che prevedeva la segnalazione al Tribunale per i minorenni dei minorenni che richiedevano lo status di rifugiati[5]. La marginalità di queste previsioni è significativa; è da ricordare la seconda soltanto perchè introduce una definizione che poi verrà molto usata dai successivi legislatori: per la prima volta infatti si parla di “minori non accompagnati”.

Dopo la “Legge Martelli” iniziò un periodo di effervescenza legislativa, con numerosi decreti legge, sovente non convertiti, che sulla base di impulsi spesso contraddittori innovavano la disciplina degli stranieri, particolarmente con riguardo agli ingressi e alle espulsioni; in maniera sempre più rilevante queste leggi contenevano accenni o disposizioni specifiche per i minorenni, a testimonianza della crescente importanza che cominciava ad assumere tale aspetto del fenomeno immigratorio. Complessivamente però la disciplina della condizione giuridica del minore sentenza rimaneva del tutto inadeguata, per cui un peso assai rilevante assumevano le prassi dei vari uffici, creando grossi problemi di omogeneità di trattamento nel paese. Se ne può ricordare una per tutte, e cioè quella riguardante le espulsioni dei minorenni che, in mancanza di previsioni specifiche della legge, si era sedimentata dopo varie oscillazioni con una non meglio precisata richiesta di nulla osta che i prefetti richiedevano all’Autorità giudiziaria prima di eseguire l’espulsione che essi stessi decretavano.

C) – La legge n. 40 del 6 marzo 1998.

La relativa stabilità politica della seconda metà degli anni ’90 ha permesso infine l’emanazione della prima legge che organicamente disciplina il fenomeno immigratorio in tutti i suoi aspetti, la legge 6 marzo 1998, n. 40, “Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”[6]  la quale contiene numerose e importanti disposizioni specifiche riguardanti i minorenni e più ampiamente i diritti della famiglia.

Successivamente il parlamento ed il governo hanno continuato ad emanare provvedimenti in materia di immigrazione, provvedimenti per lo più attuativi della legge e che complessivamente sono comunque in sintonia con la stessa; pertanto oggi si deve affrontare, anche per quanto riguarda i minorenni, un corpus normativo assai più completo, coeso e coerente del passato. Per la loro importanza si segnalano il regolamento di attuazione della legge[7] e il decreto che ha ampliato le competenze del Comitato per i minori stranieri[8], che hanno introdotto novità rilevanti la cui portata non si è ancora colto per esteso.

Confermando quanto sopra affermato, altre e rilevanti modifiche della condizione giuridica dei ragazzi stranieri sono giunte poi con leggi riguardanti altri temi: vanno ricordate principalmente la legge sulla prostituzione minorile e la pedofilia[9] (importante in quanto le persone offese dei reati in essa previsti sono principalmente minorenni stranieri) e quella sul lavoro minorile[10] (e anche in questo caso i soggetti protetti sono in maggioranza ragazzi immigrati). Va detto peraltro che non sempre queste norme, emanate sull’onda di spinte emotive porgono la necessaria attenzione alla particolare condizione del minore straniero, per cui di fatto le norme stesse finiscono per non tutelare sufficientemente questi ragazzi.[11]

2. Chi è straniero

Secondo il significato corrente è straniero colui che proviene da altri Paesi e da altre culture; nel campo giuridico, ovviamente, ci si deve attenere a più precisi criteri.

 Il primo criterio al quale fare riferimento è sicuramente quello, basato sul possesso o meno della cittadinanza italiana, secondo il quale è straniero colui il quale non appartiene al nostro Paese (e dunque sia perché cittadino di altro paese o perché non abbia la cittadinanza di alcun paese - apolide); giuridicamente perciò lo straniero è contrapposto al cittadino, cioè a colui al quale lo Stato riconosce l'appartenenza. Secondo le norme in materia di cittadinanza[12], cui pertanto bisogna fare riferimento, non sono stranieri quindi i bambini adottati (che acquisiscono la cittadinanza nel momento in cui diventa definitivo il provvedimento di adozione), mentre lo sono quelli in affidamento preadottivo o in affidamento ex legge 4 maggio 1983 n. 184 sull’adozione; sono stranieri i bambini nati in Italia da genitori stranieri, se così prevede la legge del paese di provenienza; sono cittadini italiani invece i figli di un genitore italiano, ovunque nati, e i figli di ignoti trovati nel territorio dello stato. Il ragazzo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni, fino al raggiungimento della maggiore età, può però acquistare la cittadinanza italiana se, entro un anno dal compimento del diciottesimo anno di età, ne fa richiesta.

     Fra gli stranieri così individuati, occorre poi fare una ulteriore distinzione, che ha trovato ampia fortuna nel linguaggio comune ed è giuridicamente definitivamente consacrata dal trattato di Maastricht: la distinzione fra stranieri comunitari e stranieri extracomunitari (termine che in realtà viene a volte utilizzato come sinonimo di straniero), basata sulla appartenenza ad uno degli stati della Comunità europea e quindi sul possesso della cittadinanza europea[13]. Gli stranieri comunitari, o meglio i cittadini dell'Unione, sono di fatto sottratti a (quasi) tutta la normativa in materia di stranieri (e ciò ancor più dopo l'adesione dell'Italia all'accordo di Schengen), anche relativa alla pubblica sicurezza, alla sanità, agli adempimenti amministrativi, essendo soggetti di fatto ad una normativa speciale che li equipara (quasi) in tutto agli italiani.

3. Chi è minore

In tutti gli ordinamenti giuridici esistono una o più soglie di età alle quali si fa riferimento per il riconoscimento di tutta una serie di poteri e di doveri. Poiché questa è materia di statuto della persona, va detto che è minore è colui che, secondo la legge del proprio paese, non ha raggiunto la soglia di età prevista dalle leggi di quel paese.

Nell'ordinamento giuridico italiano il fanciullo acquista la capacità giuridica al momento della nascita (art. 1 cod. civ.) e la capacità di agire ai diciotto anni considerati momento del compimento della maggiore età (art. 2 cod. civ.).

     Importantissimo è stabilire quando il giovane cittadino straniero possa essere considerato giurdicamente minore in Italia. Tuttavia, secondo la legge italiana, la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 si applica anche alle persone considerate minori solamente dalla loro legge nazionale (art. 42, comma 2, legge 31 maggio 1995, n. 218). Pertanto se un giovane straniero abitualmente residente in Italia è considerato minore, secondo la sua legge, oltre i 18 anni, si applicano a lui fino alla maggiore età stabilita dalla sua legge le misure di protezione dei minori previste dal nostro ordinamento[14].

     Il caso contrario (giovane straniero di età inferiore ai 18 anni, considerato maggiorenne secondo la sua legge nazionale) di fatto pare più teorico che altro, in quanto generalmente la legge italiana estende gli istituti di protezione in ogni caso a chi abbia meno di 18 anni; e ciò sempre avviene in caso di intervento d'urgenza.

4.  La presenza dei minori stranieri in Italia

Quanto ai minori stranieri presenti in Italia, solo dal 1997 vi è una rilevazione autonoma, ma questi pochi anni sono sufficienti per testimoniare una tendenza di crescita assai elevata: nel 1997 quelli iscritti presso le anagrafi dei comuni erano circa 126.000 (di cui 70.000 nelle regioni settentrionali e 35.000 in quelle centrali) e rappresentavano circa il 14% della popolazione straniera residente. Calcolando i regolari non iscritti e gli irregolari, la stima era di circa 180.000 minori[15]. Nel 2000 i minorenni stranieri iscritti sono circa 220.000. Altro dato estremamente significativo è che in tutto il territorio nazionale i nati di cittadinanza straniera registrati in anagrafe, che già nel 1993 erano 7.000, erano passati nel 1996 a 10.820 e sono oggi circa 20.000  l’anno[16]. Calcolando che anche gli ingressi di minorenni stranieri per ricongiungimento familiare sono stati circa 20.000, si ottiene una crescita di circa 40.000 unità l’anno.

La percentuale di minori sul numero totale di stranieri è un indice del carattere di stabilità della presenza degli immigrati: infatti solo quelli che riescono ad ottenere un lavoro e una abitazione più o meno sicuri chiedono il ricongiungimento familiare e portano con sé i figli, li mandano a scuola etc. La percentuale di nati di cittadinanza straniera da coppie residenti in Italia, su 1000 stranieri residenti, passa perciò dal 16,9% nel nord‑est al 10,1% del sud.

Analogo è l'andamento relativo ai minori stranieri iscritti nelle scuole materne, elementari, medie e medie superiori, il cui numero complessivo è passato da 31.663 nel 1992/93 a 50.334 nel 1995/96 e oltre centomila nel 2.000[17].

I diritti del minore straniero regolarmente presente nel territorio

5. L’ingresso

L'intera disciplina dell'ingresso, permanenza, respingimento ed espulsione degli stranieri, compresi i minorenni riguarda i soli minorenni stranieri extracomunitari, in quanto l'art. 1 del T.u.d.i.s. prevede che essa si applichi “ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi”.

L'ingresso del minore straniero in Italia avviene con le medesime modalità e alle medesime condizioni previste per gli adulti: occorrono passaporto o documento equipollente e visto di ingresso (art. 4 T.u.d.i.s.). Va ricordato che l’ingresso in Italia di minori stranieri al di fuori di fini familiari, turistici, di studio e di cura, e che non siano accompagnati da almeno un genitore o parente entro il quarto grado, è consentito solo quando vi sia anche un vaglio della Commissione per le adozioni internazionali, per evitare che esso avvenga in frode di legge a scopo di adozione (art. 33 legge 4 maggio 1983, n. 184, come modificato dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476).

     In numerose occasioni peraltro minori stranieri hanno fatto ingresso accompagnati da cittadini italiani e muniti di visto di ingresso per motivi di studio o di cure mediche e sono rimasti poi in Italia inseriti stabilmente nella famiglia di accoglimento, di fatto aggirando la legge n. 184/1983 sull'adozione e l'affidamento dei minori. Per tali motivi il Ministero degli affari esteri già da tempo aveva invitato le rappresentanze diplomatiche e consolari ad accertare le reali motivazioni rifiutando il visto di ingresso quando queste sembrassero illegittime[18].

     È considerato grave reato il compimento di attività dirette ad introdurre in Italia minori da destinare alla prostituzione (art. 601 cod. pen.) o comunque da impiegare in attività illecite.

6. L’unità familiare

La nuova legge n. 40/1998 sancisce esplicitamente (art. 28 T.u.d.i.s.) il “diritto all'unità familiare”. Ciò si traduce nel diritto da parte dello straniero regolarmente soggiornante (che abbia certi requisiti di reddito, disponibilità di alloggio, etc.) di richiedere il ricongiungimento, tra l'altro, per i figli minori a carico, anche dei figli del coniuge o nati fuori del matrimonio, nonché dei figli adottati o dei minori affidati. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore ai 18 anni. Di grande rilievo la previsione dell’art. 26, comma 3 T.u.d.i.s. secondo il quale in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo.

     Da notare che è consentito anche l'ingresso in Italia, per ricongiungimento al figlio minore regolarmente soggiornante, del genitore naturale, il quale entro un anno dovrà acquisire i requisiti per il ricongiungimento

7. La permanenza

     Lo straniero regolarmente entrato in Italia può soggiornarvi se munito di carta di soggiorno (carta che viene rilasciata allo straniero regolarmente soggiornante in Italia da almeno cinque anni, titolare di permesso di soggiorno, e che permette la permanenza per un periodo illimitato) o di permesso di soggiorno (documento che, rilasciato dal questore al momento dell'ingresso in Italia, consente la permanenza per un periodo limitato, a seconda del motivo di soggiorno)[19].

Il minore straniero non può avere la carta di soggiorno autonomamente rispetto al genitore o familiare. La legge quindi dispone che il figlio infraquattordicenne sia iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore convivente; analogamente il minore affidato infraquattordicenne va iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno dell'affidatario. Al minore ultra quattordicenne è rilasciato un autonomo permesso di soggiorno per motivi familiari fino al compimento della maggiore età.

     Poiché la legge, come si vedrà, dispone il divieto di espulsione dei minorenni stranieri, il questore rilascia agli stessi (anche se giunti clandestinamente o dimoranti irregolarmente in Italia) il permesso di soggiorno “per minore età”, informando nel contempo il Tribunale per i minorenni[20].

Di assoluta importanza, nella tutela del minore straniero, è la disposizione (art. 31 comma 3 T.u.d.i.s.) secondo la quale il tribunale per i minorenni può, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore e alle sue condizioni di salute, autorizzare il rilascio del visto di ingresso e del permesso di soggiorno a favore di un familiare del minore per un periodo determinato, anche in deroga alle disposizioni della legge. L’autorizzazione è rilasciata per periodi di tempo determinati ed è revocabile. I provvedimenti presi in tal senso vanno comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare del paese straniero interessato.

     Al compimento della maggiore età al minore può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio o di lavoro o per esigenze sanitarie o di cura (art. 30 legge n. 140/1998).

8. Il diritto allo studio

     Secondo la Costituzione (art. 34) “la scuola è aperta a tutti” e “l’istruzione inferiore deve essere impartita per almeno otto anni ed è obbligatoria": pertanto nel nostro ordinamento il diritto all'istruzione è un diritto costituzionalmente garantito non solo ai cittadini, ma a tutte le persone, anche straniere. Corrispondentemente al diritto previsto per i loro figli, i genitori stranieri residenti in Italia hanno l'obbligo di far osservare, ai sensi dell'art. 731 cod. pen., questo obbligo scolastico.

Deve essere sottolineato il ruolo della scuola nell’affrontare le problematiche connesse al fenomeno immigratorio: nel mondo della scuola è più evidente la sfasatura fra i tempi delle istituzioni e i tempi dei bambini, che esigono risposte immediate e non consentono di accantonare le questioni, come avviene in altre istituzioni. Il pluralismo religioso, il problema linguistico, i nuovi bisogni educativi, il rapporto con gli stili educativi familiari, l’aspetto psicologico: tutti questi aspetti problematici sono già quotidianamente affrontati nella scuola, da insegnanti lasciati spesso senza strumenti operativi adeguati.[21]

9. Il diritto alla salute

     Anche in questo campo la nuova legge n. 40/1998 (artt. 32‑34) è intervenuta consolidando e ampliando una serie di previsioni contenute in atti regolamentari o circolari o di situazioni createsi in via di prassi.

     Tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti per motivi di lavoro o familiari, per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per attesa cittadinanza hanno l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale, iscrizione che può essere richiesta anche dagli stranieri regolarmente soggiornanti per studio o alla pari. Gli iscritti, e i loro familiari, hanno parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani.

     Gli altri stranieri regolarmente soggiornanti sono tenuti ad assicurarsi mediante stipula di apposita polizza contro il rischio di malattie, infortunio e maternità.

     È poi disciplinata la possibilità di ingresso e soggiorno in Italia dello straniero per cure mediche[22].

10. Gli interventi di sostegno e assistenza sociale

     In relazione all'assistenza sociale, vi è netta distinzione fra minori stranieri presenti in Italia regolarmente e quelli cosiddetti irregolari.

Solo per i primi vale infatti l'art. 41 T.u.d.i.s. che stabilisce che “gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale...”. Pertanto, quantomeno dal punto di vista formale, l'intervento a sostegno di tali minori in nulla dovrebbe differenziarsi da quelli in favore dei minori italiani.

La disciplina in materia è stata integrata poi dal Regolamento attuativo della legge e recentemente l’INPS ha emanato le disposizioni relative alle modalità con cui le categorie di stranieri interessate possono ottenere i benefici previsti dalla legge.[23]

[1] Agli stranieri era dedicato il titolo V del T.U.L.P.S. (artt. 142 – 152)

[2] Si tratta del r.d. 4 maggio 1925, n. 653, che consente l'iscrizione alla scuola italiana di “giovani provenienti dall'estero”, purché muniti di titoli di studio aventi riconoscimento legale.

[3] D.L. 30.12.1989 n. 416, convertito nella legge 28.2.1990 n. 39.

[4] Art. 4 comma 13 D.L. 416/1989.

[5] Art. 1 comma 5 D.L. 416/1989.

[6] In esecuzione di quanto previsto dall'art. 47 della detta legge, il Governo ha poi emanato il d.lvo. 25 luglio 1998 n. 286, contenente il Testo unico delle disposizioni concernenti gli stranieri, comunemente siglato come T.U.D.I.S.. Detto testo unico non comporta innovazioni legislative, ma è un importante strumento di coordinamento delle norme in materia. Ad esso nel seguito della relazione si farà generalmente riferimento per l’indicazione degli articoli di legge.

[7] D.P.R. n. 394 del 31.8.1999.

[8] D. L.vo n. 113 del 13.4.1999, con relativo Regolamento contenuto nel Decreto del Consiglio dei Ministri 9.12.1999, n. 535.

[9] Legge 3.8.1998 n. 269, che ha introdotto gli articoli da 600 bis a 600 septies del codice penale.

[10] D. L.vo 4.8.1999 n. 345, che ha profondamente innovato tutta la materia prima disciplinata dalla l. n. 977/1967.

[11] E’ questo ad esempio il caso dell’art. 600-bis c.p. in materia di prostituzione minorile, prostituzione che si sa essere esclusivamente esercitata da ragazze straniere. Dice la norma:

 “Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire dieci milioni…”

Ora, il punto debole di questa disciplina legislativa è  il fatto che è ammesso al cliente invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa: ciò attualmente ha portato ad una sostanziale non applicazione della norma.

Analogamente avviene per alcune disposizioni in tema di lavoro minorile, che disegnano fattispecie “sfasate” rispetto alla realtà dei minorenni stranieri, per cui sono di fatto sostanzialmente disapplicate.

[12] Si tratta principalmente della legge 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme per la cittadinanza, e del relativo regolamento di esecuzione emanato con d.p.r. 12 ottobre 1993, n. 572.

[13]Art. 8 del Trattato sull’Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 e ratificato dall'Italia con legge 3 novembre1992 n. 454: “È istituita una cittadinanza dell'Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato”.

[14] Questa possibilità di protezione per i minori stranieri ultradiciottenni sta però per essere superata. L'Italia ha infatti sottoscritto la Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996 (che costituisce la revisione della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961) la quale, superando le diverse riserve che alcuni paesi, gelosi della loro autonomia in una materia cosi delicata, all’art. 2 sancisce che “La Convenzione si applica ai minori dal momento della loro nascita fino al raggiungimento dell'età di 18 anni”. Questa Convenzione del 19 ottobre 1996 tuttavia non è ancora stata ratificata dal Parlamento italiano e, dunque, non opera ancora.

[15] La regione con il maggior numero di minori stranieri iscritti all’anagrafe (circa 30.000) era la Lombardia. Il dato della incidenza percentuale dei minori sul totale degli stranieri vede significativamente prevalere il Trentino Alto Adige (18,2) e il Veneto (16,3).

[16] Nel nord‑est, ove più basso è l'indice di natalità, la natalità degli stranieri è apparsa particolarmente elevata (17 nati per mille stranieri residenti) e risulta essere all’incirca doppia rispetto a quella della popolazione complessiva residente (8,3 per mille) (Fonte: Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità ‑ Ministero dell’intemo ‑ luglio 1998).

      Nel Veneto gli stranieri rappresentano ormai, in termini assoluti, più del 4% dei nati (estrapolazione dai dati ISTAT e da Il Veneto in cifre, a cura del Consiglio regionale del Veneto. 1996).

[17] Anche in questo caso è da notare la differenza relativa: nel nord‑est risultano iscritti in una scuola ben il 9,3% degli stranieri residenti; nelle isole solo il 3,1% (Fonte: Relazione sulla presenza straniera in Italia e sulle situazioni di irregolarità ‑ Ministero dell'interno ‑ luglio 1998).

[18] Circolare n. 100/2701 in data 8 luglio1994 del Ministero degli affari esteri.

[19] La disciplina del permesso di soggiorno è precisata negli artt. 9 – 17 del Regolamento di attuazione. Una completa esposizione dei requisiti, modalità, limiti della concessione del permesso di soggiorno, con riferimento alla normativa previgente ma in larga parte ancora utilizzabile, si può trovare in P. Bonetti, La condizione giuridica del cittadino extracomunitario, Maggioli Editore, Rimini. 1995

[20] Art. 28 del Regolamento di attuazione, Dpr n. 394/1999

[21] Non è questa la sede per approfondire questo aspetto cruciale del problema immigrazione; si segnala però il numero 11/2000 del mensile Famiglia oggi, numero monografico completamente dedicato al tema “Scolari stranieri”.

[22] Vedi artt. 42-44 del reg. att. del T.u.d.i.s. (D.p.r. 394/1999)

[23] Circolare I.N.P.S. n. 82 del 21 Aprile 2000, “Prestazioni previdenziali a favore degli immigrati”

 

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