Palombarini

 

Giornata di Studi su 
Carcere e Immigrazione

Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001

 

Intervento del Dott. Giovanni Palombarini

(Sostituto Procuratore Generale in Cassazione e Coordinatore del “Gruppo Immigrazione” di Magistratura Democratica)

 

La legislatura si sta ormai concludendo, e così si vanno chiudendo le speranze di un miglioramento della normativa in tema di immigrazione. Due, in particolare, erano i settori per i quali era legittimo attendersi che nel corso degli ultimi tre anni - cioè a partire dall’approvazione della legge Turco - Napolitano si approvassero interventi correttivi della normativa in tema di immigrazione.

 

In primo luogo la ragione e l’esperienza avrebbero dovuto suggerire l’adozione di un meccanismo di regolarizzazione permanente per coloro che, comunque entrati in territorio italiano, abbiano qui trovato un lavoro organizzando per se ed eventualmente per i propri familiari una vita normale.

 

La ragione: chi lavora ed è così in grado di mantenersi, è già, nei fatti, un residente regolare, e non si vede il motivo per il quale debba andarsene.

 

L’esperienza:

solo raramente è successo che uno straniero sia entrato in Italia per andare a coprire un posto di lavoro già individuato;

la stragrande maggioranza dei cittadini extracomunitari sono entrati o si sono trattenuti irregolarmente per cercare un lavoro, tant’ è che oggi i “regolari” sono circa 1.350.000 solo per effetto delle varie sanatorie.

 

Dunque, perché continuare a fare finta che la realtà sia diversa? Tra l’altro, l’adozione di una simile misura consentirebbe un esito civile - e rispettoso dei principi costituzionali - delle vicende di quegli stranieri che, essendo stati raggiunti da sentenze di condanna per un reato e avendo scontata la pena con un giudizio positivo di risocializzazione da parte delle autorità competenti, abbiano trovato un datore di lavoro disposto ad assumerli. Il tempo è passato, e la soluzione del problema è stata rinviata a un incerto futuro.

 

Così è avvenuto per un’altra questione, indicativa dello stato della civiltà di un paese. Com’è noto, la legge n° 40 del 1998, che pure vorrebbe regolare in modo organico la materia dell’immigrazione, non riconosce ai cittadini extracomunitari, anche se regolarmente residenti da anni in Italia, il diritto di elettorato (neppure quello amministrativo). Eppure non poche realtà locali si caratterizzano per la presenza attiva di comunità che vogliono dire la loro su tante questioni; e, infatti, molti comuni hanno già adottato per loro conto dei meccanismi di consultazione delle loro più o meno ampie comunità straniere. Ciò nonostante quel diritto non è contemplato dalla legge.

 

A fronte delle critiche di chi, durante i lavori parlamentari (fine ‘97, inizio ‘98), denunciava questa carenza ricordando tra l’altro come in altri paesi europei tale diritto fosse da tempo riconosciuto, si rispose che presto si sarebbe provveduto a una piccola modifica costituzionale, da alcuni ritenuta necessaria per adottare una simile misura. E anche autorevoli esponenti del Polo, oltre a tutte le componenti della maggioranza, si dichiararono disposti a una successiva integrazione della normativa in tempi brevi. Invece anche qui il tempo è passato inutilmente e questa misura di civiltà è stata rinviata non si sa a quando.

 

Peccato. Peccato, perché l’Italia avrebbe potuto in questi anni dare il buon esempio. Qual è lo stato dei diritti fondamentali in Europa sul versante delle minoranze etniche? Quali logiche muovono oggi i governi, all’inizio del nuovo secolo e di un processo di unificazione che vuole andare al di là di quella semplicemente monetaria, in questo settore? Sono domande che sorgono spontanee, di fronte a scelte già operate da alcuni paesi e ai programmi di forze che si candidano al governo di altri.

 

Se in Turchia - che pure aspira ad entrare al più presto nell’Unione - la condizione in cui versa la minoranza curda è caratterizzata da una repressione durissima (e la situazione carceraria, non solo per i curdi, si caratterizza per continue proteste e scioperi della fame, ai quali si risponde con brutali interventi di tipo militare), in altri Stati l’atteggiamento rispetto alle minoranze che danno vita al fenomeno immigrazione continua ad ispirarsi alla logica della chiusura e del rifiuto.

 

Emblematica - anche perché, essendo basata su criteri assai semplici e quindi facilmente imitabili, rischia di essere indicativa di una tendenza che potrebbe diventare generale - è la situazione spagnola. Di recente, il 23 gennaio, è entrata in vigore la legge n° 8/2000 sugli stranieri, che sostanzialmente, a fronte dell’immigrazione irregolare, stabilisce due principi.

 

Da un lato: tutti coloro che si trovano sul suolo spagnolo senza essere in possesso di un qualche documento autorizzativo, non hanno diritti (nemmeno quelli di riunione, manifestazione del pensiero e organizzazione sindacale). Dall’altro: costoro possono essere espulsi nel giro di 24 ore con un provvedimento di polizia sottratto a qualsiasi tipo di controllo giurisdizionale. Queste scelte hanno determinato in Spagna molte reazioni, ma intanto la situazione è quella che è.

 

A coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia non resta che tentare di mantenere viva l’attenzione su questi problemi, sapendo che la partita è molto difficile in tutta Europa.

  

Giovanni Palombarini

 

 

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