Campo

 

Giornata di Studi su 
Carcere e Immigrazione

Casa di Reclusione di Padova - 16 febbraio 2001

Intervento del Dott. Gaetano Campo

(Esponente di Magistratura Democratica)

Le recenti polemiche che hanno fatto seguito alle ordinanze di alcuni magistrati del Tribunale di Milano, che hanno eccepito la incostituzionalità della disciplina del testo unico sull’immigrazione a proposito della cosiddetta detenzione amministrativa degli stranieri colpiti da provvedimento di espulsione presso i centri di permanenza, hanno messo in luce ancora una volta la mai sopita diffidenza verso il controllo di legalità che viene demandato alla magistratura, per cui quei magistrati sono stati dipinti come invasori di competenze politiche e amministrative e cospiratori al servizio di interessi lobbistici e politici, e hanno ancora una volta evidenziato la carenza di una visione del sistema di garanzie nel senso di assicurazione a tutti, anche a chi appartiene alle fasce marginali della società, delle identiche possibilità di tutelare i propri diritti fondamentali e di libertà.

 

Con specifico riferimento alle problematiche inerenti ai fenomeni migratori, questo deficit politico e culturale si traduce nella tendenza alla creazione di un diritto speciale, un ordinamento separato dai principi affermati e praticati per i cittadini comuni.

In questa prospettiva, una valenza esemplare ha proprio la disciplina della cosiddetta detenzione amministrativa dello straniero destinatario di un decreto di espulsione, dove l’aggettivo non elide la portata del sostantivo cui si accompagna e che sottolinea come ci si trovi di fronte ad una forma di vera e propria limitazione della libertà personale.

Che sia così è reso evidente dalla lettura delle norme, anche regolamentari, che regolano la materia. Infatti, il testo unico e il regolamento stabiliscono il divieto per lo straniero di allontanarsi dal centro, autorizzano l’uso della forza pubblica per riportare nel centro lo straniero che se ne sia allontanato, affidano la gestione del centro al questore, che può porre in essere tutte le misure necessarie a impedire l’allontanamento degli stranieri detenuti.

 

Un recente studio, anche numerico, del fenomeno ha evidenziato come, nel 1999, accanto ai 23.000 stranieri detenuti in carcere vi fossero 11.269 stranieri entrati nei centri di permanenza, tanto che “per ogni due stranieri che entrano in carcere perché imputati o condannati per reati, c’è un terzo straniero che entra in un centro di detenzione per irregolarità amministrative”.

 

Le particolari caratteristiche di questa disciplina sono state ampiamente esaminate dagli studiosi e dalle stesse ordinanze del tribunale di Milano che hanno manifestato i dubbi di incostituzionalità.

In particolare, deve essere sottolineata la grave carenza di garanzie difensive, che rendano effettivo il diritto di difesa dello straniero destinatario di questi provvedimenti, in un sistema caratterizzato dalla concessione di grandi poteri discrezionali, direttamente incidenti sulla libertà personale, alla autorità amministrativa di pubblica sicurezza, dalla riduzione del ruolo del magistrato ad una semplice verifica, a volte incompleta e burocratica, dei presupposti della misura, dalla automaticità delle conseguenze del provvedimento, senza che il giudice, come accade per le misure limitative della libertà personale, possa incidere sulla durata della detenzione adeguandola al caso concreto.

 

Va subito sottolineato che queste misure riguardano un illecito amministrativo, quello dell’ingresso e della permanenza nel territorio dello Stato, che ha natura permanente e tendenzialmente indefinita nel tempo, che nessun fatto diverso da un provvedimento legislativo di sanatoria può far cessare. In questo ambito, sulla base di valutazioni del tutto discrezionali e sostanzialmente incontrollabili, il prefetto può disporre che l’espulsione avvenga con accompagnamento immediato alla frontiera. Si tratta, in questo caso, di una misura che incide direttamente sulla libertà personale dello straniero, il quale viene assoggettato ad un potere esterno e viene privato di autodeterminazione, che non viene neppure sottoposta ad un controllo preventivo di legittimità del giudice. Tutto questo sulla base di presupposti che, per l’ampiezza della formulazione legislativa, sconfinano quasi nella indeterminatezza.

 

In sostanza, della esistenza di un provvedimento che priva la libertà personale dello straniero accompagnato coattivamente alla frontiera, il giudice non viene neppure informato. 
Un controllo giurisdizionale è previsto solo nel caso in cui, per l’impossibilità di eseguire l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera, lo straniero venga inviato presso un centro di permanenza, nelle ipotesi previste dall’art. 14 del testo unico.

Anche in questo caso vanno sottolineate incongruenze del sistema, nella parte in cui viene scelto un procedimento, disciplinato dal codice di procedura civile, del quale la dottrina processualistica più attenta ha da tempo evidenziato aspetti di contrasto con le garanzie costituzionali se utilizzato per la tutela di diritti, per la grave compromissione del diritto di difesa, se si considera che solo con il regolamento del 1999 è stato previsto il diritto dello straniero alla assistenza del difensore, d’ufficio o di fiducia, tanto che, secondo alcune stime, sono stati quasi 9.000 gli stranieri trattenuti presso i centri senza la presenza di un difensore fino al 1999.

 

Non solo, per quest’ultimo aspetto, deve essere sottolineato che la legge non prevede che il difensore venga avvisato immediatamente al momento in cui inizia il trattenimento, ma solo per l’udienza di convalida, con la conseguente riduzione dei tempi per l’organizzazione di una difesa efficace, che possa ad esempio raccogliere efficacemente prove a favore dello straniero.

 

Il differimento della nomina del difensore d’ufficio al momento della convalida, unito al breve termine di cinque giorni per l’impugnazione del decreto di espulsione, comporta poi una ulteriore compromissione del diritto di difesa dello straniero, di impugnare efficacemente proprio il provvedimento che è a monte dell’intero procedimento e rispetto al quale il giudice è fornito di maggiori poteri di indagine e controllo rispetto alla fase di convalida.

Se a questi rilievi si aggiungono le ordinarie difficoltà ad esempio in materia di traduzione degli atti e di assistenza di un interprete, si può constatare la sostanziale inadeguatezza dell’attuale disciplina a garantire l’effettività del diritto di difesa e l’effettiva tutela del diritto alla libertà personale.

 

Da ultimo, vanno richiamati i rilievi già evidenziati nelle ordinanze del tribunale di Milano, sulla assenza di qualsiasi potere giudiziale di adeguamento della durata della misura alla concreta situazione di fatto e questo per via di una durata della detenzione predeterminata dalla legge in modo indifferente alle concrete situazioni che l’hanno determinata.

Va anche rilevato che in concreto la presenza di questi centri non ha affatto determinato una maggiore effettività delle espulsioni, se si pensi che nel 1999 ben il 63 % degli stranieri detenuti nei centri è stato rimesso in libertà per l'impossibilità di procedere alla espulsione e che solo nei confronti dei paesi con cui l’Italia ha sottoscritto accordi di riammissione il rapporto tra espulsioni effettive e rimessioni in libertà si è rovesciato, a conferma che sono altri gli strumenti che consentono un concreto funzionamento di questa misura.

 

Si rileva anche che i fenomeni migratori non possono essere governati ponendo al centro della disciplina solo il momento espulsivo, ma che occorre una ridefinizione dell’intera disciplina che rompa il muro tra circuito legale e circuito illegale, per cui lo straniero entrato illegalmente, fuori dai flussi programmati, non può restare regolarmente nel territorio dello Stato sanando la propria posizione irregolare, e preveda che la misura dell’espulsione venga resa effettiva solo nei casi di maggiore gravità o di rifiuto o di sottrazione alla legalizzazione.

 

In conclusione, di fronte a iniziative dirette a estendere la presenza di questi centri nelle città italiane, sarebbe forse opportuno chiedersi se non sia il caso di chiudere anche quelli esistenti, in nome di una cultura giuridica rispettosa dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali dell’uomo.

 

Il tema della immigrazione pone tutti di fronte a una sfida che ha ad oggetto principi fondamentali, come quelli di uguaglianza e, di libertà personale, e richiede uno sforzo della politica e della cultura giuridica per evitare la creazione di un diritto disuguale e rendere effettive le garanzie costituzionali per tutti, cittadini e stranieri.

Gaetano Campo

 

 

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