La salute appesa a un filo

 

Atti della Giornata di Studi

“Carcere: La salute appesa a un filo”

Il disagio mentale in carcere e dopo la detenzione 

(Venerdì 20 maggio 2005 - Casa di reclusione di Padova)

 

Francesco Bruno

 

Vi ruberò solo pochi minuti e mi scuso con gli organizzatori. Avrei dovuto essere gia presente questa mattina, però purtroppo per una serie di motivi, compresa la distanza del luogo dov’ero, mi hanno portato ad arrivare tardi e quindi parlerò molto poco. Quello che devo dire fondamentalmente è: eccoci qui. Questo eccoci qui si riferisce a un qualche cosa che nacque molti anni fa. Quando molti anni fa si giunse alla proibizione prima del ricovero di persone con disturbi psichiatrici nei manicomi e alla chiusura successiva dei manicomi, lasciando per altro in vigore gli O.P.G., la preoccupazione di tutti gli operatori era che questi O.P.G. avrebbero inevitabilmente raccolto l’eredità che veniva dagli ospedali psichiatrici civili. L’allora direttore dell’ufficio studi dell’Amministrazione penitenziaria, il compianto Luigi Daga, mi tranquillizzò tre-quattro anni dopo dicendomi: “Non è vero, perché a parte un numero maggiore nei primi momenti successivi alla riforma psichiatrica, poi i pazienti degenti in O.P.G. sono addirittura diminuiti”. Io ho detto: “Ma non sarà che andranno a finire direttamente in carcere?”.

Allora sembrava una enormità e invece è successo. Più di 7000 persone con disturbi gravi, psichiatrici sono nelle nostre carceri, e hanno diritto ad una assistenza innanzi tutto. È un problema immenso che non posso tratteggiare qui, perché ovviamente pone una serie di domande su quali siano le cause di tutto ciò. Le cause di tutto ciò è che purtroppo il carcere, nonostante queste giornate, nonostante gli sforzi, che devo dire sia l’Amministrazione penitenziaria, sia il personale di Polizia penitenziaria in genere compie, e la dimostrazione oggi è qui: per aprire un po’ questi istituti alla gente, al mondo, il carcere ha mutato la sua funzione nel nostro Paese e direi non soltanto nel nostro Paese, ma in gran parte del mondo, diventando da luogo di pena a luogo che risolve tutta una serie di problemi sociali che vanno dall’ordine pubblico alla sicurezza e così via.

È inutile dire che naturalmente così non è, che il carcere dovrebbe forse rimanere solo per situazioni molto gravi, ed è inutile dire che nel frattempo grazie ad una sentenza della Corte costituzionale, anche gli O.P.G. potrebbero presto non vedere più la luce ed essere distrutti. Non me ne voglia l’amico Scarpa, ma essere distrutti più di quelli civili, però questo non succede perché il sistema psichiatrico nel nostro paese, il sistema di assistenza pubblica non funziona, e quindi non è in grado minimamente di dare una risposta alle domande.

Il caso Izzo: il caso Izzo esemplifica pienamente quello che è successo nel nostro paese. Di casi Izzo ce ne sono tantissimi. Là dove nel 1979 il medico, ecco non voglio parlare di me che l’ho visto e che feci ovviamente una diagnosi psichiatrica grave, chiedevo una perizia psichiatrica che fu negata per evidenti motivi diciamo di ordine pubblico, il medico del carcere di Trani che lo vide nel 1978 disse: “Non ha fatto mistero della sua impulsività (testuali parole) che lo spinge anche per futili motivi a concepire l’idea di sopprimere qualche persona. Ha accennato ad una originale forma di altruismo che lo ha portato spesso a fantasticare di proteggere persone anche molto amate sopprimendole”.

Questo siamo nel 1978, andiamo ad oggi, vi voglio leggere solo due brani del libro delirante che costui stava scrivendo. Nel primo brano sta parlando di un personaggio, tale nonno Rocco, non suo nonno, il nonno di un amico suo, che per lui era diventato un mito e un maestro di vita, e dice: “Aveva ammazzato il federale del suo paese, e condannato a morte, era stato costretto a darsi alla macchia, nascosto per anni sulle montagne del Sannio, senza aver fatto un solo giorno di galera nel dopo guerra venne graziato e potè tornare quasi da eroe nel suo paese. Vedi Angelo – queste sono le parole di nonno Rocco che però lui fa sue – questo fucile è il mio infallibile cannocchiale. Mi basta poco, un taglio sul muro e l’occhio vigile sul mirino, tutto ruota a seconda del mio volere e mi sento più tranquillo, nella serenità che ho conoscenza delle cose e che saprei affrontare movendo leggero l’indice sul grilletto, ogni difficoltà, ogni problema”.

Siccome è tardi vi risparmio gli altri pezzi, ma questa è la sua filosofia di vita, quella che lui approva, ma non nel 1978, ma poco prima di uscire. Lasciamo perdere quello che dice sullo stupro, e quello che si domanda è come non capire? Come non leggere? Come non sottolineare un progetto delirante di vita che resiste a trent’anni di carcerazione? Come dire quello che è successo? Come raccontarlo? Si parlava prima delle vittime, come dirglielo alle vittime? Come dirglielo ai parenti delle vittime? Che cos’è l’osservazione? Basta scrivere osservazione su un foglio di carta per farla? E fermiamoci qui per carità di patria.

I suicidi, tutti sapete che il carcere aumenta grandemente il rischio suicidio, e lo aumenta almeno dieci volte, nel nostro paese, nelle persone, nei detenuti normali. Come si risponde a questo? Con una serie d’interventi psicologici sull’uomo, cercando di prevenire il suicidio e cercando di impedirlo, e questo è sbagliato, profondamente sbagliato, perché qualsiasi psichiatra sa che per prevenire il suicidio quando questo deriva da cause patologiche, bisogna curare la patologia, quindi bisogna individuare una patologia come tale e curarla. Il suicidio che invece viene fatto liberamente, perché quella persona ha deciso di andarsene, noi non possiamo impedirlo in nessun modo, forse l’unico modo, diceva prima il cappellano, le due parole: “Per favore e grazie”. La dignità, la dignità di un uomo non può essere calpestata, e certe volte, quando si dice dignità, non si pensa alla tortura, ovviamente, ma ci sono piccole cose all’interno dell’organizzazione carceraria che impongono e distruggono la dignità.

E allora è su quelle che bisogna intervenire, perché poi se voi andate ad analizzare, come io ho fatto, tutta la letteratura mondiale sul suicidio in carcere, vi rendete conto che ci sono paesi, viva Dio, uno dei quali è la Norvegia, un altro è la Svizzera che sta accanto a noi, dove la popolazione libera si suicida 10 volte più che in Italia e quella in carcere per niente. Non perché in carcere stanno meglio che a casa loro, ma perché in quelle organizzazioni di vita quotidiana, devo dire che per alcuni versi il carcere svizzero lo conosco meglio rispetto a quello norvegese, è anche più duro di quello italiano, però si rispetta la dignità dell’uomo. E la dignità, il bisogno, la necessità di dirgli buongiorno, almeno questo.

Allora cominciamo da questo, rivediamo tutto, l’ultima parola di conforto e che io credo che questi principi stanno passando anche in Italia e forze il caso Izzo è stato molto importante perché ha determinato un ripensamento dell’opinione pubblica, dei mass media e quindi bisognerà mettere mano a delle riforme che consentano al sistema psichiatrico, civile fondamentalmente, di funzionare e poi appunto di ridurre, e questo credo che già il nuovo Codice penale che spero possa vedere la luce prima della fine della legislatura, alcuni problemi li affronta e li risolve coraggiosamente, anche se ci sono naturalmente cose che non vanno. Infine si sta cercando, almeno da parte dell’amministrazione, di ridurre il peso di certe cose, per esempio di evitare che i tossicodipendenti finiscano in carcere prima ancora di qualunque giudizio sulla loro situazione fisica e così via. Io spero che si possa fare anche qualcosa sul suicidio: il carcere di Sulmona ha avuto tra tanti demeriti, e non è un carcere diverso da tutti gli altri, ma ha avuto tra i tanti demeriti il merito di far scoppiare questo problema, speriamo che ancora una volta non sia dimenticato e che da questo possano nascere quei corsi di formazione, ma soprattutto quelle modifiche della vita interna delle diverse carceri che possano influire favorevolmente sul vissuto della gente. Io mi fermo qui perché sostanzialmente le cose che volevo dire erano queste, poi naturalmente darò all’organizzatrice tutte le carte necessarie.

 

 

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