Anacleto Benedetti

 

Giornata di studi "Carcere: non lavorare stanca"

9 maggio 2003 - Casa di Reclusione di Padova

 

 

Anacleto Benedetti, Ufficio Detenuti dell’Amministrazione Penitenziaria

 

Ho chiesto la parola a titolo personale, in questo momento non rappresento il Dipartimento, ma rappresento il dottor Benedetti, soprattutto ex direttore di Regina Coeli. Io ho avuto la fortuna di girare un po’ l’universo penitenziario e di vedere tante situazioni, ho sentito oggi molte riflessioni importanti, ho sentito molte cose che vanno memorizzate, che però non hanno risolto il mio dubbio di fondo: noi spesso pretendiamo dal carcere ciò che le istituzioni diverse dal carcere non fanno.

Se voi pensate alla varietà dei componenti della popolazione detenuta di un istituto come Regina Coeli, di cui ero direttore quando aveva 1.600 detenuti, pensate a quante persone minorate psichiche, quante persone in stato di tossicodipendenza avanzata, in stato di sieropositività avanzata ci sono in carcere. E quante persone potevano non stare in carcere. Ed è chiaro che queste sono le persone che danno più problematiche, che impegnano di più il personale, impegnano di più le poche risorse umane e finanziarie che ci sono.

Quindi, quando poi io sento che in questo istituto ci sono 40 detenuti lavoranti grazie alla legge Smuraglia, dico che è un risultato stupendo, perché io faccio riferimento ad altre realtà dove questi posti di lavoro non ci sono.

Noi chiediamo, giustamente, all’istituzione penitenziaria tante cose, di aumentare i fondi, e noi li abbiamo richiesti in tutte le sedi possibili. Io mi chiedo: le altre istituzioni, che cosa fanno? Che cosa prevedono? Non perché vi siano iniziative a favore dei detenuti, ma perché le persone non diventino detenuti!? Questa è una domanda di fondo alla quale non ho mai avuto risposta. Perché io non credo che il carcere sia l’unica risposta possibile al disagio sociale e al disadattamento sociale molte volte creato dalla stessa società.

 

 

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