Tarcisio Tarquini

 

Società senza informazione

I media, i diritti e gli esclusi

Venerdì 21 giugno 2002 - Milano

Tarcisio Tarquini, amministratore delegato delle edizioni EDIESSE

 

Sì, grazie, io direi qualcosa su alcune delle osservazioni che sono state fatte in precedenza, perché mi pare cadano a proposito per capire anche non solo il contesto nel quale opera un tipo particolare di informazione quale la nostra, ma anche per sottolineare alcuni aspetti del rapporto del mondo del lavoro con l’informazione, che a me paiono non molto dissimili dalle cose e dai rapporti che sono stati ricordati prima, rispetto "al mondo delle persone al di fuori del margine", così è stato definito.

Il direttore dell’Ansa ha ricordato il caso dell’articolo 18: io credo che l’articolo 18 sia davvero un caso di scuola, un caso da studiare, perché a mia memoria (credo che i sindacalisti qui presenti possano confermare questa mia affermazione), è una delle rarissime occasioni in cui un problema che riguarda il mondo del lavoro sia riuscito a conquistare le prime pagine dei giornali, l’attenzione generale dell’informazione.

Se si cerca di capire perché l’articolo 18 ha conquistato questa attenzione da parte dei media credo che si ravvisino, in una miscela che in questo caso è positiva, proprio quelli che sono i tic e i limiti dell’informazione ricordata prima, cioè una certa tendenza al sensazionalismo, una certa tendenza alla commozione intorno alle sfortune della società, etc.

In realtà, quando si guarda al mondo del lavoro, e al sindacato, quello che si capisce leggendo i giornali è che si opera su due piani, e cioè che il mondo del lavoro è qualcosa che riguarda l’intero sistema produttivo, la società, chiamiamola così… per trovare una definizione sintetica. Il sindacato perde importanza e ruolo quando diventa invece un attore della politica: viene intuito, viene considerato spendibile dal punto di vista dell’informazione, in un certo senso interessa… perché va al di là di quella che dovrebbe essere la sua funzione primaria.

La rilevanza informativa che si è raggiunta, la grande attenzione ed oculatezza che si è raggiunta e si è registrata intorno all’articolo 18, è perché probabilmente questi due elementi sono riusciti a comparire assieme e ad acquistare per questo una forza e una valenza informativa che ha costretto i giornali a centrare su di essi la loro attenzione. Però è appunto un fatto di scuola, è un fatto piuttosto raro, non dico casuale, ma comunque per vederlo di nuovo realizzato occorre mettere insieme gli elementi che ne hanno determinato il successo, un successo riconosciuto anche dalla "controparte", chiamiamola in questo modo.

Berlusconi, grande re dell’informazione, dice che dal punto di vista informativo e comunicativo, il sindacato, a suo giudizio facendo della disinformazione, è arrivato più direttamente e più facilmente di quanto il governo, non facendo disinformazione (sempre a suo giudizio), sia riuscito ad arrivare.

Allora io vorrei ci fosse un’analisi (tra l’altro "Rassegna sindacale", che è il settimanale della C.G.I.L., organizzerà con la facoltà di scienze delle comunicazioni dell’università di Roma, un seminario su questo a settembre) sul perché, una volta tanto, la storia si ripete e Davide batte Golia, e cioè un’informazione di tipo tutto sommato molto povera, riesce a mettere in scacco un apparato comunicativo ed informativo molto solido come quello dei grandi media, che finora era riuscito a dire anche su questi temi l’ultima parola.

Il mondo del lavoro dovrebbe essere dentro, non dovrebbe far parte (almeno così viene descritto) di coloro che stanno fuori, dei volti che sfuggono all’informazione. In realtà, abbiamo detto prima, ci riesce solamente se sono possibili alcune operazioni, se si rende disponibile ad alcuni tic: il mondo dell’informazione che cerca di proporre il mondo del lavoro vive ogni giorno il rischio di fare propri, in qualche misura, i tic e i limiti della grande informazione. Il rischio dei giornali e dei libri come i nostri, è quello di non capire la specificità e la particolarità delle cose che possono proporre, è quello di cercare di scimmiottare quello che fa il resto dell’editoria, quello che fa il resto dell’informazione.

Qualcosa in C.G.I.L. è cambiato, negli ultimi tempi, proprio perché si è scelto di fare i conti con quello che si è, con quello che richiede, che è utile per il proprio pubblico, con quello che può aiutare questa operazione di informazione vera sul mondo del lavoro e sulle tematiche del mondo del lavoro. Sono stati ricordati prima i titoli delle EDIESSE, la produzione abbondante in questi ultimi anni delle EDIESSE. Il sistema editoriale della C.G.I.L. si basa su due esperienze fondamentali, una è rappresentata appunto dalle EDIESSE, che è la casa editrice della C.G.I.L., e l’altra è la cooperativa di giornalisti che pubblica la rassegna sindacale del settimanale della C.G.I.L. In questi ultimi anni queste due realtà editoriali hanno cercato di misurarsi davvero con le necessità del proprio pubblico e le necessità di temi che essi possono affrontare.

C’è stato un momento importante nel quale quest’attività di riconsiderazione di sé stessi in relazione al proprio pubblico, in relazione alla propria missione, diciamo così, e l’attenzione più generale al tema emergente dei diritti, si è trovato un punto importante di iniziativa, ed è stata la campagna per il lavoro minorile, che ritorna all’attenzione in questi giorni.

Anche qui si dice che i dati dell’Istat ridimensionano il fenomeno. Si fa della confusione, in realtà i dati che vengono fuori sia dalle inchieste fatte dalla C.G.I.L., sia da quello che dicono gli esperti che hanno un minimo di pratica di questa materia, confermano la rilevanza e la specificità, all’interno di questa rilevanza, del fenomeno nel nostro paese. Collegandoci ad una campagna generale che lanciò la C.G.I.L., alcuni anni fa, sul lavoro minorile, visto non solo fuori dalle porte di casa nostra, ma anche dentro casa nostra, abbiamo prodotto un libro e un video.

Noi abbiamo tutti i problemi che ha una piccola casa editrice, cioè quella di avere una distribuzione che presenta molti limiti e difficoltà, e allora abbiamo fatto la scelta di utilizzare (ed è questa la formula, molto modestamente direi "vincente" delle EDIESSE), in quest’ultimo periodo, come canale di distribuzione quella grande ricchezza che offre la C.G.I.L., che è la rete dell’organizzazione dei militanti della C.G.I.L. stessa.

Attraverso una distribuzione che si è basata sugli iscritti alla C.G.I.L. scuole, i presidi iscritti alla C.G.I.L. scuole, siamo riusciti ad arrivare, con questo libro e questa cassetta, (gratuitamente perché faceva parte di una campagna nazionale sostenuta dalla C.G.I.L.), a 3.000 scuole italiane ed abbiamo avuto il riscontro di parecchie iniziative su quel materiale, pensato non solo per documentare la realtà del lavoro minorile nel nostro paese, ma anche per impostare azioni didattiche che potessero essere utili agli studenti, in modo da affrontare con maturità il problema del lavoro. Siamo riusciti ad impostare una serie di azioni e ad avere il riscontro del successo di un’iniziativa che ha saputo collegare un interesse specifico, del sindacato attorno al lavoro, con una campagna per l’allargamento dei diritti.

 

Sergio Segio

 

Grazie a Tarquini. Adesso passerei la parola a Fabrizio Ravelli, di Repubblica che, secondo me con particolare attenzione, ha saputo informare, comunicare questi nuovi movimenti con il grande pubblico, con servizi un po’ in giro per l’Europa.

Tra l’altro volevo segnalare un convegno, che naturalmente ho letto nell’agenzia Ansa, che c’è stato a Berlino il 13 giugno, questo per dire che comunque anche il mondo della grande informazione ha coscienza dei propri limiti, degli errori del sistema. A questo convegno sul ruolo dei media nella società c’erano i direttori e i vice direttori di tutti i grandi quotidiani europei e uno di questi direttori segnalava, tra i limiti, proprio quello che è in crisi il giornalismo d’inchiesta. A suo parere perché costa troppo. Secondo me Fabrizio è uno dei giornalisti che ci riconciliano col fatto che, pure in maniera limitata, questo tipo di giornalismo è possibile, quindi possiamo sperare anche in un altro tipo di informazione.

 

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