Leopoldo Marcolongo

 

Leopoldo Marcolongo

Sindaco di San Giorgio in Bosco

 

Io non sono venuto per fare discorsi, ma per portare la mia esperienza. Stamattina ho chiesto al mio parrucchiere se era contento del lavoro dei cantonieri del Comune. Ho detto: "Romeo, ma gheto visto i cantonieri?" "Sì, li go visti", e gli ho riferito che dei quattro cantonieri due erano detenuti. Lui mi ha guardato un po’ perplesso, probabilmente pensando che stessi scherzando.
Questa notizia, secondo me, non l’aveva irrigidito per un problema di ordine pubblico, proprio non gli passava neanche per la testa, ma l’ha costretto a uscire dal suo schema mentale per cui i detenuti stanno in carcere fino al termine della pena, praticamente in un castello inaccessibile, fuori dalla cintura urbana, dove non disturbano. È stato costretto a pensarci. E alla fine ha concluso che tutto sommato i cantonieri andavano bene.

Non è così facile come pensate, nei piccoli paesi. Infatti fino a poco tempo fa il problema dei detenuti non rientrava certo nel programma elettorale dei sindaci, ma era ben volentieri relegato allo Stato, che si prendeva la seccatura di fare pulizia in paese, togliendoci le persone che portavano disturbo alla comunità. Questa è la realtà, un po’ come facevamo coi manicomi, per fortuna poi è cambiato un po’, come facciamo con tutti i borderline. D’altra parte parlare in paese di questi problemi non porta certamente voti. La mia esperienza sui problemi del carcere è nata un po’ per caso.
Il mio collega sindaco di Galliera, Silvano Sabbadin, mi aveva invitato a una giornata di studi sul carcere "Non lavorare stanca", tenutasi l’anno scorso al carcere Due Palazzi di Padova, e questo è stato per me un momento molto importante di condivisione delle drammatiche realtà dei detenuti, sconosciute del resto a gran parte della società civile. In particolare io, che svolgo la professione di consulente del lavoro, sono stato colpito dal "tasso di disoccupazione" dell’80%, almeno io ho capito così, nonostante gli sforzi della direzione del carcere e del mondo associativo, che ho visto tra l’altro molto impegnato dentro al carcere. Da questo convegno e da quello tenutosi successivamente a Galliera Veneta ne ho tratto la convinzione che il lavoro, anziché la tolleranza zero, possa essere lo strumento per la risocializzazione e la ricreazione dell’autostima nei detenuti. Vorrei citare l’intervento di Alessandro Margara, presidente onorario della Corte di Cassazione, quando un detenuto esce dal carcere non finisce la pena, ma inizia un percorso ad ostacoli, un percorso che può essere superato solo se c’è il supporto di una rete di sostegno, una rete alla quale anche gli Enti Locali possono portare il loro contributo.

Da questo primo forte impatto con la realtà carceraria è nato l’invito alla Legatoria dei detenuti per presentare i lavori prodotti alla festa delle associazioni di San Giorgio in Bosco l’anno scorso. Un’esperienza positiva che sto riproponendo per la seconda volta. Poi è nata la convenzione con la Casa di Reclusione di Padova per l’impiego di due detenuti in regime di articolo 21 da affiancare ai nostri operai nello svolgimento degli interventi di manutenzione del patrimonio comunale.
La mia preoccupazione, come ricordato prima dal dottor Cappelleri, non è principalmente quella di ridurre i costi del carcere, non è un problema mio, ma semmai quello di favorire un recupero sociale, ecco, questo mi interessa.

È chiaro, e qui mi rivolgo anche al dottor Boscoletto, che l’obiettivo ideale è certamente quello di inserire il detenuto in modo che possa essere accompagnato in maniera definitiva in un’azienda privata, di questo ne sono convinto, e poi io mi occupo anche di selezione del personale, però i Comuni in fin dei conti fanno il primo passo, cioè quello di rompere questa difficoltà di considerare un detenuto un soggetto diverso dagli altri.

Volevo ringraziare il direttore della Casa di Reclusione di Padova, dottor Salvatore Pirruccio, e anche Lorena Orazi, Rosa Di Marco, il Magistrato di Sorveglianza, e anche tutti gli altri operatori perché ho notato una grande disponibilità. San Giorgio in Bosco è stato quindi l’ultimo Comune, dopo Padova, Limena, Galliera Veneta a stipulare una convenzione con il carcere di Padova.
L’esperienza a tutt’oggi, e ne sono molto convinto, mi sembra positiva, però pensando che nella Provincia di Padova ci sono altri cento Comuni, se tutti ne prendessero coscienza sarebbe possibile un recupero forte dei detenuti, che sono detenuti che non vengono dalla luna, ma sono nostri cittadini, che possono avere anche sbagliato, ma che i sindaci, che sono anche i loro sindaci, hanno il dovere di inserire nella loro lunga lista di problemi sociali, in modo da, e raccolgo anche un suggerimento che è venuto, fare in maniera che questo carcere non sia un castello inaccessibile, ma un po’ come un condominio del nostro paese, abitato magari da persone con qualche problema in più, ma dove però non manchi mai la speranza.

 

 

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