Cantone

 

CONVEGNO

"Difesa di ufficio e gratuito patrocinio: una difesa effettiva?"

21 settembre 2001 ore 9.00 presso la Casa di Reclusione di Padova, via Due Palazzi, 35/A

 

Avv. Luigi Pasini

 

Come avete visto dall’invito, l’invito è molto scarno e non c’è, a fianco di ciascun relatore, il titolo della relazione. Questo è dovuto, non solo alla pigrizia del Presidente della Camera Penale di Padova, ma è dovuto anche alla volontà, alla scelta di dare una particolare connotazione. Come dire: siamo qui, ragioniamo tutti assieme, senza predisporre degli steccati, senza predisporre chi parla e chi ascolta. E quindi do subito la parola al padrone di casa, senza il quale francamente, veramente non saremmo qui, il dottor Carmelo Cantone.

 

Dr. Carmelo Cantone (Direttore della Casa di Reclusione di Padova)

 

Buongiorno a tutti. Intanto do il benvenuto, ovviamente, a tutti gli ospiti che sono venuti qui oggi, a tutti gli appartenenti alla classe forense, che sono al 90% gli ospiti che partecipano a questa iniziativa. Di solito i legali, i difensori che entrano in istituto, varcano tre – quattro cancelli al massimo. Oggi ne hanno varcato sei: se ne varcano sei, normalmente, la cosa è preoccupante, vuol dire che stanno andando da un’altra parte, invece oggi lo fanno per partecipare a una iniziativa i cui contorni sono stati ben definiti dall’avvocato Pasini.

Io non voglio rubare molto tempo a interventi senz’altro molto più approfonditi e tecnici che ci saranno sulla materia di questa giornata di lavori. Mi limiterò solo ad alcune osservazioni. Quando la Camera Penale ci ha proposto, alcuni mesi fa, di organizzare questa giornata, noi abbiamo aderito subito, con molto entusiasmo, sia perché confidavamo sul fatto che il nostro Istituto, ormai, nelle sue varie componenti, quindi come struttura organizzativa, come personale e come detenuti che si muovono all’interno dell’Istituto, è abbastanza levigato nel riuscire ad affrontare iniziative di questo tipo, che hanno un certo respiro.

Ci piace però particolarmente il fatto che si possa, come ha detto l’avvocato Pasini prima, mettersi attorno a un tavolo e discutere concretamente di alcune innovazioni legislative importanti che hanno una ricaduta molto forte soprattutto nei confronti di soggetti detenuti in carcere, sia esso Casa Circondariale ma anche, con la nuova normativa, con le innovazioni fatte quest’anno, con la legge 217, senz’altro anche una grossa ricaduta per i condannati definitivi.

Allora, fare questa iniziativa in una Casa di Reclusione, con circa 700 persone detenute condannate a pene definitive, acquista un maggior significato. Il tutto, per noi, è collocato in una logica di servizio, perché poi, in effetti, credo che la questione del gratuito patrocinio richiami, almeno per quanto riguarda il versante nostro, due aspetti: un problema di logiche di servizio, appunto, cioè di quello che si offre al cittadino detenuto in carcere e, dall’altro lato, una corretta equilibratura rispetto al tema dei diritti.

Sulla questione dei servizi, in effetti, la legge, in particolare l’articolo 20, fa un richiamo forte rispetto a quella che deve essere un’organizzazione di servizio, di consulenza, a favore del cittadino. E su questo fa anche un richiamo importante rispetto all’intervento che, con la struttura delle convenzioni, il Ministero della Giustizia si deve dare. Si potrà ragionare poi se è possibile (e questo, per noi, vale per tante altre attività che si fanno e di cui avete qualche testimonianza), allo stato attuale, garantire dei servizi anche all’interno della struttura di pena, con convenzioni a titolo gratuito, oppure vedere come e dove il Ministero della Giustizia da una parte e le altre strutture territoriali che vogliono collaborare possono dare il supporto necessario per fare in modo che ci sia diffusione d’informazione, di notizie, di possibilità anche sulla materia della tutela, della difesa del cittadino detenuto. Su questo credo che un forte ragionamento, nei mesi futuri, l’amministrazione penitenziaria, nelle sue varie componenti, lo dovrà fare.

Poi c’è l’altro aspetto: dal mio modestissimo osservatorio vedo la legge 217 all’interno di una serie di movimenti, normativi e non solo, che ci sono stati negli ultimi anni.

C’è un collegamento, per esempio, significativo e importante, anche con la legge del dicembre 2000 riguardante l’allargamento delle attività del difensore in materia d’indagine.

C’è un collegamento con alcuni interventi, per esempio, della Corte Costituzionale, che più in generale intervengono sul tema dei diritti.

Quando si parla di diritti in carcere c’è sempre qualche imbarazzo, anche da parte nostra, dell’amministrazione penitenziaria. Imbarazzo che, tra l’altro, è stato manifestato anche con qualche iniziativa, devo dire anche poco felice, su cui penso sarà necessario che ci si confronti noi, al nostro interno.

Cito, per esempio, un’esperienza che tra l’altro mi ha coinvolto direttamente per cui l’ho vissuta con particolare attenzione. Ricorderete la sentenza della Corte costituzionale del giugno ‘97, la 212 se non ricordo male, che ha svolto un intervento estremamente importante secondo me, cioè quello di andare a definire quello che fino a quel momento non era stato creato dal legislatore, cioè il terzium genius di colloqui: non era prevista l’automaticità dell’autorizzazione del colloquio del detenuto condannato con il proprio difensore.

Su questo c’era stata, dal nuovo Codice di procedura penale in poi, dal 1989 in poi, una lettura, un’interpretazione, a parere di molti discutibile, molto discutibile, per questo tipo di autorizzazioni, tant’è che c’era un parere dell’Ufficio legislativo del nostro Ministero che equiparava i colloqui del condannato con il difensore ai colloqui con terza persona. Per cui era necessaria la nomina, era necessaria la dimostrazione di "ragionevoli motivi".

Su questa materia, purtroppo, devo dire, la nostra amministrazione e il Ministero della Giustizia in generale, per anni, a cavallo tra il ‘90 e il ‘97 ha tenuto una posizione di attesa, lasciando soltanto che, con l’intervento del ‘97, che dichiarava l’illegittimità dell’art. 18 dell’Ordinamento Penitenziario, la Corte costituzionale togliesse le castagne dal fuoco.

Ricordo questo perché, in quel caso, mi feci carico, come direttore dell’Istituto dove mi trovavo all’epoca, di concordare (lo posso dire con molta franchezza) con l’allora presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, il dottor Zappa, un gioco delle parti.

Io, come amministrazione, applicavo tassativamente quella disposizione; il magistrato di sorveglianza intervenne, in sede di valutazione su un reclamo di un detenuto, promuovendo la questione di legittimità costituzionale.

Quella sentenza (per chi non la conoscesse, invito veramente a leggerla, perché è una bellissima sentenza, molto ricca, anche sotto vari altri aspetti) era, da un lato, un intervento di innovazione giusto; dall’altro lato, però, era anche la certificazione di un’incapacità dell’amministrazione pubblica, diciamocelo pure, di intervenire per semplificare le cose che devono essere semplificate.

Altri imbarazzi su questo versante li abbiamo registrati, per esempio, con un’altra sentenza della Corte costituzionale che, in tema di diritti (qui ci allarghiamo, rispetto alla tutela della difesa), invita il legislatore a prevedere specifici mezzi di gravame a tutela dei diritti che il detenuto ritenga violati all’interno di un Istituto di pena.

Su questo, purtroppo, duole sottolineare che la proposta che giaceva (spero che non giaccia più e magari il Consigliere Tamburino ci saprà dire) nel nostro Ministero prevedeva che potessero essere attivati mezzi di reclamo nei confronti delle violazioni di diritti di detenuti a condizione che la tutela di questi diritti non mettesse in discussione l’ordine e la sicurezza nell’Istituto di pena.

Io credo che, quando come amministrazione pubblica, rimaniamo su queste posizioni di retroguardia, perdiamo, perché in realtà (su questo condivido pienamente quello che ha detto prima l’avvocato Chiello) nel momento in cui non c’è chiarezza, non c’è certificazione delle situazioni di tutela del detenuto e quindi poi del cittadino più in generale, se non c’è ampiezza di respiro su questo, poi perdiamo tutti, perdiamo anche noi come amministrazione.

Maggiore, sul versante dei diritti, è l’alea di discrezionalità da parte dell’interlocutore pubblico e maggiore confusione si rischia di creare. Però comprenderete pure che su questo c’è una difficoltà storica, di cui comunque come amministrazione ci dobbiamo fare carico.

Credo che comunque, in un’ottica di servizio, l’occasione di questo convegno (come ogni buon convegno che si rispetti) sia anche un momento di passaggio per creare una rete di intervento, in collaborazione con tutti gli interlocutori che operano in questa eccellente realtà padovana, perché mi pare che ci siano poche realtà dove sia possibile concentrare questa disponibilità d’intenti da parte e della classe forense e della magistratura.

È stato ricordato, prima, il Procuratore Calogero, che con il suo ufficio sicuramente ha manifestato in questi anni un’attenzione, rispetto alle varie dinamiche penitenziarie, che è sicuramente una risorsa per tutti noi. Su questo credo che, anche nell’ambito del dibattito, ci sia possibilità poi di sviluppare dei ragionamenti per una collaborazione in rete nei mesi futuri. Grazie.

 

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