Gino Paolini

 

Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute

(La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova)

Gino Paolini (Educatore nel carcere di La Spezia)

 

Sono un educatore del carcere di La Spezia e faccio questo mestiere da 23 anni. A proposito di piccole cose e di fatti concreti, io vorrei tornare per un attimo a riflettere sulla dura ed arida realtà attuale. C’è un Regolamento di Esecuzione della legge Penitenziaria, uscito a giugno 2000, ed oggi è la legge dello stato che dice e prevede che devono essere eliminate le finestre cosiddette "a bocca di lupo", ed i mezzi divisori nelle sale colloquio.

La legge, in quanto legge anche realistica, si era data un tempo di cinque anni per eliminare le finestre a bocca di lupo, ma non aveva posto un limite temporale all’abbattimento dei divisori nelle sale colloqui, nel senso che queste cose andavano fatte subito. Risulta, come è stato detto da qualcuno, che questi mezzi ci siano ancora.

Come è stato detto da qualcuno, in alcuni istituti è stata fatta la furberia di eliminare il vetro superiore ed è rimasta la barriera inferiore. La legge prevedeva questo, perché vedeva nel mezzo divisorio qualche cosa che incideva sull’agilità dei colloqui, quindi un qualcosa che incideva sul diritto all’affetto, al contatto famigliare.

Poiché questa è una legge che viene disattesa, io vorrei che uscisse da questo convegno una proposta, una richiesta ai Magistrati di Sorveglianza, di interventi su questa situazione. È competenza loro verificare l’andamento della vita in carcere e il rispetto dei diritti dei detenuti. Penso che il diritto all’effettività sia tra queste cose. Purtroppo mancano sia i parlamentari (ormai siamo rimasti in quattro amici) sia gli interlocutori del DAP, al di là dei dirigenti locali, e non c’è nessuno del P.R.A.P. C’era il dottor Ziccone, però se ne è andato.

Io dico questa cosa comunque, serve un intervento sui parlamentari e la proposta potrebbe essere questa: chiedere ai parlamentari delle nostre circoscrizioni che visitino gli istituti, ma senza fare delle mega ispezioni, soltanto per verificare se i divisori ai colloqui sono stati eliminati. Va bene andare avanti e voler ricreare le sale colloqui, ma intanto saniamo l’illegalità, perché di questo si tratta.

Un’altra proposta, che magari potrebbe sembrare poco concreta ora ma che lo potrebbe essere tra poco è questa: sia con le elezioni politiche, sia quelle amministrative, sapete che arriva a casa un sacco di posta, dai parlamentari, dai candidati comunali e provinciali. Una volta tanto, possiamo rovesciare questa tendenza. Dovremmo scrivere noi una lettera al candidato di turno, chiedendo cosa ha fatto nella precedente e cosa intende fare nella futura legislatura, se fosse eletto, per i problemi legati al carcere e alla detenzione, chiedendo che su questi suoi intendimenti dia risposta attraverso la stampa.

Un’ultimissima cosa, riguardo i volontari. Può essere una ripetizione, ma la voglio dire perché è un tema che io sento molto. A parte qualche esperienza felice di rapporto con la città, i volontari tendono sempre a stare sempre e soprattutto in carcere. E va benissimo, perché non ci sono mai abbastanza risorse per far superare al detenuto il momento della pena.

Però penso che un momento altrettanto drammatico è quando il detenuto incomincia a mettere i piedi fuori dal carcere, quello che fino ad un momento prima (quando era detenuto 24 ore su 24) poteva sembrare un miraggio, il permesso o la semilibertà, nel momento in cui ci si trova diventa una sorta di trauma, perché c’è da tornare ogni sera in istituto e ci sono delle difficoltà fuori.

Allora bisogna che i volontari si dividano i compiti e alcuni lavorino fuori, per facilitare questo inserimento progressivo all’esterno, oltre ovviamente a dare sostegno alla famiglia del detenuto. Prima abbiamo sentito la madre di un detenuto, ma è una madre scusate, "fortunata", perché la signora ha casa e ha delle risorse personali. Ma pensiamo a madri, che sono madri come lei, però sono totalmente sprovvedute culturalmente: non per questo provano meno dolore, meno vergogna. Il volontario dovrebbe aiutare queste persone, per farle sentire meno sole di fronte alla gente che hanno intorno.

 

 

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