Livio Ferrari

 

Giornata di studi "Carcere: salviamo gli affetti"

L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute

(La giornata di studi si è tenuta il 10 maggio 2002 nella Casa di Reclusione di Padova)

Livio Ferrari (Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia)

 

Da parte mia, di noi tutti che abbiamo proposto questo incontro, non ho altro da dire che vi ringrazio voi tutti di essere venuti così numerosi da tutta Italia, dal sud dal nord, presenza massiccia che la dice lunga anche sull’interesse che questo argomento suscita sulla sensibilità che, credo, tutti noi abbiamo a questo mondo.

Essere qui oggi significa anche e soprattutto dire ai ragazzi che sono dentro che la società fuori è attenta, che non ci siamo dimenticati di voi. Oggi il parlare di giustizia, il parlare di politiche sul carcere, è diventato abbastanza drammatico, perché c’è un tentativo in corso di azzerare tutti i diritti fino ad ora acquisiti. C’è un tentativo in corso di cancellare una socialità, una convivenza civile, pacifica e democratica, e di questo nel nostro confronto dobbiamo tenere conto.

Perciò la buona volontà che ci mettiamo, anche nel trattare un tema come l’affettività in carcere, è una buona volontà che può non avere alcun riflesso, che può non avere nessuna efficacia.

È questo il drammatico, perché oggi più che mai ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B e, rispetto a tutto questo, il mondo del volontariato deve porsi a tutela di tutti quei cittadini che sono considerati, voglia o non voglia, di serie B.

Vorrei essere molto breve perché c’è tanta gente e vorrei che parlassimo un po’ tutti. Una cosa mi preme di dire, rispetto al tema dell’affettività. Credo che le persone invitate potranno parlare meglio di me e più di me delle esperienze dirette.

C’è qui con noi anche un amico che da anni lotta, seduto in Parlamento, fra quei politici sani che ci credono e che si spendono, l’onorevole Boato, che si è fatto promotore della nostra proposta di una legge che prende in mano il discorso dell’affettività, del discorso dei rapporti umani tra le persone detenute e le persone libere.

Però c’è un’urgenza, per riportare la palla al centro e ripartire tutti insieme, che è quella di ridare dignità alla parola "democrazia" e alla parola "diritto". Non è possibile che ci siano persone che non possono essere toccate, nel nostro paese, perché si nascondono dietro l’immunità parlamentare e altre persone che invece possono essere immediatamente recluse, perché non hanno questo diritto: o l’abbiamo tutti o non l’abbiamo nessuno, questo è il principio fondamentale.

Perché, in questo momento, sono sedute in Parlamento, insieme con persone oneste, come coloro che sono qui con noi, 50 persone indagate o condannate per reati anche gravi! Allora io non mi sento di parlare di giustizia alle persone che sono rinchiuse nel carcere Due Palazzi, quando la giustizia non parte dal pulpito più alto che c’è nel nostro paese, quello che dovrebbe essere il Parlamento! O no!?

 

Giovanni Anversa

 

È stato rotto il ghiaccio, direi in maniera straordinaria, con questo intervento fatto da Livio e quindi è chiaro che il tema dell’affettività si inscrive dentro il tema più generale dei diritti della persona e, se c’è qualcosa di inconciliabile, è proprio la parola carcere, con la parola affettività. Sembrano proprio due parole che non centrano niente l’una con l’altra, perché se c’è qualcosa che nega l’affettività, la confidenza, il sentimento, la libertà d’espressione anche dei sentimenti, è proprio il carcere. A questo punto bisogna (e qui vorrei davvero che il dottor Margara ci aiutasse) cercare di capire quei possibili cambiamenti, che in qualche modo sono stati disegnati in questi anni, e il tipo di risposte si possono portare avanti sul tema dell’affettività in carcere, in che stato è il livello di conoscenza di questo problema, a livello di amministrazione centrale, di chi può e in qualche modo deve amministrare la giustizia.

 

 

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