In-Veneto: informazione tra il carcere e il territorio

Edizione n° 63, dell'8 giugno 2009

Notizie da Padova

L’eredità che ci lascia il convegno "Prevenire è meglio che imprigionare"

Anche quest’anno tutte donne le premiate al concorso del progetto scuole-carcere

Il Liceo "Duca d’Aosta"… indaga

Nuovo "corto" su ragazzi "prepotenti"

Notizie da Venezia

Borse con materiale di riciclo

Notizie da Verona

Legalità e Costituzione

I dati dell’Osservatorio Regionale su eventi critici e popolazione detenuta

Crescere e arricchirsi attraverso la multiculturalità

I detenuti si raccontano nelle poesie

Una colletta per i terremotati

L’Università entra in carcere per incontrare la vulnerabilità umana

Chi è esacerbato dal suo male e senza solidarietà è perso

La San Vincenzo distribuisce vestiario ai detenuti: un lavoro pesante fatto a cuor leggero

Suor Alma, la mamma dei detenuti

Appuntamenti

Verona: "Educare alla legalità"

Notizie da Padova

 

L’eredità che ci lascia il convegno "Prevenire è meglio che imprigionare"

 

"Prevenire è meglio che imprigionare", la Giornata di studi che il 22 maggio ha portato più di 500 persone nella Casa di Reclusione di Padova, è stato pensato da "Ristretti Orizzonti" partendo dall’esperienza quinquennale del progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere". Dal confronto con, ormai, migliaia di studenti delle scuole medie superiori e inferiori, nel corso degli anni ci si è accorti che proprio dal carcere si poteva fare prevenzione vera.

 

E non solo: anche i detenuti, portando le loro testimonianze ai ragazzi, hanno fatto un percorso di consapevolezza, di "assunzione di responsabilità" che è difficile raggiungere in un carcere che non si apre alla società civile. Già lo scorso anno il confronto si era aperto alle vittime, che erano intervenute con forza a portare il loro dolore, ma anche il loro desiderio di essere ascoltate, e questo è stato un po’ il filo conduttore anche quest’anno. Infatti tra gli ospiti intervenuti c’era anche Benedetta Tobagi, figlia di Walter, giornalista ucciso da un commando terrorista, che nel suo contributo emozionante ha spiegato come l’incontrare i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti sia stato importante anche per "spezzare quella catena dell’odio" che tanto dolore e tanto male porta. Anzi, Benedetta ha sostenuto che il suo dolore è stato alleviato molto più in questa occasione - per il rispettoso ascolto e l’attenzione vera che i detenuti-redattori le hanno dato nei suoi incontri al Due Palazzi - che non in tante occasioni, istituzionali e non, nel "mondo libero".

 

Una proposta per continuare a trattare questi temi: Proprio dall’intervento di Benedetta, che ha dialogato con Marino Occhipinti, della redazione di Ristretti, e con Silvia Giralucci, che ha una storia analoga a quella di Benedetta, il padre ucciso dai terroristi, ma ora è anche volontaria di Ristretti, è nata l’idea di porre il tema del rapporto tra vittime e autori di reato al centro del progetto con le scuole del prossimo anno.

 

Catena dell’odio-informazione. Cos’hanno in comune queste due cose? Il sottotitolo del convegno: "Ma quale prevenzione se l’istigazione a delinquere avviene spesso a mezzo informazione?" lega perfettamente catena dell’odio-informazione, perché il linguaggio, l’attenzione morbosa, la mancanza di rispetto per le vittime e i loro parenti, che a volte i media dimostrano, possono in qualche modo contribuire al clima di violenza che si sente in giro. Ne hanno parlato in molti al convegno: ad esempio nel suo bell’intervento Paola Reggiani, sorella minore di Giovanna, la donna aggredita a Roma nel 2007 da un rom rumeno e morta due giorni più tardi, ha accusato la politica di aver usato per altri scopi il fatto e soprattutto i media di averlo raccontato in modo non veritiero. Hanno parlato così tanto di stupro - che invece non c’era stato - che nella memoria collettiva si è fissato un fatto non avvenuto. Ma soprattutto Paola ha parlato della necessità del "rispetto nel raccontare cose vere e documentate, rispetto della dignità del dolore".

Più di disinformazione che di informazione invece si tratta quando si parla di come gran parte dei media hanno raccontato l’indulto, identificato come la "fonte di tutti i mali". Giovanni Torrente, docente di Sociologia Giuridica dell’Università della Valle d’Aosta, ha parlato nel suo intervento dei dati emersi da una ricerca da lui condotta, "Indulto. La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità". Da questi dati si capisce come buona parte degli organi di informazione abbiano spesso disinformato visto che le percentuali di recidiva degli indultati è molto più bassa di quella degli ex detenuti usciti a fine pena (27% contro il 68%) e come gli stranieri siano tornati a commettere reati meno degli italiani. Questi dati sono finalmente stati ripresi da qualche quotidiano nazionale (Repubblica, il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore) e da molti quotidiani online.

 

Una proposta per continuare a trattare questi temi: Giovanni Torrente potrebbe partecipare a quel Seminario sull’informazione sui temi della giustizia e del carcere, che stiamo organizzando con l’Ordine dei giornalisti per ottobre all’interno della Casa di reclusione, nella redazione di Ristretti.

Ornella Favero ha aperto il convegno facendo poi intervenire alcuni detenuti che hanno parlato brevemente ognuno partendo da una parola-chiave (reato, violenza, vendetta, responsabilità, consapevolezza). Adolfo Ceretti, professore ordinario di Criminologia dell’Università di Milano-Bicocca e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio per la mediazione Penale di Milano, ha coordinato i lavori e dopo un discorso introduttivo ha dato spazio a Elena Valdini, giornalista e autrice di "Strage Continua. La verità sulle vittime della strada" e Roberto Merli, padre di Alessandro, 14 anni, ucciso nel 2000 da un automobilista e responsabile della sede di Brescia dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada.

 

Entrambi hanno posto l’accento sull’uso delle parole nell’informazione - la Valdini sostiene che bisogna smetterla di usare il termine incidente e parlare piuttosto di scontro visto che il termine incidente denota casualità - e sulla mancanza di qualsiasi lavoro di prevenzione da parte delle istituzioni. Anche qui i termini si incontrano e si incrociano: prevenzione.

Una proposta per continuare a trattare questi temi: Scegliere, tra i percorsi da approfondire con gli studenti, proprio il tema degli omicidi colposi, approfondendo con Roberto Merli il modo di fare prevenzione nelle scuole.

 

Molti altri gli interventi importanti: Gianfranco Bettin, sociologo e autore di "Eredi. Da Pietro Maso a Erika e Omar" e di "Gorgo. In fondo alla paura", Mauro Grimoldi, psicologo e autore di "Adolescenze Estreme", e infine Don Gino Rigoldi storico cappellano del Carcere Minorile Beccaria di Milano, che, come ama dire lui, fa parte dell’arredamento dell’istituto visto che son quasi 40 anni che lo frequenta. Don Gino ha posto l’accento sul fatto che di questi tempi è molto difficile far capire ai ragazzi che finiscono lì - in questo periodo molti più italiani che stranieri - di aver "fatto del male": sembra che certi comportamenti siano, nella mente di quei giovani, assolutamente leciti e corretti come se l’informazione che ricevono, i modelli che vengono loro comunicati, fossero fuorvianti. Torniamo quindi al sottotitolo del convegno: attenzione, qualche volta l’informazione istiga a delinquere!

 

Anche quest’anno tutte donne le premiate al concorso del progetto scuole-carcere

 

Giovedì 28 maggio si è concluso il quinto anno del progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere". L’evento conclusivo è avvenuto al cinema MPX di via Bonporti con la proiezione del film Stellà presentato nell’ambito delle Giornate degli Autori alla 65a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e la premiazione degli scritti e delle opere d’arte migliori. Presenti, oltre a studenti e insegnanti sia delle medie che delle superiori, gli assessori del Comune di Padova Claudio Piron e Claudio Sinigaglia, il Direttore della Casa di Reclusione Salvatore Pirruccio, alcuni agenti penitenziari che hanno preso particolarmente a cuore il progetto, lo scrittore Edoardo Albinati, insegnante a Rebibbia, che ha scelto gli scritti da premiare.

108 sono state le classi coinvolte di cui 65 entrate in carcere, a fronte delle 10 classi complessive del primo anno di progetto, e tutte hanno incontrato detenuti, agenti, magistrati, volontari, operatori per parlare di come si finisce a commettere reati e di che senso abbia nel nostro Paese la pena. Da queste esperienze viene pubblicato ogni anno un libro che raccoglie gli scritti degli studenti e non solo. Quest’anno è disponibile il testo "Parole in libertà tra carcere e scuole" che raccoglie il materiale prodotto lo scorso anno. 

I primi premi sono andati a Claudia Gusella della scuola media Levi Civita con lo scritto "Il palazzo degli invisibili" (motivazione di Edoardo Albinati: Il premio a Claudia Gusella riconosce la qualità letteraria delle sue originali e penetranti riflessioni su cosa voglia dire davvero essere, sentirsi, o venire giudicati come criminali, a partire dal suono stesso di questa parola così minacciosa e al tempo stesso, malgrado tutto, affascinante), e, per le superiori, a Elena Mazzardo della 4^ B dell’Istituto Scalcerle con "Noi, là seduti, davanti a loro" (motivazione di Edoardo Albinati: "Il racconto di Elena Mazzardo descrive con grande tensione emotiva le sensazioni vissute nell’ingresso in carcere, la luce, le voci, le mura, le sbarre, il cuore che batte troppo forte, ricostruendo in modo molto vivido l’impatto con questa realtà sconosciuta").

I secondi premi invece sono andati a Giada De Toni, della scuola media Levi Civita, il cui pezzo "Non poteva provare a mettersi nei panni di sua figlia?" è in forma di lettera a una detenuta (motivazione di Edoardo Albinati: "Il secondo premio va allo scritto di Giada De Toni per la sua onestà e il modo diretto di costringere il suo interlocutore ad assumersi le proprie responsabilità, un appello che si trasmette anche a noi lettori con molta efficacia") e a Angela Da Re, della 3^A del Liceo Marchesi-Fusinato, "Persone che hanno sbagliato tanto" (motivazione di Edoardo Albinati: "Malgrado il suo pessimismo di fondo, lo scritto di Angela Da Re si interroga con estrema franchezza e pone a tutti noi domande ineludibili, su come sia possibile commettere il male, per quale errore, in nome di quali ragioni o cause, e se esiste una via di uscita e di riscatto per chi l’ha commesso").

Sono stati segnalati inoltre "Davanti allo specchio" di Silvia Calore, 4^I Istituto P: Scalcerle, "Vittime delle proprie mani" di Adriana Stupu, classe 4aC Istituto P. Scalcerle, "Dieci minuti di silenzio" di Chiara Alfieri, 4aD Istituto P. Scalcerle e, per le medie inferiori, "Ho apprezzato che tu ti sia completamente messa a nudo di fronte a noi" di Giulia Tranchina, altra lettera a una detenuta.

È sorprendente leggere quello che i ragazzi che incontriamo scrivono dopo questa esperienza. Da sottolineare come i migliori lavori sia di scrittura che artistici siano tutti di donne! Per i lavori artistici, il primo premio per le medie inferiori è andato Federica Bigatto, scuola media Falconetto, per le medie superiori è andato anche questo a una ragazza, Giulia Biscuola, dell’Istituto d’arte Selvatico, per "la raffinatezza della composizione ritenuta molto matura e graficamente ben costruita, dove i simboli e i caratteri sembrano far riferimento alla multietnicità degli ambienti carcerari". Una segnalazione è andata invece a un maschio, Riccardo Bellingardo "per la drammaticità del soggetto e l’ottima resa delle tecniche utilizzate".

Le opere dell’Istituto Selvatico erano state fatte ammirare appese al muro della palestra del Due Palazzi dove si è svolto il Convegno "Prevenire è meglio che imprigionare". Da segnalare un lavoro collettivo che gli studenti del Selvatico hanno prodotto sempre su questo tema: una bellissima scultura, "Identità frammentate". Tutti i lavori abbelliscono ora la redazione di Ristretti Orizzonti.

 

Il Duca d’Aosta… indaga

 

Una ricerca portata avanti dalla 4^B del Duca D’Aosta coordinata dalla professoressa Pavan in collaborazione con la redazione di Ristretti Orizzonti ha prodotto un bel lavoro di ricerca sugli incidenti automobilistici. Partendo da un’ipotesi di lavoro - "Tolleranza zero: inasprimento delle pene o prevenzione" - e con l’obiettivo di cercare di trovare delle idee innovative e realizzabili nel campo della prevenzione, è stata usata come strumento l’intervista-semistrutturata. Il campione è stato di 536 persone di tre categorie: giovani dai 18 ai 22 anni, sia studenti che lavoratori, adulti tra i 40 e i 50 anni, genitori e non, e cittadini extracomunitari. Dall’analisi qualitativa delle risposte è emerso che la conoscenza dei fatti di cronaca riguardanti gli incidenti è abbastanza superficiale. Quelli che conoscono le pene previste hanno una conoscenza parziale e non conoscono la differenza tra omicidio colposo e volontario; quelli che non conoscono le pene previste sono però sicuri dell’incertezza della pena; secondo gli intervistati il carcere può essere rieducativo solo se vi sono figure specializzate che seguono il detenuto; la pena non è un deterrente, visto che chi guida ubriaco non pensa alle conseguenze; al carcere italiano viene riconosciuta solo la funzione detentiva e sarebbe necessario attuare in contemporanea certezza della pena e percorsi riabilitativi; i divieti che già ci sono, sono sufficienti; infine è necessario reintrodurre l’educazione civica a scuola. Insomma, ci spiegava la professoressa Pavan, di idee nuove non ne sono uscite e quasi sempre il tipo di conoscenza che si ha sull’argomento è estremamente superficiale.

 

Nuovo "corto" su ragazzi "prepotenti"

 

Non vogliamo usare troppo il termine bullismo che viene nella maggior parte dei casi abusato. Cerchiamo di usare, quando accade qualcosa che coinvolge o vede protagonisti minori e adolescenti, ogni volta il termine adatto, senza cercare di semplificare una realtà che è estremamente complessa, prepotenza, violenza, violenza psicologica, perché i casi sono sempre diversi l’uno dall’altro, come lo sono i giovani che ne sono protagonisti. I Servizi Sociali del Comune di Padova, nella persona del dottor Panizzolo che fortemente l’ha voluto e che ne ha ideato il soggetto, hanno commissionato al regista Rodolfo Bisatti un secondo video sulla questione delle violenze dei giovani. Il primo, Voci da Dentro, è un corto di circa 15 minuti, interamente girato all’interno del carcere minorile di Treviso, ed è una serie di brevi interviste a ragazzi ospiti dell’istituto. Il secondo, quello presentato al cinema MPX giovedì 4 giugno, è Baby boomerang ed è un corto di 6 minuti circa, girato a Trieste con giovani attori non professionisti. Storia di un ragazzo delle superiori e del suo gruppo, di cui lui è evidentemente il capo, che si divertono a prevaricare altri ragazzi della scuola. Il corto però lascia aperta una speranza: l’affetto familiare, quello per la sorella minore, il senso di protezione nei suoi confronti, il fatto di aver visto la stessa subire un atto di prepotenza come quelli di cui lui è protagonista fanno sì che il ragazzo subisca un cambiamento del suo atteggiamento sopraffattorio. Nel corto viene sottolineata anche l’assenza-presenza dell’unico genitore che si vede nel film, la madre, più interessata a un programma tv che ad accorgersi che il figlio ha bisogno e voglia di un minimo di dialogo. Sarà un film da far vedere ai ragazzi delle scuole, ma anche a molti genitori che pensano di aver assolto al loro dovere dando denaro e benessere ai figli, ma non tempo e ascolto.

Alla proiezione erano presenti, oltre al regista, ai due giovani protagonisti e al dottor Panizzolo, anche l’assessore alle Politiche sociali Claudio Sinigaglia, il capo della squadra mobile della questura di Padova, Calì, l’assistente sociale dell’Ufficio Minori del Ministero di Giustizia, Sinigaglia, molti insegnanti, qualche educatore, la responsabile dell’area pedagogica della Casa di reclusione, Lorena Orazi, e Ornella Favero, presidente dell’associazione "Granello di Senape" che da anni porta avanti il progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere" che si occupa proprio di prevenzione dell’illegalità.

C’è stata infine la proposta di proiettare il corto nelle sale padovane, almeno in alcune, prima dell’inizio del film in programma.

 

Notizie da Venezia

 

Borse con materiale di riciclo

 

"Borse che portano con sé avvenimenti della città, itineranti memorie di mostre, eventi e manifestazioni del territorio".

Con questa premessa nasce il progetto "Malefatte di città di Venezia". Una semplice intuizione: gli enormi striscioni pubblicitari, utilizzati a Venezia e terraferma per scopi promozionali, dove sono riposti una volta terminato il loro periodo di utilizzo? Fabrizio Olivetti, art director dell’Ufficio Grafico del Comune di Venezia, ha tratto spunto da questa idea degli striscioni dando vita ad un gruppo di lavoro, composto da: la grafica Francesca Codrino, l’illustratore Lucio Schiavon e l’Ufficio Servizio Civile del Comune di Venezia. La realizzazione vera e propria, invece, è stata affidata alla cooperativa Rio Terà dei Pensieri che dal 1994 svolge attività di formazione professionale e di produzione di manufatti all’interno delle carceri veneziane. Il ricavato delle vendite servirà proprio a finanziare questa importante attività sociale. Verranno coinvolti i detenuti che lavorano nei laboratori di serigrafia e pelletteria coordinati da Elena Botter. Con il materiale degli striscioni verranno realizzate borse.

Il primo beneficio è intuibile: riciclare materiale non più utilizzabile, e assai particolare. Gli striscioni pubblicitari infatti sono normalmente realizzati in materiale plastico, denominato "Polivinilcloruro" o "Cloruro di Polivinile" (PVC, appunto), e talvolta costituiti da più strati.

Presentato a Ca’ Farsetti il 27 maggio alla presenza del sindaco Cacciari e della Direttrice degli Istituti di Pena veneziani Gabriella Straffi, il progetto sta partendo pur nella difficoltà che l’attuale situazione (esplosiva) del carcere maschile di Santa Maria Maggiore presenta. Ci sono infatti 330 detenuti in una struttura che ha una capienza massima di 180. Il sindaco Cacciari ha dato il suo appoggio, come rappresentante del Comune, alla direttrice, che è stata piuttosto critica sul piano di costruzione di nuove carceri: l’emergenza c’è, ed è ora, mentre per fare nuove carceri ci vogliono anni!

 

Notizie da Verona

 

Legalità e Costituzione

 

Riforme costituzionali in cantiere e provvedimenti che sembrano in contrasto con la Costituzione e che sarà la Corte costituzionale, ultimo baluardo, a dover valutare ed eventualmente annullare. Daniele Butturini,dottore di ricerca di Diritto costituzionale all’Università di Verona, ha espresso la propria preoccupazione al riguardo durante uno degli incontri sull’educazione alla legalità promossi dalla Sezione U.I.L.D.M. (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), in collaborazione con La Fraternità. Ma ciò che sembra allarmare ancora di più lo studioso, è un clima di irrisione e disprezzo del metodo dei padri fondatori, del bilanciamento tra i poteri, della magistratura, degli strumenti di protezione delle minoranze e, infine, una progressiva affermazione di impunità della "casta" dei potenti, che sembra stiano diventando, secondo l’espressione di Orwell, "più uguali degli altri". "Non era questo - si chiede - il programma, oltre che della Fattoria degli animali, anche di una certa loggia P2?"

Dopo una breve riflessione sul concetto di "Costituzione" nato con le società organizzate, Butturini si è soffermato sulle caratteristiche e novità delle Costituzioni moderne che vertono da un lato sul riconoscimento dei diritti che appartengono alla persona in quanto tale, non per concessione del sovrano, e dall’altro su un meccanismo di riequilibrio tra i poteri, per impedire che un organo, sia pure espressione della maggioranza dei cittadini, possa legiferare e agire a suo arbitrio.

Parlando poi della Costituzione Italiana, che ancora oggi può apparire come un libro dei sogni, il relatore si è soffermato sul clima costituzionale, ovvero sul dibattito dell’Assemblea Costituente che, rivisto oggi alla luce degli attuali scontri politico-televisivi, continua a stupire per la profonda cultura dei partecipanti, esponenti delle più diverse forze politiche non fasciste, l’ascolto reciproco, la tolleranza e la volontà di definire valori condivisi. Il risultato è un modello apprezzato in tutto il mondo, che le leggi ordinarie faticano ancora ad attuare integralmente. Si è dovuto aspettare il 1975, per esempio, per l’approvazione di un ordinamento penitenziario che (timidamente) applichi il principio della finalità educativa della pena.

Butturini accenna ad altri valori, anzi a gerarchie di valori costituzionalmente protetti: il ripudio della guerra, la libertà personale e le sue garanzie, la funzione sociale della proprietà, l’eguaglianza sostanziale dei cittadini, indipendentemente da altre loro caratteristiche, e l’impegno a rimuovere gli ostacoli che la impediscono.

Come ricordato in apertura della serata dal volontario della Fraternità Arrigo Cavallina, a Butturini va il merito di aver apportato un prezioso contributo alla stesura della convenzione stipulata il luglio dell’anno scorso tra l’Università di Verona, la Casa Circondariale di Montorio e l’Ufficio di esecuzione penale esterna per avvicinare gli studenti al mondo della pena e del carcere.

 

I dati dell’Osservatorio Regionale su eventi critici e popolazione detenuta

 

Oltre a confermare l’alta percentuale di detenuti stranieri nella Casa Circondariale di Verona, recenti dati diffusi dall’Osservatorio Regionale Devianze, Carcere e Marginalità Sociali, rivelano anche quale sia il numero totale di eventi critici (tentati suicidi e autolesionismi) che hanno coinvolto la popolazione detenuta nelle carceri venete nel secondo semestre del 2008. A Verona i dati hanno registrato un totale di 804 detenuti maschi e 63 donne, di cui 618 di nazionalità diversa da quella italiana. Di questi, 42 stranieri e 11 italiani sono stati i protagonisti di eventi definiti appunto "critici". Se è vero che il carcere di Verona è il più capiente e affollato di tutto il Veneto e, di conseguenza, non può che registrare dati più alti rispetto ad altre realtà, alcune cifre invitano comunque a riflettere su quanto crescano le problematiche legate al sovraffollamento in realtà che ospitano detenuti di diverse etnie e, in generale, per brevi periodi. Proprio come accade a Montorio. Nello specifico balza agli occhi il numero dei soggetti che hanno posto in essere ferimenti, di cui la maggior parte - pari a 132 su 211 - era rinchiusa a Verona, e solo 26 e 22 nelle rispettive Case Circondariali di Padova e Treviso.

Nonostante il numero dei suicidi riusciti sia pari a zero in tutto il Veneto, a Verona i tentativi sono stati quattro, mentre nelle altre carceri il numero è contenuto fra 0 e 1. Sempre a Verona sono 49 i casi di autolesionismo, cui seguono i 34 della casa di reclusione di Padova e i 17 di Venezia Santa Maria Maggiore e via via a scendere per un totale di 123 casi. Risultano secondi solo alla casa di reclusione di Padova i numeri di soggetti che hanno perseguito lo sciopero della fame - rispettivamente 54 e 37 - e di quelli alcoldipendenti: 17, contro i 22 di Padova e i 12 di Vicenza.

Verona ha invece registrato il numero più alto di detenuti tossicodipendenti, 318 (di cui 150 italiani) contro i 208 - tutti italiani - della Casa di reclusione di Padova.

 

Crescere e arricchirsi attraverso la multiculturalità

 

Sono circa 86 mila i cittadini stranieri presenti a Verona e provincia, pari al 9,6% dell’intera popolazione. A rivelarlo sono i dati della fondazione Caritas - Migrantes, a cui, per entrare nello specifico della realtà scolastica, vanno affiancati quelli dell’Istat, che fotografano una Verona all’ottavo posto tra le città italiane per numero di studenti stranieri iscritti. Il rapporto tra alunni stranieri e popolazione scolastica dal 2007 al 2008 è aumentato in percentuale dal 9,7 al 10,8 per cento. Per quanto riguarda la nazionalità, sono 2975 gli alunni di origine romena, 2850 quelli provenienti dal Marocco e a seguire tutti quelli che arrivano da Albania, Serbia e Cina.

Una realtà sempre più multietnica quindi, di cui l’Università di Verona ha messo in luce problematiche e note positive in una ricerca dal titolo "Educare alla cittadinanza nel pluralismo culturale", realizzata con il patrocinio del Ministero dell’Università e della Ricerca e la collaborazione dell’Università di Verona con l’Università Cattolica di Milano, l’ateneo di Sassari e la rete delle scuole "Senza Zaino" dell’agenzia "Scuole Toscana".

Il lavoro curato dall’Università di Verona ha coinvolto 89 istituti comprensivi della città, a cui sono stati somministrati dei questionari per inquadrare le attività di educazione interculturale nelle scuole veronesi. Nonostante tutte le scuole abbiano dimostrato grande attenzione per i temi dell’educazione interculturale al fine di favorire l’inserimento degli alunni stranieri nelle loro classi, i risultati evidenziano come insegnanti e dirigenti spesso lamentino la mancanza di spazi per riflettere sull’attività educativo-didattica. Tra i punti critici messi in evidenza nella ricerca emerge che molte scuole non promuovono la partecipazione dei giovani attribuendo all’allievo un ruolo passivo.

"Nel contesto sempre più attuale di una cittadinanza trasformata dai fenomeni dell’immigrazione, la nascita di scenari interculturali pone nuovi interrogativi alla comunità dei ricercatori e ai pedagogisti", afferma Agostino Portera, direttore del Centro Studi Interculturali e docente di Pedagogia nell’ateneo scaligero. "L’alterità, l’emigrazione, la vita in una società complessa e multiculturale smettono di essere percepite come cause di disagio e diventano opportunità di arricchimento e di crescita personale e collettiva. L’identità e la cultura, poi, smettono di essere concepite come un qualche cosa di statico e si pongono come processi in un continuo confronto con gli apporti di cittadini di origine straniera".

 

I detenuti si raccontano nelle poesie

 

Parole capaci di coccolare e graffiare. Un cielo capace di essere un velo di stelle che dà speranza o un doloroso ritaglio di quadrati di sbarre che ingabbia ogni desiderio. Questi e altri paradossi del vivere in carcere, sono stati narrati alla serata "Voci dal carcere", ospitata il 7 maggio dalla Scuola Statale " Giosuè Carducci".

Luciana Marconcini - dirigente dell’Istituto Comprensivo 15 - ha introdotto le letture con una breve presentazione dei vari corsi (di alfabetizzazione, lingua, informatica, etc.) tenuti dai docenti del CTP "Carducci" all’interno della Casa Circondariale di Montorio, seguita da un breve saluto di Michele Gragnato, presidente del "Cenacolo di poesia veronese Berto Barbarani" e co-organizzatore dell’evento.

Una scommessa, quella di mettere insieme carcere e poesia, il cui promotore è stato Glauco Pretto, membro sia del "Cenacolo" che dell’associazione La Fraternità, il cui presidente, Roberto Sandrini, ha aggiunto: "Nei nostri 40 anni di attività nel mondo del carcere, abbiamo assistito a tanti cambiamenti ma una cosa è rimasta sempre vera: la cultura fa miracoli!". Sandrini non ha potuto trattenersi dal commentare anche cosa sta succedendo nell’attualità, in un momento in cui: "la cultura viene a mancare in una parte consistente del popolo italiano che non riesce a vedere negli stranieri la grande ricchezza che sono, ma si sofferma sulla piccola percentuale che delinque".

Gran parte delle poesie lette sono state scritte proprio da alcuni esponenti di quel 70 per cento di detenuti stranieri che popolano Montorio e narrano in particolar modo la travolgente esperienza della migrazione.

Che fossero di italiani o stranieri, uomini o donne, giovani o vecchi, pur con diverse sfumature tutte le poesie dipingevano l’amore di coppia, le cose lasciate, l’abbraccio della madre, il peso delle parole, il peso, o la leggerezza, di quella libertà che, scrive uno degli autori: "non è sapere cosa fare e quando, ma si gioca in ogni istante".

Solo in un’ultima poesia fuori programma si è lasciato sfogo alla rabbia, alla follia, all’odio, alla mente che tortura. A quei deliri che popolano l’animo umano, in particolar modo quello ingabbiato.

 

Una colletta per i terremotati

 

A due mesi dal terribile sisma d’Abruzzo, l’appello di Caritas scaligera per gli aiuti economici ha sensibilizzato le parrocchie e i fedeli della diocesi che, ad oggi, hanno contribuito alla colletta di Caritas nazionale con 393.400,18 euro. Tra chi ha partecipato alla colletta ci sono anche i detenuti della Casa Circondariale di Montorio, che hanno iniziato una raccolta di soldi da destinare agli abitanti dell’Aquila. Il cappellano del carcere, don Maurizio Saccoman, ha fatto da referente per la raccolta dei soldi, quasi mille euro in tutto, che ha consegnato alla sede veronese della Caritas. "Si tratta di un’iniziativa nata spontaneamente tra i detenuti - spiega il cappellano, che ci tiene a precisare: "la solidarietà ha coinvolto proprio tutti, anche le molte persone straniere recluse a Montorio".

 

L’Università entra in carcere per incontrare la vulnerabilità umana

 

Saranno otto gli studenti dell’Università di Verona che, a partire dall’estate prossima, entreranno nella Casa Circondariale di Montorio in qualità di tirocinanti. Una novità a livello nazionale, che vedrà gli studenti delle facoltà di Scienze della Formazione e Giurisprudenza impegnati nella gestione di uno sportello informativo interno al carcere. "Studiamo i vari casi sui libri, ma poi non ci chiediamo cosa ci sia dopo la sentenza". Per questo Ileana Bogoni, studentessa di Giurisprudenza, guarda all’iniziativa messa in atto da Carcere, Università e Uepe, come a un’opportunità per "concretizzare quanto studiato negli atenei". "Si tratta di un’esperienza positiva anche per uno scambio tra diverse modalità di lavoro" continua Chiara Pandolfo di Scienze della Formazione, che aggiunge: "è la prima volta che entro in un carcere per adulti. L’impatto è forte ma mi aspettavo un ambiente peggiore. Le attività per i detenuti tutto sommato non mancano".

Gli studenti hanno avuto modo di visitare la Casa Circondariale di Montorio a metà aprile, durante un momento di incontro con la direzione del carcere a cui è seguita la conferenza stampa di presentazione del progetto. Lo sportello rappresenterà "un aiuto reale per i detenuti", ha spiegato il direttore del carcere, sottolineando che "andrà a modellarsi sulla realtà del momento". "Adesso la maggior parte dei detenuti rinchiusi a Verona sono magrebini e slavi - prosegue - ma non possiamo prevedere come sarà la situazione in futuro". Per prepararsi all’entrata in carcere, gli studenti - attualmente 24 - stanno frequentando il corso "Carcere e mondo della pena: un contesto da umanizzare", che intende metterli nella condizione di riflettere sulle proprie considerazioni in ordine al mondo della pena, di conoscere le caratteristiche principali del sistema dell’esecuzione penale del nostro Paese dal punto di vista giuridico e per le sue implicazioni di carattere sociale ed educativo e, infine, di conoscere le caratteristiche di alcune figure professionali e di volontari che operano nel contesto penitenziario. Secondo Giuseppe Tacconi, docente di Scienze della Formazione e tra i coordinatori dell’intero percorso formativo: "Per gli studenti non si tratta solo di una possibilità di orientamento alla professione, ma di un momento di formazione in senso lato, che prevede l’incontro con la vulnerabilità umana".

 

Chi è esacerbato dal suo male e senza solidarietà è perso

 

Un ciclo di incontri pubblici sull’educazione alla legalità e al rispetto dell’altro. L’iniziativa - che ha preso il via lo scorso 20 aprile e prevede una serie di appuntamenti fino a giugno - è stata organizzata dalla Sezione U.I.L.D.M. (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) di Verona per - spiega la psicologa Rossella Avesani - "aprire la Sezione all’esterno sulla diversità in più ambiti". Dopo aver affrontato le tematiche dell’interculturalità e delle diversità religiose, la UILDM ha voluto dare voce alla complessa questione della legalità e del rispetto dell’altro, coinvolgendo l’associazione La Fraternità per la sua esperienza nel campo del volontariato penitenziario.

Spiega Arrigo Cavallina, da anni volontario della Fraternità: "Abbiamo pensato di dare un taglio non consueto a questo ciclo di incontri. Solitamente si parla di prevenzione elencando le conseguenze e punizioni a cui si andrebbe incontro compiendo determinate azioni, ma questa volta abbiamo voluto porci come se ci stessimo rivolgendo a tutti, e non solo a potenziali delinquenti".

Il ruolo di protagonista del primo incontro del 20 aprile è stato affidato a Luciano Eusebi, docente di diritto penale all’Università cattolica di Milano. Eusebi esordisce dichiarando che "la giustizia non è come una bilancia: non bisogna rispondere al male con il male". Nella sua esposizione, il docente presenta la vita come una perenne scelta tra l’assecondare il male o il delegittimarlo: "Che risposta dare di fronte al male incolpevole e al male causato dai nostri limiti?" si chiede, per arrivare a sostenere che si può "di fronte al male fare un progetto di bene: un uomo esacerbato dal suo male e senza solidarietà è perso". Eusebi ripete più volte il termine "sfida", a riguardo degli ostacoli che inevitabilmente una persona incontra. "Se si parte con il voler dare un giudizio, è facilissimo trovare qualcosa di male nell’altro. Deve essere una sfida consapevole quella di cercare di produrre uno scarto di bene e amore di fronte alle difficoltà. Minacciare qualcosa di negativo è la risposta più facile, ma ha un effetto solo momentaneo. Bisogna invece puntare a tenere alti i livelli di consenso e per fare ciò servono grande intelligenza e impegno".

Eusebi si rifà anche ad alcune metafore bibliche per ribadire il fatto che, al di là dell’assegnazione di una punizione, l’ideale massimo di giustizia è la ricerca della verità. "Anche nella Bibbia troviamo scritto che Dio non ti dà punizione, ti viene a cercare e fa luce. Il far venir fuori la verità dovrebbe sostituire la pena". A supporto di questa affermazione, il docente di diritto porta l’esperienza della mediazione penale in ambito di carcere minorile. "Il mediatore ascolta il racconto sia della vittima che del detenuto e crea un terzo spazio dove cerca di costruire la verità. Alla fine di questo percorso di ricerca l’80 per cento delle vittime afferma che non sente ulteriormente l’esigenza di altre sanzioni. È la verità quella che la vittima più di ogni altra cosa vorrebbe. Oggi sembra invece che dobbiamo sempre fabbricare «il mostro». Anche dopo la Seconda Guerra Mondiale si è fatto il processo di Norimberga per trovare «i colpevoli», sollevando così tutti quanti hanno assistito alle atrocità dall’interrogarsi sulle loro responsabilità".

 

La San Vincenzo distribuisce vestiario ai detenuti: un lavoro pesante fatto a cuor leggero

 

È con un misto di nostalgia, orgoglio e soddisfazione che Renato Groppo e Francesca Trischitta dell’associazione San Vincenzo mostrano le prime domandine ricevute più di quattro anni fa, al loro primo mercoledì di consegna pacchi in carcere.

Il primo contatto con la Casa Circondariale scaligera lo avevano avuto per un’unica cospicua consegna di biancheria, poi fu la stessa direzione a chiedere all’associazione la disponibilità di un servizio che fosse volontario e continuo, mettendo a disposizione in questo senso una sede di distribuzione all’interno delle mura carcerarie.

La Conferenza dell’associazione accettò e, dopo qualche importante lavoro di restauro e arredamento, da quel 16 febbraio 2005 ogni mercoledì dalle 9 alle 12 raccoglie richieste e distribuisce vestiario, per una media di una settantina di detenuti ogni settimana.

Spiegano i due volontari: "A parte le lenzuola e le coperte, che sono consegnate esclusivamente dal carcere, biancheria e scarpe sono sempre acquistate nuove dall’associazione, mentre i vestiti nella maggior parte dei casi sono quelli di seconda mano".

Fino a metà aprile, i detenuti assistiti in questi anni sono stati 3.097 e i pacchi consegnati 11.868. Renato Groppo ha approssimativamente calcolato che "la spesa totale di questo materiale consegnato potrebbe avvicinarsi a quella di 240 mila euro, ma l’associazione ne ha spesi circa 11 mila, poiché ben il 95 per cento delle spese è stato coperto da offerte".

Prosegue la Trischitta: "La provvidenza lavora in tanti sensi, è palpabile. Bisogna saperla stimolare, per guadagnarsi la fiducia delle persone". "Ma bisogna organizzarla" - interviene ancora Groppo, che sottolinea come il fatto che il carcere di Montorio sia circondariale e non penale sottoponga il servizio a continue richieste di detenuti sempre nuovi, e al "dover sempre ripartire da capo".

"A volte ci arrivano "domandine" incomplete - aggiunge - ma noi volontari cerchiamo di risolvere la situazione nel migliore dei modi".

La San Vincenzo deve molta della sua disponibilità di vestiario agli scarti di magazzino, ma è possibile effettuare donazioni anche inviando i pacchi alla Caritas in via Lungadige Matteotti, 8 specificando il destinatario: "S. Vincenzo guardaroba carcere".

Sempre all’interno del carcere, l’associazione organizza un concorso letterario annuale e sta pagando le tasse universitarie a tre detenuti. Conclude la Trischitta: "La nostra associazione si dedica a tutte le opere. Quella della distribuzione del vestiario è solamente una. Un lavoro pesante ma fatto a cuor leggero".

 

Suor Alma, la mamma dei detenuti

 

Un premio per chi è suora tra i carcerati. Ad assegnarlo sarà La Fondazione Marisa Bellisario di Roma che, nella XXI edizione del premio che ogni anno dedica alle donne, ha scelto come tema "donne e giustizia". Oltre alle "Mele d’oro" per le donne che hanno raggiunto risultati importanti nel lavoro, ogni anno la Fondazione dedica un premio speciale destinato a una religiosa: nel 2009 a una suora che si sia distinta per la missione tra coloro che hanno vissuto o stanno vivendo l’esperienza del carcere nel nostro paese.

Tra queste c’è senz’altro suor Alma, volontaria da anni nel carcere di Verona, tanto da essersi guadagnata l’appellativo di "mamma dei detenuti".

La sua storia inizia in Congo dove, negli anni ‘60, ha vissuto per quattro anni quello che lei definisce "domicilio coatto", sotto la perenne osservazione dei militari, talvolta anche percossa a bastonate. Questo percorso la porterà a definirsi "reduce di guerra" e "reduce del carcere": un’ "ex-detenuta".

Dal 2002 si dedica alla corrispondenza con i reclusi di diverse carceri, oltre che al sostegno alle loro famiglie e, ottenuto l’accesso alla Casa Circondariale di Montorio, vi inizia una serie di attività interne: colloqui individuali, sostegno morale e spirituale nella terza sezione, assistenza alle messe, corsi di Intercultura. Spiega suor Alma: "Nel carcere di Montorio ho vissuto e vivo una delle esperienze più intense della mia vita, dopo quelle insuperabili del Congo. In questo luogo, apparentemente così "diverso", circondato da tanta indifferenza e disprezzo, ho trovato una coppa ricca di umanità e forti emozioni: dolore, solitudine, angoscia, ma anche voglia di ricominciare a vivere, ad amare, a sperare e tanta gratitudine per le persone che si avvicinano per offrire un modesto aiuto o solo un sorriso".

 

Appuntamenti

 

Verona: "Educare alla legalità"

 

Verona - sede Uildm in Via Aeroporto Berardi 51 (la strada da Chievo a Boscomantico). Ciclo di incontri "Educare alla legalità". La proposta arriva dalla Sezione Uildm (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) di Verona, in collaborazione con l’associazione La Fraternità.

Prossimo incontro: Martedì 9 giugno alle 21 Giorgio Scarato, consigliere provinciale ambientalista, parlerà della difesa dell’ambiente sotto il profilo delle responsabilità sia personali che amministrative e politiche, con un cenno particolare alle difficoltà incontrate dai disabili.

A chiudere il ciclo di incontri, Arrigo Cavallina e i volontari dell’associazione La Fraternità martedì 16 giugno esporranno alcune informazioni e valutazioni sul rapporto tra legalità, ordinamento penale, situazione delle carceri.

Direttore: Ornella Favero

Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella.

Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto"

 

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