IN-VENETO: INFORMAZIONE TRA IL CARCERE E IL TERRITORIO

Edizione n° 27, del 24 giugno 2008

 

Notizie da Padova

Segretariato sociale nella Casa di reclusione di Padova: il punto della situazione

A Padova, tanti studenti e insegnanti hanno capito l’importanza della "Gozzini"

Notizie da Venezia

Giornata internazionale del rifugiato: apre alla cittadinanza il centro "Boa"

Notizie da Verona

A Montorio manca una guida spirituale per i rumeni

Un imprenditore israeliano nel carcere di Verona

Biografia: Giuseppe Malizia, cappellano tra i cambiamenti

Addestrare cani per costruire amicizie speciali

Esami e festa di fine anno per i detenuti. Corso di yoga per un’estate più calma

I detenuti riflettono su odio e perdono

Notizie da Vicenza

Mediatori anche nel carcere di Vicenza

Appuntamenti

Verona: Terraemoti, culture in festa a Valeggio

Verona: festa Africana a Villafranca

Rovigo: il 30 giugno la festa degli Agenti Penitenziari

Notizie da Padova

 

Segretariato sociale nella Casa di reclusione di Padova: facciamo il punto della situazione

 

Da novembre 2007 è attivo all’interno della Casa di Reclusione Due Palazzi lo Sportello di orientamento giuridico e segretariato sociale, un servizio organizzato dall’associazione Granello di Senape di Padova e dalla Redazione di Ristretti Orizzonti e appoggiato dalla Direzione del carcere. Lo Sportello è attivo sia nella Casa di Reclusione di Padova sia all’esterno, per fornire consulenza e assistenza a detenuti ed ex detenuti riguardo a questioni giuridiche, previdenziali, ricerca di lavoro all’esterno e pratiche amministrative. Circa dieci volontari sono impegnati in questa attività, sia partecipando allo sportello, sia attivandosi anche all’esterno del carcere per rispondere alle richieste che i detenuti hanno formulato.

I volontari si avvalgono del prezioso contributo di circa dieci avvocati che, con l’approvazione dell’Ordine degli Avvocati del Veneto, si sono resi disponibili a prestare consulenza gratuita nell’orario dello sportello. Fino a giugno 2008 si sono rivolti allo sportello circa 150 detenuti, sia per chiedere consulenze di ordine giuridico (in particolare penale e di esecuzione penale) sia assistenza per pratiche amministrative e di previdenza sociale (compilazione della domanda di disoccupazione ordinaria e a requisiti ridotti) e ricerca di un lavoro all’esterno in caso di concessione di misure alternative.

Riguardo a questo, i volontari dello sportello si stanno impegnando a sensibilizzare alcune realtà del profit locale riguardo all’inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti, offrendo il sostegno di tutor e consulenza riguardo agli sgravi contributivi e agevolazioni fiscali.

Lo sportello si occupa di: orientamento giuridico, - verifica della posizione giuridica del detenuto, l’indicazione delle strade giuridiche percorribili per la proposizione di istanze al Giudice dell’esecuzione e al Pubblico Ministero, finalizzate alla rettifica della posizione giuridica ovvero al conseguimento di benefici previsti dall’Ordinamento Penitenziario, orientamento del detenuto nella scelta dell’istanza più adeguata alla sua posizione giuridica; predisposizione di istanze per il conseguimento di benefici come la semilibertà o l’affidamento, ma anche per la rateizzazione di pene pecuniarie e altre pratiche; fornitura di documentazione e offerta di consulenza nella lettura dei Codici; segretariato Sociale - aiuto a redigere tutte le pratiche per ottenere pensioni sociali, di lavoro, di anzianità, indennità di disoccupazione, trattamento di fine rapporto, assegni familiari, ecc.; indicazione dei percorsi verso attività lavorative presso cooperative di lavoro, aziende e privati, soprattutto in vista di possibile accesso alle misure alternative; può aiutare a stendere un curriculum vitae e prepararsi ad un colloquio di lavoro; aiuto a risolvere problemi relativi al rinnovo o alla concessione dei documenti personali di soggiorno; orientamento del detenuto alla ricerca di soluzioni abitative agevolate con enti pubblici o associazioni di volontariato presenti sul territorio; indicazioni per risolvere problemi di tutela della salute, di questioni relative ad eredità e contratti in generale; aiuto ai familiari dei detenuti, in collaborazione con lo Sportello esterno, aperto il venerdì nella sede del Quartiere 6 Ovest, in via Astichello (dove sono disponibili avvocati ed esperti).

Da sottolineare che gli avvocati disponibili non possono rappresentare in giudizio o essere nominati come avvocati di fiducia, non possono redigere memorie difensive dirette, non possono dare consigli sulla nomina di un difensore di fiducia, non possono redigere documenti o certificazioni relative allo stato personale o al patrimonio del detenuto, non percepiranno alcun compenso né avanzeranno richiesta di ammissione al gratuito patrocinio per l’attività prestata, essendo evidente che si tratta di attività a titolo di volontariato. Inoltre lo sportello non si occupa dell’assegnazione del lavoro all’interno del carcere e non interferisce con il calendario delle sintesi predisposto dall’Ufficio Educatori. Lo Sportello è attivo nella Casa di Reclusione il mercoledì dalle 8.30 alle 11 e il giovedì dalle 13.30 alle 15 e presso la sede del Consiglio di Quartiere 6 Ovest in via Astichello 18 il venerdì per appuntamento (049.8210745)

 

A Padova, tanti studenti e insegnanti hanno capito l’importanza della Legge Gozzini

 

A Padova c’è un carcere "aperto", un carcere cioè che permette un confronto tra il mondo "dentro" e il mondo "fuori". Quest’anno, per esempio, più di 1000 studenti sono entrati in carcere per confrontarsi con detenuti, volontari, operatori, e alcuni detenuti sono poi usciti in permesso premio per andare nelle scuole. E studenti, insegnati, genitori hanno discusso, riflettuto, e capito il senso di una legge come la Gozzini, che oggi è "sotto tiro" in nome della sicurezza. Quelli che seguono sono due contributi, di un insegnante e di due studenti, alla campagna "Salviamo la legge Gozzini".

 

Percorsi che consentono a chi ha commesso dei reati di comprendere il male fatto, di Antonio Bincoletto (Insegnante di Lettere, Liceo "Marchesi-Fusinato").

 

È il quinto anno che partecipo al progetto scuola-carcere. Posso dire che l’ incontrare persone che stanno pagando per gli errori commessi e che, anche per espiare, offrono all’attenzione e allo studio dei giovani la loro tormentata esperienza, ha un valore formativo enorme.

Quando mai avrebbero modo i nostri studenti di confrontarsi "dal vivo" con una tale realtà? Come potrebbero altrimenti conoscere realisticamente la dimensione del delitto, dell’espiazione, del riscatto? In quali altre situazioni potrebbero disporre di un osservatorio tanto interno, che consente loro di approcciare sistemi e istituzioni penali, di confrontarsi in modo diretto e non deformato con questo mondo e con le persone che vi sono coinvolte? Chiunque entri in questo percorso di studio e approfondimento ha modo di farsi un’idea non omologata o stereotipata su problematiche di cui si discute ogni giorno (sicurezza, legalità, emarginazione, immigrazione), usando informazioni originali, non di seconda mano, e concetti elaborati anche attraverso l’osservazione diretta e il dialogo.

Il fine e l’esito di questo studio, di questi incontri, è far crescere la consapevolezza, la capacità d’interrogarsi, il senso critico nei nostri ragazzi, e con ciò offrire loro un percorso formativo oltreché conoscitivo, in grado di aiutarli a evitare comportamenti di rischiosa devianza. Fare prevenzione significa anche questo.

Detto ciò, c’è un aspetto non meno importante del progetto che voglio qui mettere in evidenza: mi riferisco al fatto che, con queste attività, la scuola e gli studenti in primo luogo possono contribuire alla prevenzione del crimine e al recupero degli individui che hanno sbagliato.

Mi sono reso conto sempre più in questi anni di quanto sia importante anche per i detenuti mantenere aperto un dialogo con l’esterno, per uscire dai vicoli ciechi in cui si sono cacciati e per tenere aperto un filo di speranza nel futuro. In particolare il rapporto coi giovani dà ai detenuti senso di realtà, e li carica di responsabilità. In tutti gli incontri che abbiamo organizzato a scuola o in carcere fra studenti e detenuti ho percepito un forte coinvolgimento reciproco. Non si può restare impassibili quando si parla della vita, del vissuto proprio e altrui, specie quando si tratta di esperienze tragiche, che lasciano un segno profondo.

Credo perciò che sarebbe un grave errore assecondare, come pare andar oggi di moda, l’idea che i problemi della sicurezza e del crimine si risolvano con una logica meramente repressiva, semplicemente irrigidendo le regole della detenzione e abolendo i percorsi di recupero. Ciò che si può constatare nel corso di progetti come quello che noi da cinque anni portiamo avanti, è che i percorsi di recupero, sostenuti da misure alternative, dall’opera preziosa di volontari e dal permanere di un confronto con la società civile (di cui il mondo della scuola è parte essenziale) funzionano, poiché consentono a chi ha commesso dei delitti di comprendere il male fatto e di espiarlo, e nello stesso tempo di tenere aperta una speranza nel futuro, preparando quel reinserimento che la nostra stessa Costituzione contempla come uno degli obbiettivi centrali del sistema penale e carcerario. Dunque, perché chiudere questa finestra?

Oltretutto la scuola che, mentre svolge la propria funzione formativa, collabora al raggiungimento di questo obbiettivo, potrà finalmente fregiarsi di un merito particolare: quello di essere uscita dall’autoreferenzialità che spesso le viene rimproverata, di aver saputo "agganciarsi al mondo" rendendosi utile ad un fine sociale supplementare.

 

La nostra testimonianza in difesa del processo di risocializzazione graduale dei detenuti, di Giacomo Fincato e Giulia Tarini (Studenti del Liceo Socio-Psico-Pedagogico "Duca d’Aosta")

 

Siamo Giulia e Giacomo, due studenti del Liceo Socio-Psico-Pedagogico "Duca d’Aosta" di Padova e stiamo svolgendo uno stage nella redazione del giornale Ristretti Orizzonti presso il carcere Due Palazzi di Padova. La nostra attività principale è quella di partecipare alle discussioni che si tengono tra i detenuti della redazione, alcuni volontari e la direttrice del giornale Ornella Favero, su diversi temi di attualità riguardanti non solo la realtà carceraria, ma anche la vita sociale e politica fuori dal carcere.

Lunedì abbiamo discusso di un disegno di legge, presentato dagli onorevoli Berselli e Balboni, che pone delle modifiche alla legge Gozzini, la legge che in questi anni più ha umanizzato le carceri, e riduce sensibilmente l’accesso alle misure alternative alla pena.

Dalla discussione su questo provvedimento è nata la domanda: un carcere che limita la possibilità del detenuto di reintegrarsi nella società, così come viene proposto dal disegno di legge, è davvero garanzia di una maggior sicurezza sociale? La questione di estrema attualità della sicurezza, vissuta oggi come emergenza sociale, porta l’opinione pubblica a credere che pene più aspre, "soggiorni" più duraturi nelle carceri, garantiscano maggiore sicurezza. Ma la questione che, a nostro avviso, è poco affrontata, sulla quale, invece, tutti dovrebbero riflettere, è se questo stato emergenziale sia effettivo, o se l’allarme sicurezza sia in parte accentuato dai mezzi di informazione, che spesso enfatizzano alcuni fatti e ne mettono sotto silenzio altri. Quello che ci preme dire e che permetterebbe di fare più chiarezza sul tema sicurezza, è il ruolo critico che qualsiasi lettore deve avere, non fermandosi alla notizia in sé, ma tenendo conto della fonte, dell’ideologia politica che spesso manipola le informazioni, e dei fini a cui tendono le notizie divulgate.

Grazie all’esperienza che stiamo vivendo abbiamo capito che anche i testi di legge devono essere letti con spirito critico, ed è ciò che abbiamo fatto noi in seguito alla discussione sulla proposta Berselli-Balboni e sulla precedente legge Gozzini. Dopo aver letto la proposta di modifica della Gozzini, abbiamo subito rilevato che un punto di debolezza della legge è il tendere all’eliminazione di molte possibilità che permettono al detenuto di vivere una rieducazione intesa non solo come custodia, ma come contatto con la società e risocializzazione. Un possibile punto di forza è la prerogativa del disegno di legge di tranquillizzare la popolazione aumentando il senso di sicurezza, non la sicurezza, il senso di sicurezza, l’impressione che la questione sicurezza sia risolta. Tuttavia, per l’appunto, questa percezione di maggiore sicurezza non è reale, ma, temiamo, illusoria, poiché risolverebbe la questione nel qui e ora e non in prospettiva di un futuro.

Raccontando la nostra esperienza di stage presso il carcere "Due Palazzi" vogliamo mettere a disposizione di chi leggerà questo articolo la nostra testimonianza circa il valore positivo del processo di risocializzazione graduale dei detenuti, cosa che il disegno di legge Berselli-Balboni mira ad eliminare quasi totalmente. Va ricordato che il numero di persone uscite dal carcere che compiono reati dopo aver potuto usufruire di misure alternative è pari al 19%; al contrario, la percentuale di recidivi tra chi ha scontato una pena tutta in carcere è del 70%. Viene spontaneo, dunque, porsi una domanda: se l’obiettivo che preme alla società intera è quello di rendere l’Italia un paese più sicuro, diminuendo la percentuale di reati, garantendo così ai cittadini una vita serena, non è forse meglio, anche se assai difficile, mettere da parte il rancore e la rabbia, certamente giustificabili, e adoperarsi per costruire un progetto vero di rieducazione del reo, in modo da renderlo una persona migliore, e non più una minaccia per la società?

 

Notizie da Venezia

 

Giornata internazionale del rifugiato: apre alla cittadinanza il centro "Boa"

 

Domenica 22 Giugno presso il Centro Boa c/o Forte Rossarol in via Pezzana n° 1 - Tessera (VE), in occasione della "Giornata internazionale del rifugiato" il Centro di Accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati "Boa" si è aperto alla cittadinanza, offrendo spettacoli musicali, teatro e danza, cena multiculturale e svariate attività a partire dalle ore 16.00 fino alla sera.

Verso le 18.00 il centro ha iniziato a riempirsi, e alle 18.30 hanno suonato i Barba Pedana. C’è stato poi il torneo di calcio che ha visto la partecipazione di 10 squadre, tra cui una rappresentativa senegalese, una del Togo, una kossovara, oltre che squadre nostrane. Alla cena multietnica, africana, afgana e italiana hanno partecipato circa 400 persone, ospiti ed ex ospiti ormai integrati del Centro, rappresentanti di associazioni, persone che collaborano con il Centro Boa, ma anche cittadini che in qualche modo sono interessati all’argomento.

Il Comune di Venezia è capofila del "Progetto Fontego" e del "Progetto Fontego - Categorie più Vulnerabili" finanziati dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’Asilo, e sono destinati ad un numero complessivo di novanta beneficiari: uomini, donne, bambini provenienti da molte regioni e paesi del mondo, richiedenti asilo, rifugiati o destinatari di protezione umanitaria.

Il Progetto Fontego, dal 2001 ad oggi, ha ospitato quasi 600 persone; le quali hanno potuto incontrare, nella grande maggioranza dei casi, proficui percorsi di integrazione nel nostro e in altri territori. Il Progetto Fontego opera su piani diversi, in collaborazione e coordinamento con varie istituzioni, associazioni, cooperative e singole persone. L’attenzione ai richiedenti asilo e rifugiati viene dunque declinata attraverso servizi direttamente o indirettamente erogati ai beneficiari, con la difesa e promozione dei diritti richiamati dalle normative nazionali ed internazionali, con un costante impegno nell’informazione e formazione di coloro che, a diverso titolo, entrano in relazioni con i migranti o mostrano un interesse per la tematica d’asilo. Una speciale considerazione viene rivolta all’utilizzo e all’evoluzione delle competenze e risorse sul territorio, all’appoggio e orientamento nei confronti degli attori che vi fanno parte.

Questo interesse, che rappresenta un fondamento distintivo del Progetto Fontego e del Sistema nazionale stesso, è oggi motivo di riconoscimenti e di vanto per l’Italia in ambito europeo, come esempio di migliori pratiche d’accoglienza, di armonia tra la necessità di offrire assistenza e l’opportunità di interventi leggeri sui già residenti, nonché di valorizzazione delle istanze presenti e di quelle che si vanno aggiungendo.

 

Notizie da Verona

 

A Montorio manca una guida spirituale per i rumeni

 

"Spero che il giudice possa rinnovare il mio mandato, altrimenti la comunità rumena in carcere rischia di ritrovarsi allo sbando". Padre Gabriel Codrea negli ultimi due anni ha rappresentato la guida spirituale delle popolazioni ortodosse rinchiuse a Montorio, in particolare rumeni e moldavi. La Chiesa Ortodossa Romena non è però ancora riconosciuta ufficialmente in Italia e per poter entrare in carcere come un qualsiasi cappellano cattolico, padre Gabriel ha necessitato di una speciale autorizzazione del giudice, scaduta a maggio. "In Italia non sono riconosciuto come ministro di culto e quindi dipendo dal giudice per portare assistenza religiosa a chi è ortodosso". Oltre agli incontri spirituali, padre Gabriel da circa quattro anni partecipava anche a quelli di intercultura organizzati dall’associazione La Fraternità per favorire scambi interreligiosi di conoscenza reciproca tra le diverse etnie presenti a Montorio.

"Il mio mandato si è concluso nei giorni in cui è stato arrestato Claudiu Stoleru. Le richieste per incontrarmi erano molte, sia al maschile che al femminile, nonostante l’indulto avesse ridotto il numero dei detenuti anche di queste etnie. Spero davvero di poter tornare al mio ruolo al più presto". Circa il clima generale che si respira nei confronti della popolazione rumena padre Gabriel spiega: "i rumeni sono sempre stati presentati come un problema per la sicurezza e strumentalizzati in questo senso sia dalla destra che dalla sinistra. Dopo che la Romania è entrata nell’Unione Europea, a Verona i residenti rumeni in regola sono improvvisamente passati da poche centinaia a qualche migliaia e, tra la maggioranza di persone oneste e lavoratrici, è arrivato in Italia anche chi intenzionato a esportare modelli errati di vita, acquisiti in Romania, approfittando della debole giustizia italiana".

Ed è proprio questo il punto: "in tutte le comunità c’è chi è bravo e chi delinque. C’è voluto un dramma come quello dell’assassinio di Adrian Kosmin perché gli italiani se ne rendessero conto. La popolazione rumena di Verona è rimasta profondamente scossa da quanto accaduto, soprattutto perché freddamente premeditato. Forse mi sbaglio, ma secondo me la coppia di Cavaion non ha scelto casualmente un rumeno per il suo piano. I rumeni sono visti come frequentatori di ambienti strani, intrinsecamente loschi, e questo poteva essere un motivo per pensare di farla franca più facilmente. La morte di Adrian deve essere sulla coscienza di tutti quelli che finora hanno colpito i rumeni solo perché tali".

 

Un imprenditore israeliano nel carcere di Verona

 

L’imprenditore israeliano Boaz Yona, detenuto nel carcere di Montorio per circa un anno su richiesta della polizia dello Stato ebraico è stato di recente estradato dall’Italia. Sul volo verso Tel Aviv si è sfogato con alcuni giornalisti mostrando loro quelli che sarebbero i segni di una prolungata violenza nei suoi confronti da parte dei detenuti di differenti etnie. "Per sopravvivere sono stato costretto ad aggregarmi a una banda albanese", ha dichiarato ai giornalisti l’imprenditore titolare di una grande impresa edilizia il cui fallimento ha lasciato senza casa centinaia di israeliani. Boaz Yona ha denunciato: "Montorio è un carcere per soli stranieri, ci sono risse tutte i giorni. Quando i detenuti hanno scoperto che sono ebreo mi hanno preso di mira fino a spegnermi le sigarette addosso".

Secondo padre Gabriel Codrea, fino a maggio guida spirituale dei rumeni detenuti a Montorio, "nel carcere di Verona non circolano particolari sentimenti antisemiti. È vero, ogni tanto ci sono delle tensioni tra differenti etnie, soprattutto tra quelle più indomabili, ma il carcere si preoccupa di evitare la formazione di bande e cerca di diversificare nelle celle le presenze delle varie popolazioni recluse". Conclude il prete ortodosso: "Naturalmente non posso dare nulla per certo perché non ho mai incontrato questa persona, ma una simile accusa mi sembra esagerata".

 

Biografia: Giuseppe Malizia, cappellano tra i cambiamenti

 

Giuseppe Malizia, cappellano del carcere di Verona tra il 1982 e il 1989, ha operato in un contesto storico in cui tra i circa 200-250 detenuti, non ne sono mancati anche di "politici". Anni della riforma penitenziaria, delle prime misure alternative, di scioperi della fame e di un grande lavoro interno per sollecitare la totale applicazione della legge e di altre riforme. Racconta Malizia: "quando ho cominciato il mio impegno in carcere, il rapporto tra questo e il territorio era limitato. Entravano solo alcuni volontari della Fraternità. Il Cappellano era costretto a fare da solo un po’ tutto: la gestione del rapporto con i detenuti e con i loro familiari, procurare indumenti, denaro, tenere i rapporti con gli avvocati, gestire la biblioteca, organizzare attività culturali e sportive, etc.". Con l’associazione La Fraternità e in accordo con la Direzione del carcere, l’educatrice e le assistenti sociali, si è cercato di definire un ruolo specifico del cappellano, affidando ad altre figure le attività non religiose (lo sport, la scuola, il teatro, la ricerca lavoro, etc.). Tra gli obiettivi quello di un superamento della mentalità che vedeva - a ancora oggi vede - il carcere come una realtà extraterritoriale. "Il carcere deve essere una struttura del territorio, come lo sono le scuole e gli ospedali - spiega ancora Malizia. Per abbattere il muro che separa il carcere dalla società abbiamo cercato di avviare rapporti concreti con l’Ente pubblico e i vari assessorati (e anche con sindacati e associazioni) perché si interessassero tanto dei cittadini liberi, quanto dei detenuti: a tutti gli effetti cittadini presenti sul territorio, con i loro diritti e doveri. Il volontariato non deve sostituire l’Ente pubblico, ma collaborare nella progettazione e nella gestione delle attività territoriali".

Nel concreto quegli anni hanno visto i primi coinvolgimenti del CSI per le attività sportive, dell’assessorato alla cultura per il rinnovamento della biblioteca del carcere le attività teatrali, musicali e culturali; delle comunità terapeutiche per la presenza di operatori specializzati a colloquio con i tossicodipendenti; della scuola per corsi finalizzati al conseguimento della 3 media; delle organizzazioni sindacali ed imprenditoriale per la ricerca lavoro e per corsi di formazione professionale; della Comunità ecclesiale e del Vescovo, invitato a visitare il carcere in modo costante e no formale, incontrando i detenuti e girando per le sezioni. Nel gennaio del 1986 era stato anche aperto, in convenzione con il Comune di Verona, un Centro di Ascolto e di Pronto Intervento e, di fronte a tante attività e alle sempre più associazioni e gruppi coinvolti, era nato il Comitato "Città Aperta - carcere/territorio" per coordinare, proporre attività comuni e tenere i rapporti con l’Ente pubblico.

Conclude Malizia: "oggi per fortuna molte persone e associazioni entrano in carcere per incontrare i detenuti, che sono sempre più numerosi. Il momento politico e culturale non facilita tale impegno, ma è motivo ulteriore per intensificare tale sforzo e spronare la società, gli enti e le organizzazioni territoriali perché adempiano a quanto di loro competenza".

 

Addestrare cani per costruire amicizie speciali

 

Disabili e detenuti si sono sostenuti vicendevolmente in un percorso in grado di restituire parte della libertà perduta gli uni agli altri. È successo nella Casa Circondariale di Verona dove l’associazione dilettantistica sportiva Picot di Borgo Nuovo, dal 2005 gestisce un corso di addestramento cani per terapie e attività assistite che quest’anno ha coinvolto 14 detenuti e, novità prima in Italia, anche 10 disabili. Titolo del progetto, "Amici speciali", che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di trovare dei punti di contatto tra categorie considerate emarginate. La settimana scorsa i detenuti hanno ricevuto gli attestati di partecipazione al corso, che hanno definito "un’importante percorso di crescita umana, personale e di gruppo".

Dannia Pavan dell’associazione spiega che "il corso proseguirà fino a luglio, anche se gli attestati sono stati consegnati adesso". Del resto uno degli obiettivi principale dell’attività proposta è proprio quello di "dare un senso al molto tempo vuoto dei detenuti" e di aiutarli ad acquisire una maggiore fiducia in sé stessi. Quale modo migliore se non quello di offrire loro una possibilità di riscatto tramite l’aiuto degli altri?

 

Esami e festa di fine anno per i detenuti. E un corso di yoga per un’estate più calma

 

Anche a Montorio è tempo di esami. Il 7 giugno si sono chiusi i corsi scolastici tenuti dal Centro territoriale di formazione permanente Giuseppe Carducci e chi ha frequentato la scuola media è alle prese con gli esami previsti per conseguire i diplomi. Gli altri corsisti riceveranno invece gli attestati di frequenza, durante la festa di fine anno che si terrà mercoledì 25 giugno a Montorio. Una festa aperta a tutti i partecipanti con musica, spettacoli teatrali e flamenco, che offrirà anche l’occasione di leggere e premiare i testi del concorso di poesia "Evasioni poetiche" giunto alla sua quarta edizione. I detenuti si augurano però che restino aperte alcune attività anche durante l’estate, per aiutarli a resistere all’afa che, dietro le sbarre, rende le giornate ancora più lunghe. Nel frattempo il maestro Paolo Incontri - ordinato monaco del Buddismo Himalaiano con il nome di Lama Tenzin Wang Chuk - insegna ai detenuti tecniche di rilassamento tramite il movimento lento. La disciplina del "Kun Kie", uno yoga tibetano tantrico, aiuta a creare calma e maggiore consapevolezza di sé, a veicolare meglio valori quali odio o paura, altrimenti difficili da elaborare.

 

I detenuti riflettono su odio e perdono

 

Non odiare. Forse è un’utopia, un sogno che non si può realizzare in un attimo. C’è molta rabbia quando ci succede qualcosa che non va. La perdita di un genitore o di un figlio, a seguito di un reato, è molto grave. Avere odio nei confronti degli altri corrode l’animo da dentro, rendendo la vita ancora più sofferente. Un percorso di sofferenza che con il tempo fa però crescere emotivamente. Continuando ad odiare, si cova un sentimento troppo grande e autodistruttivo. Sì perché l’odio è come una candela, ci consuma piano piano. È molto opportuno confrontarsi con più persone e magari, se il problema diventa troppo grande, chiedere aiuto a uno psicologo. È molto difficile convivere con un peso così enorme, ma soprattutto l’unica medicina siamo noi stessi: non c’è via di mezzo. Perdonare è una parola complicata per chi ha subito. È molto difficile - ne sono consapevole - ma non impossibile. Sto capendo, dai vari esami di coscienza che mi sono fatto e che mi sto facendo tuttora che, per chi ha commesso dei reati, a monte ci sono sempre dei precedenti sbagliati, che arrivano da situazioni della nostra vita forse spiegate male e sicuramente capite nel modo sbagliato. Sono convinto che nessuno è nato delinquente, concorre a questo la somma di eventi non chiari nel percorso della vita di ognuno di noi. Per tante persone bisogna capire le difficoltà incontrate, da dove nasce il problema, per poi ricostruire, fare un percorso, da entrambe le parti: da chi ha creato il problema a chi lo ha subito, nella vita di tutti i giorni. La società, che si assume l’impegno di ridare il giusto peso ai valori della vita, lo dovrebbe fare con molto rispetto, in un ambiente diverso dal carcere per favorire il riemergere di quei valori che ridanno fiducia alla persona.

 

Notizie da Vicenza

 

Mediatori anche nel carcere di Vicenza

 

"L’80% dei detenuti in carcere a Vicenza sono stranieri e il sovraffollamento è nuovamente a livelli di guardia: le persone ristrette sono il doppio rispetto la capienza dell’Istituto". Con queste parole Claudio Petruzzelli, educatore nella Casa Circondariale di Vicenza, fotografa la situazione nell’Istituto.

Per questo motivo e per rispondere positivamente ad una circolare ministeriale sull’accoglienza agli stranieri, la direzione in collaborazione con l’ufficio educatori del carcere della città berica, ha firmato una convenzione di tre anni, tacitamente rinnovabile, con l’Associazione Diritti e Lavoro senza Frontiere, associazione che fa capo alla Cgil, per portare dentro la Casa Circondariale i mediatori culturali.

In attesa della ratifica dal Dap - Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia - gli operatori del carcere stanno studiando i curriculum di alcuni mediatori che lavorano allo sportello dell’associazione Diritti e Lavoro senza Frontiere, curriculum che hanno lasciato a bocca aperta per la completezza della preparazione di queste persone. Dopo altre formalità burocratiche, in settembre inizieranno i corsi di formazione per i mediatori selezionati - che lavoreranno come volontari, quindi senza percepire alcunché - corsi che hanno il fine di prepararli sul carcere e sull’Ordinamento Penitenziario.

 

Appuntamenti

 

Verona: Terraemoti, culture in festa a Valeggio

 

Il 28 e 29 giugno Villa Zamboni di Valeggio sul Mincio ospita la sesta edizione di "Terraemoti", il festival di musica e cucina del mondo, proposto dall’associazione culturale Humus, che quest’anno vede la collaborazione del cartello di associazioni "Nella mia città nessuno è straniero". Il programma è focalizzato sulla cultura iraniana e sulle popolazioni rom e sinti, con spettacoli musicali, degustazioni di enogastronomia etnica, incontri, esposizioni fotografiche e proiezioni cinematografiche.

Sabato 28 dalle 19 "Pringiarasmi - conosciamoci": incontro con Carlo Berini dell’associazione Sucar Drom e Radames Gabrielli dell’associazione Nevo Drom, con la proiezione del documentario "La vita e altri cantieri", di Giuseppe Schettino. La serata proseguirà con una cena a base di piatti tipici gitani e con il concerto del Bruskoi Triu, uno dei più importanti gruppi italiani di musica zingara, e un caso più unico che raro di progetto musicale che nasce dalla spontanea collaborazione di Rom virtuosi e musicisti Italiani.

Da mezzanotte verrà proiettato il film "Gadjo Dilo", di Tony Gatlif, manifesto del cinema Rom contemporaneo. Domenica 29 giugno dalle 19 dibattito sul tema "Quale cittadinanza oltre la paura?": intervengono Sergio Paronetto di Pax Christi e Carlo Melegari del Cestim. A seguire cena a base di pietanze persiane ed iraniane, e la musica degli Avinar, 4 musicisti iraniani che proporranno la musica folkloristica di regioni diverse dell’Iran.

A chiusura della due-giorni verrà proiettato il film "Persepolis", di Marianne Satrapi. In entrambi i giorni le stanze interne di Villa Zamboni ospiteranno l’esposizione fotografica sull’Iran di Alessandro Gandolfi (fotoreporter free-lance collaboratore di riviste come National Geographic, Repubblica e Touring fra le altre), e quella sulla realtà dei campi rom italiani a cura di Lorenzo Monasta (ricercatore e fondatore del centro studi Osservazione). L’ingresso alla manifestazione è gratuito.

 

Verona: festa Africana a Villafranca

 

Sabato 28 e domenica 29 giugno festa africana al circolo arci Kroen di Villafranca. Alle 22.00 di sabato Bumbulum e alle 19 di domenica Djambadon. In entrambe le giornate dalle 17 workshop di danza africana e percussioni, e cucina con piatti tipici.

 

Rovigo: il 30 giugno la festa degli Agenti Penitenziari

 

Lunedì 30 giugno, con inizio alle ore 10.30 nella Chiesa del Cristo a Rovigo, avrà luogo l’annuale festa della Polizia Penitenziaria in ricordo di San Basilide martire, patrono del corpo degli agenti stessi. Il rito sarà officiato da mons. Claudio Gatti, Vicario generale della Diocesi di Adria-Rovigo. La liturgia sarà animata dagli allievi del Conservatorio rodigino "F. Venezze" e l’invito alla partecipazione, formulato dal direttore della Casa Circondariale Fabrizio Cacciabue, unitamente al comandante del reparto la Vice commissario Rosanna Marino, è stato fatto alle autorità della città e ai volontari del locale Coordinamento.

Direttore: Ornella Favero

Redazione: Chiara Bazzanella, Francesca Carbone, Livio Ferrari, Vera Mantengoli, Paola Marchetti, Maurizio Mazzi, Francesco Morelli, Riccardo Munari, Franco Pavan, Paolo Pasimeni, Jaouhar Redouane, Daniele Zanella.

 

Iniziativa realizzata nell'ambito del Progetto "Il Carcere dentro le Città", realizzato grazie al contributo del "Comitato di Gestione del Fondo speciale per il Volontariato del Veneto"

 

 

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