Osservatorio Parlamentare

 

Interrogazioni al Ministro della Giustizia (Camera dei Deputati)

 

Seduta del 18.01.2005 - Risposta a interpellanza di Franco Grillini

 

Iniziative per garantire il diritto all’assistenza sanitaria dei detenuti

 

Al Ministro della salute, e al Ministro della giustizia

 

Premesso che:

ogni detenuto ed ogni detenuta, in quanto cittadini e cittadine devono poter godere dei diritti umani e civili fondamentali, quali salute, rispetto della dignità personale, privacy;

le associazioni della Consulta del Volontariato per i problemi dell’AIDS hanno da tempo denunciato al Ministero della salute il problema del non rispetto del diritto alla cura per le persone affette da HIV/AIDS detenute in carcere;

le associazioni sottolineano la totale assenza di garanzia della continuità terapeutica, tanto che sono ormai innumerevoli le segnalazioni di persone detenute cui viene negato il diritto di intraprendere una terapia antiretrovirale all’interno del carcere, o di proseguire la stessa terapia iniziata prima della detenzione, oppure di mantenere la stessa terapia in occasione di trasferimenti in altre strutture penitenziarie, nonostante l’evidenza scientifica indichi in maniera precisa che i farmaci antiretrovirali vanno assunti mantenendo invariate qualità, quantità, modalità e tempi di assunzione;

i fondi stanziati nel 2002 per il finanziamento della sanità in carcere si sono dimostrati insufficienti per far fronte in modo adeguato ai bisogni di salute delle persone ristrette in carcere, sono stati ulteriormente decurtati del 20 per cento con la finanziaria 2003;

la legge sull’incompatibilità delle persone detenute affette da HIV/AIDS con lo stato di detenzione è ancora troppo spesso disattesa;

la riduzione del personale sanitario ha progressivamente limitato la possibilità per le persone ristrette di essere adeguatamente seguite all’interno del carcere fino ad arrivare agli attuali livelli assolutamente inaccettabili;

le visite specialistiche all’esterno, sono limitate dalla scarsità di agenti per il servizio di scorta;

tutto questo si inserisce in un quadro che registra un aumento costante del numero delle persone detenute, che ha raggiunto la cifra di 56.250 nel mese di gennaio 2003, a fronte di una capienza limite degli istituti stimata in 41.324 e dove i dati ufficiali relativi alle persone affette da HIV/AIDS ristrette in carcere parlano di un totale di 1.375 persone detenute nonostante lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria abbia fatto notare che la cifra è da considerare sottostimata in quanto lo screening è volontario -:

 

quali iniziative e misure urgenti si intendano adottare per garantire a tutte le persone detenute il diritto alla cura e all’assistenza sanitaria durante la carcerazione, e in particolare l’accesso e il mantenimento delle terapie antiretrovirali per tutti i detenuti e le detenute affetti da HIV/AIDS;

quali iniziative e misure urgenti si intendano adottare affinché venga applicata con la massima estensione la legge sull’incompatibilità tra AIDS e lo stato di

detenzione.

 

Risposta di Cesare Cursi, Sottosegretario di Stato per la salute

 

Signor Presidente, con riferimento all’interpellanza in esame, si precisa che l’articolo 11 della legge 26 luglio 1975 ("Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà") e l’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 ("Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario") impongono all’amministrazione penitenziaria di predisporre, in ogni istituto di pena, l’organizzazione di un servizio sanitario "rispondente alle esigenze profilattiche e di cura della popolazione detenuta".

Nelle ipotesi in cui siano necessari cure ed accertamenti diagnostici non eseguibili all’interno degli istituti, potrà essere disposto il trasferimento dei detenuti in strutture sanitarie esterne.

Il Ministero della giustizia ha comunicato che, dal 1999 ad oggi, si sono rese necessarie alcune modifiche organizzative del sistema sanitario penitenziario, nell’ottica dell’ottimizzazione delle risorse disponibili e del rispetto dei principi di efficienza, economicità e tutela della salute del detenuto.

Gli istituti penitenziari sono stati classificati in vari livelli, ognuno dei quali corrispondente ad uno specifico modello organizzativo di assistenza sanitaria individuato sulla base del criterio del numero dei detenuti presenti all’interno di ogni struttura di reclusione. In particolare, le strutture sanitarie del livello più avanzato sono costituite dai centri clinici dell’amministrazione penitenziaria, in grado di garantire assistenza medica e chirurgica e dotati di strumentazione diagnostica di ottimo livello.

Nell’anno 2003, è stato inviato ai provveditorati regionali ed alle direzioni degli istituti penitenziari un documento di programmazione con la definizione delle linee guida per le diverse articolazioni del sistema sanitario.

Si è intervenuto, in particolare, sulla medicina specialistica, conservando le branche specialistiche ritenute necessarie in relazione ai livelli di assistenza già definiti in precedenza, e sull’assistenza farmaceutica, prevedendo, per ogni provveditorato, la predisposizione di un prontuario farmaceutico regionale. Le aziende sanitarie locali sono state invitate a rilasciare il ricettario regionale per la prescrizione dei farmaci indispensabili non disponibili nel prontuario.

Il Ministero della giustizia ha inteso assicurare, in tal modo, il principio della continuità assistenziale senza riduzione del monte ore complessivo previsto per l’attività prestata dal servizio integrativo assistenza sanitaria (SIAS) e da quello infermieristico se non in presenza di soluzioni alternative e senza, peraltro, modificare il livello di assistenza già offerto.

Lo stanziamento iniziale di risorse finanziarie sullo specifico capitolo del Ministero della giustizia relativo all’organizzazione ed al funzionamento del servizio sanitario penitenziario ammontava, per l’anno 2004, a 82.380.000,00 euro, ed è stato successivamente integrato, per continuare a garantire l’assistenza sanitaria, fino ad un totale di 100.370.000,00 euro. Per l’esercizio finanziario in corso lo stanziamento risulta di 97.000.000,00 euro.

Al fine di rapportare la previsione della spesa sanitaria alle esigenze assistenziali dei detenuti anziché al dato numerico della popolazione penitenziaria, è in corso di realizzazione un progetto esecutivo di azione (PEA) concernente la "modifica del meccanismo di finanziamento delle aree sanitarie e degli istituti attraverso l’individuazione di gruppi omogenei di co-morbilità".

Tale progetto, esteso a tutti gli istituti penitenziari, ha l’obiettivo di pervenire ad una stima realistica della complessità e gravità degli stati patologici riscontrati nei detenuti, con l’intento di parametrare i finanziamenti su una quota pro capite per detenuto, con quote aggiuntive e calibrate per gruppi omogenei di comorbosità risultanti dall’aggregazione dei diversi stati patologici, denominata "indice di stato della salute".

Per quanto riguarda il servizio della tossicodipendenza, in data 31 luglio 2003, con assegnazione dei fondi relativi alle regioni, si è conclusa la fase del trasferimento delle risorse umane e finanziarie dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale, avviato con l’articolo 5 della legge delega n. 419 del 30 novembre 1998 e con il successivo decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, per il servizio di cura ed assistenza ai detenuti tossicodipendenti.

Il personale che prestava la propria attività professionale per il presidio, organizzato dall’amministrazione penitenziaria per coadiuvare i Sert, deputati alla cura e all’assistenza dei soggetti tossicodipendenti e che, comunque, già dal 1o gennaio 2000, dipendeva, per l’organizzazione funzionale, direttamente dal Sert, risulta ormai alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale, dal punto di vista sia economico sia funzionale.

Relativamente all’assistenza sanitaria per i detenuti affetti da patologie infettive da HIV, il Ministero della giustizia ha segnalato che, già da tempo, sono stati previsti "circuiti differenziati".

Con circolare del 4 febbraio 2000 sono stati individuati due tipi di reparti: reparti di primo livello, per le esigenze diagnostiche e terapeutiche della fase post-acuzie della malattia, attivi presso i centri clinici di Genova, Marassi, Milano Opera, Napoli Secondigliano e dell’Istituto penitenziario di Roma Rebibbia; reparti di livello intermedio, attualmente in corso di realizzazione, distribuiti su tutto il territorio nazionale, per le persone detenute affette da HIV e sindromi correlate, in condizioni cliniche non particolarmente gravi, ma che necessitano di una assistenza sanitaria diversa da quella assicurata in una sezione di un ordinario istituto di pena.

Il Ministero menzionato ha rilevato l’attenzione posta nei confronti della cura e dell’assistenza delle infezioni da HIV; in caso di revisione delle branche specialistiche, sono state dettate disposizioni particolari per l’infettivologia, che, unitamente alla psichiatria, è stata mantenuta in tutti gli istituti indipendentemente dal livello assistenziale erogato.

In molti dei suddetti istituti, inoltre, in applicazione del decreto ministeriale 18 novembre 1998, sono state stipulate convenzioni con le aziende sanitarie per l’erogazione di prestazioni assistenziali nei confronti di persone detenute e/o internate.

In data 24 settembre 2003, a seguito della delibera della regione Lazio del 1o agosto, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha sottoscritto una convenzione con l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico "Lazzaro Spallanzani", individuato come struttura sanitaria di riferimento degli istituti penitenziari di Roma, al fine di garantire alle persone detenute ed internate le medesime opportunità terapeutiche riconosciute alle persone in stato di libertà, con particolare riguardo alla possibilità di accesso ai farmaci antiretrovirali.

L’amministrazione penitenziaria, consapevole dell’incidenza delle patologie infettive nell’ambiente penitenziario, e specificatamente della sindrome da HIV, ha predisposto uno specifico programma "Terapia anti-HIV in carcere di pari opportunità e massima efficacia".

Studi epidemiologici, condotti in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e con istituti universitari di malattie infettive, hanno dimostrato che la terapia anti-HIV diviene più efficace quando viene assunta sotto la stretta osservazione del personale sanitario; l’utilizzo, inoltre, di farmaci nuovi che richiedono un minor numero di somministrazione, rende possibile una semplificazione della terapia anti-HIV, favorendo un atteggiamento collaborativo da parte del paziente.

Per tale progetto, in corso di realizzazione, è stato costituito un gruppo di lavoro che ha elaborato uno studio di fattibilità per gli istituti partecipanti; sono stati, inoltre, avviati corsi di formazione per i responsabili dell’unità operativa di sanità penitenziaria e per i responsabili dell’area sanitaria all’interno degli istituti stessi.

Al fine di implementare i programmi di prevenzione terapeutica attraverso l’utilizzo del fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, di cui all’articolo 127 del decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, "Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope", l’amministrazione competente ha avviato la realizzazione del progetto "Iceberg", approvato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Tale progetto, che coinvolge circa cento istituti penitenziari, con percorsi formativi per gli operatori penitenziari, prevede apporti di collaborazione scientifica da parte di istituti specializzati per le malattie infettive, quali l’Istituto superiore di sanità, le Università degli studi Tor Vergata di Roma e quella di Sassari, l’ospedale "Belcolle" di Viterbo.

 

Replica di Franco Grillini

 

Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro non soddisfatto della sua risposta all’interpellanza che io e numerosi colleghi abbiamo presentato, perché, al di là del suo impegno, anche personale, che le riconosco, con l’intervento che ha appena svolto ci ha detto che cosa il ministero ha intenzione di fare, che cosa il ministero ha approntato, quali sono i progetti, ma non ci ha parlato della situazione reale degli istituti penitenziari e della sanità penitenziaria. Situazione reale che noi invece abbiamo potuto toccare con mano qui alla Camera con numerose audizioni in sede di attività conoscitive, che si sono svolte recentemente sia con gli operatori sanitari degli istituti penitenziari sia con tutti coloro che a vario titolo si occupano di sanità penitenziaria.

La situazione è sotto gli occhi di tutti, come ben sappiamo: esiste un sovraffollamento delle strutture penitenziarie italiane, che sfiora le 60 mila unità, che è nettamente superiore alla capienza massima del sistema penitenziario del nostro paese. Questo si riflette molto negativamente e pesantemente sulle strutture penitenziarie sanitarie interne e sulla sanità complessiva, perché siamo di fronte a problemi cronici delle strutture penitenziarie italiane, il primo dei quali ovviamente, è la carenza di organico per quanto riguarda gli agenti di custodia e persino per quanto riguarda il personale amministrativo (ce lo dicono tutte le relazioni di inaugurazione dell’anno giudiziario dei procuratori generali, che hanno denunciato questa difficilissima situazione carceraria). Va da sé che in una condizione di questo tipo si perde ciò che è l’elemento fondamentale della pena, cioè la possibilità di rieducazione e di reinserimento del detenuto. È ovvio che in una situazione di precarietà della gestione delle strutture penitenziarie tutto diventa più difficile, a partire dalla sanità, nonostante le buone intenzioni e nonostante le convenzioni lodevoli con le ASL, che sono state stipulate e di cui lei ci ha informato, che però sono convenzioni episodiche.

Personalmente sono convinto che l’intera struttura sanitaria penitenziaria dovrebbe essere gestita direttamente dalle ASL locali; questo consentirebbe ovviamente l’inserimento nell’ambito della sanità più generale, eviterebbe una separazione tra la salute del carcere e quella al di fuori di esso, consentirebbe un collegamento tra l’esterno e l’interno rispetto alla struttura penitenziaria. Quindi, sarebbero tanti i vantaggi. Lei sa meglio di me che già l’anno scorso e anche quest’anno la finanziaria ha ulteriormente decurtato i fondi per la sanità penitenziaria. I colleghi che sono andati a fare visita alle strutture sanitarie penitenziarie hanno parlato direttamente con i responsabili; anche lì ci sono problemi di organici, anche lì mancano infermieri, anche lì mancano agenti di custodia per accompagnare i detenuti alle visite specialistiche (soprattutto i detenuti affetti da HIV hanno una necessità pressoché quotidiana di interventi e di visite specialistiche). È del tutto evidente che, se non ci sono gli agenti di custodia per le traduzioni, queste visite non possono essere effettuate e, quindi, il detenuto, che ha malattie anche gravi, non ha la possibilità di cura, non ha la garanzia costituzionale della possibilità di cura e di intervento sanitario.

In una situazione di questo tipo, il problema dell’HIV nelle carceri italiane è drammatico; moltissime sono, infatti, le persone affette. Lei, sottosegretario, sa meglio di me come l’accesso al test per la diagnosi sia volontario; di circa 10 mila detenuti sottopostisi volontariamente (per quanto possa esserci qualcosa di volontario in una struttura penitenziaria, ovviamente), una percentuale elevatissima è risultata sieropositiva. Lei sa bene come, data la precarietà delle condizioni sanitarie, la diffusione delle malattie all’interno delle strutture penitenziarie sia molto elevata; si è riferito addirittura, nel corso di audizioni svolte in Parlamento, di casi di scabbia e di tubercolosi.

Il carcere che - lo ribadisco - dovrebbe essere una struttura di rieducazione e di reinserimento diventa, spesso, una struttura in cui una persona si infetta con malattie spesso difficilmente curabili. Negli ultimi tempi, oltretutto, si è sviluppata una resistenza ai farmaci indicati per molti tipi di tubercolosi; quindi, è chiaro che una situazione siffatta rischia di diventare veramente esplosiva, considerate le carenze poc’anzi sottolineate. Peraltro, dalla distribuzione dei malati conclamati tra quanti sono risultati sieropositivi risulta che i primi sono il 10,9 per cento; sono dati del ministero, da voi stessi elaborati: a gennaio 2003, erano 1.375 le persone detenute affette da AIDS conclamato. Al riguardo, si deve anzitutto premettere che tali persone non devono rimanere in carcere; esiste una normativa precisa (che non viene applicata dovutamente) sull’incompatibilità tra la condizione di malato di AIDS e quella di detenuto. Le strutture alternative o non esistono o non sono state approntate; sono pochissime le persone che hanno usufruito di pene alternative in forza della loro condizione sanitaria. Secondo i dati del ministero, nel 2003, solo centocinquanta persone circa hanno ottenuto la revoca delle misure cautelari mentre altre 185 sono state poste agli arresti domiciliari. Ben comprende come, essendo 1.375 le persone affette da AIDS conclamato, le misure alternative alla detenzione siano veramente poco praticate; inoltre, coloro che, nonostante la normativa di incompatibilità tra la condizione di malato di AIDS e quella di detenuto, continuano a stare in carcere - con tutti i problemi facilmente immaginabili - non sono adeguatamente curati.

A tale ultimo proposito, va considerato un aspetto; esistono cure efficaci, purtroppo (come è a tutti noto) non risolutive, ma efficaci per cronicizzare la malattia. Questo è un obiettivo che la scienza ha raggiunto; non siamo ancora riusciti a trovare un farmaco risolutivo per il problema dell’AIDS ma esistono farmaci molto efficaci per cronicizzare la malattia e consentire alla persona affetta dal morbo conclamato una qualità della vita decisamente migliore rispetto agli anni precedenti. Però, l’assunzione di detti farmaci deve avvenire con regolarità, sotto stretto controllo medico.

A tale riguardo, è del tutto evidente come i trasferimenti continui da un carcere all’altro facciano perdere sia la regolarità sia lo stretto controllo medico; dunque, fanno perdere l’efficacia di tali cure. Ciò, come dichiarano tutti i medici, non solo è grave di per sé, in quanto non si impedisce alla persona di ammalarsi definitivamente - e, quindi, poi, di morire -, ma è altresì grave perché la non regolarità delle cure induce nel paziente una maggiore resistenza alle stesse, esponendolo non solo al rischio di una progressione rapida del male ma anche a quello, in caso di infezione, della trasmissione di un virus resistente.

Quindi, siamo di fronte ad una situazione pesante, che richiederebbe interventi drastici e risolutivi. Ciò in coerenza, peraltro, con la normativa vigente, la quale, signor sottosegretario, purtroppo non viene applicata - perché è questa la realtà -, a causa della mancanza di strutture alternative e del coordinamento con le strutture sanitarie locali.

Si tratta di un coordinamento che, francamente, non si comprende perché non venga stabilito, una volta per tutte, a livello nazionale: credo che sarebbe interesse innanzitutto dell’amministrazione penitenziaria e dei Ministeri della giustizia e della salute far in modo che tale coordinamento venga realizzato, poiché razionalizzerebbe, oltretutto, la spesa in tale settore.

Vorrei ricordare che, nell’ambito di diverse interrogazioni, abbiamo già discusso del modo con cui viene condotta, nel nostro paese, la politica di contrasto all’HIV anche con lei, sottosegretario Cursi, che si era dichiarato molto disponibile al riguardo. Reputo, onestamente che si tratti di una politica assolutamente carente, come può appurare chiunque viaggi nel mondo. Per portare un esempio, vorrei segnalare che sono appena tornato da un viaggio in Tunisia e desidero evidenziare che in quel paese vi sono campagne informative, oltretutto molto corrette e condivisibili, negli aeroporti e negli uffici pubblici a cura del ministero competente.

In qualsiasi paese si viaggi esistono informazioni visibili e disponibili per tutti, ma in Italia ciò non accade. La invito, signor sottosegretario, ad intraprendere con me un viaggio nel nostro paese, e la sfido a trovare un posto in cui, in questo preciso istante, sia possibile rinvenire una qualsivoglia campagna di lotta alle malattie trasmesse sessualmente da parte del Ministero della salute, perché non c’è da nessuna parte!

Tali campagne sono state annunciate, è stato speso qualche soldo, è stato indetto qualche appalto, vinto da qualche società di comunicazione, ma nessuno ha visto nulla! Ricordo che, da questo punto di vista, sorse anche fortissima una polemica riguardo ad un opuscolo rivolto alle scuole, che - come lei ricorda meglio di me - invitava a praticare la castità quale strumento principe per evitare il contagio delle malattie a trasmissione sessuale. Per chi la sceglie, ovviamente, la castità è assolutamente legittima, ma la maggioranza delle persone, come tutti sappiamo, non è affatto casta.

Le persone non sono caste nemmeno in carcere, signor sottosegretario. Infatti, la sessualità negli istituti di pena esiste, e bisogna prenderne atto una volta per tutte, anche se si tratta, ovviamente, di una sessualità misera, come può esserlo quella vissuta in una condizione coatta come la detenzione.

All’interno delle carceri vi è anche diffusione della droga, per cui occorrerebbe cambiare radicalmente, anche in questo caso, le politiche di approccio alle tossicodipendenze. Purtroppo so di fare affermazioni non condivise dal Governo in carica, poiché ricordo che è già in discussione, presso la Commissione giustizia del Senato, la cosiddetta proposta di legge Fini-Mantovano sulle tossicodipendenze, la quale, a mio avviso, non solo non risolve assolutamente tale problema nel nostro paese, ma lo aggrava...

 

Cesare Cursi, Sottosegretario di Stato per la salute

 

Mi consenta, onorevole Grillini: si tratta delle Commissioni giustizia e affari sociali, che stanno esaminando tale proposta congiuntamente.

 

Franco Grillini

 

Sì, anche se auspico che la fine dell’attuale legislatura non consenta (ma si tratta, ovviamente, solo della mia opinione, signor sottosegretario) di approvare in tempo tale progetto di legge, che trovo assolutamente proibizionista e sbagliato nel merito.

Ritengo sbagliata, infatti, l’invasione della materia penale nella questione della tossicodipendenza, riguardo alla quale nessuno ha una ricetta ultimativa e definitiva e nessuno possiede certezze. Tale proposta di legge, tuttavia, con la sua cultura proibizionista e penalista, a mio avviso è di sicuro sbagliata, e qualora venisse approvata ed applicata, aggraverà la condizione dei tossicodipendenti, anche all’interno delle carceri.

Sono stato protagonista, in passato, quale membro di associazioni di lotta alla diffusione dell’HIV e delle malattie a trasmissione sessuale, di numerosi incontri con i responsabili degli istituti di pena, che "allargavano le braccia", dicendoci di non avere strumenti efficaci di intervento su tale materia.

Signor sottosegretario, credo che bisognerebbe prendere atto della gravità del problema e che vi sono persone che muoiono perché non adeguatamente curate nelle carceri italiane.

Bisognerebbe anche prendere atto che questa materia andrebbe gestita con uno stretto coordinamento tra strutture detentive e strutture sanitarie locali e che, soprattutto, occorrerebbe un adeguamento dei fondi a disposizione. Non è tollerabile che non vi siano gli infermieri, che non vi sia personale sanitario adeguato, che non vi sia la possibilità per un detenuto di accedere alle cure anche esternamente. Lei sa meglio di me che la metà della popolazione carceraria è in attesa di giudizio e che molta parte di tale popolazione carceraria in attesa di giudizio risulta, poi, innocente.

Dunque, una persona entra in carcere, sconta una pena che magari non avrebbe dovuto scontare e in tale pena deve sopportare anche un ulteriore aggravio: le difficoltà dell’accesso alle cure ed al diritto alla salute. Da questo punto di vista, signor sottosegretario, occorre un impegno maggiore. Non è semplicemente una questione umanitaria, ma di diritto. Il diritto alla salute è costituzionalmente garantito. È un diritto inalienabile e credo che esso non debba venir meno, neanche nella condizione di detenzione.

Delmastro Delle Vedove e Meroi - Seduta del 17.01.2005

 

Premesso che:

appare importante, ai fini della valutazione del lavoro della magistratura, conoscere il trend delle azioni promosse da cittadini italiani e stranieri per ottenere il risarcimento del danno da ingiusta detenzione;

è interessante conoscere i dati delle domande presentate dal 2000 al 2004 ed i dati delle domande accolte -:

quante domande di risarcimento del danno per ingiusta detenzione siano state presentate rispettivamente negli anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004;

quante di tali domande siano state accolte;

se, in ragione delle motivazioni delle sentenze di accoglimento delle domande, siano state avviate, per i casi più clamorosi, azioni disciplinari nei confronti dei magistrati responsabili.

Bulgarelli - Seduta del 17.01.2005

 

Premesso che:

nel corso del solo 2004 sono decedute all’interno degli istituti di pena italiani ben 95 persone, delle quali 53 per suicidio, 32 per malattia, 7 per overdose, 3 per cause non chiarite; in alcuni carceri, come quello "Le Sughere", a Livorno, il numero delle morti ufficialmente attribuite a suicidi, tra il 2003 e il 2004, è impressionante: tra esse quelle di Mohammer Daff, cittadino turco di 35 anni, trovato impiccato il 24 aprile 2003, di Carlos Riquelme, un marittimo cileno morto il 30 luglio 2003, di Luigi Visconti, trentaseienne originario di Marano (Napoli), di Domenico Bruzzaniti, ergastolano, e del ventinovenne livornese Marcello Lonzi, la cui morte, avvenuta l’11 luglio 2003, è stata definita "accidentale" (infarto) dalla Procura di Livorno, sebbene il cadavere del giovane presentasse chiari segni di percosse, documentate anche da numerose foto diffuse dal suo ufficio di difesa;

nell’ambito delle indagini sul caso Lonzi furono messe in campo condotte investigative quantomeno approssimative: gli esami autoptici furono eseguiti in assenza di un perito di parte e prima che i familiari fossero avvertiti del decesso e, nonostante Lonzi fosse tossicodipendente, non fu effettuata la perizia tossicologica;

le Sughere, penitenziario con una sezione di massima sicurezza, è afflitto da un drammatico concentrato di deficienze strutturali: esso ospita oltre 400 detenuti nonostante la sua capienza sia di 265 posti, dispone di risorse mediche praticamente inesistenti, strutture sanitarie inadeguate, attività culturali, ludiche e assistenziali estremamente limitate;

inoltre numerose denunce di detenuti hanno messo in evidenza il ricorso sistematico alla violenza e alla "ritorsione" da parte del personale del carcere nei confronti di alcuni di essi;

altri reclusi, stando a quanto essi hanno testimoniato, avrebbero subito violente percosse, e in alcuni casi sarebbero stati costretti a un forzato isolamento in celle dette "lisce", ove i detenuti verrebbero denudati e malmenati dalle guardie a ogni tentativo di reclamo -:

se non ritenga opportuno avviare un’indagine tesa ad accertare il contesto ambientale nel quale si è verificato nell’ultimo periodo un abnorme numero di suicidi nel carcere Le Sughere ed eventuali responsabilità del personale di custodia nella perpetuazione di violenze ai danni dei detenuti;

se non ritenga insostenibile la situazione di sovraffollamento e di gravissime carenze strutturali in cui versa il carcere in oggetto e quali rimedi ritenga doveroso porre in essere per fare fronte a tale drammatica situazione.

Cento - Seduta del 17.01.2005

 

Premesso che:

negli istituti penitenziari lavorano circa 2.000 infermieri dei quali 500 come dipendenti del Ministero della giustizia e 1.500 con contratti individuali a "prestazione libero professionale" o tramite cooperative;

i 1.500 posti di lavoro sono coperti da personale non dipendente;

esiste un bando di concorso a 90 posti di infermiere dei quali solo 45 a tempo determinato;

la stragrande maggioranza degli infermieri che prestano la loro opera negli istituti proviene da apposite graduatorie istituite presso gli istituti penitenziari ed approvate dai rispettivi Provveditorati regionali dell’Amministrazione penitenziaria, e che all’atto della sottoscrizione dell’accordo necessitano obbligatoriamente dell’iscrizione all’albo professionale quale requisito indispensabile per esercitare la professione;

l’articolo 53 della legge n. 740 del 1970 prevede che l’Amministrazione penitenziaria "...per assolvere alle esigenze di servizio di guardia infermieristica si avvale di almeno tre infermieri muniti di certificato di abilitazione... omissis... cui spetta un compenso orario... omissis... da determinarsi entro il mese di gennaio di ogni biennio...", il biennio di riferimento è scaduto il 31 dicembre 2003 -:

quali siano i criteri con i quali è stata determinata la necessità di reperire solo 45 unità infermieristiche a tempo indeterminato e 45 a tempo determinato;

quali siano i motivi per i quali non si è dato alcun punteggio, o non si è tenuta in alcuna considerazione, a chi già presta la propria attività all’interno di un istituto rischiando di perdere enormi professionalità ed esperienze acquisite nel corso degli anni in un settore sempre più difficile e complesso quale è il mondo carcerario;

se si sia mai presa in considerazione l’ipotesi di poter attuare anche per questi lavoratori "precari" la stessa normativa che consente di immettere in ruolo, per soli titoli, il personale "precario" della scuola;

se sia intenzione del Governo emanare un decreto per la rideterminazione del compenso orario degli infermieri, ma non dal 1o gennaio 2004, bensì dal 1o gennaio 2005 facendo così diventare un biennio in triennio con una perdita, per i lavoratori, di un anno di arretrati;

quali iniziative intenda adottare per ridurre il divario di classificazione esistente tra il personale infermieristico del Ministero della giustizia e lo stesso personale operante nel Servizio sanitario nazionale.

Delmastro Delle Vedove e Meroi - Seduta del 17.01.2005

 

Premesso che:

l’ennesimo suicidio verificatosi nella notte di domenica 2 gennaio 2005 nel carcere di massima sicurezza di Sulmona (vittima Guido Cercola, condannato all’ergastolo per la strage del 23 dicembre 1984 sul rapido 904) ha destato perplessità comprensibili, tanto più in considerazione del fatto che l’uomo nella primavera del 2004 aveva già tentato il suicidio tagliandosi le vene;

trattasi del quinto suicidio in 18 mesi nella struttura carceraria di Sulmona che, ormai, appare improprio continuare a definire "di massima sicurezza";

anche in questo caso il suicidio tecnicamente si è realizzato mediante l’uso di lacci da scarpe che non si comprende come potessero essere nella disponibilità del detenuto, proprio in ragione del recente tentativo di suicidio;

è bene ricordare che nella notte di Ferragosto, nello stesso istituto di pena, si è tolto la vita anche il sindaco di Roccaraso Camillo Valentini -:

se, in ragione dell’ispezione disposta dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, siano emerse le cause (ed eventuali responsabilità) del numero elevato di atti anti-conservativi da parte di detenuti nel supercarcere di Sulmona.

Bulgarelli - Seduta del 17.01.2005

 

Premesso che:

in data 20 dicembre 2004 sarebbe stata effettuata una perquisizione nella sezione speciale (composta da 14 detenuti fra politici e non), della casa circondariale di Biella, sita in via dei Tigli 14, da parte della polizia penitenziaria;

al loro ritorno nelle celle i detenuti avrebbero trovato le masserizie sottosopra, e avrebbero constatato che durante la perquisizione era stato portato via dagli agenti tutto il materiale cartaceo rinvenuto: block notes, posta, le foto dei familiari, atti giudiziari, cartoline, buste da lettera, francobolli, oltre a musicassette, gran parte del vestiario, coperte e, cosa del tutto inedita, libri e riviste, di ogni genere - compresa una copia della Bibbia e libri presi in prestito dalla biblioteca di Biella - lasciandone in tutto solo 4 per cella (2 libri e 2 riviste o 1 libro e 3 riviste o viceversa);

la direzione carceraria avrebbe motivato il sequestro dei libri con la surreale motivazione che "i libri si leggono uno alla volta" -:

se risponda al vero che nella casa circondariale di Biella sia effettivamente avvenuto il sequestro di libri e riviste e in tal caso se questa iniziativa sia stata intrapresa autonomamente dalla direzione o disposta a livello ministeriale;

quali siano le motivazioni che avrebbero portato a una misura repressiva, di tal genere che all’interrogante appare agghiacciante ed immotivata.

Mascia e Provera - Seduta del 17.01.2005

 

Premesso che:

in seguito all’emanazione del Regolamento interno, lunedì 20 dicembre 2004 la polizia penitenziaria ha effettuato una perquisizione nella sezione Elevato Indice di Vigilanza del carcere di Biella, composta da quattordici detenuti;

dalle celle della sezione e stato portato via, oltre a tutto il materiale scritto, le foto dei familiari, gli atti giudiziari, le cartoline, le buste, i francobolli, le musicassette, i CD e parte del vestiario e delle coperte;

inoltre a ciascun detenuto della sezione E.I.V. sono stati lasciati solo quattro tra riviste e libri;

poiché i detenuti E.I.V. non hanno diritto a frequentare alcun corso di qualificazione professionale e non possono utilizzare il campo sportivo, lo studio rappresenta per loro l’unica attività possibile;

risulta alle interroganti che quattro detenuti che finora frequentavano la Messa d’ora in poi non potranno più farlo;

con l’introduzione del Regolamento interno i lettori di CD musicali e gli stessi CD non potranno più essere utilizzati, nonostante l’articolo 40 del Regolamento di attuazione dell’Ordinamento Penitenziario consenta al direttore di autorizzarne l’acquisto e l’uso;

risulta alle interroganti che solo uno dei detenuti della sezione E.I.V. avesse a disposizione una quarantina di libri in quanto da privatista intende sostenere l’esame di maturità in ragioneria -:

se non ritenga che il Regolamento interno varato dalla Direzione del carcere di Biella attraverso un’apposita commissione sia irragionevolmente lesivo dei più elementari diritti dei detenuti e quali iniziative intenda prendere al fine di ottenerne modifiche;

se intenda emanare apposite direttive che indirizzino le singole amministrazioni carcerarie a varare regolamenti interni che garantiscano i diritti dei detenuti e rispondano quanto meno al semplice buon senso; se non ritenga che togliere ai detenuti la possibilità di leggere liberamente e studiare sia un provvedimento negativo per il loro percorso di reinserimento sociale;

se risulta vero che l’amministrazione del carcere di Biella abbia tenuto in isolamento per quattro giorni un detenuto che si è rifiutato di spogliarsi completamente durante la perquisizione, nonostante egli avesse segnalato la sua indisposizione e avesse fatto richiesta di visita medica.

 

 

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