L'opinione dei detenuti

 

Il telegiornale e il criminale

 

Un articolo che doveva parlare di un TG nel carcere di Saluzzo, e ha riportato invece alla ribalta la vicenda personale di uno dei redattori-detenuti

 

Stefano Bentivogli - Redazione di Ristretti Orizzonti

 

È su "Il Secolo XIX web" che trovo un articolo dal titolo "Da Killer a mezzobusto" dove, per fortuna, almeno qualche parola sull’attività di realizzazione di un telegiornale a circuito interno, svolta dai detenuti del carcere di Saluzzo, viene spesa.

Ho deciso allora di scrivere qualche riga a partire da questo articolo, al di là del fatto a cui fa riferimento, perché lo sento un po’ come un senso di riconoscenza verso i tanti compagni di carcere che ho conosciuto e che ho visto, alla loro prima occasione nella quale si esponevano, anche a dieci anni dal delitto, magari scrivendo su un giornale o partecipando attivamente a qualche iniziativa di rilievo, ritrovare la propria storia sulla carta stampata, sempre con un ritorno ai tempi del loro reato e con una dovizia nel riportare i dettagli dell’evento criminoso, soprattutto se si tratta di casi di omicidio, al limite della perversione.

Nel caso poi del TG che arriva dal carcere di Saluzzo, l’articolo di cui parlo di notizie ne dà proprio poche su questo telegiornale, che rappresenta in realtà un’iniziativa sicuramente interessante nel panorama delle attività che si svolgono nelle carceri italiane, e lo dico a ragion veduta perché ho avuto la fortuna di far parte della redazione di un altro telegiornale prodotto dietro le sbarre, che viene trasmesso dal 1998, prima anche lui a circuito interno, poi e tuttora, ospite di una televisione privata di Padova, Telechiara. Questo per dire che, nel deserto "rieducativo" delle carceri italiane, esistono comunque delle iniziative interessanti, dove operatori, volontari e detenuti mettono un grande impegno, giustamente convinti che la qualità del tempo trascorso in galera è un indispensabile investimento in sicurezza per il futuro. Si tratta quantomeno di non rendere irreversibili gli effetti collaterali della detenzione, che arrivano anche alla distruzione della personalità, e dove possibile di offrire addirittura ai detenuti delle occasioni di crescita tramite lo scambio ed il confronto necessario a gestire queste attività, spesso organizzate insieme a persone, i volontari, che rappresentano un ponte che consente di non perdere totalmente il contatto con il mondo "reale".

Ma la voglia di scrivere in realtà mi è venuta osservando quale sproporzione veniva fuori tra il raccontare l’iniziativa del TG nel carcere di Saluzzo ed invece il descrivere, riesumandoli con dovizia, i particolari dell’efferato omicidio del quale uno dei ragazzi che collabora alla redazione del telegiornale era stato il responsabile.

Io credo che anche i giornalisti una piccola riflessione dovrebbero cominciare a farla, perché poi magari si tenta di spacciare operazioni del genere, che vivono in realtà sul far leva, per interessi commerciali, sul gusto del macabro della gente, sempre vivo se ben stimolato, come una specie di ricordo in favore delle vittime, quasi che rievocare nei dettagli il modus operandi del responsabile del reato risarcisca in qualche modo vittime e parenti. A me dà sempre l’impressione che volontariamente o no si promuova la vendetta sociale e l’impossibilità del perdono e della riconciliazione, che invece in tanti casi, faticosamente e dolorosamente, avviene. Ma avviene solo quando si sceglie il superamento del passato ed il tentativo di far riprendere a vivere con il tempo sia le persone danneggiate indirettamente, sia il responsabile del danno che, contrariamente a quanto si pensa, spesso vive schiacciato da un rimorso dolorosissimo e dall’impossibilità di fare realmente qualcosa per gli altri.

Se poi invece si tratta di continuare a farla pagare al condannato ci pensa il carcere, che per quanto si potrà umanizzare, ed in Italia però mediamente siamo oggi allo sfascio, rimarrà sempre la privazione del bene più caro, la libertà personale, alla quale troppo spesso si incollano, per ideologia o tradizione, tante altre privazioni che solo chi le prova sa di che si parla.

Sono veramente diversi i compagni di carcere che ho visto tornare in prima pagina, cosa che avrebbero volentieri evitato, magari dopo essersi sudati per anni la possibilità di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione. Alcune erano persone veramente diverse dal passato, cambiate per aver maturato nella sofferenza una consapevolezza vera di quanto erano responsabili.

Io non credo ingenuamente che a fronte di certe storie terribili si possa viceversa far finta di niente, cambia però molto a seconda della modalità con cui l’articolo viene scritto e gestito, cambia se si tenta di promuovere proprio il cambiamento e la speranza di poter riaccogliere un essere umano che è consapevolmente cosciente delle sue responsabilità e che nella sua vita si troverà, volente o nolente, sempre di fronte a queste.

Sembra invece che per ora renda di più, in termini economici, la strada del "hai pagato ma non dimenticheremo mai quello che hai fatto, anche se dicono che sei cambiato", una logica che vede come compimento della giustizia il marchio eterno dell’esclusione.

Invece c’è per fortuna chi vuole immaginare una giustizia che prova fino in fondo a lasciare uno spazio alla soluzione dei conflitti e nei casi più fortunati al perdono e alla riconciliazione.

La stampa, la televisione, i giornalisti, i mezzi di comunicazione in generale hanno una grande responsabilità a riguardo e non possono continuare a nascondersi dietro l’interesse del lettore o del telespettatore. Si tratta di decidere se provare a credere in una cultura che propone, stimola, finanzia emotivamente il percorso interiore delle persone che provano a cambiare strada, a cambiare vita, che cercano accoglienza senza dimenticare le proprie responsabilità.

Il parlare di loro che stanno pagando una pena o hanno terminato del tutto di pagarla, mettendo sempre in primo piano la loro storia, quasi fosse necessariamente il loro presente, ed evidenziando sempre i dettagli più brutti di tutta la loro vicenda, significa tagliargli le gambe prima che provino a camminare: e qui si differenza una società che vuole ripartire crescendo da quella che è destinata a marcire nell’odio, anche se spesso legittimo.

Il TG 2Palazzi, realizzato nella Casa di Reclusione di Padova, è attivo dal 1998. Prima veniva trasmesso a circuito chiuso, ora invece è inserito nel palinsesto di una televisione privata, TeleChiara (tutti i sabati dalle 13,05 alle 13,20. Negli anni passati un’altra esperienza interessante in questo campo è stata il telegiornale realizzato dai detenuti del carcere della Gorgona.

 

 

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