L'opinione dei detenuti

 

Speciale Casa Circondariale di Padova

Un carcere dove si è vista un’anticipazione di quello

che potrebbe succedere, domani, in tutte le carceri d’Italia

 

Carceri, proteste, amnistia: ma chi è davvero incivile oggi?, a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti.

 

Vita da sardine. Quando si vive in sei-otto persone in una cella, stress stanchezza e nervosismo sono all'ordine del giorno, a cura di Giulio Ciccia

 

Un carcere in condizioni di cui tutta la città dovrebbe vergognarsi. E la Procura, il naso ce lo metterà nel carcere nuovo che sta lì, del tutto inutilizzato?, di Stefano Bentivogli – Redazione di Ristetti Orizzonti

 

"Qui siamo in carcere, là all’inferno". Dove "qui" significa nella Casa di Reclusione di Padova e "là" nella Casa Circondariale, dove la tazza del cesso, nelle celle occupate da tre persone, è "a vista", posizionata vicino al cancello d’ingresso, di Flavio Zaghi - Redazione di Ristretti Orizzonti

 

La disperazione del primo impatto con la galera al Circondariale di Padova, di Paolo Pasimeni - Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Padova: lettera aperta al Sindaco sulla situazione della Casa Circondariale, Il Direttivo del Coordinamento Carcere/Città di Padova

Carceri, proteste, amnistia: ma chi è davvero incivile oggi?

 

Uno sguardo sul Circondariale di Padova, per capire quel che a breve potrebbe succedere un po’ ovunque, in Italia

Questo "speciale" sulla Casa Circondariale di Padova mette insieme una serie di articoli e testimonianze di detenuti, che lì sono stati costretti a vivere, o che ci vivono tuttora, ma anche una lettera aperta, che il Coordinamento "Carcere e città" ha scritto al Sindaco di Padova, perché nessuno dimentichi che quel carcere è parte della città, e che a Padova, come scrive un detenuto con grande lucidità, ci sta un carcere, che è la Casa di Reclusione (e non un’isola felice, come qualcuno lo definisce, perché non esistono carceri felici) e un inferno, che è il Circondariale.

Mettiamo in chiaro una cosa subito: nessuno si scandalizzi quando parliamo di "inferno", e non si arrabbi la gran parte del personale, che lotta ogni giorno per rendere accettabile un luogo, che è invece indecente. Quando parliamo di inferno, parliamo di strutture vergognose, e che sono tali da anni, e le descriviamo anche continuamente, perché nessuno dimentichi che tre persone vivono in una cella da uno col water a vista, e che altre sono accatastate in otto-dieci in celle da quattro, e a volte pure nelle salette della socialità.

E anche quando abbiamo detto che la protesta dei giorni scorsi è stata, in linea di massima, civile, sapevamo quello che dicevamo: che cioè in quelle condizioni la situazione poteva degenerare facilmente, e per fortuna non è successo. E che chiedere civiltà e correttezza a gente tenuta in luoghi incivili è davvero una grande contraddizione. E non dimentichiamo poi che nessuna protesta è priva di gesti e momenti di tensione e anche di danneggiamenti e prevaricazioni, che nessuno giustifica, ma che non si riuscirà mai a cancellare neppure dalla manifestazione più pacifica.

Quello che è certo è che, al Circondariale di Padova, così come sempre più succederà nelle carceri italiane, si chiede alle persone detenute ogni giorno una prova di maturità e di autocontrollo, che da parte loro le istituzioni spesso non sanno dare, se continuano a fingere di non vedere situazioni vicine ad esplodere, e nel frattempo giocano con l’amnistia e l’indulto. Il vice premier Fini si è detto contrario all’amnistia perché "Chi sbaglia, paga". Ma siamo un paese così incivile, da credere che le persone devono pagare il doppio, scontando la loro pena in luoghi infernali, invece che in carceri per lo meno decenti? E lo Stato, sta forse pagando per non saper amministrare la Giustizia, a tal punto che la gente aspetta anni i processi, e poi si ritrova rinchiusa in celle, adatte per due-tre persone, e trasformate in contenitori per otto-dieci, senza uno straccio di educatore e nulla di nulla che assomigli, anche lontanamente, a quella rieducazione prevista dalla nostra Costituzione?

 

La Redazione di Ristretti Orizzonti

Vita da sardine

Testimonianze dal carcere circondariale di Padova:

quando si vive in sei-otto persone in una cella,

stress stanchezza e nervosismo sono all'ordine del giorno

 

La questione del sovraffollamento nelle carceri non è certo nuova, già nel 2002 una protesta pacifica, analoga a quella avvenuta di recente nel carcere circondariale di Padova, aveva interessato più carceri italiane. Allora dal Ministero della Giustizia piovevano promesse circa la possibilità di far scontare la pena in patria agli stranieri rafforzando il meccanismo delle espulsioni, e soprattutto si parlava molto della costruzione di nuove carceri. Curioso osservare come in tre anni la situazione non sia affatto cambiata, o meglio sia invece peggiorata. Quella che segue è una testimonianza nata dalla discussione di un gruppo di detenuti della Casa circondariale di Padova sul problema del sovraffollamento. Ci si interroga sulle soluzioni possibili, per il momento l'amministrazione ha pensato di ripiegare sui trasferimenti di un'ottantina di detenuti, ma la domanda che aleggia è sempre quella: il sovraffollamento delle carceri è un problema che riguarda solo il sistema penitenziario o interessa anche altre componenti della società? Altro elemento interessante che emerge dal testo è che nessuno dei detenuti presenti ha parlato di amnistia tra le misure da adottare per risolvere il problema.

 

A cura di Giulio Ciccia

 

Il sovraffollamento in carcere produce molti problemi psicologici che si ripercuotono sui rapporti tra detenuti e anche tra detenuti e agenti. Quando si vive in sei-otto persone in una cella, stress stanchezza e nervosismo sono all'ordine del giorno, in questa atmosfera sono frequenti comportamenti di sfogo eccessivo o di autolesionismo. Aumenta la paura di contrarre malattie e anche se si è in tanti paradossalmente non si sa con chi parlare, perché è praticamente impossibile avere momenti di intimità.

Tale situazione diventa particolarmente grave per le persone più fragili, che non conoscono il carcere o che hanno problemi di dipendenza da sostanze.

 

Per quanto riguarda il rapporto con gli agenti il sovraffollamento peggiora la comunicazione, anche quelli che sono più sensibili e umani nel rapporto con i detenuti diventano più freddi quando il carcere è sovraffollato.

Inoltre pur trovandoci d'accordo sugli scopi della protesta in molti di noi permane la convinzione che questa sia stata in parte anche pilotata, per richiamare l’attenzione e chiedere che fossero fatti degli "sfollamenti". Ora una domanda la facciamo noi all'amministrazione: è vero o no che poi sono stati trasferiti i detenuti che avevano avuto un ruolo più attivo nella protesta?

 

Alcune soluzioni possibili a questo problema potrebbero iniziare da quando si entra in carcere, operare cioè una selezione maggiore per fare in modo che persone con seri problemi sanitari o di tossicodipendenza scontino la loro pena in strutture più adatte, creando meno pericoli per se stesse o per gli altri. Per tutti andrebbero rafforzate le misure alternative, che costituiscono tra l'altro una buona occasione di rieducazione.

 

Una maggiore attenzione dovrebbe essere anche applicata a come nel nostro carcere vengono assegnati i detenuti nelle varie celle. Capita infatti spesso che si entri in questo carcere per piccoli reati e che si esca in grado di compierne ben peggiori, aumentando quindi la probabilità di ritornarci. Per quanto riguarda gli stranieri certo potenziare il meccanismo delle espulsioni potrebbe aiutare a ridurre il sovraffollamento, ma in molti c'è ancora la convinzione di una giustizia che lavora a due sensi, favorendo maggiormente gli italiani, ad esempio per l'assegnazione dei benefici, e non dando agli stranieri nessuna possibilità di inserimento. Questo accade anche perché molti stranieri, essendo privi di documenti, non sono neppure in grado di fornire un domicilio o una residenza dove poter scontare la pena alternativa al carcere.

 

Forse il problema del sovraffollamento in carcere, sempre che le persone possano definirsi un problema, è uno dei tanti segnali di un malessere generalizzato, la criminalità è aumentata e si sta male in un carcere affollato, ma anche fuori la realtà è dura soprattutto per gli stranieri, gli onesti possono diventare delinquenti se costretti alla fame e alla miseria.

 

Occorre anche contrastare il pregiudizio che vede tutti i buoni fuori e tutti i cattivi dentro, anche per questo motivo è stata praticata la scelta della protesta pacifica, nella speranza che ciò allarghi il fronte di interesse della società civile padovana e italiana sui tanti problemi della situazione carceraria

Circondariale di Padova: un carcere

in condizioni di cui tutta la città dovrebbe vergognarsi

E la Procura, il naso ce lo metterà nel carcere nuovo che sta lì, del tutto inutilizzato?

 

Stefano Bentivogli – Redazione di Ristetti Orizzonti

 

Quando si parla di carcere il famigerato carcere circondariale Due Palazzi di Padova è sempre la bella chiusura dei tanti articoli…"è stato arrestato e condotto al Due Palazzi", tipo…"e vissero felici e contenti". Ma lo spazio dato dai giornali non tanto a questo luogo, quanto piuttosto alle persone che ci stanno rinchiuse dentro è veramente inadeguato, se si pensa alle umilianti condizioni nelle quali sono costrette a vivere.

Bene, in questi giorni il record nazionale di sovraffollamento, che per anni è stato del 253%, ha raggiunto a Padova il 300%, e nonostante i ripetuti appelli dei detenuti a fare qualcosa, in tutti questi anni non si è fatto nulla, tranne costruire un nuovo carcere che doveva essere pronto nel 2003 ed invece è ancora inagibile e comunque del tutto inadeguato.

In questi giorni ci sono state anche alcune azioni di protesta, alle quali ha aderito la maggioranza dei detenuti, arrivando a bloccare alcuni dei servizi essenziali, compreso il vitto.

Sarebbe importante che la direzione di questo istituto aprisse maggiormente il carcere agli organi di informazione e mostrasse come stanno davvero le cose. Si è detto che la protesta dei detenuti non è stata pacifica perché sono stati impediti ad alcuni i colloqui, c’è stato qualche momento di grande tensione dove sono stati rotti alcuni televisori, e poco più. E mi dispiace per i moralisti che nel leggere questo mio definire quanto è accaduto "poco più" riterranno che dovrei essere più critico verso queste forme non del tutto pacifiche di protesta, perché io in quell’inferno di carcere ci sono passato, e l’allucinante mi è sempre sembrato che in tutti questi anni la situazione non sia esplosa prima e che i danni non siano stati molto peggiori. In realtà il danno peggiore è il ragazzo che si è impiccato sabato, l’ennesima vittima, un presunto innocente che non è arrivato neanche all’aula del Tribunale ed alla eventuale condanna.

E poi trovo incomprensibile che nello stato di violenza subita dai detenuti per tutto questo tempo vengano solo evidenziate delle azioni che, per quanto deprecabili, spariscono di fronte alle condizioni di vita inumane riservate a chi è accatastato lì dentro.

Su questa vergogna cittadina gli interventi della politica sono finora stati insufficienti, ed anche la maggior parte dei rappresentanti della municipalità si è poco interessata di un luogo che di questa città fa parte, basta chiederlo a chi ci è finito dentro per sapere di cosa parlo.

Le autorità giudiziarie non hanno, pare, aperto alcuna indagine su come mai questo benedetto carcere nuovo, che giace lì, immobile come un monumento in rovina da due anni, in realtà già insufficiente da prima di essere aperto, non sia arrivato al completamento. Eppure di carceri costruite sugli illeciti l’Italia è già esperta per il suo passato, ed invece nessuno si muove, non si sa niente, nessuno dice niente.

Il mio è un appello ai giornali locali affinché quando parlano del carcere non si dimentichino mai della "vergogna padovana" e mi chiedo se la Procura della Repubblica tenga il naso assolutamente fuori da Via Due Palazzi n. 25, aspettando di farsi viva solo per constatare qualche morte per suicidio. Sembra strano che al Circondariale ci siano meno suicidi che alla Casa di reclusione, a me viene da pensare che è talmente sovraffollato che sia diventato un problema trovare lo spazio e la solitudine per attaccare una corda e farla finita.

Intanto pare che per tamponare la situazione si sia provveduto a "sfollare" 60 persone, che per i non addetti significa che, pur essendo stati arrestati per un’ipotesi di reato a Padova, si può finire in Sardegna allontanandosi così sia dai parenti, sia dai propri avvocati di fiducia, se ce ne sono, in barba al diritto di difesa.

"Qui siamo in carcere, là all’inferno"

Dove "qui" significa nella Casa di reclusione di Padova e "là" nella Casa circondariale, dove la tazza del cesso, nelle celle occupate da tre persone, è "a vista", posizionata vicino al cancello d’ingresso

 

Flavio Zaghi - Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Può sembrare strano, ma l’impatto che si ha entrando nella Casa Circondariale di Padova è totalmente diverso da quello che si ha entrando nella Casa di Reclusione; due carceri comunque della stessa città e oltretutto a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, ma talmente differenti in ogni cosa da apparire come appartenenti a due mondi completamente diversi.

Uno, il Circondariale, è tristemente noto come il carcere dei record, in negativo ovviamente, in quanto è un carcere tra i più affollati d’Italia, con una presenza costante dell’85-90% di stranieri di varie nazionalità, che sono per la maggior parte: nord-africani, rumeni, albanesi, moldavi, ucraini, nigeriani e oggi non mancano neppure i cinesi e i filippini. Gli italiani in questa triste classifica figurano agli ultimi posti.

Le celle, pensate e destinate originariamente per contenere una sola persona, ora ne contengono tre, quelle più grandi invece, che dovrebbero ospitare al massimo quattro persone, ne contengono dieci, dodici. In ogni cella le brande sono montate a castello a tre piani, lo sfortunato del terzo letto quindi è costretto ad audaci arrampicate col rischio di precipitare sul pavimento e rompersi l’osso del collo magari per il semplice fatto di avere il sonno un po’ disturbato.

La tazza del cesso, nelle celle occupate da tre persone, è "a vista", posizionata vicino al cancello d’ingresso e a pochi, pochissimi centimetri dal primo letto al piano terra e dal tavolino fissato alla parete dove praticamente gli occupanti della cella consumano il loro pasto. Le grate alle finestre lasciano filtrare poca luce nelle celle, ma questa carenza è stata colmata dal fatto che la luce al neon resta accesa praticamente 18 ore su 24, immaginarsi quindi che cosa vuol dire occupare il letto del terzo piano, col neon ad una spanna dal naso e che in estate ha lo stesso effetto di un solarium. Le docce, per la maggior parte perennemente fuori uso, permettono ai detenuti di avere a disposizione l’acqua calda solo nelle prime ore del mattino, entrare in doccia comunque è il più delle volte uno schock e riuscire a non prendersi almeno i funghi è arduo.

Il cortile destinato ai passeggi è diviso in due da una rete alta sei metri, da una parte c’è una sorta di campetto, dove praticamente tutti i giorni si gioca la partitella a calcio, che è più presa come uno sfogo che come sport vero e proprio, infatti è lì che il più delle volte nascono le risse, passeggiare tranquillamente quindi diventa impossibile; dall’altra parte della rete invece c’è uno spazio più piccolo e pavimentato, con un cesso e un lavandino per i quali non vi è memoria storica di averli visti funzionanti, infatti me li ricordo da sempre semisommersi da una sorta di pozzangherone misto di acqua e piscio e con tutt’attorno una flora muschiosa perenne e in continua evoluzione, tale da rendere impossibile arrivare al lavandino senza bagnarsi le caviglie per potersi poi sciacquare.

La cucina del circondariale ovviamente non è adatta a preparare trecento pasti, e dal mio ricordo, se non è migliorata di recente, sforna dei cibi che per mangiarli bisogna essere per lo meno fachiri, se non addirittura autolesionisti; spesso si è costretti quindi a cibarsi di solo pane e frutta, ma ovviamente se si hanno soldi sul libretto allora è diverso, si è autorizzati a comprarsi e cucinarsi tutto quello che si vuole.

La chiesa è "un corridoio", in quanto la piccolissima cappella è inagibile ormai da anni e non ha l’impianto di riscaldamento, sembra strano ma le uniche cose che non sembrano quasi neanche far parte di quella realtà sono: l’ufficio matricola e tutto lo spazio destinato in uso a uffici vari e direzione, lì infatti c’è addirittura l’intonaco alle pareti con l’effetto marmoreo tipo i vecchi stucchi veneziani rinascimentali. La ciliegina sulla torta è un fatiscente fabbricato posto tra il muro di cinta e il campetto, quello è l’isolamento, una struttura con poche celle, cessi intasati perenni e senza l’impianto di riscaldamento; gira voce che è inagibile ormai da anni anche quella, ma la cosa certa è che io personalmente l’ho sempre vista occupata da qualche persona e in special modo da chi tra gli arrestati mostra segni di patologie psichiatriche.

La Casa di Reclusione è tutt’altra cosa, nelle celle si sta in due e quanto meno il bagno è dotato di porta che permette un minimo di privacy. Una cosa certa è che a confronto col Circondariale, qui siamo in carcere, là all’inferno.

Ultimamente, proprio per il fatto che al Circondariale è in atto una protesta, si vedono spesso dei servizi in televisione, però, forse per errore dei giornalisti o per chissà quale altro motivo, le immagini sono per lo più quelle della Casa di Reclusione: un carcere che funziona in maniera normale infatti diventa subito un fatto eccezionale se messo a confronto con le vergogne del Circondariale, e quindi lo si sbandiera ai quattro venti.

La cosa che più mi dà da pensare è che tra l’uno e l’altro carcere ne è nato un terzo nuovo di zecca, con celle, brande e arredamento, pronto a contenere "almeno una parte" dei detenuti del Circondariale; già, dico solo una parte perché è stato pensato e progettato non certo per contenere i quasi 300 detenuti che oggi sono stipati nel vecchio carcere. Quindi anche quando questa nuova struttura venisse aperta, cosa che non risulta ancora possibile in quanto pare che si siano dimenticati di costruire lo spazio destinato ai passeggi, sarà comunque praticamente già da subito sovraffollata, proprio perché per un bacino come quello di Padova e provincia un carcere da 100 posti risulta inadeguato. Qualora si pensasse poi di tenere in funzione ed attivi entrambi i circondariali, ci sarebbe il problema del personale di polizia penitenziaria che risulta già carente per una sola struttura, quindi molto probabilmente chi ha commissionato la costruzione del nuovo carcere ha preso un abbaglio o non ha capito bene come affrontare e risolvere il problema.

Nessuno riesce neppure a pensare cosa ci aspetterà con la Bossi-Fini di cui si cominciano a vedere gli effetti ora, e poi con l’entrata "a regime" della Cirielli, e con la possibile approvazione della Fini-Mantovano, cioè tutte quelle leggi e leggine emergenziali varate per risolvere tutto quello che erroneamente viene visto come allarme criminalità. Intanto le nostre prigioni sono stracolme all’inverosimile di persone, sono ormai prigioni che violano la legge a cominciare proprio dalla Costituzione e che di rieducativo e riabilitativo non hanno alcunché, anzi, rendono e trattano le persone come bestie in gabbia. E dalle bestie in gabbia non ci si può aspettare certo un cambiamento tale da permettere un rientro nella società senza essere quanto meno esauriti o incazzati col mondo intero.

La disperazione del primo impatto con la galera

al Circondariale di Padova

 

Paolo Pasimeni - Redazione di Ristretti Orizzonti

 

 La mia esperienza con il carcere ha avuto inizio con il mio ingresso nella Casa Circondariale "Due Palazzi" di Padova nel 2001. Non ero mai stato in carcere prima d’allora e mai avrei potuto pensare di entrarvi, vista la mia totale estraneità da qualsiasi tipo di delinquenza. Mi ricordo il mio ingresso nell’istituto come l’ingresso in un mondo parallelo fatto da cancelli e blindi al posto delle porte, e sbarre al posto delle persiane. Mi ritrovai in una cella angusta con i sanitari a vista, a meno di un metro dal letto che, sporgendo, impediva l’apertura completa della finestra. Era una delle celle dell’isolamento in cui fui segregato per alcuni giorni per ordine del giudice delle indagini preliminari.

Dopo alcuni giorni, iniziai ad andare all’"aria": un corridoio largo circa due metri e mezzo e lungo una ventina, circondato da cemento e filo spinato. Il regime di alta sorveglianza, a cui ero stato sottoposto in via precauzionale, cessò nel giro di meno di una settimana e venni "declassato" a detenuto comune. Purtroppo però, a causa del sovraffollamento, venni trattenuto nel reparto isolamento, nonostante la mia pericolosità sociale fosse stata dichiarata scemata e nonostante l’ordinanza emessa da parte del giudice. Nel frattempo tale reparto iniziò a popolarsi di altri detenuti, tanto da riempire le celle d’isolamento con tre detenuti per cella, cosa, questa, che mi pare entri in conflitto con il significato della parola isolamento, a rigor di logica. Capii però ben presto che nel mondo in cui ero entrato di logica ve ne fosse ben poca. L’acqua che fuoriusciva dal rubinetto era limacciosa, i sanitari erano fatiscenti e, per di più, non si potevano avere in dotazione i detergenti, a causa del reparto in cui illogicamente eravamo costretti a stare. Ci si poteva fare una doccia una volta alla settimana, perché l’intero braccio era pressoché sprovvisto di docce. Ben presto alcune persone detenute presso le celle contigue alla mia iniziarono a protestare e non mancarono atti di autolesionismo. Per tranquillizzare gli animi, mi ricordo che venne il comandante e ci disse che nel giro di pochi giorni saremmo stati collocati presso il reparto dei comuni.

 

Otto compressi in una cella da quattro

 

Passarono diversi giorni prima che ciò si avverasse. Entrai, quindi, nella cella 25 del secondo blocco della Casa Circondariale e all’inizio mi sentii preso dall’angoscia, poiché mi ritrovai in mezzo ad altre otto persone in uno spazio progettato per contenerne quattro. Ero il più giovane e venni accolto positivamente da tutti i componenti della cella. Nonostante la correttezza manifestata da parte di tutti, stare in nove in quella stanza così piccola era molto difficile, la convivenza forzata fra persone estranee e con problemi differenti come la tossicodipendenza e/o problemi psichici era spesso causa di discussioni animate. C’é da dire che, però, io fui fortunato a capitare in quella cella, poiché la maggior parte erano delle singole, come quelle dell’isolamento, in cui erano stipati tre detenuti che, per tutto l’arco della carcerazione, dovevano condividere gli stessi cinque-sei metri quadrati con annessi sanitari a vista, tavolino e 2 sgabelli. In effetti, il terzo sgabello non aveva senso tenerlo in quelle celle, tre detenuti in quella cella in piedi non ci potevano fisicamente stare, uno, almeno, doveva stare sempre seduto o disteso sul letto!

Gli spazi ricreativi erano relegati ad un’ora e mezza di sala ricreativa quotidiana in cui circa cinquanta persone si trovavano a dividere un tavolo da ping-pong e un calcio balilla e questo era un altro fattore che contribuiva spesso a generare ulteriori tensioni.

Nemmeno le tre ore di passeggi quotidiane erano tanto meglio. Le arie erano due, poiché le sezioni comuni erano due. Una di queste era un campo da calcio non regolamentare colmo di buche e completamente sprovvisto di tettoia sotto la quale ripararsi in caso di mal tempo, per cui in tali occasioni l’aria era inagibile per gran parte della cattiva stagione. L’altro passeggio era completamente in cemento, grande più o meno quanto un piccolo campo da pallacanestro. Va detto, inoltre, che entrambe le arie erano sprovviste di un bagno e, quindi, si doveva costantemente fare attenzione a non sporcarsi con i "residui organici" altrui. Le condizioni igieniche all’interno dell’istituto, poi, non erano tanto migliori, aree come la biblioteca erano pressoché inagibili, c’erano nidi di uccelli al suo interno per non parlare dei cumuli di polvere che sovrastavano i libri. Tale area era chiusa, perché il tragitto che portava dalla rotonda alla biblioteca era pericolante, c’erano pezzi di soffitto sul pavimento e le transenne piazzate per i lavori di ristrutturazione rimasero lì per tutto il periodo trascorso da me in quell’istituto e non so dire da quanto tempo lì si trovassero.

Nel 2004 feci ritorno nella Casa Circondariale di Padova per poi essere trasferito dopo pochi giorni alla Casa di Reclusione. Trovai le condizioni igieniche di quell’istituto ancora peggiorate a causa del numero assurdo di persone lì ristrette, ancora maggiore rispetto al 2001. 280 persone stipate in loculi la cui capienza complessiva è di 98 posti! Dalla cucina, chiaramente sottodimensionata rispetto al servizio che era tenuta a svolgere, uscivano pietanze improponibili. La sporcizia, in quella promiscuità, era tanta lungo i corridoi e nella sala ricreativa. E vi ricordate la biblioteca chiusa per l’inagibilità del corridoio con le annesse transenne per i lavori di ristrutturazione? Ebbene. erano ancora lì… dopo quasi 2 anni da quando io ero uscito. Nemmeno i cancelli automatici funzionavano più, ogni volta che un detenuto doveva recarsi in infermeria o nell’ufficio matricola un agente doveva armarsi di chiavi e pazienza per aprirgli il cancello.

L’impressione che ho avuto dello stato in cui versa la Casa Circondariale di Padova è quella di una struttura al collasso, in cui nessun parametro igienico-sanitario viene rispettato a scapito della salute dei detenuti, ma anche degli operatori. Mancano i farmaci a causa del sovraffollamento, persino le aspirine sono lì un lusso e anche un semplice mal di testa può essere un problema serio da risolvere. Una sola psicologa che opera per la cura e osservazione dei detenuti non tossicodipendenti.

Mi chiedo come si possa accettare che in Italia esistano al giorno d’oggi strutture così fatiscenti e disumanamente sovraffollate, chi possa accettare l’illogicità della privazione della dignità a soggetti che andrebbero rieducati, chi si arroghi il diritto di compiere questa nefandezza. Adoro i cani, ma ho smesso di indignarmi d’innanzi alle loro condizioni di vita nei canili-lager da quando ho visto come si vive in certe carceri del nostro paese.

Infine, oltre al danno c’è pure la beffa: di fronte alla struttura in questione è sorta la nuova Casa Circondariale di Padova, ultimata da anni e mai aperta, la cui capienza non tiene assolutamente conto della effettiva esigenza di posti necessari a contenere lo stesso numero di detenuti attualmente ristretti presso il vecchio complesso. Dalla padella alla brace, insomma. Inutile pensare nemmeno che vengano mantenute in funzione entrambe le strutture per far fronte all’emergenza sovraffollamento, poiché è insufficiente il numero di agenti della polizia penitenziaria il cui sindacato da anni denuncia la carenza di personale. Mi rifiuto di pensare che non vi sia una soluzione, mi rifiuto di pensare che questi problemi non vengano affrontati con la dovuta serietà dalle autorità competenti, perché intanto c’è gente che soffre e che, purtroppo, muore stritolata fra i denti di un meccanismo disumano, prevaricatore di ogni diritto e che non conosce l’innegabilità della dignità di ogni uomo, colpevole o innocente che sia.

Lettera aperta al Sindaco sulla situazione della Casa Circondariale

 

Egregio sig. Sindaco,

in quanto Direttivo del Coordinamento Carcere/Città di Padova, rappresentativo di numerose associazioni di volontariato e altre realtà del privato sociale impegnate nell’assistenza ai detenuti degli Istituti penitenziari della città, nella tutela dei loro diritti e nel sostegno del processo di risocializzazione, Le scriviamo per esprimere viva preoccupazione circa la situazione della Casa Circondariale di Padova, per come è stata denunciata dalle recenti manifestazioni di protesta dei detenuti. La stessa è peraltro da tempo nota e così riassumibile:

un livello di sovraffollamento del 300% (300 detenuti su una capienza massima tollerabile di 100 – 120 posti, che assegna a questa struttura il triste primato dell’istituto più sovraffollato d’Italia, con un indice di quasi 10 volte superiore a quello medio nazionale)

la presenza di una percentuale di immigrati detenuti di oltre l’80%, superiore di oltre 30 punti percentuali alla componente immigrata delle carceri del Veneto, che col suo 50% occupa già il primo posto della graduatoria nazionale.

l'assenza dei requisiti minimi di igiene e di vivibilità, con celle da una persona abitate anche da tre, da quattro persone abitate da otto/dieci, con un water collocato nello stesso ambiente, senza alcuna separazione e addirittura senza tavoletta di copertura, con buona pace di ogni idea di privacy e di prevenzione sanitaria, oltre che di elementare decenza.

la necessità di frequenti sfollamenti, con conseguente impossibilità di attuazione di qualsiasi programma di trattamento, cui pure gli imputati hanno diritto.

la presenza, a lato della struttura in questione, di una nuova struttura, già da tempo ultimata, tuttora non agibile per problemi tecnici, economici e procedurali.

i recenti trasferimenti, che hanno coinvolto anche parecchie delle persone che più si erano impegnate nell’azione di protesta in questione.

Tale situazione, che non esitiamo a ritenere e definire estrema, risulta in palese contrasto con la normativa internazionale e nazionale, con l’art. 27 della nostra Costituzione, con l’ordinamento penitenziario e i regolamenti, in tema di diritti dei detenuti, di umanizzazione della pena, di funzione rieducativa della stessa,cui la stessa detenzione cautelare non può risultare estranea. Basti, per tutto, il fatto che tali condizioni appaiono in evidente violazione con le regole di cui agli artt. 6, 95, 134, 135 del Nuovo Regolamento del 20/9/2000. Il fatto che tale realtà riguardi massimamente persone in attesa di giudizio e beneficiarie della presunzione di innocenza, come poi assai spesso viene confermato, la rende ulteriormente paradossale e contraria ai principi di legalità, oltre che di sostanziale umanità.

Oltre all’enorme disagio delle condizioni di vita interne, alle gravi difficoltà per qualsiasi attività trattamentale e di socializzazione, preoccupano i possibili effetti sui sentimenti di estraneità, di isolamento sociale, di comprensibile reattività che tutto ciò potrà determinare nei reclusi, con ulteriore futura marginalizzazione. L’episodio di suicidio di questi giorni appare simbolicamente condensare l’insieme di questi significati. E pure in così evidente inciviltà va rilevato e apprezzato l’atteggiamento di ragionevolezza che complessivamente ha ispirato la protesta di questi giorni. A sostegno della stessa e delle sue ragioni, nello spirito e nella prospettiva di decongestionare la situazione attuale e di prevenire il suo riprodursi, questo Coordinamento si è già espresso nel senso di:

sollecitare l’immediata apertura della nuova struttura adiacente a quella in oggetto, nella logica della redistribuzione di una quantità di reclusi quantomeno non superiore a quella attuale.

chiedere, in caso di impossibilità in tempi rapidi, per motivi burocratici o tecnici, alle autorità competenti esplicita chiarezza sui motivi di tali difficoltà, su possibili responsabilità a livello istituzionale, sui tempi e i modi praticabili per scioglierle o superarle.

chiedere l’effettuazione di un’indagine conoscitiva sui motivi che determinano pur nel grave quadro nazionale e regionale, la particolarità del caso del Circondariale di Padova; se siano essi riferibili alla frequenza di trasferimenti in questa sede da altri istituti, alla frequenza e alla facilità di arresti per certe imputazioni o a carico di particolari aree di soggetti, o ad altro, al fine di modificare, ove si rivelasse utile o necessario, determinate logiche o modalità di intervento.

sollecitare interventi strutturali urgenti al fine almeno di garantire le condizioni minime di igiene e di tutela della privacy e della dignità umana, attualmente non rispettate.

auspicare visite periodiche regolari da parte del Magistrato di sorveglianza, al fine di monitorare costantemente la situazione interna e di intervenire, per quanto di sua competenza, a tutela dei diritti dei detenuti.

Con questa lettera aperta ci rivolgiamo ora a Lei, in quanto primo cittadino di questa città, per sollecitare l’Amministrazione comunale, considerata la realtà di questo istituto come parte integrante del proprio territorio, a valutare le attuali condizioni come inaccettabili e incompatibili con la civiltà delle tradizioni e dei progetti che contraddistinguono la città di Padova e ad intervenire di conseguenza, in conformità alle proprie competenze e prerogative, tenuto conto che, ai sensi del suindicato regolamento del 2000, i reclusi degli istituti penali presenti nel territorio comunale sono considerati a tutti gli effetti, per il periodo di durata della detenzione, come residenti nel Comune di Padova

Sollecitiamo in particolare la rapida istituzione del Garante dei diritti dei detenuti e del Tavolo di Lavoro delle istituzioni e delle associazioni sul carcere, secondo i progetti in corso di definizione, così come delineati nel recente convegno del 18/11 u.s. e di cui la situazione qui denunciata dimostra l’urgenza.

Sottolineiamo inoltre l’importanza di una rapida attivazione di interventi utili all’accoglienza e all’inserimento sociale degli ex detenuti, nonché all’implementazione delle misure alternative.

Fiduciosi che farà tutto il possibile, nell’ambito delle sue competenze e prerogative, per favorire una soluzione per la gravissima situazione dell’istituto in oggetto, La ringraziamo della certa disponibilità, con un sentito saluto e gli auguri di un anno di proficuo lavoro.

 

Il Direttivo del Coordinamento Carcere/Città di Padova

 

 

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