Lettera dal carcere all'On. Vitali

 

Siamo tutti recidivi. Lettera dal carcere di Como all’On. Vitali

 

Agenzia Radicale, 3 giugno 2005

 

All’On. Vitali Luigi, Gruppo F.I., Palazzo Montecitorio - Roma

 

Caro Deputato, sono un detenuto recidivo e le scrivo dal carcere di Como. Ho seguito e sto seguendo con molto interesse le varie rampogne intorno a questa obbrobriosa legge in "pulsazione" su radio radicale e con quale enfasi Lei la sta difendendo. Sono certo che Lei conosce molto bene questa legge compreso i guasti che essa produrrà anche sotto il profilo costituzionale: disparità di trattamento in materia penitenziaria; amnistia permanente mascherata "da un ipocrita giro di vite"; il trionfo insomma del "doppio binario", simbolo di un diritto disuguale che va dall’impunità per i colletti bianchi e alla "tolleranza zero" per la devianza degli esclusi meglio identificati come recidivi reiterati e, quindi, animali sociali da galera.

Non so, mi creda, se questa legge è stata suggerita da un potere politico che viene oramai e, purtroppo, sovente a presentarsi come una singolare ipocrisia legale, che permette a sé al pubblico per pochi ciò che invece reprime nel privato di tutti.

Ricordo le Sue parole nell’intervista di Radio Radicale: "…lo Stato siamo noi e le leggi le facciamo noi … i giudici devono [imperativo] solo applicarle…". Parole dure come macigni caro deputato, e se poi, il Csm boccia la "salva-Previti" e stigmatizza il suo contenuto anti-giuridico s’innalza un vespaio di vero bellicismo politico, come se questi magistrati fossero dei veri malfattori. Gli fa eco il leghista Calderoni con questa affermazione: "…i magistrati farebbero meglio a togliersi le toghe e farsi eleggere dal popolo per poter loro stessi sfornare le leggi…" In fondo caro deputato, il Csm è un organo della magistratura democraticamente eletto e, quindi, non vedo nulla di strano né di tanto scandaloso nella critica che certi magistrati sollevano in un campo a loro molto conosciuto; non Le pare meritano una qualche considerazione più adeguata?

Lei, caro deputato, afferma con sicurezza e correttamente: "… noi siamo lo Stato e lo Stato emana le leggi per mandato costituzionale…" Infatti il potere legislativo è la capacità di emanare leggi. In ogni forma democratica moderna il potere legislativo è esercitato dalla volontà politica di fare leggi anche "ad personam", ma Lei sa o dovrebbe sapere che questo potere è solo politico e molto spesso cozza violentemente con l’esigenza sociale; cioè con quei rappresentanti del popolo che elegge liberamente i componenti del parlamento quali suoi rappresentanti. Lei è sicuro di agire anche in nome di questa esigenza sociale?

Il potere esecutivo è la capacità di applicare leggi e fare in modo che tutti i cittadini (compresi i Suoi elettori) le rispettino; questo compito sociale spetta al governo di cui Lei fa onorevolmente parte. Lei è sicuro che questo delicatissimo compito venga svolto e che il Suo governo abbia la capacità di far rispettare da parte di tutti i cittadini le leggi?

E quando Lei dice: "…lo Stato siamo noi…" si riferisce anche al rispetto di quelle leggi che per volontà politica e per esigenza sociale, sono state emanate per la tutela dei diritti dei cittadini detenuti, oggi vergognosamente disattese, calpestate, ignorate e ignobilmente messe a margine dal Suo governo? Oppure devo leggere in questa affermazione l’arroganza di qualcuno che è convinto che il potere politico sia "cosa sua", da amministrare come bene privato, senza nemmeno la consapevolezza di un’investitura divina che il buon Luigi XIV, emblema del potere assoluto, aveva quando faceva affermazioni simili alle Sue?

Caro deputato, infine il potere giudiziario è la capacità di giudicare ed eventualmente punire chi ha violato la legge. Questo potere compete esclusivamente alla magistratura. Essa è un organismo indipendente che deve giudicare e punire con assoluta imparzialità secondo le leggi. Lei è sicuro che con l’eventuale entrata in vigore della legge denominata "ex Cirielli", o meno prosaicamente "salva-Previti", sulla questione della recidiva, ed in particolare la disposizione che prevede l’automatica applicazione dell’aumento di pena senza quindi lasciare al giudice la possibilità di valutare a sua discrezione anche altri elementi estrinseci nel comminare in concreto una pena equa e più giusta, non si rischi pericolosamente di scavalcare questo potere o di non garantire l’autonomia del giudice? Lei crede veramente sia giusto e legittimamente compatibile eliminare l’art. 133 del c.p. e, nel contempo, mettere i giudici sotto il controllo dell’esecutivo?

È infatti del tutto evidente, caro deputato, che la legge "ex-Cirielli" o "salva-Previti" non solo farebbe a pezzi il "patto penitenziario", ma intervenendo sul codice penale, farebbe a pezzi secoli di cultura giuridica grazie alla quale compete solo ai giudici di cognizione l’onere di valutare, nella loro piena autonomia, la determinazione della pena in concreto da irrogare e, mi creda, i giudici non hanno assolutamente bisogno di automatismi, perché non sono certamente degli sprovveduti.

Ma ancor più marcatamente questa legge farebbe a pezzi e cancellerebbe di fatto l’art. 27 co.3 della Costituzione e non solo per la disparità trattamentale in materia penitenziaria, ma riporta la funzione rieducativa della pena nei tempi dell’inquisizione!

Lei ha sostenuto e sostiene che il recidivo deve essere tagliato fuori dai benefici penitenziari concentrando il Suo pensiero esclusivamente sulla forma, cioè sulla norma, ma non sulla sostanza.

Si è mai chiesto il perché e le cause della recidiva di un soggetto? No, credo proprio di no; Lei non se l’è mai chiesto e sa perché? Perché lo Stato (il Suo stato) ha fallito, ha fallito a causa della sua incapacità di gestire le carceri, nella possibilità d’intervento socio-riabilitativo, nel cercare la rieducazione delle persone devianti, nel rimandare "sine die" tutte le problematiche da cui lo spunto dell’apologia del motto: "… chiudi e butta la chiave".

Quindi l’obiettivo politico dello Stato è fallito ma non per colpa della popolazione detenuta la quale sembra incapace di reinserirsi nel tessuto sociale, ma proprio nell’incapacità dello Stato di offrire ai detenuti gli strumenti idonei per il loro eventuale reinserimento.

L’unica alternativa, ormai consolidata, è quella di lasciare che il carcere rimanga scuola di devianza, cinghia di trasmissione e riproduzione della reiterazione dei reati, in un processo di contagio dal quale - alla lunga - la stessa società potrebbe essere travolta. Purtroppo, caro deputato, oggi il carcere funziona come ultimo livello istituzionale, come una tragica discarica sociale dove vengono fatti precipitare i problemi che nessun altro vuole o può risolvere. E ora ben venga anche la Sua legge "ex-Cirielli" o "salva Previti", oramai noi detenuti siamo assuefatti da ogni abuso, prepotenza e invadenza giuridica.

Lei lo sa che più dell’80% dei detenuti sono recidivi, probabilmente non lo sa e non lo sa perché forse non Le interessa, altrimenti non avrebbe sottoscritto una legge scellerata dimostrando di non avere quell’umiltà di base, che poneva una componente di intelligenza di un fenomeno, che consiste di mettersi nei panni di chi subirà questa legge.

Si è mai chiesto come risolvere il gravissimo problema dei tossicodipendenti? Oggi sono circa ventimila i "soggiornati" nelle nostre galere; Le risparmio in quali condizioni sono costretti a vegetare, e si è mai chiesto quale effetto devastante avrà la legge "ex-Cirielli" o "salva-Previti" su costoro? Essi attualmente vengono "curati" con il metadone, la c.d. "droga di Stato", che facilita il trattamento di eroinomani sieropositivi, la quale "droga di Stato" diminuisce il bisogno di iniezioni, ma genera a sua volta un fortissimo grado di dipendenza. Quando si arresta la sua somministrazione si verifica una vera e propria condizione di astinenza; in conclusione l’abuso del metadone altro non è che un sostituto "selvaggio" dell’eroina. Questi "metadonizzati" di Stato, questi "mostri" sono tutti recidivi e, quindi, con la Sua legge, non avranno alcuna possibilità di attenuare le loro pene alternative. Dopo l’espiazione della pena diverranno giocoforza clienti fissi delle nostre carceri, anzi, dei nostri "lazzaretti" custodialistici laddove durante il carcere hanno vegetato dentro un vivaio di Stato, allora luogo certamente non terapeutico, una volta liberi questi "metadonizzati" sono costretti a drogarsi dopo però aver dato un grosso contributo al mercato generale contribuendo a quella ricchezza nazionale complessiva senza contare quello che produce a livello mondiale, che muove capitali in relazione a: organizzazione dei spacciatori, organizzazioni poliziesche e giustizie penali; poliziotti, giudici, avvocati e infine le carceri. Questo benessere sociale si chiama droga!

Ergo, arguisco che, la legge "ex-Cirielli" o "salva-Previti" sia per tutti una panacea che farà fiorire il seme di quel benessere sociale di cui sopra.

Mi chiedo e Le chiedo, che fine ha fatto la c.d. "legge Gozzini", quel "patto penitenziario" che è stato votato all’unanimità dal parlamento italiano che garantiva una fattiva possibilità di reinserimento del reo, che ha codificato l’umanizzazione del carcere, che ha "istigato" centinaia di latitanti con pene fino all’ergastolo a costituirsi spontaneamente nelle carceri, dopo gli anni delle rivolte e delle evasioni, e degli omicidi. Allora il nostro ordinamento penitenziario veniva issato come stendardo e simbolo di umanizzazione carceraria tale da conferirgli l’epiteto del "fiore all’occhiello" in Europa.

Oggi credo, caro deputato che, con la "chiusura" dei benefici penitenziari, nemmeno coloro che avranno pene inferiori a 3 anni si costituiranno in carcere, specialmente chi sa che verrà escluso dai benefici (i recidivi), quindi costoro faranno di tutto per sottrarsi al carcere preferendo la latitanza, condizione questa devastante perché comporterà reiterazione dei reati e caos per la società. Viceversa coloro che rimangono in carcere, doppiamente reclusi considerato che oltre la pena scontano situazioni disumane e non codificate nella sentenza di condanna, al di là dell’imprevedibilità della loro condotta carceraria e, salvi gli opportuni predetti temperamenti alla detenzione, costoro si trasformeranno in detenuti "passivi" che non accettando la propria condizione di "esclusi" non saranno mai in grado di elaborare una lucida reazione contro il loro status. È ovvio che col passare del tempo detentivo, essi subiscono inevitabilmente il proprio depauperarsi delle proprie funzionalità psichiche; diverranno del tutto apatici, vittime magari di sostanze psicotrope e/o di psicosi depressive sino nel vedere il suicidio (oggi sta succedendo proprio questo) o nelle automutilazioni in forma di ribellione e/o di rimedio all’ingiusta ed intollerabile condizione inflitta loro. (…) in breve i detenuti si alienano, perdendo contatto con la realtà. Questo è il pericolo imminente caro deputato, se passa la Sua legge.

Atteso che - ma questo sarebbe veramente diabolico - il principio che regola l’attuale politica carceraria non abbia nulla a che vedere con la rieducazione del detenuto, forse un detenuto rieducato non serve alla politica attuale, anzi vi è un serio pericolo che costui non torni più in carcere! I c.d. criminali "costruiti" ad hoc nelle nostre carceri sembrano apparire come uno di quei fattori naturali di un macabro "ecosistema sociale" che stabilisce un giusto livello che apre tutta una prospettiva di "utili" occupazioni. Non è forse vero, caro deputato, che dai tempi di Adamo, l’albero del peccato non è nello stesso tempo anche l’albero della conoscenza?

Se questa è la politica, la Sua politica, abbia il coraggio di raccontare queste favole anche ai Suoi elettori.

 

Con profonda amarezza, P.V.

 

 

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