L'opinione dei detenuti

 

Cronaca giudiziaria: tra disinformazione ed esercizio del terrore

Un libro su Donato Bilancia e l’incubo di un possibile permesso premio

 

Stefano Bentivogli - Redazione di Ristretti Orizzonti, aprile 2006

 

Con il titolo "Diciassette omicidi per caso" di Ilaria Cavo, edito da Mondadori, continua la serie di libri sui serial killer nostrani. Si tratta di un’opera sulla vicenda criminale di Donato Bilancia che a cavallo tra il ’97 ed il ’98 uccise 17 persone e fu in seguito condannato a tredici ergastoli.

Di questo libro parla Diego Pistacchi su Il Giornale del 10 aprile 2006, ed a ragione direi perché il libro chiude con una minaccia incombente, da cui il titolo dell’articolo terrificante: Donato Bilancia tra due anni è già fuori.

Io speravo che l’autrice del libro si fosse resa conto che le cose non stanno come le racconta Bilancia e informasse un po’ meglio sull’istituto del "permesso premio". Ma come stanno davvero le cose? Secondo quali leggi Donato Bilancia dopo 10 anni di carcere (ossia tra due anni) uscirà in permesso premio e dopo 20 anni (ossia tra 12 anni) in semilibertà?

Se si vuole attirare l’attenzione sull’eventualità che un Killer seriale esca dal carcere dopo dieci anni per i permessi premio, previsti dall’Ordinamento penitenziario, in quanto si ritiene che questi sia ancora pericoloso, ben venga. Occorre però sapere ciò di cui si scrive e non fare del terrorismo basandosi sulla scarsa conoscenza delle leggi e soprattutto fidandosi di quello che afferma Donato Bilancia, che è libero di dire quello che vuole, grave è se una persona che scrive un libro su di lui pare in qualche momento pendere dalle sue labbra come se fosse di fronte ad una autorità delle Scienze Giuridiche. Tanto è vero che lunedì 17 aprile Ilaria Cavo, ospite al TG La7, rilancia di nuovo l’allarme su Bilancia libero, e parla di "diritto" al permesso premio (che è una falsità bella e buona) e di maglie terribilmente larghe della giustizia. Il conduttore ovviamente rinforza la questione citando il caso del brutale omicidio del piccolo Tommaso Onofri nel quale è coinvolto Mario Alessi, altra persona che era impropriamente in libertà (anche qui il problema non è la legge o ancor più i permessi premio, bensì un processo che va avanti da sei anni).

 

Sono stato qualche anno nello stesso carcere, il Due Palazzi di Padova, dove Donato Bilancia sta scontando la sua pena, mi è capitato di incrociarlo qualche volta nei lunghi corridoi dell’Istituto, era sempre scortato da un paio di agenti e non gli era permesso avere contatti con nessuno.

Per uscire in permesso premio, come per le misure alternative alla detenzione o la semilibertà, esistono, a seconda del tipo di reato commesso, dei periodi minimi di detenzione che bisogna avere scontato. Ma se è vero che, per chi ha uno o più ergastoli, è possibile, dopo dieci anni scontati, chiedere e ribadisco chiedere e ripeto chiedere, permessi premio, di lì al fatto che questi gli vengano concessi c’è di mezzo la decisione di un magistrato.

Per l’esattezza si chiama Magistrato di Sorveglianza e soprassiede sia a questo tipo di beneficio, sia alla liberazione anticipata per buona condotta (90 giorni di sconto di pena per ogni anno di pena). Beh, io conosco ergastolani con un ergastolo solo, e non 13, per i quali, dopo oltre 12 anni di pena scontati, di permessi premio ancora non si parla. Ma questo perché chiunque, ladro di polli o serial killer che sia, per uscire in permesso premio, oltre ad aver scontato il periodo di carcere per lui previsto, deve:

aver mantenuto una condotta meritevole del beneficio premio

aver partecipato attivamente alle attività trattamentali

aver rivisto in maniera critica il proprio passato criminale e quindi non far presagire la ricommissione di reati

non essere sospettato di voler evadere

A questo si aggiunge che di solito vengono fatte anche delle indagini sulla pericolosità del detenuto da parte delle forze di Polizia e dei Carabinieri.

Ma anche se tutto questo fornisce un quadro positivo il permesso non è mai certo: ho visto rigettare istanze di permesso premio perché il fine pena era molto lontano (ma la pena scontata era sufficiente per inviare un’istanza ammissibile), oppure perché si trattava di detenuto recidivo (anche se la ex-Cirielli non era ancora in vigore).

Insomma, il magistrato ha la massima discrezionalità nel motivare una non concessione, in fondo si tratta di un beneficio, e anche di un gesto di fiducia e non di un diritto. Certo se uno non accetta il rigetto della sua istanza può sempre impugnare il decreto in Cassazione, ma non è facile che un altro magistrato, che non ti conosce, sconfessi la decisione del suo collega.

E difatti così è successo a Luigi Chiatti, omicida di due ragazzini, al quale fu riconosciuta in appello la seminfermità mentale, la pena ridotta dall’ergastolo a trent’anni, più tre anni di Casa di Cura e Custodia a pena finita, come misura di sicurezza. Era nei termini per chiedere il permesso, lo ha chiesto ed ha ottenuto un rigetto, è ricorso in cassazione e il rigetto è stato confermato. Così ogni volta che vedo scritto, come nel caso di Bilancia, "tra due anni è fuori" mi chiedo:

Ilaria Cavo (l’autrice del libro) semina terrore perché i magistrati prendono decisioni a vanvera, oppure non conosce la legge?

Diego Pistacchi, giornalista del Giornale, ha letto il libro o ha riportato il contenuto di una pagina senza verificare come stavano realmente le cose?

Possibile che i giornalisti, quando si occupano di giudiziaria, scrivano spesso delle colossali inesattezze (dal libro sembra che Bilancia abbia ottenuto questo colloquio col magistrato e che questo sia un buon segno: a Padova non è così raro parlare col magistrato, ma di lì ad avere il permesso premio…). Ma non è grave se quando si parla di detenzione si è poco attenti e corretti, come se l’ambito non lo meritasse, e poi chi è che si prende la briga di controinformare?

Sembra evidente che ad esempio dove, come per Chiatti, è stata riconosciuta una patologia tale da conferirgli la seminfermità mentale, non ci si è fermati ad ottenere l’ergastolo a tutti i costi ma si è pensato ad una grave questione psichiatrica da affrontare prima di pensare alla libertà.

Bilancia invece ha scontato una "detenzione comune", da sano di mente, da genio del male e non da psicopatico, allora invece di scrivere che "tra due anni è fuori" e tra "12 è in semilibertà" perché non iniziare a chiedersi cosa ci fa Donato Bilancia in un carcere non attrezzato per cure psichiatriche adeguate? E perché si continua a parlare di queste persone come in grado di intendere e volere, pienamente responsabili, quindi pienamente recuperabili secondo percorsi che per altri, pur in modo discutibile, consentono di arrivare ad un livello di pericolosità sociale accettabile?

Eppure, ogni volta si parla di Bilancia come persona che sa quello che dice, lo si va ad intervistare con l’ossessione di capire se si è pentito o no, se è sincero o meno, si dimentica che sono persone con problemi serissimi per le quali il piano razionale non segue dei parametri "normali". Al suo caso vorrei aggiungere quello di Izzo, Minghella, ma ce ne sono altri, gente che una volta fuori è tornata ad uccidere, eppure la recidiva nelle vicende di omicidio è veramente un caso eccezionale.

Emerge ormai però sempre più evidente che esistono omicidi ed omicidi, e che le nostre aule di Tribunale, una volta che viene accertata la piena capacità di intendere e volere, si disinteressano se sono evidenti i connotati di un gesto che può presupporre la serialità ed affidano il condannato al circuito ordinario di esecuzione della pena.

A questo punto si scopre che in molti casi, e Bilancia è uno di questi, ci sono condannati che incontrano più spesso i giornalisti che lo psichiatra, e tornano alla ribalta della cronaca magari se partecipano a spettacoli teatrali o concorsi di poesia, e succede che per persone che sono state responsabili di fatti inquietanti l’osservazione della personalità sia simile a quella che viene fatta per chi sta scontando una condanna per rapina al supermercato.

Non c’è una questione di ampie maglie della legge, Né una necessità di rendere i criteri per concedere i benefici ancora più restrittivi. Si tratta di iniziare a cercare di capire, là dove vengono commessi errori veramente gravi, quali sono state le cause. Ad esempio, per i casi come Minghella ed Izzo, di chi è stata la responsabilità nel concedere le misure alternative? E nell’eventualità che vengano appurate delle colpe, cosa è stato fatto affinché di questi casi ne succedano sempre meno?

Invece ogni volta si apre il fuoco sulla legge Gozzini e si cerca di restringerla fino a cancellarla, in direzione del vecchio carcere custodiale, quello afflittivo e basta, quello anticostituzionale.

Per quanto conosco la magistratura padovana, benefici e misure alternative si concedono, ma mai a cuor leggero, e figuriamoci se addirittura si prepara un’istanza di permesso premio due anni prima dei termini di legge e in un colloquio vengono offerte dal magistrato certezze sulla concessione di un beneficio che, per casi molto meno gravi, sempre comporta attese e attente verifiche.

Ma perché non sono andati direttamente dai magistrati a chiedere come stanno le cose? Forse sarebbe emersa una realtà molto meno morbosamente affascinante, la storia di un essere umano che ha ucciso in modo orribile 17 persone innocenti, di un uomo di cui si cura ogni tanto qualche volontario o qualche operatore e per il quale un carcere normale non ha i mezzi per progettare alcuna forma di umanizzazione della pena: è una vita isolata tra gli isolati cui dare un senso è veramente difficile, è una mente che si illude ancora di poter manipolare qualcuno per tornare al centro dell’attenzione, ed invece viene puntualmente usata da tanti per soddisfare quel fondo di perversione che abbiamo un po’ tutti quanti.

Ce ne sono altri meno famosi di lui, ma molto simili a lui, forse per loro sarà più semplice passare inosservati ma ugualmente non curati. È di questi forse, di quelli sui quali libri non se ne sono ancora scritti, che ci si dovrebbe interessare di più, perché alcuni rischiano di trovare il disinteresse e basta. Sono un po’ come "residui manicomiali", una nuova categoria criminologica alla quale si continuerà a chiedere pentimenti e redenzioni, invece che ipotizzare percorsi di risocializzazione che tengano conto della loro particolare diversità, che sappiano coniugare l’attenzione per l’elevatissima pericolosità sociale con la tutela del loro essere persone la cui vita non è meno sacra delle altre.

Questo mi piacerebbe diventasse argomento di studio ed approfondimento, e non gli ormai soliti "incontri col mostro", che rischiano di assuefarci e hanno molte volte il vizio di essere pieni di stereotipi e di informazioni non corrette, se non addirittura contrarie alla realtà.

 

 

Precedente Home Su Successiva