L'opinione dei detenuti

 

La povertà finisce facilmente "incarcerata"

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 9 marzo 2009

 

La crisi sta arrivando anche in carcere, con tagli consistenti ai bilanci che colpiscono in una situazione, in cui già di miseria e degrado ce n’è in abbondanza, e a questo si aggiunge un sovraffollamento che non ha uguali, perché quando la società si impoverisce, e la disoccupazione cresce a vista d’occhio, a finire nell’illegalità sono fasce sempre più ampie di popolazione.

Nonostante ci sia ancora qualcuno convinto che le galere siano alberghi a molte stelle, oggi dentro c’è gente che non ha neppure i soldi per comprarsi i prodotti per l’igiene, che spesso l’Amministrazione non è più in grado di fornire.

 

Si riducono i servizi in carcere, crescono le diseguaglianze tra i detenuti

 

Quando avevo letto che l’ultima Finanziaria prevedeva un taglio di quasi il 30 per cento del budget destinato al sistema penitenziario, mi ero illuso che nel nostro carcere avrebbero ridotto le spese, come quelle per il riscaldamento, verso la fine dell’anno. Invece i tagli sono già cominciati e un avviso della direzione ci ha informati che gli articoli per l’igiene si potranno acquistare tramite spesa.

Lo spaccio del carcere fornisce generi alimentari che chi ha soldi può comprare facendone richiesta. Così una volta a settimana arriva di fronte alla cella il carrello che consegna al detenuto l’ordinazione fatta. Il problema è che non tutti hanno la possibilità di farsi la spesa e, mentre da un lato c’è che si vede scaricare in cella un carrello pieno di roba da mangiare, dall’altro ci sono molti detenuti che devono farsi bastare il vitto certo non abbondante del carcere.

Il carcere di Padova è ritenuto un carcere "buono" poiché ci sono alcune cooperative che operano all’interno e insieme all’amministrazione offrono un lavoro a circa centocinquanta detenuti. Però la popolazione detenuta è di oltre 700 persone tra le quali ci saranno sicuramente quelli che possono garantirsi una detenzione decente, ma ci sono anche centinaia di italiani poveri e molti stranieri che con la loro illusione di fare soldi facili hanno distrutto non solo la loro vita, ma anche quella dei famigliari, che sono rimasti senza alcuna fonte di reddito.

Se noi detenuti potessimo lavorare tutti e avere un reddito minimo, sarebbe giusto che ci pagassimo i prodotti per l’igiene, come d’altronde fanno tutti i cittadini. Ma c’è qualcosa di insensato nel tagliare dei servizi a chi rimane in cella per venti ore al giorno e non ha un euro, perché non potrà mai comperare le scope e gli stracci, in vendita a prezzi neppure tanto bassi.

Quello di vedere il carrello della spesa scaricarsi nella cella a fianco è una ingiustizia in qualche modo accettabile, poiché mentre sento l’odore delle braciole che cucina il mio vicino, ho sempre la possibilità di mangiare la minestra del carcere, e dormire con la pancia piena. Ma considero un’ingiustizia vedere chi può permetterselo comperare tutto quello che serve per le pulizie, mentre lo Stato non riesce più a fornirmi nemmeno un vecchio panno per lavare la cella.

Si aspetta che noi detenuti impariamo a rispettare le regole, ma per rispettare le regole bisogna riconoscere che chi le stabilisce si comporti con senso di giustizia, e a stare in un carcere che accentua le diseguaglianze si coltiva in modo crescente un senso di frustrazione e di rabbia, che porta ovunque, fuorché alla rieducazione.

 

E. Makarov

 

Hotel a cinque stelle di miseria!

 

Nella settimana appena trascorsa i media hanno concesso una "tregua" sul fronte sicurezza spostando il tiro, finalmente, sul fronte economico e sul mercato del lavoro. Così abbiamo dato un’occhiata alle ripercussioni che questa crisi sta avendo sulle finanze dell’amministrazione penitenziaria e, di conseguenza, su noi detenuti. Parto con una constatazione: il presunto carcere hotel a 5 stelle si sta riducendo in un batter d’occhio a ostello da terzo mondo. Ma è giusto e corretto riportare qualche cifra che possa rendere chiaro il quadro della situazione. Per il triennio 2009-2011 il governo ha previsto tagli al ministero della Giustizia per 953 milioni di euro dei quali la parte maggiore cade, come una mannaia, sulle disponibilità delle amministrazioni penitenziarie obbligando a tagli su tutto, in controtendenza rispetto all’incremento della popolazione carceraria.

Si va dalle ore di lavoro di un detenuto alla sua paga, dagli stracci per pulire ai sacchetti per la spazzatura, dal sapone alle lamette da barba per chi non può permettersi neppure questa minima spesa per l’igiene personale (ce ne sono tanti e non solo stranieri), ai fondi per trasferire un detenuto da un carcere a un altro…

Di tutte queste due sono le voci che più colpiscono l’immaginario collettivo… il lavoro e le "laute" paghe dei detenuti. La società ci vorrebbe veder lavorare solo per pagare il costo che causiamo… Ecco un po’ di cifre reali dei salari di chi lavora internamente sotto l’amministrazione: Lavoro di scopino (che si fa una volta ogni 6 mesi circa)… 26 giorni al mese… 178 euro di cui 52 trattenuti per il mantenimento (del detenuto) mensile (noi paghiamo per stare in carcere e se uno non lavora gli arriva il conto complessivo quando viene scarcerato)… totale 126 euro che gli dovranno bastare per 6 mesi! Una paga simile ottiene chi lavora come portavitto (si passa tre volte al giorno cella per cella a distribuire il cibo)… altri lavori semestrali (pulizie) sono remunerati identicamente sino ad arrivare ai 30 euro mensili per chi pulisce le scale…

Conclusione: il 90 per cento di chi lavora non riesce a garantirsi neppure la mera sopravvivenza, e chi non lavora per niente?... in cella ad attendere…

Qualcuno potrà dire: se la sono cercata quindi si arrangino. Noi non ci lamentiamo, vorremmo solo che si iniziasse a comprendere che non chiediamo la luna, ben consci delle nostre responsabilità per cui stiamo pagando, ma solo la possibilità di restar fuori da un degrado umano che non fa bene a nessuno… se veramente la società ci vuole persone "sicure" una volta usciti, deve concedercelo anche in un momento di crisi globale come questo… proseguendo su questa strada purtroppo parecchi di noi usciranno senza nessuna possibilità di recupero.

 

Marco L.

 

Come ci si sente quando si esce dal carcere in una società sempre più ostile

 

Ogni giorno sento parlare di persone che magari hanno lavorato una vita e si ritrovano da un giorno all’altro senza lavoro, e sono costrette a rivolgersi alla Caritas per mangiare,

Io, che sono stato condannato a 21 anni di galera, e tra poco più di un anno terminerò la pena, vorrei raccontare un altro aspetto di questa crisi, ma prima credo sia necessario spiegare come funziona la vita di un detenuto. La legge prevede che una persona detenuta, dopo aver scontato parte della pena, può iniziare un rientro graduale nella società. Questo significa che, dopo essere stato osservato per un congruo periodo (un quarto di pena, metà della pena per i reati più gravi), da una équipe composta da esperti (educatori, psicologi, assistenti sociali, Polizia penitenziaria), può chiedere al Magistrato di Sorveglianza dei permessi premio, per trascorrere in famiglia qualche giorno, e questo è il primo passo di un percorso, che può proseguire con la semilibertà, cioè lavorare fuori e rientrare la sera. Per gli ultimi tre anni, il Tribunale di Sorveglianza può affidare ai servizi sociali il detenuto, il che significa far scontare la restante pena a casa, con le forze dell’ordine che possono controllarlo a qualsiasi ora.

Mettere in atto un percorso di questo tipo abbassa la recidiva, cioè le persone che escono dal carcere in modo graduale tornano a delinquere con una percentuale molto più bassa, rispetto a chi invece la galera se la fa tutta, e poi viene sbattuto fuori spesso senza punti di riferimento. Purtroppo oggi si tende a tenere in carcere le persone sino all’ultimo giorno, anche per il clima di alta insicurezza "percepita", che condiziona le decisioni di tutti. Ma a bloccare questi percorsi c’è anche la crisi economica che colpisce quella fascia di cooperative, costituite proprio per dare lavoro alle persone che escono dal carcere.

Sono entrato in carcere a 21 anni, mi rimane da scontare poco più di un anno di galera, e nonostante abbia tutte le carte in regola per continuare ed allargare il mio percorso di reinserimento, in questo momento non posso uscire dal carcere, perché le cooperative che fino a un anno fa sarebbero state disposte ad assumermi, oggi rischiano di dover licenziare anche quelle persone che già lavorano portando avanti un percorso positivo da qualche anno e che, se perdono il lavoro, perderanno anche quella poca libertà di cui hanno goduto sino ad oggi.

In questo clima di povertà crescente, "nascosta" dall’allarme criminalità, la società sarà a rischio di ritrovarsi sempre più di frequente a fare i conti con persone che escono dalla galera dopo aver scontato la condanna interamente in carcere, senza un lavoro e senza punti di riferimento. E non credo sia difficile immaginare come ci si sente quando si esce dal carcere, dopo aver scontato 10, 15, 20 anni, e ci si ritrova senza una famiglia, senza amici, con una vita tutta da ricomporre e alla ricerca di un ruolo in una società sempre più ostile…

 

Andrea A.

 

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