L'opinione dei detenuti

 

È ancora scandalo se si parla di "stanze del consumo"

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 7 gennaio 2008

 

I cinque morti per overdose di Roma fanno notizia, ma succede un po’ come per i morti sul lavoro: se ne accorgono tutti solo se capita, come a Torino, un incidente in cui muoiono in tanti. Invece dei morti che ogni giorno, nei bagni delle stazioni o in altri luoghi desolati, finiscono con una siringa nel braccio, nessuno dice nulla. Eppure, per la droga si continua a morire o a finire in carcere, e però parlare di legalizzazione e di "stanze del consumo" fa ancora scandalo. Le testimonianze che seguono sono di persone che in carcere ci sono anche per la droga, e che hanno visto morire persone care, sempre per la droga. E vorrebbero che ci fosse il coraggio di trovare delle strade nuove e di non dare per perso nessuno.

 

Persone a noi care che forse potevano essere salvate

 

I ragazzi morti in questi giorni per overdose a Roma mi hanno fatto ritornare dolorosamente ad un passato che avevo faticosamente messo nei ricordi più remoti. La morte della mia convivente, madre di mio figlio.

Sentendo per televisione la notizia ho rivissuto i momenti in cui una notizia analoga era stata data a proposito della morte della mia compagna, anche lei purtroppo tossicodipendente, rinvenuta nei bagni di una villa comunale a Genova, dopo che si era iniettata una dose letale di eroina. La notizia in sé è come una delle tante che si leggono, quasi quotidianamente, sui giornali o si sentono per televisione. Ma quando la persona, che viene rappresentata sempre in modo freddo e disumano e spesso privata anche della dignità nella descrizione di queste morti per overdose, è qualcuno che hai caro, la cosa ti costringe anche a pensare che, se avesse potuto essere assistita in quel momento in modo decente, quasi sicuramente quella persona, così importante per la tua vita, ma così poco considerata da quelli che dovrebbero per professione avere attenzione per chi sta male, si sarebbe salvata.

Parlo conoscendo il problema, in quanto anch’io ho fatto uso di sostanze stupefacenti e so che in quei momenti, se non si è supportati da persone qualificate, non si ha speranza. Da allora la mia battaglia, seppur minima, è stata quella di sostenere che, se sei in una condizione che non ti permette di ragionare, se stai male e sei obbligato dalla dipendenza a soddisfare un bisogno che non è più un vizio, ma un modo per evitare uno stato di sofferenza fisica insopportabile, e se non ti danno la possibilità di attuare questo in condizioni di sicurezza, tutti i discorsi sulla lotta alla droga che vengono fatti dai mass media e da certe parti politiche non hanno alcun senso, sono solo retorici e propagandistici. Finché non ci si renderà conto che questo è un problema che non può essere ignorato né debellato a colpi di proibizioni, né ancor meno criminalizzato, ci si troverà sempre a sentire notizie di questo tipo.

A mio parere, l’unica proposta ragionevole è quella di attuare delle stanze assistite, o, parola brutta, ma molto concreta, stanze del "buco", in cui si ha almeno la possibilità di essere salvati, e non solo, si eviteranno quelle malattie, che ci si può prendere quando si è costretti ad agire in clandestinità, con la paura di essere scoperti, e l’astinenza che non ti dà tregua.

 

Giuseppe Ientile

 

Ma al dramma si risponde soltanto con l’ideologia

 

Voltaire diceva che le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle. Un tossicodipendente, e io lo sono, è una strega molto resistente e non smette mai di bruciare. Ho avuto amici morti per overdose, per AIDS, per le condizioni bestiali in cui si facevano, tutti sapevano che la morte accompagnava la loro vita, vivere e morire da tossicodipendenti era l’unico lusso che potevano permettersi, e lo hanno fatto, in silenzio, da soli, bruciati da quel fuoco che mai hanno avuto la forza di spegnere. Questi amici non hanno avuto nessuna possibilità, nessun aiuto, sono stati vittime di se stessi, in un certo senso, ma anche di una società che avrebbe potuto provare a salvarli. In alcuni Stati esistono da tempo dei governi che attuano delle politiche di effettivo sostegno nei confronti dei propri cittadini coinvolti nell’uso di sostanze stupefacenti, nella consapevolezza che si tratta spesso di persone che stanno male e che hanno bisogno di essere aiutate, a volte proprio "salvate". Nel 1994 a Francoforte viene sperimentata la prima "Stanza del consumo": erano quelli gli anni in cui tantissimi giovani facevano uso di eroina, per le strade, nei parchi, ogni giorno succedeva che molte ambulanze venissero chiamate per soccorrere i tossici in overdose. È allora che il problema iniziò ad essere drammatico, e però al dramma si rispose non con l’ideologia, ma con l’idea che importante era dare una mano a tutti: così vennero istituite le stanze del consumo, a tutt’oggi 4500 tossici ne hanno usufruito, con un calo, tra l’altro, del 50% dell’epatite C e della sieropositività.

A Barcellona le sale del consumo esistono e funzionano a pieno ritmo, sono aperte tutto l’anno 24 ore al giorno, forniscono vaccinazioni, programmi di metadone e supporto psicologico. Ve ne sono altre ad Amsterdam, Sidney, Vancouver, in Svizzera.

In Italia, di fronte al fatto che il consumo di droga cresce, e tante sono, come in questi giorni, le morti, e le carceri sono piene di persone, anche giovani, che ci finiscono per la droga, si resta immobili, a Torino pareva si decidessero ad aprire una "stanza del consumo", e invece niente.

Eppure nel nostro paese lo Stato spende ogni anno cifre enormi nella lotta alla droga. Sono soldi dei cittadini, dei pensionati, dei lavoratori, e probabilmente tanti di loro, purtroppo, hanno figli con problemi di droga. Ma aprire queste stanze, per dare una mano a chi proprio non ce la fa a uscire dalla tossicodipendenza, iniziare una strada da altri già percorsa con successo sembra intollerabile, viviamo in un paese dove non è "eticamente e politicamente corretto" intervenire su questioni legate alla droga mettendo al primo posto l’umanità, e occupandosi di salvare le vite, anche le più disastrate, prima che le proprie convinzioni morali.

 

Franco Garaffoni

 

In tanti ogni giorno rischiano la vita

 

Ho iniziato a bucarmi all’età di 21 anni, dopo pochi mesi ho commesso il reato per il quale oggi sono in carcere. Ho avuto modo però di conoscere parecchia gente che "in piazza" per la droga ci ha passato anni e anni. Molti di loro oggi non ci sono più, qualcuno è morto per overdose, tanti hanno rischiato la vita, salvati in extremis dall’amico di turno o dai medici.

Non molto tempo fa mi è capitato di parlare con Severina, che si definisce "una vecchia tossica", lei ha iniziato a bucarsi a 14 anni, ha fatto la vita di strada, e dopo averne viste di tutti i colori oggi si considera una specie di miracolata:"Sono una delle poche sopravvissute!". Alla soglia dei cinquant’anni ha deciso di entrare in una comunità di recupero "… e stavolta non ne uscirò sino a quando non lo vorrò io".

Mi ha raccontato che si è fatta per 33 anni di fila, e che in tutti questi anni ha visto la morte in faccia almeno 20 volte. Sono sostanzialmente due i motivi per cui si rischia di morire quando si fa uso di eroina, uno è a causa del taglio, e l’altro è per overdose e a lei è successo quasi sempre a causa del taglio, perché chi gliela vendeva per prendere più soldi tagliava la merce con le prime porcherie che gli capitavano sotto mano.

"Oggi sono sola al mondo, non sono miei nemmeno i vestiti che indosso. E io come una stupida ho il coraggio di ritenermi fortunata. O meglio, sono stata fortunata, perché quando ho iniziato a bucarmi io eravamo in un gruppo di 10-1 ragazzi2. Be’, oggi ne sono rimasti solo tre: una è sieropositiva da più di 15 anni, un altro è in galera da 5 e forse uscirà tra 10, se tutto gli andrà bene, e io, che a 48 anni ho capito che se non volevo farmi uccidere dalla roba dovevo chiudermi in un posto come questo. Quelli che sono morti per overdose o dopo anni passati a lottare con l’AIDS, non erano più stupidi di me… il fatto è che io sono stata solo più fortunata. Perché c’ero anch’io quando si usava una spada (siringa) in quattro, cinque persone, perché non c’erano soldi per comprarne altre, oppure perché la farmacia di turno rifiutava di venderle ai tossici come noi. Qualche anno fa si sentiva parlare delle stanze del buco, e ricordo che molti dei miei amici dicevano che loro non sarebbero mai andati a farsi in un posto del genere, e a dire la verità anch’io la pensavo come loro. Ci pareva fosse solo un modo per schedarci, e per riunire in un unico posto tutti i tossici della zona per controllarli meglio… Poi però, ripensandoci, e rivedendo anche la fine che hanno fatto molti dei miei amici, mi dico che forse, se quelle cavolo di stanze del buco fossero state fatte una ventina d’anni fa, adesso potrei ancora parlarci con qualcuno di loro".

 

Andrea

 

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