L'opinione dei detenuti

 

Quando si dorme in 80 per terra in una palestra

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 6 aprile 2009

 

Parlare di un carcere che deve reinserire le persone nella società sembra oggi quasi ridicolo, perché è difficile pensare di ricostruirsi una vita dignitosa e responsabile se si vive in galere, come quella di Torino, dove gli ultimi ottanta detenuti arrivati sono addirittura costretti a dormire su un materasso steso per terra in una palestra. E situazioni simili a quella registrata al carcere di Torino stanno diventando ormai la "normalità". Costruire nuove carceri? O piuttosto ripensare alle pene, e al fatto che sono sempre di più i giovani che finiscono nell’illegalità, e magari potrebbero scontare pene più efficaci fuori dalla solita logica reato-galera?

 

Sempre più giovani finiscono nelle celle

 

Ho letto che uno dei dati più preoccupanti sulla criminalità è quello secondo il quale, negli ultimi anni, crescono i reati commessi da persone giovani. Basta vedere quanto succede in uno dei più grandi carceri del nostro Paese, San Vittore, come lo racconta la sua direttrice, Gloria Manzelli: "Purtroppo sembra che ci sia realmente un incremento dei reati commessi dai più giovani. Fra i giovani adulti arrivati in carcere nel 2008, 1500 sono sotto i 25 anni; due hanno 18 anni, sessanta 19 anni. Poi ci sono 153 ventenni, 128 ventunenni, e 1036 ragazzi fra i 22 e i 25 anni. È anche alla luce di questi dati che ci stiamo dando da fare per creare strutture in grado di seguire al meglio i giovanissimi". Io nel carcere di Padova faccio un lavoro che mi permette di girare nelle sezioni, e ultimamente vedo arrivare persone sempre più giovani, consumate dalla droga, ragazzi che passano le giornate stesi in branda, da dove si alzano praticamente solo per prendere quella che in galera si chiama la "terapia", cioè quegli psicofarmaci che ti permettono di anestetizzare la sofferenza e l’assenza di qualsiasi speranza dormendo. Sono ragazzi finiti in carcere per reati legati all’uso di sostanze, anfetamine, ecstasy, quelle droghe sintetiche che i giovani assumono con grande disinvoltura, sottovalutando i rischi che corrono: lo vediamo quando incontriamo qui dentro le classi di studenti, e capiamo quanto siano diffusi comportamenti che sfiorano l’illegalità. Tanto, in galera nel nostro Paese non ci finisce nessuno! Pensano. E invece la legge sugli stupefacenti sta portando in galera sempre più giovani, e sta diventando sempre più difficile per loro accedere a misure come l’affidamento in prova ai Servizi sociali, le uniche che gli permetterebbero di cercare di farsi aiutare e di curarsi, piuttosto che "marcire", perché di questo si tratta, in galera. Tutte le volte che incontro facce giovani, io che in carcere ci sono finito quando avevo poco più di vent’anni, anch’io per reati legati alla tossicodipendenza, e ora di anni ne ho trentacinque, mi si stringe il cuore a pensare al destino che li aspetta: mentre io, per lo meno, la detenzione l’ho vissuta non buttando il tempo, ma impegnandomi in attività che mi hanno aiutato a crescere, penso che per loro il carcere sovraffollato di oggi sarà solo tempo inutile.

 

A.A.

 

L’illegalità regna sovrana all’interno delle carceri

 

Finalmente qualcosa si muove, dalle chiacchiere si passa ai fatti. La ricetta con cui il ministro Alfano aveva promesso di risolvere l’emergenza sovraffollamento delle carceri, costruendo nuove galere, sembra ora destinata a concretizzarsi: si faranno le nuove carceri, per il bene sociale e per dar spazio anche agli autori dei nuovi reati inseriti negli ultimi pacchetti sicurezza, come i clandestini, chi offende pubblici ufficiali, chi abbandona rifiuti. Il primo aprile è uscito esce quindi un comunicato pieno di soddisfazione del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) con la notizia che tutti, operatori e detenuti, aspettavano: agganciandosi al nuovo piano casa del governo, si amplieranno le carceri già esistenti di un buon 35 per cento di cubatura, il che significa nuove celle e 14 mila nuovi posti letto regolamentari. Gli stessi detenuti saranno impiegati nei lavori edili e i tempi per la costruzione di nuovi penitenziari saranno relativamente brevi, dai 18 ai 24 mesi. Visto il grave problema della carenza di personale, nel comunicato si parla esplicitamente dell’assunzione di 25mila nuovi agenti. Peccato che le agenzie di stampa, che hanno diffuso la dichiarazione del Sappe, non abbiano troppo badato né alla data del comunicato, né soprattutto al suo contenuto: si tratta, infatti, di un pesce d’aprile, ma dietro l’ironia c’è una denuncia serissima del sindacato penitenziario, che meriterebbe una seria valutazione da parte dei politici. Quegli stessi che da troppo tempo sul problema carcere propongono soprattutto soluzioni che non risolvono niente, fingendo di non vedere il vero nodo della questione: ovvero che l’organico degli agenti è già carente, che importanti figure professionali, come gli educatori sono enormemente al di sotto degli organici (nella Casa di reclusione di Padova, per esempio, 3 per 750 detenuti), e che le strutture sono vecchie e fatiscenti; eppure si continuano a proporre nuove carceri come panacea di tutti i mali, quando non si riesce nemmeno a gestire dignitosamente quelle che abbiamo, e ce ne sono di chiuse che non si aprono per mancanza di personale. La drammatica situazione attuale rende estremamente difficoltose le condizioni di lavoro degli stessi agenti penitenziari e sempre più scadente la qualità di vita di noi detenuti che, stipati tutto il giorno in angusti spazi, da condannati "recuperabili" rischiamo di diventare una bomba a orologeria con un alto potenziale di recidiva. Servirebbero coraggiose scelte rivolte a ideare efficaci strumenti per la prevenzione, che non siano solo ed esclusivamente il ricorso al carcere, che dovrebbe davvero tornare ad essere una soluzione da adottare solo per i reati più gravi. Oggi invece è difficile far comprendere, alla persona che ha sbagliato, le sue responsabilità, se il luogo in cui è costretta a vivere è il primo ad essere nell’illegalità.

 

Vanni Lonardi

 

Attese per fare la doccia e turni per usare il bagno

 

I nuovi inquilini delle carceri sono sempre più giovani e quasi sempre provengono da famiglie normali, le cosiddette "buone famiglie". Quando nell’aprile del 2005 sono stato arrestato, essendo questa la prima carcerazione della mia vita, non avevo la minima idea di come fosse fatta una cella e di come ci si potesse vivere all’interno. Arrivato in carcere, dopo la perquisizione e una visita del medico che chiamerei "virtuale", perché fatta solo di domande e risposte, percorrendo lunghi corridoi e decine di cancelli mi sono ritrovato in una cella piena di letti a castello da tre piani, da dove spuntavano delle teste che a fatica riuscivo a distinguere in mezzo a quel buio. Tra italiani, tunisini, nigeriani e albanesi eravamo in dieci in una cella di venti metri quadri, con un piccolo bagno fatiscente, prevista per tre persone. Solo dopo ho saputo che era un periodo di sovraffollamento e che ero stato fortunato a trovare posto in una cella, perché gli altri arrivati dopo di me erano stati messi in una palestra, che poi era anche sala giochi e aula di scuola. Le giornate passavano tra lunghe attese per andare in doccia e turni imbarazzanti per poter usare il bagno. In tutto quel via vai di gente, in mezzo a quel fiume di angoscia, non c’era il tempo di pensare a niente, non potevi permetterti debolezze e distrazioni, dovevi essere forte anche quando ti sentivi debole, dovevi sopravvivere. I mesi passavano e ogni giorno vedevo persone che litigavano per la doccia, per il turno del bagno, per il cibo, per il telecomando o per tante altre cose che possono sembrare assurde a molte persone fuori. Era un continuo scontrarsi di culture diverse, un miscuglio forzato e affollato di caratteri, personalità, mentalità, usanze che si confrontavano in questi spazi angusti, dove ogni piccola cosa diventava un grande problema, dove ogni sentimento veniva amplificato fino all’esasperazione. Andare all’ora d’aria era un lusso che non potevi permetterti se non volevi perdere il turno per la doccia con l’acqua calda, ed ammalarsi non conveniva, perché l’unico rimedio a disposizione era una pillola marrone misteriosa che curava tutti i mali. Dopo un po’ di mesi fui trasferito in una cella piccola prevista per una persona, ma che in realtà ne ospitava tre. Era una cella con un letto a castello a tre piani, che in tutto faceva otto metri quadri, con la tazza del bagno a vista a trenta centimetri dal letto e a un metro dal tavolo dove si mangiava. La cella era cosi piccola che quando una persona si muoveva, gli altri due dovevano stare immobili nel loro letto, nel quale passava la maggior parte della vita dei detenuti. Vivere in quelle condizioni disumane richiedeva una continua lotta per cercare di non farsi trasportare dal vortice di violenza e provocazioni che c’era intorno. In quelle condizioni quasi animalesche è molto difficile che una persona prenda coscienza dei propri errori ed accetti le proprie responsabilità per il reato commesso, e un possibile reinserimento nella società diventa quasi un miraggio.

 

Gentian Germani

 

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