L'opinione dei detenuti

 

Quando gli "sciacalli" rumeni vengono assolti

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 20 aprile 2009

 

In questi anni abbiamo sentito la parola "emergenza" usata in modo ossessivo, per gli omicidi per guida in stato di ebbrezza, gli stupri, la prostituzione di strada, i lavavetri, ma fra tante emergenze immaginate il terremoto è, purtroppo, l’unica vera. In carcere se ne è parlato molto, però quando è arrivata la notizia dei presunti sciacalli, naturalmente rumeni, e poi quando si è saputo che erano stati assolti, perché stavano semplicemente recuperando oggetti personali a casa propria, allora abbiamo capito che tanti mezzi di informazione non rinunciano facilmente a sommare alle emergenze vere quelle di fantasia, magari meglio ancora se al centro, ancora una volta, ci sono dei rumeni. Ma una piccola, bella notizia l’abbiamo sentita: quella di un panettiere italiano che ha continuato a fare e a distribuire il pane gratis, aiutato dai suoi due operai, un colombiano e un rumeno.

 

Terremoto in Abruzzo la vera emergenza

 

Il terremoto è stato da tutti i punti di vista una vera emergenza. Da quando la terribile scossa ha colpito nella notte una tranquilla regione italiana, le notizie su questo evento hanno occupato quasi interamente lo spazio dei notiziari, delle varie trasmissioni e dei giornali che per giorni e giorni hanno giustamente dato spazio soprattutto a questo disastro. In questo periodo, nel quale l’Abruzzo ha subito grandissime perdite umane e materiali, in Italia purtroppo sono successi anche altri gravi fatti di cronaca, ma lo spazio che l’informazione gli ha dato è stato ben poco, o forse è stato quello che sarebbe giusto venisse loro riservato in un Paese civile. Mi viene quindi da chiedere che cosa sarebbe successo se non ci fosse stato il terremoto in Abruzzo: probabilmente tutti questi fatti negativi avrebbero occupato in modo esagerato lo spazio televisivo, e con questo si sarebbe dato grande risalto a quella insicurezza, reale ma anche esasperata, di cui i vari schieramenti politici avrebbero fatto come sempre un largo utilizzo per fini elettorali. Questa volta, invece, una vera emergenza umanitaria ha tolto grandissimo spazio alle varie emergenze che da mesi riempiono le cronache televisive, contribuendo ad avvelenare la vita di tutti. Quando passerà questo dolore, e il popolo abruzzese si rimetterà in piedi anche grazie alla grande solidarietà che ha dimostrato tutta l’Italia, da Nord a Sud, spero tanto che i giornalisti comincino a dare il giusto spazio alle notizie, smettendola, per esempio, di demonizzare noi stranieri e di trasformare in incubi, per riempire le pagine dei giornali e per alzare le percentuali di ascolto, certi fatti di cronaca, presentandoli in modo martellante e sproporzionato rispetto alla vera realtà del problema. Mi viene in mente allora quello che ha scritto Eleonora, una giovanissima studentessa di terza media, a commento di un progetto di confronto fra scuola e carcere a cui la sua classe partecipa: "Già dopo averne discusso in classe, le cose mi sembravano diverse e meno velenose di quanto le fanno apparire i mezzi di comunicazione, che spesso arricchiscono le notizie di cronaca nera di particolari e dettagli inventati di sana pianta senza raccontarne, invece, le sfaccettature e gli elementi che hanno contribuito al compiersi dell’accaduto, o si limitano a raccontare il fatto con più cattiveria possibile, trasformando persone che hanno compiuto un’azione sbagliata in veri e propri demoni che rovinano la società".

 

Davor Kovac

 

Chiusi come topi in gabbia in tante carceri a rischio

 

Ero recluso da circa sei mesi quando fui trasferito al carcere di Udine, anno 2004, nel periodo in cui era in ristrutturazione, e ricordo che nell’unica struttura aperta, con una capienza massima di 35 persone, siamo stati stipati in 78, quindi castelli di brande, letti nascosti sotto altri, e condizioni igienico-sanitarie indescrivibili. Una struttura vecchia e già provata dai precedenti terremoti, pavimento rattoppato nel tempo da colate di cemento che sostituivano le mattonelle, intonaco ormai completamente staccato dal muro al punto che si vedevano le pietre della struttura portante, muri crepati anche se spessi due metri, il bagno comune diviso da un separé in ferro ben arrugginito con dei pannelli di plastica colorata che ormai il colore lo avevano perso da tempo. Pochi giorni fa il terremoto in Abruzzo mi ha fatto pensare, oltre che alle vittime, anche ai miei compagni detenuti che hanno vissuto i momenti delle scosse chiusi dentro le loro celle. Io ricordo che eravamo sulle brande a guardare la televisione, quando il separé del bagno si mise a tremare in modo strano, tutti ci guardammo come per cercare qualcuno che ci dicesse cosa stava succedendo e dopo un primo momento di incertezza realizzammo che si trattava di un terremoto. Vi assicuro che se si è in gabbia è una cosa ancora più terribile, in 11 nella stessa cella, qualcuno si atteggiava a coraggioso come se non ci fosse stato nessun problema, qualche altro era impallidito e si era chiuso poi in un silenzio consapevole della propria impotenza, io ricordo solo l’istinto di fuggire il più velocemente possibile da quel posto chiuso, e il fatto di non poterlo fare e di dover aspettare passivamente che cessasse la scossa mi ha fatto vivere una situazione di angoscia che non auguro a nessuno. Capivo l’agente che immediatamente era scappato verso l’ufficio di sorveglianza per avere disposizioni sul da farsi, capivo le ragioni di sicurezza e le responsabilità di chi avrebbe dovuto fare aprire le celle per farci andare nell’area adibita ai passeggi, capivo tutto quello che stava succedendo, quello che ancora oggi non capisco è perché ho dovuto vivere quei momenti senza poter fare nulla, con l’unica speranza di non morire schiacciato dal tetto di quella vecchia prigione. Ripensando a cosa vuol dire l’angoscia di trovarsi rinchiusi come topi in gabbia mentre il mondo intorno crolla, mi vengono in mente tutte le vecchie galere italiane che di antisismico non hanno niente, che sono vecchie e fatiscenti e che, se malauguratamente dovessero essere nell’epicentro di un terremoto come quello dell’Abruzzo, non darebbero nessuna speranza di sopravvivenza.

 

Salvatore Allia

 

I pregiudizi resistono anche alle tragedie

 

La tragedia che si è abbattuta sull’Abruzzo ha toccato profondamente tutti, ed ha fatto venir fuori quella solidarietà e umanità, che c’è in ognuno di noi, e che in una società un po’ malata come quella attuale sembravano scomparse. In mezzo a queste persone sfortunate, ci sono anche delle famiglie di cittadini stranieri che a fianco della popolazione autoctona avevano costruito negli anni la loro vita e quella degli loro figli ed ora, riuniti in un grande dolore, sentendosi parte di questa comunità hanno deciso di restare e ricominciare a vivere in quella terra che considerano come una seconda patria. Ricominciare, una parola tanto cara a noi detenuti. Essendo un immigrato, ora anche detenuto, so bene cosa vuol dire ricominciare da zero, e conosco il dolore atroce che si prova per la perdita di una persona cara, che, per chi è nelle mie condizioni, significa non poter neppure piangere in pace né assistere al funerale. Le tendopoli allestite per l’emergenza terremoto mi hanno fatto venire in mente l’esperienza vissuta da me nel 1991 quando, insieme ai miei connazionali sbarcati al porto di Bari, siamo stati portati nel vecchio stadio, in una specie di campo a cielo aperto con qualche tenda improvvisata da noi. Le immagini drammatiche e le numerose testimonianze nei vari telegiornali oggi mi hanno fatto riflettere molto. Le persone in queste tendopoli sono tutte uguali, il dolore e la morte non fanno distinzioni, non risparmiano nessuno, ricchi e poveri, italiani e stranieri. Ma una cosa che mi ha colpito in questi giorni è stata la notizia, appresa dai telegiornali, dell’arresto di quattro cittadini rumeni accusati di sciacallaggio, notizia che credo sia rimasta impressa nella memoria collettiva e abbia indignato molte persone, compreso me. H bastato per farli finire in carcere trovare nella loro macchina degli attrezzi, attrezzi che credo si trovino in ogni macchina di un buon cittadino italiano. Solo dopo tre giorni sono stati assolti nel processo per direttissima per non aver commesso nessun reato: cercavano di entrare nella propria abitazione per prendere le loro cose. Pensavo che in una tragedia di massa non ci fosse posto per i pregiudizi e le generalizzazioni che spesso vengono fatte dai mass media nei confronti di diverse etnie e degli stranieri in generale, ma non è così. Eppure, forse è banale ripeterlo, ma puntare il dito e vedere gli stranieri come la personificazione del male non aiuta a risolvere i problemi e a vivere meglio. È vero, molti stranieri come me commettono dei reati e giustamente pagano per i loro sbagli, ma non per questo deve pagare anche quella stragrande maggioranza di stranieri che quotidianamente lavora e vive in Italia onestamente. Se davvero si può ricominciare da zero dopo un mare di dolore e mille difficoltà, penso sia importante allora cambiare, accettarsi e convivere senza pregiudizi e discriminazioni. Ricominciamo prima di tutto a considerarci tutti uguali.

 

Gentian Germani

 

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