L'opinione dei detenuti

 

Il volontariato in carcere visto dagli "utenti"

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 5 febbraio 2007

 

Vi sono più di ottomila volontari nelle carceri italiane, ed è un volontariato complesso, che opera in una situazione dove serve attenzione, senso critico, preparazione. Però è anche un volontariato importante, perché l’unica garanzia che le carceri non siano un deposito di rifiuti umani è che la società, il mondo esterno vi entrino massicciamente: la sfida è far vedere a chi ha fatto scelte devastanti per sé e per gli altri che esiste anche un’altra vita, un modo diverso di affrontare le difficoltà cercando di rispettare gli altri e di non sprecare la propria esistenza in luoghi senza qualità e senza dignità come le galere. Di questo parlano le testimonianze di detenuti, che spesso anche dal confronto continuo con i volontari trovano la forza e la voglia di cambiare.

 

Il senso del volontariato in carcere secondo il punto di vista di un "Utente"

 

Se in carcere non ci fossero i volontari moltissime delle attività ora in atto non sarebbero mai nate.

Per parlare del loro ruolo, mi piace richiamare il titolo di un libro "In carcere, scomodi", di cui è autore Livio Ferrari, volontario "storico" nelle carceri da oltre vent’anni e fondatore della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia: un titolo che ricorda che, in luoghi chiusi come le carceri, i volontari non sempre trovano le porte aperte e la strada facile.

Ho visto entrare i primi volontari in carcere con la riforma penitenziaria del 1975, che prevede la possibilità per singoli o associazioni di entrare negli istituti di pena.

A Torino, dove mi trovavo allora, c’era la mitica Suor Angela Stagni che era letteralmente amata da noi detenuti per l’impegno e l’attenzione con cui seguiva anche i più fuori di testa di noi. Non era un volontariato specializzato, allora, nel senso che tutti si occupavano essenzialmente di bisogni primari, ma per noi era qualcosa di estremamente utile e gradito.

Con l’andare degli anni si è sviluppato anche un altro tipo di volontariato, più organizzato, che si presenta con idee e progetti innovativi, che spesso cozzano contro il muro della naturale diffidenza del mondo carcerario.

All’interno del volontariato ci sono associazioni che operano a stretto contatto con i detenuti sin dal momento della progettazione stessa delle loro attività, quindi portano iniziative che nascono da un reale bisogno e da una condivisione di vedute, da un approfondimento di quello che sarà il senso del progetto, che nasce così stimolato da chi ne usufruirà poi direttamente. Se si vuole che chi è detenuto partecipi davvero con convinzione ad attività che gli siano poi realmente utili, bisogna puntare sul coinvolgimento diretto che è sicuramente più educativo di qualcosa che ti viene calato dall’alto come una pappa precotta!

Fare per le persone detenute, o fare con le persone detenute: in questo c’è la differenza sostanziale che segna il successo o meno di una iniziativa, c’è l’importanza di partecipare in prima persona, di sentirsi artefici di qualcosa che sai che mira a fare accrescere la tua conoscenza, la tua maturità sociale, il tuo senso di responsabilità, la tua voglia di rimetterti in gioco.

Mi sono spesso chiesto: ma chi glielo fa fare ai volontari di entrare in carcere? Le motivazioni sono diverse e mi incuriosiscono sempre: si va dall’idea a volte diffusa che "io ti salverò…", ad un volontariato che invece si pone in maniera critica e cerca di penetrare in quel mondo spesso chiuso e invalicabile, che però ultimamente, grazie a Dio, si sta pian piano aprendo per lasciar passare cultura e solidarietà proprio attraverso i volontari che operano in carcere.

Il volontariato comunque, in qualunque forma si presenti, è sempre prezioso, perché è il volto della società civile che entra in carcere e sembra dirti: "Hai sbagliato, ma io credo che tu puoi farcela a rifarti una vita e a non commettere più gli errori del passato!". Personalmente sono grato a tutti.

 

Nicola Sansonna

 

A volte essere ascoltati è la cosa più importante in carcere

 

La settimana scorsa, dopo sei anni di carcere, ho avuto dal magistrato un permesso premio di un giorno. Potevo andare in giro per Padova accompagnato da un assistente volontario che ormai da anni viene a trovarmi in carcere, ed è andata benissimo. Mi ha accompagnato a visitare la città, e poi a fare alcune compere e a spedire cartoline. Alla fine sono rientrato in carcere frastornato, confuso perché non ero più abituato a una giornata di libertà, ma anche felice, naturalmente.

Io nella ma vita sono finito più volte al carcere minorile per furto. Quelle esperienze sono state dure perché non volevo accettare di stare rinchiuso e ho finito per detestare i poliziotti, i giudici, lo Stato. Avevo rubato e per questo mi avevano punito rinchiudendomi, ma al mio paese il carcere per minori è durissimo, se non osservi le regole vieni isolato e costretto a continue umiliazioni. E sono sicuro che questo è stato un trauma per me che ha avuto come conseguenza un totale disprezzo per le leggi, le regole e le persone che le fanno applicare.

Da maggiorenne poi ho continuato a vivere nella illegalità e sono finito in carcere più volte. Ma questa volta il carcere per me è stato diverso, perché, anche se non ho parenti qui, non mi sono sentito abbandonato, perché ho scoperto persone che si occupano di quelli come me, e non per soldi. Ho conosciuto un assistente volontario che viene a trovarmi ogni settimana e a parlare con me, e lo fa con umanità e rispetto, e senza guardarmi con disprezzo. Lui mi ha fatto capire che lo Stato non è soltanto quello che ti punisce, ma è anche quello che ti tende una mano per aiutarti. Per questo motivo ho imparato a rispettare profondamente quei volontari che rappresentano una società civile che non è tutta, come a volte pare guardando la televisione, interessata solo alla sua sicurezza. E siccome questi assistenti volontari sono le uniche persone che mi hanno in qualche modo prestato attenzione e ascoltato, perché a volte essere ascoltati è la cosa più importante in carcere, io, che fino a ieri pensavo soprattutto a riconquistare la libertà, e non mi ponevo tanto il problema di cosa avrei fatto dopo, oggi penso anche che non vorrei deludere le persone che mi danno una mano, che sarebbe una vergogna troppo grande da digerire.

Credo che questo sia lo spirito verso cui dovrebbe tendere il carcere. Coinvolgere sempre di più la società civile, i volontari, e sempre meno il pugno duro della giustizia, il bastone, perché chi come me è abituato a conoscere lo Stato solo quando interviene per punire, si incattivisce ancora di più e rispetta le regole ancora meno. Mentre il carcere dovrebbe essere il luogo dove conoscere uno Stato, una società, fatti di persone che si occupano con umanità di altre persone anche per aiutarle.

 

A.L.

 

I volontari sono gli unici che possono anche informare e sensibilizzare

 

Quello che più attira i mezzi di informazione, e al quale questi ultimi dedicano maggior spazio, è la cronaca nera, che poi vede quasi sempre protagonisti immigrati, tossicodipendenti, malati mentali, ex-detenuti, persone per lo più appartenenti a quelle fasce sociali che sono le più emarginate, le più dimenticate. Io sto in carcere da anni e ho la sensazione che le persone che vedo qui dentro per i giornali e i telegiornali diventano interessanti soltanto se scippano, rubano, rapinano o uccidono. Mentre queste stesse persone vengono trascurate per quel che riguarda tutti quegli aspetti della difficoltà di vivere che non hanno una stretta attinenza con la cronaca nera. Raccontare i problemi quotidiani dei tossicodipendenti, degli immigrati o degli ex detenuti non viene considerato conveniente in termini commerciali. Ma veramente i cittadini vogliono solo questo tipo di informazione? A me sembra che siano tante le persone che sentono il bisogno di sapere di più sui problemi sociali, di conoscere più a fondo le persone emarginate. Basta vedere tutte quelle persone impegnate nel volontariato.

E per fortuna, attraverso il loro quotidiano impegno i volontari imparano a conoscere i problemi e i bisogni delle persone che aiutano, e spesso decidono di farsi ambasciatori di istanze che altrimenti non riceverebbero mai un po’ di attenzione. È grazie ai volontari che i senza fissa dimora trovano un piatto caldo nelle mense comunali, ed è sempre merito dei volontari se noi detenuti ci sentiamo meno soli. Non sto parlando soltanto di persone che si occupano dei disagi più immediati dei detenuti, come portare biancheria, vestiti, francobolli, prodotti per l’igiene. Ma parlo anche di quelle associazioni e operatori volontari che si interessano direttamente di problemi sociali facendo informazione e sensibilizzando la società sui problemi di chi è recluso e sulle difficoltà del reinserimento. Dentro la galera c’è una desolante situazione di non informazione, e noi che stiamo in carcere sappiamo bene che preoccuparsi che ci sia più trasparenza sulle condizioni di vita nei luoghi di detenzione è di fondamentale importanza per dare ai detenuti la speranza di essere tutelati nei loro diritti. Un esempio sono i giornali dal carcere, fatti sempre per iniziativa e con il contributo dei volontari, o l’Osservatorio sulle carceri dell’associazione Antigone. E sta di fatto che nelle carceri dove esiste questo tipo di contributo dei volontari, le condizioni di vita per i detenuti sono spesso più decenti, la società civile è più sensibile verso di loro, ma soprattutto la loro voce viene ascoltata dalle autorità. E questo deve essere uno stimolo per tutti coloro che si occupano di disagio sociale, perché non si dimentichino mai di fare anche informazione su questi temi, e di farla in maniera chiara, efficace, coraggiosa.

 

Patrizia T.

 

 

Precedente Home Su Successiva