L'opinione dei detenuti

 

Dopo della galera che ho già fatto, prima di quella che verrà

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 28 agosto 2006

 

E dopo? "Dopo della galera che ho giù fatto, prima di quella che verrà": così un detenuto tossicodipendente ha descritto la posizione in cui si trova ora, ricordando come, con le leggi attuali, sia quasi inevitabile per uno che ha problemi di droga rientrare prima o poi in galera.

Nella penosa corsa a scommettere quanti rientreranno dopo l’indulto bisognerebbe per lo meno avere l’onestà di fare una riflessione seria sul perché si torna a commettere reati. A volte c’è dietro davvero il bisogno, chi vive sulla strada e finisce in carcere esce ancora più povero e privo di risorse; a volte c’è una cattiva legge, che preferisce punire piuttosto che puntare alla cura di chi ha problemi di dipendenza o di disagio mentale; a volte c’è la fretta che tradisce l’ex detenuto creandogli l’illusione che si possa recuperare il tempo perso in carcere dando una accelerata alla propria vita. Un errore che si paga sempre caro, e lo spiegano bene le testimonianze di detenuti che, avendo vissuto questo problema, mettono in guardia gli altri, ma anche se stessi dal rischio di sprecare la libertà in un inutile e pericoloso tentativo di realizzare in poco tempo quello che una persona libera costruisce in anni. E i rischi che si corrono sono anche maggiori, quando la libertà ti capita addosso così inattesa come è successo con l’indulto, e vorresti cancellare il carcere anche dalla memoria.

 

Ora non sciupiamo la libertà

 

Per uno come me, che tra fuori e dentro si è fatto più di 17 anni di carcere, l'attesa dell’indulto avrebbe dovuto essere meno stressante, tanto più che sono fuori in misura alternativa, ma non è cosi, l'insonnia ti prende, i giorni sono anni e l'ansia di libertà è uguale alla prima volta. Ho scaricato la tensione impegnandomi ad aiutare amici a capirne di più, a offrire una parola di conforto, fino a quando ho potuto urlare: sì!!!!!! l'indulto è stato approvato!!!!!!!!!!!!!!. Poi l'attesa della notifica del provvedimento e la gioia di condividere la libertà con altri nella mia situazione. Ora però voglio dire a chi esce dal carcere che varcando il cancello scatta il nulla, è come se tu in carcere non ci fossi mai stato, il cervello elimina quella esperienza. Non voglio fare il moralista, sono l'ultima persona che può farlo, ma ho davvero l'impressione che è proprio quello che ci frega.

In questi giorni leggo che qualche detenuto è rientrato in galera, subito dopo l'indulto. Qualcuno dice: la libertà gli fa schifo. No, io penso piuttosto che per molti di noi avviene l'espulsione dalla mente di quello che ha passato. Vorrei fare una domanda a quelli che sono appena usciti: chi di voi uscendo dal carcere, fuori dal cancello si è voltato e ha detto: "Ho passato due-tre-quattro anni lì dentro!" In realtà tutto sembra un attimo, in un attimo ci si dimentica delle sofferenze trascorse, ed è così ogni volta, la mente ti frega e allora si ricomincia, mi è successo tante volte.

Come quando facevo uso di eroina: si stava un anno, due senza, poi scatta qualcosa in te, un clic, vedi una scena, un odore, dei ragazzi che entrano in macchina e tu sai già dove vanno, e pensi: ma sì per una volta. E la mente ti frega, sei suo, e se non ti va in porto quella volta, ci riproverai perché ormai hai fatto clic.

Del carcere ci si dimentica subito e invece non deve essere così, non è facile ma pensateci. Io conosco le difficoltà una volta fuori e so che la via più breve magari è rivendere un po’ di droga e pensare: questa volta non mi faccio beccare. Ma sei fregato: ti sei dimenticato il carcere, hai fatto clic. Per questo io vorrei solo mettere a disposizione la mia esperienza per aiutare chi, come me, nel passato si è fatto fregare dal solito pensiero: ma sì, per una volta...

Ho lavorato molto su me stesso, più di 5 anni per raggiungere questo momento, ho lavorato sulla tossicodipendenza, con l'aiuto della mia famiglia posso dire che al 99% sono sicuro di me, ma non dico al 100% perché non dimentico il mio passato, un pizzico di paura ci deve essere sempre, la troppa sicurezza è un film già visto. Io non voglio arrivare troppo tardi a raggiungere la consapevolezza di essermi rovinato la vita per niente, beh! se permettete adesso voglio cominciare a vivere da essere umano, con l'affitto da pagare, le bollette che qualche volta non so come pagare ecc ecc... è dura, ma ho scoperto che tutto questo mi piace e l'unico clic è quando accendo la luce.

Naturalmente c'è chi legge questa lettera e ride, i soliti duri che pensano: che stupido, io appena esco faccio questo, faccio quello. Già mi immagino: gli indirizzi scambiati prima di uscire dalla galera, i "ci vediamo, ti vengo a trovare", e non ci si accorge che ci si sta solo organizzando per ritornare in carcere, perché il fatto più triste è che si torna in carcere già dal carcere, si esce ma inconsciamente ci si prepara a rientrare. Allora io dico: non dimentichiamo.

 

Riccardo B.

 

Vietato cercare scorciatoie

 

È da un pezzo che, con tutti quelli che hanno cominciato a uscire o che hanno già sperimentato le paure del dopo carcere, cerco di ragionare sulle difficoltà che uno incontra quando, dopo anni di galera, deve affrontare la vita da libero cittadino. Il problema vero è che, quando uno esce dalla galera, paradossalmente ha una grande fretta di fare, mentre in realtà dovrebbe avere solo una grande pazienza. È questa l’assoluta semplicità del problema. Mi viene in mente una vecchia canzone di Jimmy Fontana, "Il mondo non si è fermato mai un momento": cioè, mentre tu sei dentro in galera, non è che fuori tutto si fermi per aspettarti, quindi sei tu che devi reinserirti in quel ritmo, non è il ritmo che si può adattare a te. È per questo che dovresti uscire con uno stato d’animo di pazienza, di accettazione delle difficoltà, e invece probabilmente uno esce con l’ansia di rifarsi del tempo perso, di recuperare tutto quello che non ha fatto mentre era dentro.

Il mio caso è certo meno estremo di tanti altri, perché io sono entrato in carcere in un’età più matura, con una condanna più breve, in una fase della vita in cui tutto è più stabilizzato: però il mondo cambia ugualmente, un po’ di persone di riferimento tue fuori non esistono più, non perché sono proprio sparite ma perché hanno ruoli diversi, e così quando cominci a uscire ti senti perso, ti guardi intorno e non riconosci il mondo dove hai vissuto per anni..

Fate conto di avere una condanna di cinque anni, e che ogni anno sia un piano di scale: un fatto è andare al quinto piano con la scala mobile e con gli occhi bendati, che è un po’ l’immagine della nostra vita in carcere, un altro è andare al quinto piano scalino per scalino, vivendo la vita vera, la vita esterna, cercando di capire quello che succede vicino a te. Noi invece in galera non abbiamo vissuto la vita vera, e quando ci troviamo fuori fatichiamo a "prendere le misure" della realtà, a star dietro ai cambiamenti, a non farci travolgere da un senso di inadeguatezza. Ecco, le persone che escono dal carcere spesso vivono questa sensazione di non capire più quello che gli succede intorno, e per tentare di adeguarsi, di mettersi al passo pensano di spingere sull’acceleratore, di cercare scorciatoie. E spesso finiscono per perdersi.

 

Paolo M.

 

Meglio non cancellare il ricordo

 

Nella mia città non c’è il carcere femminile quindi mi sono sempre ritrovata a scontare la pena lontano da casa, ma questo non è stato l’unico svantaggio, perché rispetto alle carceri maschili noi donne-detenute abbiamo quasi sempre meno possibilità, sia di studio che di lavoro all’interno delle strutture stesse. Il mio fine pena è arrivato dopo un faticoso anno di semilibertà, nel quale seguivo un corso regionale e poi uno stage presso un museo con un rimborso di 2,07 euro
all’ora. Ho potuto farlo solo perché avevo una famiglia alle spalle che mi ha sempre aiutata e sostenuta moralmente ed economicamente.

Ora so che avevo bisogno di tempo, e soprattutto avevo bisogno di non sentirmi sola, di condividere pensieri e problemi con qualcuno che capisse i miei disagi, come il fatto di trovarmi in una città che non conoscevo, sentirmi estranea e mai a mio agio, non avere amici.

Ripensando a quel periodo ricordo con lucidità il lungo ponte che dovevo fare a piedi tutti i giorni per andare in città (alle 6.00) e ritornare (alle 20.00) in carcere, il freddo d’inverno nel passeggiare sotto i portici con i soldi giusti per un caffè al giorno. Solo verso la fine della mia condanna sono riuscita a farmi affittare da una associazione umanitaria un monolocale, pagavo un affitto mensile non bassissimo, luce e gas, e anche lì non sarei mai riuscita a farlo, se i miei non mi avessero dato una mano.

Il giorno dopo che è arrivato il mio fine pena ho cominciato a lavorare in una cooperativa sociale, ripartendo da zero, con l’idea che in carcere non volevo proprio più tornarci. Ho scelto così di percorrere una strada diversa da quella che mi aveva sempre riportato dentro, ed è stata dura. Sono caduta e mi sono rialzata molte volte, ancora cadrò e mi rialzerò ma oggi mi sento forte abbastanza per trovare gli appigli dentro di me.

Stare rinchiusi lontano dalla realtà sociale per lungo tempo è un trauma non indifferente, poi uscire dal carcere e riprendersi i ricordi, gli affetti, gli amici non è così semplice come appare. Hai bisogno di tempo per riprendere fiato, avere un lavoro è importante ma non è l’unico bisogno da soddisfare, per poter scegliere in autonomia che strada percorrere. E non è facile imparare a riempire un "materassino" per attutire l’impatto dopo ogni caduta, capire cioè che c’è sempre un modo per non farsi troppo male Quello che è importante però è non cancellare il carcere dai propri ricordi.

 

Franca

 

 

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