L'opinione dei detenuti

 

Alla richiesta di "certezza della pena" la risposta è poca "grazia"

 

Alla richiesta di maggior certezza della pena oggi si risponde anche così, con poca "grazia". Ma la grazia significa anche che c’è un momento, diverso da caso a caso, nel quale la detenzione smette di avere senso e prevale l’umanità.

 

Stefano Bentivogli, redazione di Ristretti Orizzonti, 23 dicembre 2004

 

La grazia per i detenuti è forse l’istituto previsto dalla nostra legge che più sembra contraddire il principio per cui una pena deve essere certa e va scontata fino in fondo. I primi di dicembre Graziano Mesina è stato scarcerato, ha ottenuto la grazia, il rito è stato celebrato nella basilica di Porta a Porta con la benedizione del ministro della Giustizia Castelli.

Un momento di commozione generale, il ministro ha dichiarato che liberare una persona è fantastico, come se la grazia l’avesse concessa lui e non il presidente Ciampi, mentre Mesina non sembrava così estasiato dalle emozioni di quel palcoscenico. La grazia in Italia non è più di moda, ne sono state concesse 4 nel 2003, 4 nel 2002, 6 nel 2001, 16 nel 2000, eppure la legge che la prevede esiste ancora e non è stata modificata. La percentuale di grazie concesse, rispetto alle richieste inoltrate, è passata dallo 0,058 del 1993 allo 0,008 del 2003, vale a dire che nei confronti di questo istituto è cambiato l’atteggiamento di chi la grazia la può concedere o meglio, la grazia è passata in mano alla politica ed alle strumentalizzazioni che questa ritiene opportune. Alla richiesta di maggior certezza della pena si risponde anche così, con poca grazia.

Eppure questa è un provvedimento individuale, riguarda solo la persona interessata ed il significato della punizione che le è stata inflitta. Quando una pena è diventata insensata, rispetto alla persona che vi è sottoposta, la nostra legge prevede che ci sia l’opportunità di affrontare il caso in termini umanitari, che intervenga il presidente della repubblica e sottragga il condannato alla logica della certezza della pena.

Il senso della concessione della grazia sembra essere proprio quello di evitare che la pena venga fatta scontare secondo una logica rigidamente retributiva, perché dopo tanti anni una persona può essere cambiata, può non essere più pericolosa, può essere in condizioni di salute tali per cui la pena ancora da scontare diventa secondaria. La grazia la concede il Presidente della Repubblica come atto ultimo di clemenza, non al di sopra della legge e della giustizia, ma dove la legge e la giustizia non possono che compiersi con il senso di umanità.

Fa un po’ sorridere pensando alle condizioni poco umane nelle quali si scontano le pene nel nostro paese, ma i casi di grazia avrebbero senso anche se noi detenuti vivessimo in condizioni migliori, perché una persona non andrebbe tenuta dentro una gabbia neanche un giorno in più del necessario, se la vita di una persona è considerata ancora un valore.

Oggi quando si parla di grazia se ne sentono di tutti i colori, ho sentito interviste a cittadini contrari alla grazia, convinti che viene data a destra e sinistra con estrema facilità, gente che non sa cosa significa scontare una pena per tanti anni, non sa quante sono le grazie concesse, soprattutto ha un’idea del detenuto senza aver mai conosciuto né il carcere né il detenuto stesso.

Graziano Mesina però è stato graziato, per fortuna, gli italiani hanno rinunciato alla vendetta, non ci sono state sollevazioni popolari, persino il ministro Castelli era entusiasta, si è pensato ad essere clementi nonostante si avesse a che fare con uno dei miti del banditismo sardo, uno che ha spesso tentato di evadere, uno che quando era uscito in passato dal carcere vi era stato ricondotto velocemente per una strana storia di armi.

Quindi è sempre possibile ipotizzare che c’è un momento, diverso da caso a caso, nel quale la detenzione smette di avere senso e prevale l’umanità.

Non sempre però le cose vanno così, soprattutto quando la strumentalizzazione politica passa sopra tutto e tutti. Quando in più riprese si è ipotizzata la grazia per Adriano Sofri e per Ovidio Bompressi si sono alzate le barricate perché c’è addirittura il ministro della Giustizia che, oltre a sollevare questioni di merito sul fatto che Sofri la grazia non la chiedeva, pensa di avere poteri pari al Presidente della Repubblica. Altra parte della politica invece sosteneva l’utilità della grazia in quanto Sofri era vittima di un processo ingiusto, tesi che condivido, ma purtroppo dannosa quando si chiede un atto di umanità. Il problema per Sofri e Bompressi doveva essere esclusivamente limitato al senso della loro pena, all’inutilità del tenere i loro corpi dietro le sbarre, nel caso di Bompressi ci sono anche condizioni di salute veramente gravi. Ma la destra reclamava la grazia anche per i suoi, e alcuni parenti delle vittime del terrorismo – neanche parenti del commissario Calabresi – minacciavano di lasciarsi morire di fame e la Lega reclamava, reclamava e basta che chi ha sbagliato deve stare in galera.

Bisogna ricordare a tutti questi amanti della forca che la certezza della pena non è nel non concedere la grazia, gli sconti di pena meritati, le misure alternative alla detenzione per il reinserimento sociale, perché in Italia, una volta che sei catturato e condannato la pena la sconti ed in maniera dura nella stragrande maggioranza dei casi. Diversa è la realtà del regime di impunità nel quale oggi da un certo punto di vista viviamo, dovuto alla difficoltà di reprimere il crimine, oppure di quello dovuto ai tempi della nostra giustizia che premiano gli imputati di lusso, i potenti che possono permettersi, oltre al diritto alla difesa, il placet dei media che, di fronte alla capacità di alcuni di non farsi mai processare, diventano tutti garantisti o stranamente muti.

Ricordiamoci invece, ogni tanto, che la giustizia è per definizione fallace, arbitraria perché umana, ed una società che questa umanità non se la dimentica, non può fare giustizia o provare ad avvicinarvisi, senza grazia.

 

 

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