L'opinione dei detenuti

 

Studenti e detenuti si confrontano sulla sicurezza

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 19 gennaio 2009

 

Studenti e detenuti si confrontano sulla sicurezza

 

Da anni a Padova le scuole e il carcere si confrontano sui temi della prevenzione, delle pene, della vita detentiva, ma questa volta il confronto è stato del tutto nuovo: i ragazzi di una classe del liceo socio-psico-pedagogico Duca D’Aosta hanno costruito una ricerca sulla sicurezza a Padova, intervistando 320 padovani, giovani coetanei e adulti dell’età dei loro genitori, e sono venuti in carcere a discutere con detenuti e volontari di una idea diversa di sicurezza e prevenzione. Un’idea che coinvolga in qualche modo i cittadini invece di imporgli dall’alto pacchetti emergenziali, controlli, leggi con alla base sempre più carcere e sempre meno partecipazione diretta alla costruzione di una società con al centro il "piacere della legalità".

 

Non tutti hanno paura degli immigrati

 

La ricerca, iniziata lo scorso anno e ora conclusa dalla quinta B del Liceo "Duca D’Aosta", ha al centro quello che da anni è il tema di maggior interesse mediatico: la sicurezza. Gli studenti si erano posti l’obiettivo di verificare l’opinione che i cittadini di Padova hanno sullo stato della sicurezza nella loro città, e dalle risposte date emergono dei risultati che non sono affatto scontati. Il 62 per cento degli intervistati ha affermato che sicurezza significa "tranquillità", ma non tutti i padovani si sentono davvero sotto l’assedio della criminalità straniera: solo il 38 per cento infatti ha indicato l’immigrazione come principale fattore che minaccia questo desiderio di vivere "tranquilli".

Il resto degli intervistati ha individuato il pericolo negli ubriachi, nei tossicodipendenti, nelle persone arroganti o irrispettose: viene da pensare che, più che la paura, sia un fastidio e un senso di disagio ciò che questo campione di cittadini ha espresso. Ma se la vita oggi è complicata per molte persone, per gli immigrati è doppiamente difficile, e noi, detenuti stranieri, ci sentiamo spesso trattati ingiustamente, perché la galera a volte accentua le disuguaglianze.

Dal confronto con questi ragazzi mi sono reso conto però che questo è un atteggiamento sbagliato, perché in realtà noi non rappresentiamo proprio gli stranieri buoni e maltrattati da italiani tutti egoisti, incattiviti, rabbiosi. Inizialmente mi sembrava che fosse troppo un intervistato su tre che indicava l’immigrazione come fonte di insicurezza, ma riflettendo sul fatto che i giornali nella cronaca nera raccontano quasi sempre reati con protagonisti immigrati, penso che se oggi si respira un clima di diffidenza nei confronti di noi immigrati è anche colpa nostra, che non siamo proprio dei modelli di civiltà, tanto che molti di noi hanno imparato in fretta i comportamenti peggiori degli italiani.

Ma c’è una gran parte di immigrati dotata di un forte senso di legalità, ed è grazie a loro, che affrontano mille fatiche per costruirsi una vita onesta, se ci sono italiani che non puntano subito il dito del loro disagio sugli stranieri. E oggi, grazie alla curiosità intellettuale di questa classe di studenti e alla maturità che hanno avuto nel condurre la loro ricerca, abbiamo capito che forse c’è una buona parte di padovani che non ci vede tutti come una minaccia. Questo dato ci dà quindi un motivo di fiducia in un futuro di maggiore accoglienza e integrazione, ma nello stesso tempo ci consegna una grossa responsabilità, e cioè quella di comportarci con più rispetto della legalità in futuro, per dimostrare che chi teme gli stranieri, spesso sbaglia.

 

Elton Kalica

 

Quando si tralascia il ruolo della prevenzione

 

Di sondaggi se ne vedono tanti e una valanga di dati vengono utilizzati da politici e amministratori come avallo finale alle proprie teorie, quasi mai come punto di partenza per capire di più di un fenomeno. Io invece intendo parlare di un sondaggio realizzato per stabilire un punto di partenza serio, da cui arrivare a proposte su come affrontare senza demagogie il problema della sicurezza e dare un contributo concreto su questa questione, uscendo dalla logica degli slogan e dei proclami.

Il motivo per cui questo sondaggio assume una notevole importanza è il fatto che non esce dalle istituzioni o da enti più o meno accreditati, ma da una classe di una scuola superiore, che non se lo è inventato dalla sera alla mattina, ma lo ha "partorito" all’interno di un percorso partito dall’ingresso in carcere, dall’esperienza di più di un incontro con i detenuti della redazione di "Ristretti Orizzonti", da un confronto all’inizio anche aspro e con pregiudizi, che ha fatto maturare nei ragazzi la voglia di capire perché tante notizie propinate all’esterno da molti mezzi di informazione stridessero, a volte in modo violento, con le testimonianze dirette di una realtà carceraria ben diversa da quella descritta da giornali e televisioni. Non scendo nel dettaglio dei dati di questo sondaggio, faccio solo presente che quasi 8 su 10 degli intervistati ritengono che i media spesso manipolino le informazioni relative alla sicurezza. Dal che si può dedurre che buona parte degli altri dati, relativi alla paura e al senso di insicurezza dei cittadini, sono verosimilmente "condizionati" da questi allarmismi mediatici, finalizzati a tutto tranne che alla ricerca di soluzioni innovative per la sicurezza della società.

Ma la vera novità che ne esce, è che a volte istituzioni e mezzi di informazione non sanno pensare a niente sul piano della prevenzione, e questi ragazzi si sono trovati davanti a un mucchio di parole a copertura del nulla e, con il loro spirito di giovani curiosi (per la verità più maturi di parecchi adulti...) e con la voglia di andare oltre i luoghi comuni, hanno tentato di vedere il perché di tante paure e insicurezze e di cercare strade nuove per uscirne... il bello è che alla fine hanno preferito tornare proprio dentro il carcere per far vedere i risultati della loro ricerca e per capire se qualcuno aveva qualche consiglio da dare loro. Io sono un detenuto che insieme ad altri si è trovato di fronte questa situazione e per primo ho detto loro che ne avremmo ragionato proprio mettendo a frutto le nostre esperienze negative. Devo dire che un po' la cosa ci ha spiazzato non tanto perché non abbiamo proposte, quanto perché di proposte non ce n’è molte fuori, se non il ricorso continuo e quasi ossessivo a più controlli e più galera. Questo dovrebbe far riflettere su quanto sconcertante a volte risulti il messaggio che questa società invia ai suoi ragazzi.

 

Marco L.

 

Al primo posto ci sono le violenze

 

Di questa ricerca sulla sicurezza, progettata e realizzata dagli studenti, con grande dispendio di tempo ed energie, io ho scelto di analizzare in particolare una domanda, che riguarda i reati che fanno più paura, e che a mio avviso è emblematica della sensazione di insicurezza che possono avere i cittadini padovani. La domanda posta "Secondo lei quali sono i reati che più minacciano la nostra sicurezza" è a risposta multipla, ma nonostante ciò, il dato che più appare significativo sta nel 72,1 per cento, che teme la violenza in generale, da cui deriva la sensazione di disagio sociale, di ansia, di paura che tormenta tanti cittadini.

Quella violenza fatta di microcriminalità, di impossibilità per un cittadino di muoversi liberamente sul territorio, di passeggiare in certe zone della città e in certe fasce orarie, in cui persone poco rispettose della legge, spacciatori, tossicodipendenti hanno fatto di queste zone il proprio territorio degradato. L’umanità che vive in queste zone è già di per sé un’umanità disagiata, che non riesce ad avere rispetto del territorio, né senso di appartenenza ad una comunità, proprio perché si sente esclusa da un contesto di convivenza civile, ghettizzata in un territorio, lasciato libero da una società che spesso ha paura delle persone "diverse" e se ne tiene lontana, e piuttosto di favorirne l’integrazione, preferisce lasciargli un pezzo di territorio, purché sia il meno visibile possibile.

Allora cosa ci dice questa ricerca, che riteniamo illuminante? Ci dice che la società non dovrebbe abbandonare al degrado pezzi di territorio, in cui ha confinato una umanità senza speranze. Ma invece dovrebbe frequentarli, questi territori, come spazio importante della collettività, che potrebbe attivarsi per mantenerli visibili e vivibili, cercando di attrarre in una sorta di inserimento sociale tutte quelle fasce disagiate, fatte di extracomunitari che fuggono da realtà disperate, di tossicodipendenti che forse hanno perso la fiducia e la voglia di vivere una vita sociale decente, di quei senza dimora che oggi la crisi economica fa aumentare in modo esponenziale, tutte categorie di persone che spesso finiscono per riempire le nostre carceri. E che ci dicono che nessuno si può autoassolvere per aver abbandonato al degrado pezzi di territorio, ma ancor di più fasce di umanità disperata.

 

Maurizio Bertani

 

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