L'opinione dei detenuti

 

Omicidi colposi: proviamo a pensare a come prevenirli

a cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 12 gennaio 2009

 

Finora non succedeva quasi mai di incontrare in carcere autori di omicidi colposi per guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe, ma le pene sono state di recente inasprite, e le campagne di stampa sempre più feroci rispetto a questi reati fanno pensare che ci capiterà più facilmente di vedere qui dentro cittadini "comuni", che poco hanno a che fare con la delinquenza e molto con l’irresponsabilità. E questo non ci fa per niente felici, non riusciamo davvero a pensare che la galera sia la soluzione e vorremmo provare a ragionare insieme, chi sta "dentro" e chi sta "fuori", per trovare forme di prevenzione e di pena più sensate.

 

Ecco come mi ha fregato la "droga bastarda"

 

Sono stato fortunato, mia nonna direbbe che sono stato "miracolato"! Ho invaso, guidando, la corsia opposta di una strada statale, alle 19.30 di un giorno lavorativo, e per fortuna nello schianto contro il palo della luce non ho coinvolto altre persone, e questo significa veramente avere una grande fortuna. Me ne rendo conto solo adesso, la macchina distrutta e quei due giorni passati in ospedale sono niente in confronto a quello che avrei potuto causare.

Oggi, quando vedo in televisione immagini di gravi incidenti provocati da persone in alterato stato psichico, magari ragazzi della mia età, che proprio come me non pensavano a quello che sarebbe potuto succedere, penso con orrore a quello che a me per fortuna non è successo. Sino a prima dell’incidente certe notizie mi facevano rabbrividire, mi chiedevo come fosse possibile essere così incoscienti, e mi immaginavo ragazzi che guidavano in uno stato fisico e psichico pietoso.

Adesso riesco anche a vedere l’altro aspetto della situazione, riesco a mettermi nei panni di quel ragazzo che per passare la "serata diversa" si ritrova con la vita rovinata e segnata per sempre, e che non smetterà mai di chiedersi "ma perché l’ho fatto?". Anch’io quel giorno avevo usato sostanze e il mio senso della realtà era ovviamente e percettibilmente cambiato, anche se in realtà non me ne rendevo conto.

Ma è così che funziona, la droga è bastarda, lo dicono tutti, anche quelli che non la conoscono, ma è bastarda veramente, perché ti frega quando meno te l’aspetti. Ti frega nel momento in cui sei convinto di conoscerla bene e di averla sotto controllo, per cui sei sicuro che puoi usarla a tuo piacimento, e smettere quando vuoi, ma in realtà è "lei" che ti tiene in pugno, e sino a quando non ti rendi conto di come stanno realmente le cose sarà sempre lei a vincere.

Non era certo la prima volta che assumevo sostanze, o che bevevo qualche bicchiere di più prima di mettermi alla guida, ma mi era sempre andata bene, non avevo mai provocato incidenti e non avevo mai procurato danni ad altre persone: "...tanto a me non succederà niente, sono mica fesso!", pensavo. Io salivo in macchina e a volte ero in uno stato anche molto alterato, ma non mi rendevo conto che ero un grosso pericolo per me e per gli altri.

Perché, c’è poco da fare, quando hai la testa confusa e annebbiata da alcol o droga, non sei in uno stato tale da poter guidare una macchina. Il problema è che chi ha di questi comportamenti non si rende conto di aver passato il limite e anzi, a volte, ha la percezione di essere addirittura migliore, di avere più riflessi e di riconoscere la realtà meglio di tutti gli altri.

 

A.

 

Recuperare responsabilità e coscienza civile

 

A diciannove anni c’era tra i giovani universitari che frequentavo un ragazzo che affermava con beffarda irriverenza: "io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare". Aveva ripreso da De Andrè questa frase trasformandola però in uno stile di vita goliardico.

L’impeto e la leggerezza con cui affrontava la quotidianità lo facevano sentire ben accettato dai coetanei. Mi è capitato di ripensare questa frase in occasione delle vicende di cronaca riguardanti incidenti stradali con vittime, perché forse oggi in molti credono che essere "principi liberi" significhi non dover rispondere, in termini di coscienza, a nessuno.

Ma un evento come la morte di una persona cara per un incidente ha una tragicità che non si può negare, soprattutto quando il fatto trova la sola spiegazione nell’irresponsabilità di uno sconosciuto. Il primo impulso è sicuramente di rabbia nei confronti di qualcosa che sfugge al tuo controllo, e che però incide in modo così doloroso nella tua vita.

Ma siamo veramente sicuri che una pena detentiva più o meno lunga metta la società al riparo dall’eventualità di comportamenti simili, e che inasprendo le pene si verifichi quella che i giuristi chiamano prevenzione speciale? Chi ha studiato queste dinamiche giurisprudenziali assicura di no. Io più che studiarle le sto vivendo sulla mia pelle.

Sono recluso in un carcere penale e, se ho imparato qualcosa in questo luogo, è che la persona colpevole può riflettere sulla sua azione, accettare di aver attuato un comportamento sbagliato per la società e anche per sé come uomo, solo se è messa nelle condizioni di potersi confrontare con gli effetti prodotti da quei comportamenti.

Ho avuto modo di incontrare autori di omicidio colposo in seguito a incidente stradale e mi sono convinto che difficilmente ragazzi rei di aver provocato la morte di una persona con un comportamento irresponsabile possono meglio comprendere la portata della loro condotta se aumentano gli anni di vita carceraria.

Allo stesso tempo, avendo praticato la professione medica anche in un Pronto Soccorso, ritengo che sia un’idea buona quella di identificare come pena adeguata l’obbligo di prestare servizio, magari come barelliere, in una Unità di Pronto Soccorso. Uscire con l’ambulanza, recuperare un politraumatizzato con fratture esposte o in una condizione di grave pericolo di vita, offre una possibilità di riflessione critica sui propri comportamenti che nemmeno cent’anni di carcere sarebbero in grado di produrre. Proprio questa potrebbe essere una via per il recupero di una maggiore responsabilità e coscienza civile.

 

L. C.

 

Più galera per tutti non è la soluzione

 

Sulla strada in Italia muoiono circa seimila persone l’anno. Le pene per l’omicidio colposo sono state aumentate di recente, e probabilmente faranno entrare in carcere molte persone per bene, anche incensurate. E, paradossalmente, sono state proprio le "persone perbene", gridando allo scandalo per le pene ritenute troppo esigue, a incoraggiare il legislatore ad inasprirle per tutti, casalinghe distratte comprese.

Ma quale prevenzione si fa davvero? Quali investimenti si fanno per la sicurezza sulla strada? Ho ancora in testa la notizia del giovane di Pinerolo che si è suicidato a un anno dall’incidente stradale in cui ha ucciso una ragazza di diciassette anni. Soffriva di depressione, era ubriaco come altre volte nella sua vita.

Ma lo hanno curato davvero, lo ha preso in carico qualcuno, dopo il primo episodio negativo della sua vita? o dopo il secondo o il terzo? O forse la prevenzione costava troppo? E qualcuno pensa a quanto valgono seimila vite perse ogni anno? L’Italia spende per la sicurezza sulle strade meno di un euro pro capite, la media europea è di venti euro, eppure invece di discutere di prevenzione si pensa di aumentare le dosi di galera per tutti.

Noi che stiamo dentro cominciamo a immaginare che debbano prepararsi le borse con ciabatte, accappatoio, asciugamani tutti quei cittadini "normali" che rischiano di condividere la vita dei delinquenti per una colpevole leggerezza, a volte per quella depressione che ti porta a buttarti sull’alcol senza vederne i rischi.

Dovranno capire cosa significa vivere venti ore al giorno con due o tre persone sconosciute in tre metri quadrati, in uno spazio uguale a quello dove prima parcheggiavano l’auto ora saranno parcheggiati loro. Vedranno che per il nostro menù lo Stato paga circa due euro e novantacinque centesimi al giorno, colazione, pranzo e cena.

Quindi, gentili imprenditori, commercianti, casalinghe distratte, allenatevi a uno stile di vita consono all’ambiente che potrebbe essere li, dietro l’angolo, che vi aspetta, un posto in galera oramai non si nega proprio a nessuno. Magari pensate che a voi non potrà mai capitare, e nemmeno ai vostri figli, anche se fumano qualche spinello o si bevono qualche spritz di troppo.

Dopo l’incidente di Civitavecchia, in cui sono morti quattro ragazzi, e il quinto è in coma, con una denuncia per omicidio colposo per guida sotto l’effetto della cocaina, ho sentito i genitori di questi ragazzi dire quanto bravi erano i loro figli, e lo erano probabilmente, ma qualche problema lo avevano anche loro, purtroppo. Ieri è arrivato in sezione un meccanico, padre di famiglia, deve scontare una condanna di cinque mesi.

Piange, si dispera, mi chiede di aiutarlo. La scorsa settimana era entrato in carcere un operaio edile, per assegni a vuoto e truffa. Due mesi fa un invalido civile che deve farsi qualche mese per lesioni personali. Oggi non si regge in piedi, ed è ancora più disperato dei primi due. Ma che razza di carcere è questo? Davvero più galera per tutti serve a qualcosa?

 

Daniele Barosco

 

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 3490788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva