Rassegna stampa 19 marzo

 

Giustizia: candidati Presidenti delle Regioni e salute in carcere

 

Redattore Sociale, 19 marzo 2010

 

A tutti i 50 in lizza per la presidenza delle regioni il Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale ha chiesto "l’impegno pubblico a inserire tra le priorità del governo regionale la questione della condizione carceraria e della garanzia del diritto alla salute": finora hanno risposto solo in 7.

Solo sette candidati sui 50 in lizza per la Presidenza delle Regioni hanno risposto alla lettera inviata dal Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale. Un documento spedito il 4 marzo 2010 dalla presidente del Forum, Leda Colombini, in cui si chiede ai candidati una dichiarazione pubblica "che espliciti l’impegno a inserire tra le priorità del governo regionale la questione della condizione carceraria e della garanzia del diritto alla salute".

Al 18 marzo nessuna risposta dai candidati di Basilicata, Calabria, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto. Articolate invece le risposte di Vasco Errani (candidato per il Pd in Emilia Romagna), Renata Polverini (Lista Polverini, Lazio), Filippo Penati (candidato per il Pd in Lombardia), Savino Pezzotta (Udc in Lombardia) e Vittorio Agnoletto (Federazione della sinistra, Lombardia). "Abbiamo diffuso queste prime risposte -spiegano da Ristretti Orizzonti, una delle associazioni che ha fondato il Forum - per sollecitare anche gli altri candidati a farsi vivi".

Con la sola eccezione di Roberto Formigoni, hanno risposto tutti i candidati lombardi. "Se sarò eletto - promette Filippo Penati - la questione della condizione carceraria e della garanzia del diritto alla salute per i detenuti sarà tra le priorità del governo regionale, nell’ambito delle politiche sanitarie e sociali". Il candidato del Pd inoltre promette un’azione mirata per il recupero dei detenuti minorenni e la nomina di un Garante regionale per le persone detenute.

"Il mio primo atto della campagna elettorale è stata la visita al carcere di Bergamo", ricorda Savino Pezzotta sottolineando come il tema carcere sia ben presente nelle linee programmatiche della sua candidatura. "È una questione di civiltà a cui sono interessato. Sempre disponibile ad accogliere e portare avanti suggerimenti", conclude.

"Mi adopererò affinché vi sia un’adeguata rete di servizi sanitari e sociosanitari in ogni stabilimento penitenziario", scrive Vittorio Agnoletto che promette particolare attenzione e risorse "per il recupero sociale dei minori detenuti e per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari".

"Uno dei pilastri del mio programma continua ad essere proprio la salute, considerata un diritto di tutti i cittadini", scrive Renata Polverini. La Regione è tenuta ad impegnarsi affinché ci sia un adeguato inserimento di chi si trova in carcere e un effettivo ed efficiente recupero dei detenuti minorenni. Sarà una mia priorità inserire questi temi nel riordino sanitario laziale".

Il presidente uscente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, sottolinea invece il lavoro svolto in questi anni: l’approvazione da parte della Giunta (marzo 2009) del provvedimento che fornisce alle Aziende sanitarie le indicazioni per organizzare le funzioni sanitarie all’interno degli istituti di pena; l’istituzione di un Osservatorio regionale permanente per il monitoraggio e gli investimenti fatti per garantire adeguata assistenza sanitaria nell’Opg di Reggio Emilia.

Giustizia: misure alternative e recidiva; i risultati di una ricerca

 

www.giustizia.it, 19 marzo 2010

 

Stamane dalle 9,30 alle 13,30, presso il Centro congressi della Facoltà di Sociologia dell’Università "Sapienza", si terrà il convegno "Misure alternative e recidiva: i risultati di una ricerca degli Uepe del Lazio".

Durante l’evento, organizzato dal Dipartimento di Ricerca sociale e metodologia sociologica "Gianni Statera" e dal Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio, Ufficio esecuzione penale esterna, sono stati illustrati i risultati di una ricerca sull’affidamento in prova al servizio sociale e saranno discussi i temi dell’efficacia degli interventi di inclusione sociale e della recidiva.

Intervenuti tra gli altri, Maurizio Bonolis, direttore del Dipartimento Rismes, Luciano Zani, preside della Facoltà di Sociologia dell’Università della Sapienza, Franco Ionta e Santi Consolo, rispettivamente capo e vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Riccardo Turrini Vita, direttore generale dell’Esecuzione penale esterna.

I risultati della ricerca "Il fenomeno del reinserimento sociale e della recidiva dei soggetti in esecuzione penale esterna con particolare riferimento ai tossicodipendenti".

La ricerca sul fenomeno del reinserimento sociale e della recidiva nei soggetti affidati agli uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) del Lazio ha messo in luce i seguenti aspetti:

gli effetti dell’intervento del Servizio Sociale degli Uepe nel favorire una condotta di vita distante dalla variabile criminale;

gli effetti dell’intervento sociale nel completamento di un processo di socializzazione in una società in trasformazione;

la durata nel tempo degli eventuali effetti di inclusione sociale;

la corrispondenza del servizio prestato alle caratteristiche dei destinatari;

l’efficacia dell’affidamento in prova al servizio sociale, quale modalità di espiazione della misura "alternativa" al carcere secondo un modello penale riabilitativo.

La recidiva, intesa come presenza di una condanna definitiva per commissione di un nuovo reato dopo la conclusione dell’affidamento, è risultata essere del 14,6% .

Più specificamente è stato rilevato che la recidiva interessa persone che hanno fruito:

dell’affidamento in casi particolari dalla libertà: 16.7%

dell’affidamento in casi particolari dalla detenzione: 29,1%

dell’affidamento dalla libertà: 8.5%

dell’affidamento dalla detenzione: 8.5%

Inoltre, dall’analisi dei risultati della ricerca emerge che:

L’ affidamento risulta meno efficace se è semplicemente un modo per "evitare" il carcere da parte della persona condannata

Per la prevenzione della recidiva sono risultate molto significative le esperienze di responsabilizzazione delle persone condannate (lavoro, percorsi terapeutici, ecc.), esperienze facilitate e sostenute da relazioni di fiducia fra il trasgressore e il sistema penale, nella interfaccia costituita dagli operatori.

L’inserimento lavorativo è una dimensione molto importante per il successo dell’affidamento in termini di prevenzione della recidiva.

Risulta confermata l’ importanza delle famiglie e delle reti informali nell’efficacia dell’affidamento e nella prevenzione della recidiva.

È necessario poter contare sull’individualizzazione delle prescrizioni e delle limitazioni alla libertà per non ostacolare il reinserimento.

Le tossicodipendenze si confermano fattore critico: sono da affrontare in collaborazione con Sert, e con Comunità terapeutiche che abbiano un rapporto di garanzia con il servizio pubblico territoriale .

È necessario che le risorse economiche per il reinserimento degli affidati siano congrue e a flusso costante, gestite con competenza e orientate verso sinergie di più soggetti erogatori .

Sono necessarie risorse umane (con attenzione al rapporto numerico operatori/utenti) e risorse strumentali, che permettano il "lavoro di prossimità", indispensabile soprattutto nei contesti più problematici e complessi.

Infine, si segnala la rilevanza (35%) del fenomeno del reimpatto, inteso come nuovo ingresso in carcere per conseguenza di carichi pendenti (reati commessi prima dell’affidamento), durante o dopo un percorso di reinserimento già avviato.

Giustizia: Pdci; 67 mila detenuti? dato semplicemente orribile

 

Il Velino, 19 marzo 2010

 

"Il dato di 67.046 detenuti nelle carceri italiane è semplicemente terribile. Le cifre fornite oggi da "Ristretti orizzonti", sulla base dei numeri del ministero della Giustizia, rappresentano un vero record negativo nella storia della Repubblica italiana". È quanto afferma Manuela Palermi, dell’ufficio politico del Pdci-Federazione della sinistra. "Le carceri, sempre più sovraffollate, sono la negazione del principio di recupero ispirato dalla Costituzione e costituiscono un luogo di degrado e di violenza - continua Palermi.

Un luogo dove carcerati e guardie penitenziarie sono costretti quotidianamente a vivere al limite della decenza. Oggi si finisce in galera per piccoli reati e si è immuni quando i reati sono compiuti dai potenti. Berlusconi ne è una prova vivente. Occorre una urgente depenalizzazione di reati che possono essere scontati amministrativamente diminuendo inoltre i tempi della giustizia. Il governo Berlusconi provi a farlo - conclude l’esponente del Pdci -, ammesso che sia in grado, anziché continuare a occuparsi solo di problemi personali e dei propri amici".

Giustizia: Garante detenuti Lazio; fallite le politiche carcerarie

 

Il Velino, 19 marzo 2010

 

"I dati diffusi oggi sul numero record di detenuti nelle carceri italiane conferma, come è ovvio che fosse, che non basta far scomparire questo problema dalle prima pagine dei giornali e dai telegiornali per risolvere quella che è ormai un’emergenza sociale. Tutto questo è il frutto di una politica repressiva che tende a punire con il carcere ogni comportamento contrario alla legge".

Lo dichiara in una nota il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, vice coordinatore della Conferenza Nazionale dei garanti dei detenuti. "Purtroppo - ha aggiunto - non è un caso che si moltiplichino gli atti di autolesionismo dei detenuti e gli appelli al Ministro della Giustizia Alfano da parte di agenti, volontari ed altre componenti del pianeta carcere. In queste condizioni è evidente il fallimento del "Piano Carceri".

Oggi la soluzione di questa emergenza passa dall’abolizione delle leggi che producono carcere, dal rilancio delle misure alternative e dalla riforma del codice penale, con il ricorso al carcere per i reati più gravi e pene alternative per le categorie disagiate. Un meccanismo che ridurrebbe i detenuti senza danno per la sicurezza dei cittadini".

Giustizia: Movimento Diritti Civili; mai più bambini in carcere

 

Agi, 19 marzo 2010

 

Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, interviene sul dramma dei bambini in carcere. Corbelli rende nota la lettera di un bambino e della giovane madre detenuta, insieme in una cella da 3 anni, che gli è stata recapitata quale coordinatore di Diritti Civili da oltre 16 anni impegnato, con le sue battaglie, denunce, proposte di legge, manifestazioni di protesta per "liberare", togliere dal carcere i circa 60 bambini (da 0 a 3 anni) e le loro mamme attualmente ancora nelle carceri italiane. Il bambino descrive il suo sogno: "vedere, fuori dal carcere, il cielo, il mare, comprare un gelato, trovare un regalo, andare alla giostrina a giocare con gli altri bambini?".

Questi i passaggi più significativi e commoventi della letterina di questo bambino e della sua mamma a Corbelli, che la donna ha ringraziato per la lunga battaglia condotta, in solitudine, per molti anni, dal leader di Diritti Civili, per togliere i bambini dal carcere. "Oggi io e la mamma - scrive il bambino - siamo contenti e per questo scriviamo questa letterina a tutti gli uomini buoni che ci hanno aiutato e ci vogliono bene. Ci hanno detto che ci faranno uscire dalla cella a me e alla mia mamma. Io lo dicevo sempre alla mamma e alle guardie che non ci volevo stare nella cella, che volevo andare fuori, a giocare con gli altri bambini? Ho sempre pregato Gesù di farmi uscire con la mamma dalla cella? Perché un bambino lo tengono dentro la prigione? Perché non lo fanno andare a casa con la mamma?

Io piangevo sempre la sera quando le guardie venivano a chiudere la porta della cella?Adesso non piangerò più e nemmeno la mamma piangerà più. Oggi la mia mamma è felice, mi ha abbracciato forte e mi ha dato tanti baci. Mi ha detto che non sbaglierà più e che nella cella non ci ritorneremo mai più. Mamma mi ha detto che anche gli altri bambini usciranno dalla cella. Adesso io, quando uscirò dalla cella, vedrò il cielo, il mare, mi comperò il gelato, andrò a giocare alla giostrina con gli altri bambini.

La mamma mi ha detto che mi comprerà un regalo molto bello. Io non ho nessuno: ho solo la mia mamma. Voglio tanto bene alla mia mamma. Non la lascerò mai". Corbelli ha commentato : "Il sogno che si sta avverando e la felicità di quel bambino e della sua mamma sono il sogno è la felicità di tutti, di un Paese civile. Mai più bambini in carcere. Questa barbarie deve finire. Deve prevalere la civiltà e una giustizia giusta e umana".

Giustizia: Cassazione; anche gli over 70 in carcere se pericolosi

 

Adnkronos, 19 marzo 2010

 

Un ultra 70enne può finire in carcere? Per la Cassazione sì a patto che l’anziano sia davvero pericoloso. In questo caso il giudice è tenuto a "dar conto dell’esistenza di esigenze cautelari di intensità così elevata e straordinaria da rendere in concreto inadeguata ogni altra misura".

La sesta sezione penale (sentenza 10891) si è così espressa occupandosi del ricorso, in questo caso accolto, di un 74enne calabrese condannato in primo grado a 12 anni di reclusione con l’accusa di associazione per delinquere mafiosa. Il pm aveva chiesto e ottenuto che nei confronti dell’anziano Rodolfo B., ritenuto nell’organizzazione il "vangelo" o "capo bastone" officiante i riti di affiliazione dei sodali, fosse applicata la custodia in carcere.

Contro la decisione del Tribunale di Lecco del giugno 2009 (l’organizzazione di matrice mafiosa agiva fra Lecco e Milano) la difesa di Rodolfo B. ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che il Tribunale non aveva motivato adeguatamente il perché del carcere per un uomo così anziano. In questo caso la Suprema Corte ha ammesso la superficialità di valutazione in quanto "il Tribunale nel ritenere presunte le esigenze cautelari ha tralasciato" di verificare se effettivamente "sussistessero le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza".

Gli "ermellini" sottolineano infatti che "per mantenere o adottare uno stato di custodia carceraria nei confronti di un soggetto ultra 70enne si rende necessaria la valutazione dell’esistenza di eventuali esigenze cautelari di particolare spessore e significanza processuali, pur se sussistano nei suoi confronti univoci indizi di colpevolezza o di reità".

Nel caso in questione la Cassazione ha rinviato la decisione sul punto al Tribunale di Lecco visto che il precedente giudizio ha omesso qualsiasi valutazione sulla natura delle esigenze cautelari nei confronti del 74enne Rodolfo B. Più in generale, però, la Suprema Corte riconosce che anche i soggetti ultra 70enni possono finire in carcere a condizione che, con specifica motivazione, si dia conto dell’esistenza di esigenze cautelari di intensità così elevata.

Giustizia: i famigliari di Cucchi; ucciso da chi lo doveva salvare

 

Ansa, 19 marzo 2010

 

Chi lo doveva salvare lo ha abbandonato, trascurato, dimenticato fino a farlo morire. Il giorno dopo le conclusioni della Commissione di inchiesta sul caso Cucchi, che ha decretato che il giovane morì di fame e sete, la famiglia e i legali del ragazzo romano, arrestato per droga e morto il 22 ottobre all’ospedale Pertini dopo una settimana di agonia, puntano il dito contro chi "aveva in custodia Stefano in ospedale". E stanno valutando di presentare un esposto alla Procura per omicidio volontario.

"Alla luce di quanto si evince dalla relazione della Commissione Parlamentare, dall’inchiesta condotta dal Dap e da quanto emerso nel corso delle indagini dal momento della morte ad oggi - spiega la sorella di Stefano,Ilaria - i nostri legali stanno valutando l’ipotesi di presentare un esposto alla Procura nei confronti di tutti coloro che hanno avuto in custodia Stefano al Pertini e che, pur accorgendosi della gravità delle sue condizioni, non sono intervenuti per salvargli la vita".

"La continua mancata assistenza e il contestuale isolamento hanno reso possibile, concretamente probabile e prevedibile il verificarsi della morte, di cui si è accettato il rischio, continuando a mantenere comportamenti omissivi e illeciti, come nel caso della Thyssenkrupp. In questo quadro - conclude la sorella di Stefano Cucchi - assumerebbe rilievo la pratica pantomimica della rianimazione di Stefano già morto da ore".

Ed l’avvocato Fabio Anselmo rileva che ora oltre al pestaggio si aggiunge un altro grave problema morire di fame e di sete in ospedale, in una situazione di isolamento illegittima perché il ragazzo stava male e aveva chiesto di parlare, come prevede la legge, col suo avvocato, è assurdo. E ricorda la lettera scritta dalla direzione sanitaria ad un giudice due giorni prima che Stefano morisse in cui si chiede il trasferimento in un’altra struttura. ‘Una lettera - conclude Anselmo - mai pervenuta al giudice e rimasta nel cassetto".

Protesta per la fuga di notizie l’avvocato Gaetano Scalise, difensore di Aldo Fierro, indagato per omicidio colposo e responsabile del reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini. La Commissione parlamentare ha fornito elementi alla stampa prima di depositare la relazione in Procura, ha dichiarato Scalise. Pronta la replica del presidente della commissione Ignazio Marino: "le notizie che circolano sulla stampa derivano dalla legittima veicolazione, da parte dei Commissari, dei contenuti della relazione conclusiva dell’inchiesta parlamentare". Per la morte di Stefano Cucchi il 13 novembre scorso sei persone ricevettero altrettanti avvisi di garanzia: tre agenti di polizia penitenziaria e tre medici dell’ospedale Sandro Pertini, i primi tre per omicidio preterintenzionale, i secondi per omicidio colposo. Il 16 dicembre altri tre medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma finirono sotto inchiesta, sempre per l’ipotesi di reato di omicidio colposo.

Giustizia: caso Lonzi; il 25 marzo nuova richiesta archiviazione

 

Apcom, 19 marzo 2010

 

Nuova udienza il 25 marzo e nuova richiesta di archiviazione da parte dei pm per il "caso Lonzi": lo rende noto Irene Testa, segretaria dell’associazione Radicale il Detenuto Ignoto, spiegando di essere stata informata della cosa da Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, il ragazzo che nel 2003 morì nel carcere Le Sughere di Livorno e sul cui corpo, ufficialmente deceduto per cause naturali, erano evidenti i segni di gravi lesioni e ferite sicuramente incompatibili con i motivi, arresto cardiaco cagionato da inalazione di gas butano, con cui "la magistratura al tempo liquidò il caso".

"In questi anni la signora Ciuffi non si è data pace - ricorda Testa - è riuscita a far riesumare la salma del figlio Marcello e a scoprire ciò che le precedenti perizie necroscopiche tacevano, tra le altre, la presenza di otto costole rotte e di un buco sulla testa profondo fino all’osso, ed è riuscita a far riaprire il caso già archiviato".

Ora la nuova richiesta di archiviazione: "Non so se e per quali motivi questi signori vogliano continuare a negare una verità che sembra inconfutabile - aggiunge Testa - che Marcello Lonzi sia stato ammazzato con la violenza durante la sua permanenza in carcere. Per questo, perché la magistratura e i pubblici ministeri titolari della vicenda possano operare guidati dal lume della giustizia e della legge anche in questo caso, dalla mezzanotte di oggi riprenderò - conclude - lo sciopero della fame precedentemente sospeso, in sostegno di ogni legittima speranza, che per Marcello Lonzi non sia di nuovo archiviata la verità".

Napoli: morto detenuto di 29 anni, era ricoverato al Cotugno

 

Il Velino, 19 marzo 2010

 

"Un detenuto italiano di 29 anni, ristretto nel "Centro Diagnostico Terapeutico" del carcere di Secondigliano è morto ieri all’Ospedale "Cotugno" di Napoli, dove era stato ricoverato il 13 marzo, quando le sue condizioni di salute si erano aggravate. Era nel "Centro Clinico" di Secondigliano dal 12 novembre 2009, trasferito da un altro carcere per ragioni sanitarie, ma la situazione clinica dell’uomo è progressivamente peggiorata. Già tre volte in tre mesi i responsabili del carcere ne avevano disposto il ricovero in ospedale e ogni volta i medici dell’ospedale lo rimandavano in carcere". Lo comunica l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere.

Mantova: Uil denuncia 225 detenuti ma dovrebbero essere 120

 

Il Velino, 19 marzo 2010

 

In data 17 marzo una delegazione della Uil, presieduta dal segretario nazionale Angelo Urso e da una delegazione regionale, ha visitato la casa circondariale di Mantova per verificare le condizioni di lavoro, d’igiene, sicurezza e salubrità del personale e degli ambienti di lavoro. "Immaginavo che l’istituto potesse presentare limiti dal punto di vista strutturale, dell’igiene e della salubrità, in quanto si tratta di un edificio vecchio ma, onestamente, pensavo di trovare condizioni migliori". Lo ha dichiarato Angelo Urso, componente della segreteria nazionale della Uil.

"La presenza di infiltrazioni è diffusa, la salubrità degli ambienti è precaria e le condizioni lavorative del personale sono proibitive. Mezzi, strumenti e apparecchiature di lavoro obsoleti, organico di Polizia penitenziaria, personale amministrativo contabile carente, carichi di lavoro insopportabili. Sono queste le conseguenze del sovraffollamento presente nell’istituto. A fronte di una capienza regolamentare di 120 detenuti e di una capienza tollerabile di 180 - prosegue il dirigente della Uil - attualmente sono ospitati all’interno dell’istituto 225 detenuti stipati all’interno di 42 celle".

Le condizioni detentive sono lesive della dignità umana e il sovraffollamento genera difficoltà anche nei semplici controlli all’interno delle camere, così come presenta limitazioni nei rapporti interpersonali che all’interno di un carcere sono essenziali per salvaguardare la sicurezza e il rispetto delle regole. Il nucleo traduzioni e piantonamenti, composto di soli 14 unità, deve far fronte alle esigenze connesse ai trasferimenti presso gli istituti e i palazzi di giustizia di 225 detenuti della casa circondariale e di 230 internati ricoverati presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere.

L’organico, i mezzi di trasporto e gli strumenti di lavoro sono assolutamente inadeguati rispetto alle esigenze al punto che i livelli minimi di sicurezza del servizio sono spesso violati. I tagli alla disponibilità di fondi rendono problematico anche il semplice approvvigionamento di carburante. La gestione del personale di Polizia penitenziaria all’interno dell’istituto presenta qualche perplessità dal punto di vista della distribuzione dei turni festivi, serali e notturni che non sembrano rispettare le previsioni contrattuali.

"Sul muro di cinta dell’istituto - ha riferito Urso - sono ancora presenti coperture di amianto che da tempo immemorabile attendono di essere rimosse, nonostante i numerosi sopralluoghi effettuati nel corso del tempo dalle autorità competenti. Nei prossimi giorni - conclude il dirigente Uil - trasmetterò una relazione dettagliata sugli esiti della visita al ministero e al provveditorato nella speranza che si possano in qualche modo affrontare le difficoltà riscontrate".

Roma: Antigone; a Rebibbia aperto uno Sportello per i Diritti

 

www.linkontro.info, 19 marzo 2010

 

La scorsa settimana, nel carcere romano di Rebibbia Nuovo complesso, è iniziato un andirivieni umano: piccoli gruppi di avvocati, esperti e volontari che incrociano detenuti e operatori in un’attività che abbiamo chiamato "Sportello per i diritti".

A quasi due anni dalla nascita del Difensore civico di Antigone, che settimanalmente ci fa intrattenere una fitta rete di corrispondenza con i detenuti, l’Amministrazione penitenziaria, i tribunali di sorveglianza, e ogni altra persona o istituzione interessata ai singoli casi che ci vengono proposti, la scorsa settimana, nel carcere romano di Rebibbia Nuovo complesso, è iniziato un andirivieni umano: piccoli gruppi di avvocati, esperti e volontari che incrociano detenuti e operatori in un’attività che abbiamo chiamato "Sportello per i diritti".

Certo, non siamo i primi e non saremo gli ultimi a misurarci con questa esperienza che è già di gruppi, volontari e istituzioni locali, ma riteniamo che sia di particolare valore farla partire in questo contesto, in un tempo in cui, soprattutto a causa del sovraffollamento, i diritti dei detenuti sono quasi mai garantiti, un tempo in cui quella particolare debolezza dei detenuti di fronte all’Amministrazione si fa più acuta e inabilitante. In questo tempo vanno rafforzati tutti gli strumenti di promozione e di tutela dei diritti: da quelli giurisdizionali a quelli dell’associazionismo e del volontariato, e tra essi, quell’opera di vertenza e mediazione che vorrebbe caratterizzare il Difensore civico da noi promosso.

L’idea del progetto è rivolta direttamente alle persone detenute non soltanto in quanto fruitori del servizio, ma anche - per alcuni - come partner della sua esecuzione: in accordo con la Direzione dell’Istituto, infatti, sono entrati a far parte del gruppo di lavoro alcuni detenuti, tra scrivani, bibliotecari e iscritti alla facoltà di giurisprudenza, insomma: i più esposti alle domande dei loro compagni.

Dopo alcuni incontri chiarificatori, lo scorso venerdì ci siamo incontrati tutti nella biblioteca del carcere per un breve briefing prima di entrare nei reparti. Gli "operatori interni" ci sommergono di riflessioni precise e dettagliate "sul sistema": cosa non funziona del passaggio al servizio sanitario nazionale, i casi di detenuti anziani, le inottemperanze del magistrato di sorveglianza. Noi prendiamo appunti e tentiamo di dare risposte o quantomeno ci addentriamo nel cercare soluzioni.

Poi, nei reparti, i detenuti che si presentano ci raccontano di quello che vedono e di quello che soffrono: sono interessati a capire chi siamo e soprattutto cosa possiamo fare per loro, per se stessi e per quello che ha il corpo ricoperto da un eczema che non gli permette più di dormire. Tutto ciò mentre il Senato, a più di dieci anni dalla presentazione del primo disegno di legge per il Difensore civico dei detenuti, derubrica l’istituzione del Garante nazionale dei detenuti: tanto ci sono quelli regionali.

Messina: Uil-Pa, propone riconversione dell’Opg di Barcellona

 

www.tempostretto.it, 19 marzo 2010

 

Il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno: "Bisogna trasformare la struttura in sezione detenuti comuni al fine di sgravare le altre strutture carcerarie".

"Una struttura assolutamente funzionale e funzionante che necessita certo della ristrutturazione di alcuni reparti ma che ben risponde alle esigenze delle strutture carcerarie presenti sul territorio messinese, affette da un ormai cronico sovraffollamento." Questo il commento del segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno che ha visitato, insieme al segretario nazionale Armando Algozzino e al segretario regionale Francesco Barresi, all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona dove, nella sala conferenze della vecchia stazione, nel pomeriggio si è tenuta una tavola rotonda relativa al futuro del personale di Polizia Penitenziaria e del personale del Comparto Ministeri del Ministero della Giustizia a seguito della sanitarizzazione della struttura.

"Il superamento degli Opg e il relativo passaggio alla sanità regionale in attuazione del decreto del Dpcm del 1 aprile 2008 - spiega Sarno - è un progetto senza dubbio intelligente che prevede l’ospedalizzazione per tutti quei soggetti, prosciolti perché dichiarati incapaci di intendere e di volere, ma socialmente pericolosi. Esso però presenta senza dubbio dei limiti oggettivi relativi al futuro quanto del personale quanto delle strutture. Ecco perché la Uil rivolge un pressante appello a tutti gli organi preposti e soprattutto agli enti locali perché si dia nuovo slancio alla struttura, in considerazione anche del fatto che il passaggio, non ancora avvenuto per la mancata recezione del provvedimento da parte della Regione Sicilia, apre ampi e molteplici scenari".

"La Uil - prosegue Sarno - già dal 1999 sostiene la riconversione di parte della struttura in sezione detenuti comuni al fine di sgravare le sovraffollate strutture di Gazzi e Mistretta e, ancor più, al fine di rispondere alle esigenze della procura di Barcellona e della vicina Patti e Mistretta. Oggi, a undici anni da quella prima ipotesi e in considerazione di un piano carceri da 1 miliardo e mezzo di euro, la Uil rilancia e, considerando gli ampi spazi liberi annessi alla struttura propone la costruzione della seconda casa circondariale all’interno delle aree dell’Opg di Barcellona. Un treno che non possiamo permetterci di perdere anche in considerazione della situazione economica in cui versa il comprensorio del Longano".

Agrigento: detenuto in sciopero di fame, chiede cure sanitarie

 

Ansa, 19 marzo 2010

 

Angelo Iacono, 37 anni, di Catania, detenuto al carcere Petrusa di Agrigento per una condanna per mafia che finirà di scontare nel 2013, da tre settimane sta facendo lo sciopero della fame. Secondo Iacono, assistito dal legale Vita Maria Mazza, la direzione del carcere gli impedirebbe di curarsi per bene. Iacono soffre di problemi di deambulazione e di altre patologie. Per consentirgli l’ora d’aria, il dirigente sanitario della struttura penitenziaria gli ha consegnato le stampelle. Secondo il detenuto però il magistrato del tribunale di sorveglianza, che aveva rigettato la concessione di una misura alternativa al carcere, aveva imposto alla struttura carceraria di predisporre terapie farmacologiche e interventi chirurgici in ambito penitenziario.

Cagliari: morto per overdose, sotto accusa il compagno di cella

 

L’Unione Sarda, 19 marzo 2010

 

"Quando entrai nella cella non dava segni di vita, notai della bava che gli usciva dalla bocca". Con la deposizione di uno degli agenti penitenziari che per primi entrarono nella cella di Roberto Grimaldi, il detenuto morto per overdose il 12 giugno 2005 a Buoncammino, è iniziato ieri davanti al Tribunale di Cagliari il processo a carico di Stefano Medde, 41 anni cagliaritano, accusato di morte derivante da altro reato, cessione di droga e omissione di soccorso. All’epoca dei fatti l’imputato, difeso dagli avvocati Denise Mirasole e Leonardo Filippi, divideva la cella con la vittima e, stando all’ipotesi del pm Gaetano Porcu, fu proprio lui a consegnare a Grimaldi la dose letale di eroina.

La svolta nell’inchiesta era arrivata grazie a una microspia piazzata nella sala colloqui del carcere. Gli inquirenti sentirono così Davide Aramini, uno dei compagni di cella di Grimaldi (i cui familiari sono tutelati dall’avvocato Antonio Curcu), confidare alla moglie che la vittima aveva "usato una cosa potente e che Stefano era fatto come un maiale".

Da qui la ricostruzione: l’imputato aveva diviso l’eroina con Grimaldi che si era subito sentito male. Ma gli agenti erano stati avvisati solo al mattino perché Medde sarebbe dovuto uscire dopo due giorni e, se fosse saltata fuori la storia della droga, non sarebbe stato più scarcerato. Intercettazioni di cui la difesa ha però chiesto l’inutilizzabilità, visto che furono disposte quando il fascicolo era ancora iscritto come omicidio colposo. I giudici si pronunceranno sulla questione il 15 aprile.

Lucca: incontro volontariato per discutere problemi di carcere

 

www.loschermo.it, 19 marzo 2010

 

Il Gruppo Volontari Carcere di Lucca, associazione di volontariato che da quasi trenta anni opera sul nostro territorio nell’ambito del carcere e dell’area penale esterna, continua l’azione di proposta, agli enti pubblici e alla cittadinanza, dei temi del carcere e della pena quali ambiti di discussione e di riflessione Sempre più si parla del carcere sull’onda di notizie, di proclami, di fatti di cronaca. Da anni e ormai quotidianamente si parla di emergenza carcere e del sovraffollamento delle carceri.

Il carcere e la pena rappresentano in primo luogo una realtà quotidiana che coinvolge oggi decine di migliaia di persone,cittadini italiani e stranieri, alcune centinaia solo nella nostra città e, quasi sempre, persone con problemi di dipendenza, psichiatrici, economici, di permesso di soggiorno.

"Vi sono riflessioni urgenti da proporre - scrivono i volontari -. In particolare vorremmo aprire percorsi sul tema della rieducazione della pena, del rispetto della dignità , della umanità richiamandoci agli art. 27, 2 e 3 della Costituzione e ricercandone le declinazioni concrete e le ricadute sulla quotidianità carceraria. Vorremmo così superare la certezza apparente e falsamente rassicurante di un carcere inteso soltanto come sicurezza, a favore di un carcere in cui la sicurezza si raggiunga attraverso la responsabilizzazione e il recupero graduale della libertà. E quella gradualità richiede l’applicazione di un altro principio costituzionale fondamentale, quello di sussidiarietà ,introdotto esplicitamente dall’art. 118 della Costituzione, nel testo vigente : sia la sussidiarietà verticale e istituzionale, unitamente alla differenziazione e adeguatezza, con il coinvolgimento degli enti locali e delle regioni; sia quella orizzontale e sociale, con il coinvolgimento del terzo settore e del volontariato.

La sussidiarietà nella sua duplice articolazione istituzionale e sociale, è indispensabile per realizzare un quadro effettivo ed efficace di misure alternative ed un una loro accessibilità a tutti: anche ai clandestini ed agli emarginati senza famiglia e senza protezione. Ecco perché - a me sembra - il volontariato deve porre con forza la propria posizione, il proprio compito, il proprio diritto ad attuare concretamente l’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione ("l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà").

D’altra parte, la necessità di un ricorso più ampio alle misure alternative, è ampiamente e concretamente dimostrata dalle percentuali di recidiva di chi fra i detenuti gode di misure alternative (il 19%) e di chi invece no (il 68%), percentuali che dovrebbero indurre anche a modificare in misura significativa il rapporto fra lo stanziamento di risorse nel bilancio dell’amministrazione penitenziaria, attualmente destinate per il 95% alla reclusione e soltanto per il 5% alle misure alternative.

Nel mese di dicembre 2009 abbiamo lanciato in questo spirito l’iniziativa "Il Gruppo incontra le istituzioni locali", pensata come una serie di serate presso la Casa San Francesco di Lucca nel corso delle quali incontrare, di volta in volta, i rappresentanti degli enti locali, i volontari, i cittadini, con l’obiettivo di porre loro domande sui temi del carcere e della pena e di rivitalizzare una collaborazione ultra decennale ma che necessita di nuovo rilancio.

Il primo incontro, ricco di spunti interessanti, ha visto la partecipazione del Comune di Lucca nella persona del Sindaco e dei referenti delle Politiche sociali ed il secondo ha visto la partecipazione del Presidente della Provincia e dei referenti delle Politiche Sociali, del Centro Impiego e del Servizio Lavoro da cui è anche nata l’iniziativa di costituzione di un tavolo stabile di collaborazione. Entreremo nel vivo delle specifiche tematiche sul carcere nell’incontro programmato per il prossimo 22 marzo 2010 ore 17,00 sempre presso la Casa San Francesco, Piazza S. Francesco 19, Lucca".

Sono invitati per l’occasione il Direttore del Carcere di S. Giorgio Dott. Francesco Ruello, il Magistrato di Sorveglianza di Pisa Dottoressa Del Rosso Dania, il Comandante del Carcere di S. Giorgio, Dottoressa Rosa Ciraci, gli educatori del Carcere di S. Giorgio, Sig. Angelo De Lellis e Signora Nicoletta Monghini, la Dott.ssa Patrizia Truscello Responsabile U.E.P.E Lucca, il Cappellano del Carcere di S. Giorgio Don Giuseppe Giordano. Sarà altre sì ospite molto gradito per l’Arcidiocesi di Lucca, il Vicario Mons. Michelangelo Giannotti. L’incontro si concluderà intorno alle 20 con un piccolo aperitivo.

Siena: 3 detenuti al lavoro per il Palio con contrada del Nicchio

 

Ansa, 19 marzo 2010

 

Dal prossimo 22 marzo tre detenuti del carcere di Santo Spirito di Siena saranno impiegati nei lavori di ristrutturazione dei locali della Contrada del Nicchio, a Siena. L’iniziativa, la prima di questo tipo, rientra nelle misure di reinserimento adottate dalla casa circondariale.

Il Nicchio, già attivo nel sociale con un centro per anziani e un gruppo di donatori di sangue, ha la propria sede a poche decine di metri dal carcere, dove già dagli anni ‘60 mandava salami e fiaschi di vino per celebrare le proprie vittorie del Palio. "Credo fermamente alla riabilitazione dell’essere umano", ha osservato Annamaria Visone, direttrice del carcere, di origine napoletana ma contradaiola "battezzata" nel Nicchio undici anni fa. Sotto la sua direzione sono stati istituiti in carcere, oltre a corsi professionali e corsi di lingua per stranieri, anche laboratori di teatro, di arte e ceramica, spettacoli e mostre delle opere dei detenuti, l’ultima delle quali lo scorso gennaio.

"Le tre persone - ha aggiunto - sono state scelte secondo il criterio della buona condotta, anche in base alla partecipazione alle attività ricreative, culturali e sportive, necessarie per il reinserimento all’esterno". Si tratta di un marocchino, di un albanese in Italia da oltre venti anni e di un italiano, tutti residenti tra Siena e Poggibonsi, di età compresa tra i 30 e i 42 anni, tutti ex muratori o ex manovali.

"Il numero di detenuti - ha proseguito - cui sarà data l’opportunità di lavorare all’esterno del carcere crescerà sicuramente. Intanto cominciamo questa collaborazione in via sperimentale. L’intenzione è di stilare una convenzione, continuando la collaborazione con l’inserimento di un altro paio di detenuti per proseguire le opere di manutenzione anche nelle aree verdi della contrada, per le quali all’interno del nostro istituto abbiamo già tenuto corsi professionali". L’uscita dal carcere, i primi tempi con la scorta per abituarsi alle persone e agli ambienti, è prevista la mattina dalle 8 alle 11.30 e poi di nuovo dalle 13 alle 16, per circa sei ore lavorative retribuite al giorno. "I pregiudizi sono tanti - conclude Paolo Neri, priore della Contrada del Nicchio - ed è questo l’atto di coraggio, conoscendo la psicologia delle persone: la contrada è un ambiente particolare. Ma i pregiudizi mi piace sfidarli".

Cinema: "Il profeta"; è un "romanzo di formazione" in carcere

di Lietta Tornabuoni

 

Panorama, 19 marzo 2010

 

Il profeta, di Jacques Audiard, con Tahar Rahim, Niels Arestrup.

Ne "Il profeta" del francese Jacques Audiard c’è la storia di un giovane uomo che entra in carcere e non è nessuno. Il suo percorso di prigioniero, dalla inerme fragilità alla conquista del "potere", è impressionante.

In un film di rara intelligenza e potenza, un carcere francese e un detenuto come non s’erano mai visti. Il carcere è sonnolento, inerte, con la sua popolazione divisa in gruppo etnici (gli arabi, i corsi), senza le solite violenze e sopraffazioni, senza giovani sodomizzati alle docce né vecchi con la gola tagliata: a parte i secondini servili, una sorta di limbo addormentato. Il nuovo detenuto è un ragazzo nordafricano analfabeta, condannato a sei anni: il suo percorso di prigioniero, dalla inerme fragilità al potere, somiglia a una fortunata carriera libera in modo impressionante.

"Il profeta" è naturalmente un titolo sardonico. Quando entra in prigione, il ragazzo arabo non è nessuno, non appartiene a niente e nessuno; quando esce ha un potere che in libertà non avrebbe mai raggiunto, e questo è il paradosso. Appena arrivato impara a leggere e a scrivere, si impadronisce di molte nozioni, contemporaneamente non trascura la forma fisica. Sa d’essere troppo debole per non mettersi al servizio del più forte; il boss corso Niels Arestrup gli affida compiti anche atroci, compreso un assassinio in cella con una lametta alla gola che fa sprizzare alte colonne di sangue. Più tardi, quando il ragazzo può uscire per andare a lavorare, il boss gli dà incarichi che lo introducono nell’attività criminale del gruppo. All’uscita di prigione, lo aspettano tre automobili nere: il ragazzo le allontana con un cenno, va in città coi mezzi pubblici insieme con una giovane donna e il bambino di lei. Sarà certo un buon padre. Il protagonista Tahar Rahim è bravissimo, diretto benissimo. Il film, lontano da ogni luogo comune e molto efficace, dai Césars è stato riconosciuto (nove premi) come il migliore dell’anno in Francia: ed è proprio così.

Albania: Grasso (Dna) discute per rimpatrio detenuti albanesi

 

Agi, 19 marzo 2010

 

Visita oggi a Tirana del Procuratore Nazionale Antimafia italiano Piero Grasso per incontrare il Procuratore generale albanese Ina Rama. Nel corso dell’incontro si è sottolineata la necessità di rafforzare i contatti diretti tra la Procura generale albanese e la procura antimafia italiana con l’obiettivo di approfondire la cooperazione tra le due istituzione nella lotta comune contro la criminalità organizzata e i traffici illeciti. In particolare è stata discussa la questione del trasferimento in Albania dei detenuti albanesi che scontano condanne nelle carceri italiane e il riconoscimento delle condanni penali dello Stato italiano che riguardano cittadini albanesi. L’accordo sottoscritto nel dicembre 2007 tra i due governi non ha trovato ancora applicazione da parte albanese.

"I nostri rapporti - ha affermato Grasso - sono di tale livello che non vanno ostacolati dalle procedure burocratiche". Secondo il procuratore nazionale antimafia, in attesa della ratifica "si sta procedendo con il riconoscimento in Albania delle sentenze definitive delle corti italiane". Parlando della criminalità albanese in Italia, Grasso spiega che le organizzazioni degli albanesi, strutturate in base ai legami familiari, sono presenti in tutti i tipi di traffici.

"Al sud operano in rapporti di scambi e servizi con le organizzazioni italiane, dalla camorra alla ‘ndrangheta o a Cosa Nostra. Nel centro-nord d’Italia invece sono autonomi", afferma Grasso. Secondo il procuratore antimafia "oggi grosse organizzazioni italiane si servono degli albanesi che in futuro potrebbero prenderne la direzione, inserendosi in maniera esclusiva nel mercato" dei traffici illeciti.

Stati Uniti: pena di morte "giustiziato" un 31enne nella Virginia 

 

Ansa, 19 marzo 2010

 

Paul Warner Powell, trentunenne bianco, è stato messo a morte sulla sedia elettrica del carcere di Greensville, in Virginia. Nel 1999 uccise a coltellate una ragazzina di sedici anni. Quindi lo stesso giorno violentò e tentò di ammazzare un’altra ragazzina ancora più piccola, di appena quattordici anni. Credendola morta la lasciò esanime e fuggì. La ragazzina invece era solo svenuta. Una volta ripresa, riuscì a testimoniare e a assicurare Powell alla giustizia.

Si tratta del condannato a morte numero 106 dello stato della Virginia, dal 1976, l’anno in cui è stata reinserita la pena di morte negli Stati Uniti. Al momento ci sono 13 detenuti nel braccio della morte in attesa del boia.

Stati Uniti: Madoff picchiato in prigione, doveva soldi a detenuto

 

Apcom, 19 marzo 2010

 

Le autorità del carcere negano tutto, ma tre testimoni, in galera per traffico di droga, giurano che Bernie Madoff è stato picchiato da un altro detenuto. È’ successo lo scorso dicembre. Naso rotto, e altre ferite al volto, l’ex finanziare venne trasferito nel centro medico della prigione di Butner, in Nord Carolina, dove sta scontando l’ergastolo. Il primo resoconto: si era sentito male, alta pressione e tachicardia.

Adesso tre testimoni raccontano al Wall Street Journal un’altra storia. Madoff, 71 anni, è stato aggredito da un altro detenuto. Un uomo "corpulento", cintura nera di Judo, con un passato da trafficante di droga. Anche lui sosteneva di essere finito nello schema Ponzi organizzato da Madoff. Le autorità del carcere non hanno confermato. "Non abbiamo informazioni che confermino l’aggressione", ha detto Denise Simmons, portavoce della prigione". E anche Madoff, attraverso il suo avvocato, aveva detto a dicembre di essersi sentito male, senza nessun riferimento ad una aggressione.

 

 

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