Rassegna stampa 8 gennaio

 

Giustizia: quattro suicidi in sette giorni, così si è aperto il 2010

 

Redattore Sociale, 8 gennaio 2009

 

Ieri, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, si sono tolti la vita due uomini, detenuti rispettivamente nel carcere di Sulmona e in quello di Verona.

Quattro suicidi in soli sette giorni, si apre così il 2010 nei penitenziari italiani. E nella giornata di ieri, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, si sono tolti la vita due uomini, detenuti rispettivamente nel carcere di Sulmona e in quello di Verona. Il primo a morire, intorno alle 19.00, è Antonio Tammaro, 28enne ristretto nel carcere di Sulmona. L’uomo era detenuto nella parte dell’istituto adibita a "Casa di Lavoro", quindi non stava scontando una pena per aver commesso reati, ma era sottoposto ad una "misura di sicurezza", in quanto ritenuto socialmente pericoloso. Tammaro, che occupava una cella da solo, era tornato in carcere mercoledì dopo un permesso premio. Si è impiccato, legando le lenzuola alla grata della sua cella. Il carcere di Sulmona ha registrato negli ultimi cinque anni ben otto suicidi.

Poco prima della mezzanotte di giovedì sette gennaio, nel carcere di Verona, si è ucciso Giacomo Attolini, 49 anni: si è impiccato utilizzando una maglietta legata alle sbarre della finestra del bagno in cella. Negli ultimi 5 anni questo è terzo suicidio che avviene nel carcere di Verona, mentre sono morti in totale 8 detenuti. La notizia dei due decessi è stata diffusa dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere (cui aderiscono i Radicali, le associazioni "Il detenuto ignoto", "Antigone", "A buon diritto", "Radiocarcere" e "Ristretti Orizzonti").

Una serie di decessi che ha provocato la reazione di Luigi Manconi, presidente dell’associazione "A buon diritto", già sottosegretario alla Giustizia. Il silenzio del ministro della Giustizia Angelino Alfano e del capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, è "indecente", attacca. "Ministro e responsabili dell’amministrazione continuano a tacere, incapaci anche solo di indicare misure e politiche, in grado di fermare questa strage".

"In appena sette giorni si sono tolti la vita quattro detenuti - continua. È un ritmo tragico, che minaccia di ripetere e sopravanzare il cupo record dell’anno scorso, quando si sono verificati ben 72 suicidi: la cifra più alta dell’intera storia penitenziaria della repubblica". Donato Capece, segretario nazionale del Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) punta il dito sul sovraffollamento: "Avete idea di quanti tentativi di suicidio ci sono ogni giorno in tutti gli istituti, che noi agenti della Polizia penitenziaria sventiamo? Questo è il frutto del sovraffollamento e delle tensioni interne. Un carcere così non esiste, è superato".

Giustizia: Pd; emergenza umanitaria, governo non resti inerte

 

Apcom, 8 gennaio 2009

 

"Nelle carceri italiane siamo ampiamente oltre la soglia di massima tolleranza. Il livello di sovraffollamento sta determinando una situazione in grado di compromettere la sicurezza del paese. Il governo non può restare inerte davanti a questa vera e propria emergenza umanitaria in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti". E’ scritto nelle premesse della mozione parlamentare che il Partito democratico ha presentato questa mattina alla Camera.

Il testo è firmato dal presidente dei deputati democratici, Dario Franceschini, dall’intero ufficio di presidenza, dalla capogruppo in commissione Giustizia, Donatella Ferranti, dal responsabile del settore, Andrea Orlando, e tutti i componenti della commissione Giustizia. Il Pd, si legge nella mozione, impegna il Governo ad "affrontare concretamente la grave emergenza del sovraffollamento degli istituti di pena ponendo particolare attenzione alle condizioni di vita dei detenuti, allo stato dell’edilizia penitenziaria, agli spazi detentivi e a quelli comuni. Ma anche per chiedere di ampliare la tipologia delle misure alternative alla pena detentiva in favore di quelle specificatamente supportate da progetti professionalmente strutturati volti al reinserimento sociale". E poi "a verificare l’adeguatezza della popolazione carceraria in proporzione alle piante organiche del personale di polizia penitenziaria, degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi’. E ancora, "a risolvere le disfunzioni della sanità penitenziaria e ad affrontare le cause dell’elevato numero di morti e di suicidi ed in fenomeni di autolesionismo e violenza".

"La mozione - conclude la nota del Pd - che prende spunto dalle parole del Presidente della Repubblica che nel suo discorso di fine anno ha ricordato i detenuti parlando di carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi e di certo non si rieduca".

Giustizia: Ferrante (Pd); è "allarme suicidi" ma il governo tace

 

Il Velino, 8 gennaio 2009

 

"In questi primi otto giorni dell’anno sono già quattro le morti per suicidio nelle carceri italiane. Cagliari, Bari, Verona e da ultimo il tristemente noto carcere di Sulmona, da nord a sud drammaticamente si susseguono i suicidi negli istituti penitenziari del nostro Paese nel completo silenzio del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, del capo dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta e del premier Berlusconi, cui rivolgo per la terza volta un’interrogazione parlamentare in merito".

Lo dice il senatore del Partito democratico Francesco Ferrante. "Il suicidio di un detenuto nel carcere di Sulmona - continua Ferrante - assume una valenza del tutto particolare, alla luce della inquietante nomea dell’istituto conosciuto alle cronache come il carcere dei suicidi: dieci, in quindici anni, fra i quali anche quello della direttrice del penitenziario Armida Miserere, che si tolse la vita il 19 aprile del 2003 sparandosi un colpo di pistola alla testa, e quello del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, trovato nella sua cella il 16 agosto del 2004 soffocato da un sacchetto di plastica stretto alla gola da lacci per le scarpe.

Anche il suicidio di ieri è avvenuto con un’impiccagione tramite i lacci delle calzature, per cui mi auguro che il lavoro di indagine del vice questore faccia piena luce e venga predisposta una accurata indagine interna sulla vicenda. Mi chiedo - prosegue Ferrante - quanti suicidi ancora devono avvenire affinché il Presidente del Consiglio dei Ministri si decida a venire in Parlamento a riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere e nei Cie in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette".

Giustizia: Manconi; aumento suicidi, indecente silenzio Alfano

 

Agi, 8 gennaio 2009

 

"In appena sette giorni, nelle carceri italiane si sono tolti la vita quattro detenuti. È un ritmo tragico, che minaccia di ripetere e sopravanzare il cupo record dell’anno scorso, quando si sono verificati ben 72 suicidi: la cifra più alta dell’intera storia penitenziaria della Repubblica". Ad affermarlo è Luigi Manconi, presidente di "A Buon Diritto", già sottosegretario alla Giustizia, che giudica "a dir poco indecente il silenzio del ministro della Giustizia Angelino Alfano e del capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta".

Per Manconi, "il sovraffollamento, che ha raggiunto livelli intollerabili, ha un ruolo determinante nell’indurre a queste scelte estreme: e se è vero che ogni suicidio è una storia a sé e tutti i suicidi hanno molteplici cause, va considerato un dato assai preoccupante. Ovvero il fatto che in ben tre casi su quattro la modalità scelta dai suicidi sia stata l’impiccagione: il che segnala un pericoloso fenomeno di emulazione. Su tutto ciò, a partire dal dato generale (in carcere ci si uccide 17 volte più di quanto si faccia fuori dal carcere), ministro e responsabili dell’amministrazione continuano a tacere, incapaci anche solo di indicare misure e politiche, in grado di fermare questa strage".

Giustizia: Testa (il Detenuto ignoto); basta con strage continua

 

Ansa, 8 gennaio 2009

 

"Basta strage continua, il 2010 sia l’anno delle riforme agognate". Lo dice Irene Testa, segretario dell’Associazione il Detenuto Ignoto ed esponente della giunta nazionale di Radicali Italiani, a proposito dei quattro suicidi di detenuti dall’inizio dell’anno. "Se il ministro Alfano e il Governo intendono perseverare nell’immobilismo e nell’indifferenza, aggravati da episodici quanto inconsistenti annunci di attenzione verso gli istituti di pena" la lista dei suicidi si allungherà, sottolinea Testa.

L’Associazione il Detenuto Ignoto sarà presente davanti a Montecitorio martedì prossimo, 12 gennaio, dalle 10 alle 13, "per dare il suo sostegno dall’esterno del Palazzo al proficuo svolgimento della discussione della mozione radicale, a prima firma della deputata Rita Bernardini, in materia di carceri prevista alla Camera per quella data". E’ una occasione - sottolinea il segretario dell’associazione - "per instaurare un nuovo corso, che possa costituire perlomeno l’inizio dell’uscita del Paese da quel buco nero di illegalità e di inumanità rappresentato oggi dai nostri istituti di pena".

Giustizia: Osapp; 4 suicidi nel 2010 è molto più che emergenza

 

Il Velino, 8 gennaio 2009

 

"Avevamo già detto che il 2010 sarebbe stato peggio del 2009 per il sistema penitenziario in generale e per le morti in carcere in particolare e, purtroppo, siamo stati una facile Cassandra. Anche per come vengono trattati dal capo dell’amministrazione penitenziaria Ionta e dal ministro della Giustizia Alfano i nostri continui appelli".

Ad affermarlo è il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci. "Quattro suicidi in carcere in otto giorni di cui l’ultimo oggi a Verona con modalità già verificatesi nello stesso istituto, e ieri l’ennesimo a Sulmona, sarebbero troppi persino per un carcere ai tempi dello Spielberg di Silvio Pellico e come Polizia Penitenziaria, ovvero tutori della legalità negli istituti penitenziari, non possiamo assolutamente accettare tutto questo in silenzio - prosegue il segretario dell’Osapp -.

Avevamo chiesto al Ministro Alfano, di cui abbiamo apprezzato l’intervento ieri a Reggio Calabria dopo l’attentato alla Procura Generale, di occuparsi seriamente e con provvedimenti ad hoc di sistema penitenziario oltre che di sistema giudiziario, ma fino ad oggi non è cambiato nulla come se la presenza a Capo del Dap di Franco Ionta impedisse al Ministro di intervenire adeguatamente e le promesse dello stesso Guardasigilli a dicembre, al salone della giustizia di Rimini, di 2.000 poliziotti penitenziari in più per il 2010 suonano oramai come un’amara beffa, visto che di tale provvedimento non c’è traccia nella nuova legge finanziaria.

Quindi, abbiamo oggi in Italia un carcere in cui non sono assicurati i valori essenziali della dignità umana, che non reinserisce nella società civile cittadini recuperati e produttivi e dove, anzi, per sovraffollamento e promiscuità, le associazioni criminali prosperano e acquisiscono nuovi adepti, mentre i Poliziotti penitenziari, oltre ad accollarsi responsabilità non proprie per il degrado esistente, sono ogni giorno di meno e non possono più prevenire alcuna forma di violenza - incalza il sindacalista.

Nel contempo a gestire in questo modo le carceri italiane e ad inibire qualsiasi possibilità di miglioramento abbiamo un Capo del Dap a 400mila euro l’anno di indennità aggiuntiva oltre lo stipendio ed un esercito di dirigenti e dirigenti generali analogamente ben remunerati e che non appartengono alla Polizia Penitenziaria che pure continuano a comandare".

Giustizia: Sappe, aumento di suicidi frutto del sovraffollamento

 

Agi, 8 gennaio 2009

 

"Avete idea di quanti tentativi di suicidio ci sono ogni giorno in tutti gli istituti, che noi della Polizia Penitenziaria sventiamo? Questo è il frutto del sovraffollamento e delle tensioni interne. Un carcere così non esiste, è superato. Va rivista l’istituzione, creando le opportunità di recupero e potenziando la Polizia Penitenziaria, che è l’unica garante dell’incolumità fisica dei reclusi".

Così ai microfoni di CNRmedia Donato Capece, segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, commenta il quarto suicidio di un recluso nel 2010, avvenuto questa mattina a Verona. "Viviamo un’emergenza che è ormai quotidiana, perché col fatto che ogni mese arrivano fra i 1.000 e i 1.600 detenuti, per qualsiasi reato, anche per quelli che non creano tensione sociale, si sta creando una pattumiera in cui si butta di tutto. Questo non è utile all’istituzione, perché il carcere secondo l’art. 27 della Costituzione deve restituire alla società un cittadino risocializzato e recuperato".

Giustizia: Letta (Pd); su morte Cucchi, "verità e responsabilità"

 

Adnkronos, 8 gennaio 2009

 

Il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, ricordando l’auspicio del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che il 2010 sia "l’anno del dialogo sui grandi temi che riguardano il futuro dell’Italia", scrive al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi una lettera, pubblicata su ‘L’Unità per riportare l’attenzione del premier sul caso Cucchi. Il giovane arrestato il 15 ottobre scorso e morto, poi, nel padiglione detenuti dell’ospedale Pertini di Roma per cause ancora da chiarire.

"Ritengo che il nuovo anno non possa cominciare senza elementi di chiarezza sul caso - scrive Letta - Al di là dell’accertamento delle cause del decesso, per il quale confidiamo nell’operato della magistratura, sono convinto che tutti noi abbiamo una sola, altissima, responsabilità. Quella di spingere affinché si possa scoprire come è stato possibile, in una democrazia avanzata, che un giovane di trent’anni sia entrato, vivo, in una prigione e sia uscito, morto, da un ospedale. Senza spiegazioni. Nel silenzio ostinato e arrogante di funzionari pubblici. Nell’omertà- prosegue - di chi sa e non parla.

Nell’indifferenza della politica che, consumatosi il clamore delle prime ore, pare sorda agli appelli della famiglia, la quale nel rispetto delle istituzioni e con grande compostezza e rigore chiede solo verità e giustizia".

"La giustizia per un ragazzo che, qualunque reato avesse commesso, non doveva morire così. Invece quella vita è stata spezzata - scrive ancora Letta - Ed è sconcertante che non si sia in grado ancora di ricostruire la catena delle responsabilità. Quale fiducia nelle istituzioni possiamo istillare nei cittadini? Che tipo di società vogliamo costruire se non siamo nelle condizioni di assicurare a tutti i più elementari diritti civili?" Letta chiude la lettera invitando nuovamente Berlusconi ad impegnarsi "in prima persona a sostenere l’accertamento della verità sulla vicenda dolorosa di una famiglia normale. Le chiedo di ripartire da qui: dalla verità e dalla responsabilità".

Lettere: ma quale reinserimento sociale se fuori c’è il deserto?

di Fiorentina Barbieri e Irene Salvi

 

www.linkontro.info, 8 gennaio 2009

 

Tempo fa un insegnante volle segnalarci l’opinione di un suo studente sul mondo del carcere: diceva che se i detenuti sono trattati umanamente, lavoro, scuola, ecc., quando escono, sono "meno cattivi". Se però in carcere subiscono ulteriori umiliazioni e se dopo, come ex detenuti, non riescono a trovare lavoro, è facile che tornino a delinquere: cattivi, di nuovo - diceva il ragazzo. Effettivamente in tutti i documenti di settore, ufficiali e non, il reinserimento al termine della pena è riportato come strumento necessario, da realizzare congiuntamente alle altre ineludibili riforme.

I.C. è moldavo, è detenuto da quattro anni e mezzo e ama le piante. In questi anni ha ripreso gli studi e ha seguito un corso di floricoltura. Ha finito di scontare la sua pena, ci scrive che uscirà dal carcere fra meno di un mese e potrà tornare nel mondo per ricostruire la sua vita, in teoria. In pratica teme che una volta fuori, solo, in un paese che non è il suo, in cui - ci dice - non ha famiglia, né amici, né danaro e null’altro che una fedina penale compromessa (per non parlare del suo status, che si avvia a diventare quello di clandestino), finirà per seguire il percorso più prevedibile e tornerà a commettere reati, per mancanza di alternative che gli garantiscano la sopravvivenza.

In un paese che ha incluso fra i propri principi costituzionali fondamentali la natura rieducativa della pena (art. 27) appare del resto inaccettabile che manchino norme adeguate per favorire percorsi di reinserimento lavorativo degli ex detenuti. Non sembra infatti che lo Stato, non certo in questo momento, sia disponibile a farsi carico di un compito che generalmente lascia al mondo della Chiesa o alle associazioni, perennemente a corto di fondi: entrambi, in assenza di un coordinamento di sistema, spesso finiscono per affrontare i problemi con metodi di tipo assistenzialistico, perlopiù nell’indifferenza generale o peggio, mentre è la sicurezza di un lavoro, un diritto anch’esso costituzionalmente garantito, che costituisce il primo, imprescindibile strumento di autodeterminazione e di riscatto per chi si trovi a dover ripartire da zero.

La questione non attiene del resto alla sfera dei buoni sentimenti: rendere gli uomini e le donne che escono dal carcere in grado di provvedere a sé stessi e alle famiglie togliere loro la necessità di ricorrere di nuovo all’illegalità per sopravvivere costituisce prevenzione, la più efficace, qualcosa che conviene a tutti. E se per tutti gli ex detenuti c’è difficoltà a trovare percorsi virtuosi, per gli stranieri che difficilmente hanno riferimenti sul territorio è quasi impossibile accedere a programmi di recupero e di reinserimento degni di questo nome.

I.C., moldavo, è già libero. Ma adesso, pover’uomo?

Basilicata: programma interventi su inclusione sociale detenuti

 

Asca, 8 gennaio 2009

 

La Giunta Regionale della Basilicata ha approvato "Linee di intervento per l’inclusione sociale e lavorativa di soggetti, adulti e minori, sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria nella regione Basilicata".

L’iniziativa promossa dall’Assessorato alla Formazione, Lavoro, Cultura, Sport in sinergia con il Ministero della Giustizia Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Provveditorato Regionale ed i Servizi Minorili Lucani dell’Amministrazione della Giustizia della Basilicata, ridisegna gli interventi in tema di Istruzione, Formazione ed Inserimento Lavorativo dentro e fuori i contesti penali attraverso la realizzazione di una articolata serie di azioni rivolte a detenuti, persone in esecuzione penale esterna ed ex-detenuti, minori ed adulti.

La delibera, che recepisce a distanza di poco più di un anno le linee guida emanate in materia a livello dipartimentale dal Ministero della Giustizia (Commissione Nazionale Consultiva e di Coordinamento per i Rapporti con le Regioni, gli Enti locali ed il volontariato - ufficio per l’attività di coordinamento, consulenza e supporto per i rapporti con le regioni, gli enti locali ed il terzo settore - Dap) - spiega l’assessore Autilio - nasce al fine di promuovere più congrui livelli di sicurezza sociale superando l’attuale carattere prevalentemente assistenziale degli interventi erogati a favore dei cittadini sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria, promuovendo condizioni di cittadinanza attiva e pari opportunità.

Questo disegno programmatico trova immediato riscontro nel fatto che in Basilicata è già vigente un protocollo d’Intesa, stipulato tra la Regione ed il Ministro della Giustizia nell’ ottobre del 2004, nel quale la Regione assume formalmente l’impegno di mettere a disposizione le proprie strutture amministrative ed operative in materia di servizi sociali, sanità, istruzione, formazione professionale, lavoro, cultura sport e tempo libero per la realizzazione di progetti finalizzati al recupero ed alla reintegrazione sociale delle persone ristrette negli Istituti penitenziari, in esecuzione penale esterna ed in carico ai servizi minorili presenti sul territorio regionale.

Trova, inoltre, la sua corrispondenza negli Assi strategici del Programma Operativo del F.S.E. per il periodo di programmazione 2007-2013, ed in particolare negli obiettivi dell’Asse C - Inclusione sociale, che richiamano espressamente tra i destinatari delle azioni di intervento i detenuti, nella più ampia categoria dei soggetti svantaggiati.

"Il programma di interventi, - evidenzia ancora l’assessore Autilio - intende perseguire l’obiettivo primario di costruire la rete istituzionale e sociale, attraverso la quale realizzare il modello inclusivo e solidale di comunità regionale, che sia ispirato ai principi della humanitas e della societas proclamati nei documenti costitutivi della Repubblica italiana e della Unione Europea. Nell’attuazione di questo disegno programmatico, mentre allo Stato spetta la titolarità dell’amministrazione della Giustizia e dell’esecuzione penale, con la gestione di quei servizi intra moenia che la legislazione penale chiama tecnicamente elementi del trattamento (istruzione, lavoro, attività culturali, attività sportive e ricreative, rapporti con la famiglia, contatti con il mondo esterno, etc.), la Regione ha assunto il ruolo centrale di indirizzo, programmazione e di coordinamento delle politiche di inclusione rivolte a questa fascia di cittadini, ed alle Amministrazioni locali spetta il compito di portare ad attuazione quelle politiche, trasferendo sul territorio la capacità delle Istituzioni pubbliche di dare risposte efficaci ai bisogni di tali tipologie di cittadini e delle loro famiglie".

Sulmona (Aq): 28enne suicida, era internato in Casa di Lavoro

 

Ansa, 8 gennaio 2009

 

Un detenuto del supercarcere di Sulmona, in provincia dell’Aquila, si è suicidato nella sua cella. Si chiamava Antonio Tammaro, aveva 28 anni ed era originario di Villa Literno, in provincia di Caserta. Il cadavere è stato scoperto in serata dagli agenti di custodia. L’uomo era sottoposto alla misura restrittiva della libertà personale per accertata pericolosità sociale.

Tammaro, che occupava una cella da solo, era tornato in carcere mercoledì dopo un permesso premio. Si è impiccato, legando le lenzuola alla grata della sua cella. Sulla vicenda il sostituto procuratore della Repubblica di Sulmona, De Siervo, ha avviato un’inchiesta. Il detenuto è stato soccorso dagli agenti di polizia penitenziaria, che lo hanno portato all’infermeria del carcere dove poco dopo sono arrivati i sanitari del 118, ma ormai l’uomo era già morto.

Il supercarcere di Sulmona - oltre 500 detenuti - è tragicamente conosciuto come "il carcere dei suicidi": dieci, in quindici anni. Fra i quali anche quello della direttrice del penitenziario Armida Miserere, che si tolse la vita il 19 aprile del 2003 sparandosi un colpo di pistola alla testa, e quello del sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, trovato nella sua cella il 16 agosto del 2004 soffocato da un sacchetto di plastica stretto alla gola da lacci per le scarpe. In tutti gli altri casi, i detenuti sono morti impiccati, come il giovane di Villa Literno.

 

Ha usato i lacci delle scarpe

 

È quanto emerso dai rilievi della Polizia scientifica di Sulmona effettuati ieri nel tardo pomeriggio, attività coordinata dal vice questore Egidio Labbro Francia consistente in un minuzioso rilievo fotografico già depositato sul tavolo del sostituto della Procura della Repubblica di Sulmona, Federico De Siervo. Il pm notificherà domani alle ore 10 l’incarico all’anatomopatologo Ildo Polidoro che dovrà effettuare l’autopsia sulla salma del detenuto, esame che si svolgerà all’obitorio dell’ospedale di Sulmona tra domani e domenica. Amato Tammaro soffriva di disturbi psichici.

Verona: detenuto di 48 anni si suicida, era accusato di omicidio

 

Ansa, 8 gennaio 2009

 

Quarto suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno: Giacomo Attolini, 49 anni, detenuto comune nel carcere di Verona, si è impiccato utilizzando una maglietta legata alle sbarre della finestra del bagno in cella. L’uomo - secondo quanto si è appreso - si è tolto la vita nella tarda sera di ieri, attorno alla mezzanotte.

In otto giorni, dunque, sono già quattro i detenuti che hanno deciso di farla finita: il 2 gennaio, ad Altamura (Bari) si è ucciso Pierpaolo Ciullo, 39 anni: tre giorni dopo si è impiccato nel carcere Buoncammino di Cagliari, Celeste Frau, 62 anni; ieri sera, nel supercarcere di Sulmona è stato trovato senza vita Amato Tammaro, 28 anni, di ritorno in cella dopo un permesso premio; sempre ieri sera, infine, il suicidio a Verona di Attolini.

Era accusato di omicidio premeditato Giacomo Attolini, 48 anni, il pizzaiolo di origini siciliane, ma residente a Villafranca di Verona, che questa notte si è impiccato alle sbarre dell’infermeria nel carcere di Montorio (Verona).

Attolini era in carcere dal 29 marzo scorso dopo avere sparato e ucciso a Mozzecane (Verona) Andrea Sutik, 25 anni, romena, e ferito il marito Tiberio, 23. L’uomo era stato denunciato dieci giorni prima per violenza sessuale ai carabinieri dalla giovane donna, che aveva lavorato nella sua pizzeria a Villafranca. La donna aveva raccontato ai carabinieri che Attolini l’aveva trascinata in una stanza della sua pizzeria, scaraventandola su un letto e cercando di violentarla.

"Piuttosto che restare sette anni in galera per la denuncia che avete fatto vi ammazzo, faccio la galera per qualcosa", aveva detto il pizzaiolo prima di sparare ai due davanti al figlio di 5 anni della coppia, residente a Roverbella (Mantova). L’incontro era stato chiesto dallo stesso pizzaiolo - che sosteneva di essere stato vittima di una estorsione - per trovare un accordo. La donna, colpita alla testa, era morta dopo due giorni di agonia, mentre il marito, ferito all’addome, era stato dimesso dopo pochi giorni di degenza in ospedale.

Nella perizia depositata in Tribunale lo scorso novembre lo psichiatra incaricato dal Gip lo aveva ritenuto in pieno possesso delle facoltà mentali: uno "stato emotivo-passionale" avrebbe dato origine al gesto omicida.

 

Aveva già tentato uccidersi

 

"Una morte annunciata, che poteva essere evitata": non ha dubbi l’avvocato Guido Beghini, difensore di Giacomo Attolini, il pizzaiolo di Villafranca (Verona) che si è impiccato nel carcere di Montorio. "Purtroppo non sono affatto sorpreso di quello che è successo. Attolini era in infermeria non a caso: aveva già tentato di uccidersi e mi avevano assicurato che era sottoposto ad una sorveglianza molto stretta".

Il legale racconta che "era stato privato delle lenzuola e di ogni altro materiale che potesse consentirgli un gesto estremo. Si è strappato la maglia e si è impiccato approfittando di un cambio di turno". Il difensore del pizzaiolo che il 29 marzo 2009 sparò e uccise Andrea Sutik, 25enne romena che lavorava nel suo locale come donna delle pulizie e che lo aveva denunciato per violenza sessuale, sottolinea che "la partita non era chiusa".

"L’indagine era ancora aperta - prosegue - avevo chiesto un nuovo interrogatorio a fine mese, anche perché attendevo la perizia di parte per il riconoscimento della semi-infermità mentale". "Avevo visto il mio cliente l’ultima volta prima di Natale - conclude l’avvocato - non era la vicenda processuale ad affliggerlo, ma piuttosto i suoi problemi personali: pensava alla sua famiglia, alla moglie e alle figlie. È stata la vergogna ad armare la sua mano".

 

Uil denuncia: cadavere ancora in cella 12 ore dopo il suicidio

 

"Un detenuto di origine italiana, verso le 23.45 di ieri sera, si è tolto la vita impiccandosi in cella nel carcere di Verona. A 12 ore dalla morte siamo costretti a segnalare come il cadavere sia ancora in loco, non rimosso. Il personale di Polizia Penitenziaria, con pietas umana, ha solamente potuto coprire la salma con una coperta, in attesa dei rilievi da parte della Magistratura competente. Riteniamo che ogni commento a questa incredibile vicenda sia superflua e rivolgiamo un concreto pensiero di solidarietà ai nostri colleghi costretti a fare servizio con il morto in sezione".

Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, commenta il suicidio avvenuto nel carcere veronese ieri sera e non nasconde le preoccupazioni per il futuro. "Il 2010, evidentemente, comincia peggio di come è finito il 2009. Quattro suicidi in 8 giorni sono la prova provata di un sistema penitenziario non solo incapace di garantire diritti, dignità e civiltà al personale e ai detenuti ma persino incapace di tutelare la stessa vita umana.

Non possiamo non ribadire che il passaggio parlamentare dell’11 e 12 gennaio potrebbe rappresentare un momento di svolta per il mondo penitenziario sempreché la politica voglia concretamente mettere mano alle criticità del sistema. Dopo i 70 suicidi del 2009 a questi ritmi il 2010 si candida a superare anche tale record. È necessario - conclude Sarno - che il Governo, il ministro Alfano, il Parlamento si impegnino per investimenti concreti finalizzati alla restituzione della legalità, della dignità e della sicurezza al sistema penitenziario.

Nonostante la gogna mediatica, favorita da un’Amministrazione sempre più oscurantista, il personale penitenziario garantisce, per quello che può, la tenuta del sistema. Ma siamo in prossimità del crollo psicofisico e pertanto, per evitare il tracollo e l’ingestibilità generale, occorre ridare fiato alla speranza; Non attraverso roboanti annunci ma attraverso atti concreti che si chiamano assunzioni e politica della detenzione sostenibile. In assenza di tali necessari, urgenti e improcrastinabili fatti non si potrà smettere di comunicare e commentare notizie come quella odierna".

Cagliari: mio padre si diceva innocente, un suicidio annunciato

di Paolo Carta

 

L’Unione Sarda, 8 gennaio 2010

 

La malattia psichiatrica dopo l’arresto e la condanna. Si dichiarava innocente e si sentiva incastrato da qualcuno del suo ambiente.

La rabbia avvelena il dolore: "La morte di nostro padre poteva essere evitata". Ne sono convinti Daniela (41 anni) e Giacomo (39) Frau, figli di Celeste, il sessantenne titolare di un’autodemolizione ad Assemini che si è tolto la vita martedì in carcere a Buoncammino. "Aveva una grave forma di depressione - spiegano ancora i due figli - era stato per diverso tempo ricoverato nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Santissima Trinità, nei colloqui in carcere era sempre accompagnato da qualcuno, non veniva mai lasciato solo. Evidentemente quei controlli sono venuti meno se martedì nostro padre ha potuto impiccarsi. Adesso vogliamo la verità: chiediamo che la giustizia accerti le cause della morte di nostro padre e se esistono delle responsabilità da parte di chi cura i detenuti oppure di chi dirige il carcere".

Celeste Frau stava scontando una condanna a 12 anni per rapina aggravata. Sentenza confermata in Appello e che potrebbe aver scatenato la sua depressione. Il titolare dello sfascia carrozze, che arrotondava gestendo una bancarella di carne e pesce arrosto in occasione delle feste paesane, aveva avuto qualche precedente guaio con la giustizia legato alla sua attività di autodemolizione ma da anni non era più incappato in disavventure giudiziarie. Fino al dicembre del 2007, quando venne arrestato per la rapina (in concorso con altri due complici, rimasti senza nome) ai danni di un rappresentante di gioielli a Poggio dei Pini.

L’avvocato che lo aveva difeso nel processo di primo grado, Gianfranco Sollai, ricorda bene i particolari della vicenda: "Celeste Frau si era rifatto una vita e si è sempre dichiarato innocente, arrivando a realizzare di essere stato incastrato da chissà chi per quel fatto. Ha sempre detto ai giudici che chiunque avrebbe potuto abbandonare una ricarica telefonica riferita al suo telefonino cellulare sul luogo in cui fu ritrovata la vettura del rappresentante di gioielli distrutta dal fuoco e che la collana e gli anelli ritrovati a casa sua, riconosciuti dalla vittima della rapina, li aveva acquistati da conoscenti per regalarli alla compagna".

Il fatto di sentirsi rinchiuso in carcere da innocente ha intaccato la psiche di Celeste Frau, come risulta da ricoveri e cartella clinica. Anche perché ormai aveva cambiato vita. "Era un padre affettuoso e generoso", ricordano tra le lacrime i figli.

Sotto accusa le condizioni dei detenuti nei carceri italiani, compreso Buoncammino, tra sovraffollamento dei detenuti e carenza di assistenza. Luigi Manconi, presidente dell’associazione "A buon diritto", ricorda che nel 2009 il numero dei suicidi in carcere è stato il più alto della storia, rivolgendosi al ministro della Giustizia. Oggi l’autopsia sul corpo di Celeste Frau richiesta dal magistrato Gilberto Ganassi.

Sulmona (Aq): tentativo suicidio sventato nella "sezione internati"

 

Ansa, 8 gennaio 2009

 

Ancora un episodio di autolesionismo nel supercarcere di Sulmona, a solo qualche ora dal suicidio di un detenuto del casertano, trovato impiccato nella sua cella, di ritorno da un permesso premio. Nella nottata, all’interno della sezione internati, il detenuto ha prima cercato di tagliarsi le vene con una lametta, poi si è appeso con un lenzuolo al collo alla grata della cella tentando di impiccarsi.

Lo hanno salvato gli agenti di polizia penitenziaria e il medico in servizio in quel momento. L’uomo infatti è stato subito soccorso e rianimato. Il secondo episodio di questo genere nel giro di poche ha riportato alla ribalta la drammaticità in cui si vive all’interno del carcere di Sulmona, un penitenziario che rischia di "scoppiare", come più volte denunciato nelle ultime settimane dai sindacati che hanno avviato anche numerose azioni di protesta per cercare di risolvere una situazione che sembra stia degenerando.

Firenze: 180 internati; l'Opg Montelupo è un carnaio indecente

 

Il Tirreno, 8 gennaio 2009

 

In una struttura cinquecentesca, che prima ospitava cavalli, ora sono stipati detenuti. Uomini, tra l’altro malati, che sono tenuti in condizioni terribili: anche sette in pochi metri quadrati dove devono fare tutto: mangiare, dormire, sognare, curarsi (poco) e andare al gabinetto senza nessuna privacy (e mai come qui questa parola ha davvero un senso).

L’amministrazione penitenziaria continua a inviare ospiti da ogni parte d’Italia. Il numero è altalenante. Ora siamo a 180 anime, 60 in più rispetto a quante invece ne potrebbe contenere. E gli agenti hanno tirato un respiro di sollievo perché per alcuni lavori di ristrutturazione una decina di internati sono stati trasferiti. La politica ministeriale degli invii contraddice quanto detto più volte, dall’ultimo decreto del governo Prodi fino a tavoli e controtavoli di Regione e amministrazione penitenziaria, sulla regionalizzazione della struttura. Con un Opg dei sogni che dovrebbe avere una cinquantina di ospiti, tutti toscani.

L’Opg reale, quello di celle sporche, di ferro, di mura decrepite e umide, di dolore, di episodi di autolesionismo, di deliri è tutt’altra cosa. È un ospedale psichiatrico giudiziario in cui il ministero di recente ha fatto ricorso al Tar per l’ordinanza del sindaco Rossana Mori che, con il sostegno dell’Asl 11 titolare da poco della parte sanitaria, ha firmato a marzo scorso un’ordinanza in cui intimava all’amministrazione penitenziaria di pulire alcuni ambienti, rifare i bagni e ridurre il numero degli internati (che allora erano 196).

I motivi: gravi carenze igieniche, promiscuità e rischio di epidemie. "Dai contatti che abbiamo avuto - spiega il sindaco Mori - nell’istituto sono stati fatti interventi di piccola entità e sono stati spostati alcuni internati. I lavori più complessi che riguardavano sei celle, per esempio, sono rimasti fermi.

E questi ambienti sono rimasti come erano, inagibili". Il sindaco Mori è dispiaciuta: "Il ricorso è la dimostrazione che il ministero vuol negare la possibilità che il sindaco si occupi di dare condizioni di vita accettabili a malati che hanno bisogno di cure". Le rimane, però, la speranza che davvero si attui il piano predisposto dalla Regione e portato avanti da Enrico Rossi in Conferenza Stato-Regioni.

Per cui l’Opg dovrebbe essere il riferimento, oltre che per la Toscana, per i pazienti di Liguria, Marche e Umbria. E poi, dopo un periodo di transizione, raggiungere la dimensione regionale. Tra l’altro, tra Regione e provveditorato dell’amministrazione penitenziaria è in corso una riflessione sull’abbandono della meravigliosa villa medicea dove ha sede l’Opg per cercare una struttura più piccola che possa ospitare i pazienti. Intanto, però, i detenuti continuano ad arrivare. E ogni volta gli operatori sono costretti a fare quattro o cinque spostamenti tra le celle per salvaguardare una difficile alchimia di equilibri e convivenze precarie e messe a dura prova dalla promiscuità.

Con un servizio sanitario, che nonostante l’innesto dell’Asl 11 da circa un anno, continua a essere sempre lo stesso perché i soldi messi a disposizione non hanno subito variazioni. E i medici in servizio vengono "scappa e fuggi" nel senso che hanno contratti di lavori non omogenei senza la possibilità di garantire un sostegno, una cura costante e mirata al paziente. Per molti, per esempio, l’incarico all’Opg è uno dei tanti accumulati per arrivare a stipendi degni di questo nome.

Il risultato è che sotto le feste è mancato il presidio psichiatrico e gli agenti erano soli a combattere le depressioni degli internati, più acute proprio nei periodi di feste. E non ci sono neppure Osa, il personale che dovrebbe pulire gli ospiti che spesso non si lavano, non si cambiano. E non si tagliano neppure le unghie. Ancora: neppure l’ultimo bando pubblicato dall’Asl 11 che ricerca un dirigente medico per l’Opg è incoraggiante.

L’azienda cerca un direttore di struttura complessa "Salute in carcere". E allora si ritorna alla domanda della genesi: ma l’Opg deve essere un carcere oppure un luogo dove curare gli internati come presupponevano la presa in carico dell’Asl e la tanto auspicata dimensione regionale? Il 15 gennaio, a Firenze, in consiglio regionale, ci sarà un incontro sulla medicina in carcere e l’argomento Opg sarà sicuramente all’ordine del giorno.

Reggio Calabria: Alfano; presto l’apertura del carcere Arghillà

 

Apcom, 8 gennaio 2009

 

"Ho già dato mandato di accelerare le procedure per l’apertura del nuovo carcere in località Arghillà". Lo ha anticipato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, rispondendo ad Apcom al termine dell’incontro avuto con il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti.

Il ministro della Giustizia ha detto che nel giro di breve tempo aprirà il nuovo carcere in località di Arghillà, frazione di Reggio Calabria. Il carcere è pronto ormai da anni, ma perché possa ospitare detenuti è necessario sia completata la strada di accesso alla nuova struttura. La struttura, chiusa, costa allo Stato italiano circa 4 milioni all’anno, mentre per aprire la nuova strada di collegamento ne basterebbero meno della metà.

Libro: presentato "Diritti umani e tortura", di Paolo Garofalo

 

www.vivienna.it, 8 gennaio 2009

 

Sarà Enna a dare il via alla presentazione in Sicilia del libro "Diritti Umani e Tortura. Potenza e prepotenza dello stato democratico", scritto dall’esperto in comunicazione Paolo Garofalo, che ha scelto la sua città natale per proporre un dibattito privo di colori politici, finalizzato alla necessità di riconoscere all’interno del nostro sistema legislativo il reato di tortura.

Dopo l’ampio consenso ricevuto durante la presentazione al Senato dello scorso 17 dicembre - dalla quale è emersa la volontà politica trasversale di introdurre nel codice penale il reato di tortura - oggi alle 17.30 nella Sala Convegni del Liceo Linguistico, presso la Cittadella Universitaria di Enna, l’autore presenterà il suo libro alla presenza del presidente della Provincia regionale di Enna Giuseppe Monaco, del sindaco della città di Enna Rino Agnello, e del presidente del Consiglio Provinciale di Enna Massimo Greco che ha presentato all’Organo consiliare una proposta di delibera per istituire il Garante dei detenuti in provincia.

Presenteranno il libro, il componente dell’Assemblea del Consiglio d’Europa Wladimiro Crisafulli, il Coordinatore Nazionale dei Garanti dei detenuti e Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti in Sicilia Salvo Fleres - autore della prefazione del libro nonché presentatore di disegni di legge per l’inserimento del reato di tortura nell’ordinamento italiano - e il Dirigente Superiore dell’Amministrazione Penitenziaria Gianfranco De Gesu. Modererà i lavori il giornalista Gianfranco Gravina, dell’Associazione Culturale "Pompeo Colajanni" che ha organizzato l’evento con la partecipazione delle Autolinee Sais, della Rapidagraph di Enna, dell’Agenzia I Press e dell’ACAF di Catania.

Al passo con la cronaca, attraverso le pagine di Paolo Garofalo, si accendono i riflettori su uno degli argomenti più inquietanti che il genere umano abbia mai concepito: la tortura. Dalla Roma imperiale alla Grecia antica, dalle tribù indoamericane a quelle africane, dai Tribunali dell’Inquisizione alle forze militari del nazismo o del comunismo sovietico, il libro descrive un percorso storico e sociologico che interroga sul perché l’umanità ha praticato e continua a praticare, in ogni epoca e in ogni parte del mondo, questo inaccettabile abuso.

Come si legge, infatti, nell’abstract dell’autore "tutt’oggi, agli inizi del XXI secolo, la tortura è un’arte praticata anche nel "civilissimo" Occidente, statunitense ed europeo, e anche nel "bel Paese", nascosta (non sempre bene) alle telecamere e alla vista degli italiani".

Tante le domande poste all’interno delle pagine di "Diritti Umani e Tortura": "Basta la paura del terrorismo, del "diverso", a giustificare l’accanimento con il quale alcuni funzionari dello Stato si dedicano all’uso della tortura? È stata tortura a Bolzaneto, contro i giovani oppositori del G8 di Genova? Si pratica tortura nelle carceri italiane? E ancora, quale motivazione impedisce il Parlamento italiano ad approvare un disegno di legge che introduce il reato di tortura in Italia? È sufficiente affidarsi al diritto internazionale per sopperire a tale limite normativo?". A questi interrogativi risponde il lavoro di Paolo Garofalo che tratta in modo inedito una tematica sempre più attuale.

Gran Bretagna: governo cerca neolaureati, per dirigere carceri

 

Ansa, 8 gennaio 2009

 

Diventare direttore di un carcere non è di solito in cima ai desideri di un neolaureato. Il governo britannico ha però deciso di varare un progetto pilota per invogliare i giovani a scegliere questo tipo di carriera.

D’altra parte la paga, visto i tempi di crisi, non è affatto male: 22 mila sterline l’anno al primo impiego e scatto a 30 mila dopo 12-18 mesi. Bastano otto settimane di corso per iniziare il lavoro sul campo nelle prigioni di sua Maestà e poco più di un anno per arrivare a posizioni dirigenziali. Un percorso "accelerato" che vuole colmare il divario generazionale che al momento affligge il sistema carcerario britannico.

"Stiamo cercando persone che abbiano il giusto potenziale per ricoprire ruoli chiave nelle prigioni del Regno Unito e che col tempo possano diventare direttori o vice-direttori", ha spiegato all’Independent Jim Heavens, capo del settore risorse umane del National Offender Management Service. "Non è un lavoro adatto a tutti ma è perfetto per coloro che sono alla ricerca di sfide". I tirocinanti dovranno lavorare in istituti di vario tipo - carceri minorili, maschili, femminili, di sicurezza - e poi avranno la possibilità di fare esperienza presso il Probation Service, dipartimento che si occupa di gestire la libertà vigilata dei detenuti.

Se si includono i costi dell’addestramento il governo investirà nell’arco di tre anni 100 mila sterline per ognuno dei 12 candidati ammessi al programma. Circa l’80% dei partecipanti - se si guarda ai numeri di esperienze passate - trovano un impiego stabile nel sistema carcerario britannico. E, visto che circa la metà degli attuali direttori di prigione proviene da programmi simili, le prospettive di far carriera sembrano quasi assicurate.

Usa: in Arizona il "braccio della morte" diviene business privato

 

Ansa, 8 gennaio 2009

 

Dopo aver fatto discutere l’opinione pubblica sulla possibilità di offrire celle singole a pagamento, l’amministrazione carceraria dello stato dell’Arizona - alle prese con un buco contabile di due miliardi di dollari - sta pensando di subappaltare i servizi carcerari a società esterne. Jan Brewer, governatore dello Stato, ha indetto lo scorso Ottobre una gara d’appalto per i servizi accessori dell’amministrazione carceraria, e considerando che in altri stati come l’Alaska questa prassi è in voga da dieci anni, deve aver pensato di essere sul punto di concludere un percorso iniziato altrove. Invece, l’opinione pubblica ha di nuovo discusso a lungo la proposta, e al momento le posizioni restano molto distanti.

Benché il 30% dei detenuti dell’Arizona sia già ospitata in strutture private dove solo il personale di guardia resta al servizio delle amministrazioni, una riforma così votata all’efficienza al risparmio sembra un passo eccessivo. L’accordo con l’eventuale vincitore dell’appalto prevede che l’amministrazione versi una retta giornaliera per ogni ospite, e perfino i servizi ai detenuti in attesa di pena capitale (ma non la sala delle iniezioni, che per legge deve essere gestita direttamente da"amministrazione) ricadono nei servizi da affidare a terzi.

Gli oppositori del progetto ricordano come in passato la presenza di esterni nelle carceri abbia incoraggiato episodi di rivolte, evasioni e incidenti. A questi fanno eco i sindacati di categoria, preoccupati perché le società private si sono mostrate meno generose nel momento di rinnovare gli accordi contrattuali. L’esperimento dell’Arizona sta suscitando reazioni contrastanti, e la questione è seguita in molti altri stati perché il numero dei carcerati sta crescendo vertiginosamente da oltre un anno, cioè da quando l’amministrazione federale ha emanato delle leggi per il contrasto all’immigrazione clandestina che prevede un ricorso massiccio all’internamento nelle carceri federali.

Afghanistan: indagine su maltrattamenti a due detenuti minori

 

Adnkronos, 8 gennaio 2009

 

I militari americani hanno aperto un’indagine sulla vicenda di due adolescenti afghani che sarebbero stati percossi e umiliati dalle guardie in un centro segreto di detenzione all’interno della base militare americana di Bagram in Afghanistan, perché sospettati di legami coi talebani.

I due ragazzini - Issa Mohammed, allora 17enne, e Abdul Rashid, non ancora 16enne - hanno raccontato di essere stati schiaffeggiati e presi a pugni, fotografati nudi e privati del sonno mentre erano detenuti in isolamento. Rashid ha anche raccontato di essere stato costretto dalle guardie a guardare immagini pornografiche, un trattamento da lui considerato umiliante. I fatti contestati risalgono all’anno scorso, quando i due giovani erano rinchiusi nel centro di detenzione dei reparti americani delle Operazioni Speciali, separato dal carcere principale di Bagram e soprannominato dagli afghani la prigione "nera".

Il caso era stato sollevato in novembre dal Washington Post che aveva parlato con Mohammed e Rashid, allora trasferiti nel Centro di riabilitazione minorile di Kabul. Il direttore del centro, Abdullah Moqbel, ha riferito che in dicembre un gruppo di sei ufficiali americani è venuto nell’istituto per far luce sulla vicenda. In merito sono intervenuti anche i servizi afghani del Direttorato Nazionale per la Sicurezza, che hanno ordinato la scarcerazione di Rashid affermando che era innocente. Mohammad è stato trasferito in un carcere afghano per adulti.

 

 

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