Rassegna stampa 29 gennaio

 

Giustizia: Eurispes; nel 2009 record di suicidi "dietro le sbarre"

 

Adnkronos, 29 gennaio 2010

 

Nel 2009, i suicidi fra i detenuti, escludendo i casi di morte ancora in fase d’accertamento, sono stati in tutto 72 (Fonte: Ristretti Orizzonti). Un dato record, sintomatico di una situazione, quella delle carceri, sempre più preoccupante. Lo sottolinea l’Eurispes, nel suo "Rapporto Italia 2010", nel capitolo intitolato, "I suicidi dietro le sbarre". A partire dal 2000, il tasso più basso di suicidi ogni 10.000 detenuti si è registrato nel 2008 (8,99%), mentre il calo più evidente ha riguardato la popolazione carceraria nel 2006 e nel 2007, che è passata da circa 55mila detenuti negli anni precedenti a circa 49mila nel 2006 e 44mila nel 2007.

A togliersi la vita in carcere, negli anni 2007 e 2008 sono stati per la maggior parte italiani di sesso maschile (27 nel 2007 e 35 nel 2008) a fronte di 16 suicidi fra i detenuti uomini stranieri nel 2007 e di 8 nel 2008. Se il numero dei tentativi di suicidio è simile tra i detenuti italiani e quelli stranieri (309 contro 301, nel 2007 e 366 contro 317, nel 2008), gli atti di autolesionismo, invece, si verificano con maggior frequenza fra i detenuti di nazionalità straniera (2.123 contro 1.564, nel 2007 e 3.083 contro 1.845, nel 2008).

Nel 2009, l’aumento vertiginoso degli episodi di suicidio "dietro le sbarre" ha riguardato, in larga parte, gli istituti penitenziari del Nord Italia: ad oggi, se ne sono contati 22 (quasi una decina in più rispetto a quelli avvenuti nei due anni precedenti). Tra il 2007 e il 2009, dunque, sono la Lombardia (18), il Piemonte (11) e il Veneto (8) le regioni nelle quali si sono verificati più suicidi fra i detenuti. In Lombardia il dato più significativo riguarda l’alto numero di episodi di autolesionismo (338 nel 2007 e 254 nel 2008) e dei tentativi di suicidio (33 nel 2007 e 28 nel 2008) fra i detenuti del carcere di San Vittore a Milano. In Piemonte, solamente nelle carceri di Alessandria e di Lorusso e Cotugno a Torino si sono tolti la vita, negli ultimi tre anni, 8 detenuti e, in entrambi gli istituti penitenziari, il numero dei tentativi di suicidio e degli atti di autolesionismo è il più alto della regione.

Nell’Italia centrale, nel 2009, si sono contati 15 suicidi tra i detenuti, dato che sebbene non definitivo, mostra comunque un aumento rispetto ai due anni precedenti (12 nel 2007 e 10 nel 2008). La Toscana è la regione in cui se ne è registrato il più alto numero: 6 sia nel 2007 che nel 2008 e 8 certi nel 2009. In questa regione, a destare più preoccupazione, sono gli istituti penitenziari di Prato (6 suicidi e 43 tentati suicidio), di Sollicciano a Firenze (3 suicidi e 41 tentati suicidi), di Pisa (4 suicidi e 42 tentati suicidi) e di Livorno (3 suicidi e 44 tentati suicidi); in particolare, colpisce l’alto numero di atti di autolesionismo che fra il 2007 e il 2008 sono stati registrati nel carcere di Sollicciano, a Firenze (149 nel 2007 e 300 nel 2008).

Gli istituti penitenziari a più alta incidenza suicidaria o di tentati suicidi, negli ultimi 3 anni, sono stati, nel Lazio: il carcere di Rebibbia a Roma con 5 suicidi (1 accertato nel 2009) e 32 casi di tentati suicidi tra il 2007 e il 2008; il carcere di Rebibbia - Sezione Femminile (3 suicidi e 14 tentati suicidi), il carcere di Viterbo (2 suicidi nel 2008 e 1 certo nel 2009 e 20 tentati suicidi). Nelle Marche la situazione appare meno preoccupante, sebbene il numero di detenuti, presenti negli istituti penitenziari della regione, abbia superato, sia nel 2008 che nel 2009, la capienza regolamentare: 1.120 contro 753, nel 2009 e 1.017 contro 755, nel 2008.

L’aumento del numero dei suicidi ha riguardato anche le regioni del Sud (19 suicidi) e in particolare la Campania dove si sono suicidati 9 detenuti, dei quali ben 5 solo nel carcere di Poggioreale a Napoli (nel 2007 e nel 2008 si erano tolti la vita 2 detenuti). Nelle carceri di Foggia e Lecce si è osservato un aumento vertiginoso nel 2008, rispetto al 2007, di episodi di autolesionismo (102 contro 24, a Foggia e 111 contro 58, a Lecce) e di tentativi di suicidi (17 contro 6, a Foggia e 17 contro 4, a Lecce).

In Sardegna e in Sicilia, nel 2009, si sono registrati 4 suicidi fra i detenuti: 1 in Sardegna, nel carcere di Alghero e 3 in Sicilia. Situazioni particolari si osservano nel carcere di Cagliari dove, sia nel 2008 (23) che nel 2007 (12) il numero dei tentati suicidi superava la media delle carceri dell’Isola. Nel carcere di Sassari, invece, gli episodi di autolesionismo si sono verificati con più frequenza sia nel 2007 (75) che nel 2008 (41).

In Sicilia, un alto numero di episodi di autolesionismo, nel corso degli anni 2007-2008, si è registrato nelle carceri di Pagliarelli, a Palermo (127 nei due anni), di Siracusa (116 nei due anni) e di Ucciardone, a Palermo (92 nei due anni). Nel carcere di Messina, invece, nel corso degli anni 2007-2008 si è registrato il numero più alto di tentati suicidi (23).

Per quanto riguarda la quantità di detenuti, sono ben 21mila in più rispetto alla capienza regolamentare. 65.067 sono i detenuti che popolano le carceri italiane al 13 gennaio 2010. Di questi, il 46% circa (29.898) è ancora in attesa di giudizio mentre il 51% (33.247) è già stato condannato. Nell’anno appena trascorso, i detenuti erano circa 21mila in più rispetto alla capienza regolamentare (44.055).

Tra i 206 istituti penitenziari italiani, la situazione più difficile è quella che si è registrata nei 13 istituti dell’Emilia Romagna dove i detenuti presenti, al 13 gennaio 2010, erano quasi il doppio di quelli previsti da regolamento (4.483 contro 2.382). Episodi di grave sovraffollamento si sono verificati anche in Veneto e in Puglia, con una presenza di detenuti superiore del 66% alla capienza regolamentare (66 detenuti in più ogni 100 previsti), in Trentino Alto Adige, in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia erano, rispettivamente, il 64%, il 61% e il 59% in più rispetto alla capienza regolamentare.

In queste e in altre regioni la percentuale delle presenze ha superato, addirittura, la "tollerabile", ossia quella oltre la quale il trattamento di recupero dei detenuti è seriamente compromesso, e in particolare: in Trentino Alto Adige (42% in più rispetto alla tollerabile), nella Valle d’Aosta (+25%), in Emilia Romagna (+12%), nel Veneto (+10%), in Campania (+6%), in Puglia e in Liguria (+5%), in Lombardia (+4%), in Friuli Venezia Giulia (+3%) e in Sicilia (+1%). In Umbria, al contrario, il numero dei detenuti presenti nei 4 istituti penitenziari della regione era inferiore di 23 punti percentuali rispetto alla capienza considerata tollerabile. Lo stesso accade in Basilicata (-19%), nel Lazio (-16%), nel Molise (-15%), in Sardegna (-14%), in Abruzzo e in Toscana (-13%), in Piemonte (-11%).

 

"I suicidi dietro le sbarre", mai così tanti (Agenzia Radicale)

 

In Italia ci sono morti che fanno notizia e morti che non ne fanno. Ma di fronte ai risultati dell’ultimo "Rapporto Italia" dell’Eurispes che, nel capitolo intitolato "I suicidi dietro le sbarre", riporta un dato record sintomatico della situazione critica in cui versano le carceri italiane, non si possono chiudere gli occhi.

Come si suol dire: "carta canta". O almeno dovrebbe. I 72 suicidi avvenuti fra i detenuti solo nel 2009, infatti, sono un numero che spaventa ma che non sembra essere sufficiente per far sì che il governo metta l’emergenza nazionale delle carceri - sovraffollate, con un personale insufficiente e da ristrutturare e ammodernare - al primo posto della sua agenda.

Tanti casi di suicidio con impiccagione, troppi, ma anche tanti episodi sospetti e non ancora risolti come quello che ha coinvolto Stefano Cucchi - morto lo scorso ottobre nel carcere romano di Rebibbia dopo l’arresto per possesso di droga, forse per le percosse subite dai carabinieri che lo avevano in consegna - o Ciro Ruffo, trovato impiccato nella sua cella a San Michele di Alessandria pochi giorni prima del trasferimento in un altro carcere, trovato anche lui con segni di violenze su tutto il corpo. Il dramma, quindi, di morti volontarie e di morti "sospette" e per questo ancora più scomode.

Secondo il "Rapporto Italia 2010" dell’Eurispes a togliersi la vita sono per la maggior parte italiani di sesso maschile (tra gli stranieri, che costituiscono il 37% dei 65.067 detenuti che popolano le carceri italiane al 13 gennaio 2010, si verificano per lo più episodi di autolesionismo) e la più alta concentrazione di suicidi si registra negli istituti penitenziari del Nord Italia (Lombardia, Piemonte e Veneto in particolare) anche se gli istituti penitenziari a più alta incidenza suicidaria o di tentati suicidi, negli ultimi 3 anni, sono stati, nel Lazio il carcere di Rebibbia a Roma e il carcere di Viterbo. Quanti altri dati servono per capire l’urgenza di un serio intervento?

Giustizia: l'indulto non serve se non si rivedono le norme penali

 

Apcom, 29 gennaio 2010

 

"Non ha senso concedere un indulto per sfollare le carceri se al tempo stesso non ci si preoccupa di operare una revisione complessiva del sistema, in modo da commisurare la capienza degli istituti di pena al numero delle persone che fisiologicamente dovrebbero esservi ospitate". Lo dice il presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, nella relazione all’apertura dell’anno giudiziario.

Grazie al provvedimento di clemenza, ricorda Carbone, sono usciti dal carcere 26.752 detenuti. Ma i dati dell’amministrazione dimostrano come "nel giro di un anno dall’agosto del 2006 i detenuti sono passati da 38.847 a 46.118". Ed oggi, dietro le sbarre, ci sono "oltre 66.563 detenuti" e il "numero è inoltre in continuo aumento".

Per questo, immaginando un tasso di detenzione di 100 detenuti per 100mila abitanti e tenuto conto che la popolazione italiana è di oltre 58 milioni di abitanti, "gli istituti dovrebbero essere messi in grado di accogliere circa 60mila persone (in luogo delle attuali 43140) e nello stesso tempo andrebbero riviste le norme penali, processuali e penitenziarie per stabilizzare a tale livello il numero dei detenuti".

Giustizia: Pd; Alfano apra gli istituti costruiti, ma mai utilizzati

 

Il Velino, 29 gennaio 2010

 

"Mentre le carceri scoppiano, 40 istituti penitenziari in Italia risultano costruiti e allestiti ma mai utilizzati. Il ministro faccia chiarezza".

Lo hanno dichiarato i deputati del Pd Rubinato e Fogliardi che hanno presentato a riguardo una interrogazione al ministro della Giustizia Angelino Alfano. "Il penitenziario di Gela, il carcere di Morcone (Benevento), quello di Busachi in Sardegna e l’Istituto di Castelnuovo della Daunia (Foggia), integralmente completati, non hanno mai aperto le porte - sottolineano i deputati. In Puglia si contano addirittura quattro istituti penitenziari costruiti, allestiti e mai inaugurati: il carcere di Bovino (Foggia) con 120 posti, di Minervino Murge (Bari), di Orsara (Foggia) e di Monopoli (Bari). Prima di procedere a nuovi stanziamenti, impegni ed appalti per la realizzazione di nuovi istituti - concludono i deputati - il ministro Alfano sposti i detenuti dalle carceri sovraffollate (dove spesso sono reclusi in condizioni disumane) agli istituti non utilizzati o quasi deserti".

Giustizia: Cgil; governo confuso, chiede a agenti fare psicologi

 

Ansa, 29 gennaio 2010

 

"Non bastava la gravissima carenza di personale, non bastavano i massacranti turni di lavoro imposti senza soluzione di continuità ai poliziotti nei 206 istituti e servizi penitenziari del paese, così come evidentemente non bastava innalzare l’orario di lavoro da 36 a 42 ore settimanali contro le norme vigenti: no, ora ai poliziotti penitenziari si chiede anche di surrogare le funzioni di psicologo, di educatore, medico e chi sa cos’altro ancora". A dirlo in una nota è il responsabile nazionale comparto sicurezza della Fp-Cgil, Francesco Quinti.

"Una cura singolare - si legge nella nota -, quella individuata e resa pubblica dal capo del Dap con la circolare che istituisce le ‘unità di ascoltò di polizia penitenziaria, che dovrebbe rispondere all’emergenza suicidi in carcere e alle malattie del sistema, ma che invece, oltre ad attribuire ulteriori responsabilità ai poliziotti penitenziari, finirà per garantire un alibi al governo e all’amministrazione penitenziaria. Tra dichiarazioni di stato di emergenza, piani carcere e misure di intervento che non risolvono la drammatica condizione di un sistema penitenziario ormai alla deriva, la realtà - sottolinea il dirigente sindacale - ci consegna il fallimento della politica e di una amministrazione che si è fin qui dimostrata incapace di fronteggiare con coraggio l’emergenza carcere e del mondo del lavoro, che nonostante tutto continua a operare con grande senso di responsabilità".

"Piuttosto che inseguire chimere e lanciarsi in annunci confusi, il governo e l’amministrazione penitenziaria - conclude Quinti - si diano davvero da fare per garantire oggi, non fra quattro anni, la copertura degli organici della polizia penitenziaria e l’assunzione delle professionalità qualificate e indispensabili a garantire la mission del sistema".

Lettere: Ilaria Cucchi seduta accanto me a "Cominciamo bene"

 

Ristretti Orizzonti, 29 gennaio 2010

 

Il suo viso così chiaro, apparentemente sereno, tranquillo, non lasciava intendere. Ma quegli occhi azzurri come il cielo, raccontavano una profonda pena. Un dolore forte, indescrivibile, lacerante, sordo, cupo, come il buio della notte che porta da quel giorno dentro al suo cuore. È Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi, il ragazzo che è stato ucciso prima dell’avvio del processo. Il ragazzo che da molti di poi viene nominato, scritto su ogni parete di muro di città, ricordato come uno degli ultimi che in quanto tale è stato ammazzato.

Costretto in carcere per reati legati alle sostanze stupefacenti, Stefano potrebbe essere stato massacrato di botte dagli agenti e lasciato morire, abbandonato, senza cure. Il suo volto compatto, attento, lasciava trasparire tutta la rabbia, l’odio per non essere riuscita a strapparlo dalle mani dei suoi aguzzini, a cui era stato affidato, i quali dovrebbero comunque tutelare le vite dei detenuti. Come fossero una famiglia. Appena la vidi rimasi un attimo a pensare "no mi sbaglio, non è lei"; poi la presentazione ed il riconoscimento. La sua storia di lotta quotidiana, non è destinata alla resa. E mentre ho raccontato la mia storia, ricordando poche gioie e tanto dolore, lei mi diceva che ero stata bravissima e che ero un esempio di come può tornare alla vita, quella vera. Non meritavo la sua attenzione.

Forse anche lei sperava che suo fratello potesse fare un percorso di recupero, di reinserimento. Troppo tardi. Adesso è tutto inutile. Stefano non c’è più e come le tante cose che non vanno in Italia, i responsabili non saranno mai assegnati alla giustizia, anzi!. Quelle bestialità esistono, vengono praticate tutti i giorni, ma nessuno ne parla; nessuno scrive ai giornali, neppure ai propri familiari che sanno sempre "dopo" quello che accade laggiù.

C’è paura. Sei un infame. Dietro a quelle mura ci sono vite umane, che hanno sbagliato, ma che devono comunque scontare dignitosamente e nel rispetto dei propri diritti, la pena, perché il detenuto ha anche dei diritti oltre ai doveri. E tutti questi fenomeni di razzismo, xenofobia, paura del diverso a noi, sembrano aumentare. Troppi morti, troppi suicidi, troppe bocche cucite. Parlare di carcere è sempre stato scomodo, in ogni caso.

Non porta nessun voto, non è un guadagno. Si parla solo di certezza della pena, come si dovesse tornare alla pena di morte. E quindi meno se ne parla e meglio è. Adesso siccome la situazione è drammatica, il "piano carceri" risolverà tante questioni, a dir loro. Io ci sono stata là dentro e se non abbracciavo il programma di custodia attenuata, forse non sarei qui ancora a scrivere. Ciao Ilaria, quando vuoi. Patrizia

 

Patrizia Tellini

Redattrice di "Ragazze Fuori", giornale della ex Icam femminile di Empoli

Lettere: gli psicologi vincitori concorso ed i consulenti esterni

 

Ristretti Orizzonti, 29 gennaio 2010

 

I 39 vincitori di concorso al Dap ci tengono a precisare che quanto affermato dalla dott.ssa Giannelli non corrisponde al vero: i 39 vincitori di concorso non hanno mai asserito che i fondi utilizzati dal Dap per le consulenze psicologiche esterne dovrebbero essere utilizzati per la loro assunzione né hanno mai intrapreso una "guerra"con i colleghi psicologi che operano in carcere. I 39 psicologi hanno sempre chiesto ai responsabili del Dap come mai l’Amministrazione in questi anni abbia trovato i fondi per le 400 consulenze esterne, ma non per i vincitori del concorso pubblico. È una domanda legittima. I 39 vincitori di concorso non hanno altresì mai affermato che sarebbe sufficiente il loro lavoro per coprire le carenze di personale nel ruolo di psicologo, anzi hanno più volte fatto presente agli organi competenti che ci sarebbe bisogno molte altre unità.

Certamente ogni volta che si parla di carenza di psicologi riflettiamo seriamente su come un’amministrazione pubblica abbia potuto bandire un concorso, non assumere i vincitori e poi lamentarsi della mancanza di queste figure professionali essenziali per servizi fondamentali in carcere, come quelli deputati alla prevenzione dei suicidi in carcere.

 

Dott.ssa Mariacristina Tomaselli

Coordinatrice 39 psicologi vincitori di concorso al Dap

Abruzzo: Radicali-Pd; istituire il Garante regionale dei detenuti

 

Il Velino, 29 gennaio 2010

 

L’on. Rita Bernardini, Deputata Radicale-Pd, e Giulio Petrilli, diritti umani del Pd, propongono l’istituzione della figura del garante dei detenuti in Abruzzo, sostenendo che non è più rinviabile. Hanno diffuso un appello a tutte le forze politiche presenti in consiglio regionale affinché si impegnino a presentare ed approvare una legge regionale che istituisca questa figura.

Quasi tutte le regioni ed i più grandi comuni in Italia hanno il garante dei detenuti e invece notiamo che in Abruzzo questa figura non esiste sia in regione che nei comuni dove le carceri sono ubicate: l’Aquila, Pescara, Teramo, Chieti, Lanciano, Vasto, Sulmona, Avezzano. Quella del garante è una figura sconosciuta e assente nella regione Abruzzo, nonostante il problema e le complessità delle carceri siano enormi.

"Tanti problemi sono emersi i questi ultimi anni - dice l’appello - nelle carceri abruzzesi dal sovraffollamento alla mancanza di assistenza sanitaria che ha prodotto vari decessi e poi i tanti, troppi suicidi, termometro tragico di una invivibilità totale. Per capire un attimo cosa rappresentano le carceri in Abruzzo va citato che a Sulmona c’è la più grande casa lavoro d’Italia, c’è il carcere penale con il maggior numero di ergastolani con sentenza definitiva: oltre 70.

Il carcere de l’Aquila con il maggior numero di detenuti in regime di 41 bis, oltre 150. Il carcere di Teramo che ha una capienza di 200 detenuti, attualmente ne ospita quasi 500, quindi un sovraffollamento unico. Che a Sulmona e Teramo ci sono 350 detenuti con forte disagio psichico.

Che al carcere di Sulmona negli ultimi anni c’è stato un numero di suicidi altissimo, il più alto tra le carceri italiane. Il carcere giudiziario di Pescara, è il carcere con un numero enorme di detenuti in attesa di giudizio, quindi in carcerazione preventiva. Potremmo andare avanti, ma solo i dati sopracitati evidenziano una situazione estremamente difficile e drammatica.

Alla luce di questa realtà, è indispensabile istituire la figura del garante delle carceri regionale ed è un primo passo di attenzione da parte delle istituzioni verso questo mondo.

Il garante serve a creare un ponte tra i due mondi: quello della libertà e quello della reclusione, a far rispettare i diritti anche per coloro, i quali sono privati della libertà personale.

Serve a creare una sinergia tra la regione e le problematiche dei penitenziari come per esempio quella importante della sanità, in quanto le asl sono competenti della sanità penitenziaria, poi anche sulla sfera del lavoro la regione può intervenire istituendo e finanziando i corsi di formazione professionale come anticamera di un inserimento da parte dei detenuti nel mondo del lavoro. Il garante ha anche il compito di creare un osservatorio permanente sulla vivibilità nelle carceri e verificare se si verificano dei soprusi".

 

Prc: sì a Garante detenuti proposto dalla Bernardini

 

Un plauso all’opinione della Bernardini. È l’opinione di Maurizio Acerbo, consigliere regionale di opposizione, in merito a quanto espresso dalla parlamentare radicale Rita Bernardini, componente della commissione giustizia della Camera dei deputati, sulla mancanza, in Abruzzo, della figura garante dei detenuti. L’onorevole si è, infatti, rivolta a tutte le forze politiche presenti in Consiglio regionale affinché si impegnino a presentare ed approvare una legge regionale che istituisca questa figura, già presente in altre regioni d’Italia.

"Quella del garante è una figura sconosciuta e assente nella regione Abruzzo, nonostante il problema e le complessità delle carceri siano enormi " ha affermato, infatti, la Bernardini a riguardo. "Tanti problemi sono emersi in questi ultimi anni nelle carceri abruzzesi: dal sovraffollamento alla mancanza di assistenza sanitaria, che ha prodotto vari decessi e poi i tanti, troppi suicidi, termometro tragico di una invivibilità totale".

Dello stesso avviso anche Acerbo, che sostiene che la mancata istituzione del garante delle persone detenute sia lo specchio della disattenzione della politica abruzzese nei confronti del carcere.

Alla luce di questa realtà, secondo la parlamentare sarebbe pertanto indispensabile istituire la figura del garante delle carceri regionale, come primo passo di attenzione da parte delle istituzioni verso questo mondo. "Il garante serve a creare un ponte tra i due mondi" continua a questo proposito la Bernardini. "Quello della libertà e quello della reclusione, oltre a fare rispettare i diritti anche per coloro che sono privati della libertà personale".

Secondo l’onorevole, inoltre, la figura potrebbe creare una sinergia tra la regione e le problematiche dei penitenziari. Un esempio sarebbe costituito dal delicato problema della sanità, poiché le Asl sono competenti della sanità penitenziaria. "Il garante" ha, poi, concluso Rita Bernardini "ha anche il compito di creare un osservatorio permanente sulla vivibilità nelle carceri e controllare se si verificano dei soprusi".

Maurizio Acerbo ricorda, però, che questa proposta sarebbe stata già avanzata nella precedente consiliatura da Rifondazione Comunista e che, arrivata in aula, sarebbe stata rispedita in commissione con motivazioni "davvero risibili". "Polemizzammo molto all’epoca con i settori della maggioranza di centro-sinistra, che si misero di traverso non ritenendo una priorità tale provvedimento" ricorda a riguardo il consigliere regionale. "Allora eravamo probabilmente in anticipo sui tempi della politica abruzzese, cioè ci muovevamo in sintonia con le altre regioni. Ora credo che sia matura la consapevolezza dell’urgenza di un provvedimento di questo genere. Ovviamente il progetto di legge è già pronto, presentato dal sottoscritto e auspico che cominci al più presto il suo iter".

Sardegna: grave situazione igienica; manca sapone e detersivo

 

Agi, 29 gennaio 2010

 

"Solo un intervento straordinario degli enti locali per l’acquisto di detersivi, stracci e saponi può porre rimedio alla grave situazione igienica in cui si trovano diversi istituti penitenziari della Sardegna. Il sovraffollamento non incide solo sul numero delle persone dentro le celle con pesanti condizionamenti sugli spazi vitali ma anche sulle condizioni igieniche dei locali comuni. Alla scarsità del sapone per lavarsi si aggiunge quella dei detersivi per pulire le celle. Il risultato è facilmente intuibile". Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme", che ha ricevuto segnalazioni dai detenuti di alcuni Istituti isolani e dai familiari preoccupati per il degrado degli ambienti in cui sono costretti a vivere i loro congiunti.

"Abbiamo appreso - afferma Caligaris sottolineando l’emergenza determinata dalla incessante crescita della popolazione carceraria - che molti detenuti, specialmente quelli extracomunitari le cui famiglie sono lontane e con scarsi mezzi, non dispongono neppure del vestiario sufficiente per coprirsi in questi mesi invernali e molti non hanno le scarpe. È evidente che il volontariato contribuisce per cercare di porre rimedio a situazioni così difficili grazie alla generosità di molti cittadini ma è assurdo che non intervenga il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Occorre garantire inoltre lenzuola, federe, cuscini e coperte ma anche un vestiario adeguato alla stagione. Senza contare le necessità di gasolio per l’acqua calda e il riscaldamento".

"Queste carenze - sostiene ancora Caligaris - sono ancora più gravi se si considerano i rischi per la diffusione di malattie. Il paradosso è che una sottovalutazione della situazione può avere delle ancor più pesanti conseguenze con la necessità di medicinali e interventi di disinfestazione e isolamento praticamente inattuabili. A questo punto diventa inderogabile l’intervento degli Enti Locali. Le amministrazioni infatti possono destinare dei fondi per l’acquisto dei prodotti per la pulizia. Ciò almeno per limitare i danni".

"Non è tuttavia degno di un Paese civile - conclude Caligaris - non salvaguardare la dignità dei cittadini specialmente quando non sono nelle condizioni di poter provvedere ai propri bisogni. Qui non si tratta di disporre di beni di lusso per i detenuti, ma di preservare la decenza delle istituzioni".

Sardegna: riparte servizio unico gestione biblioteche carcerarie

 

Agi, 29 gennaio 2010

 

Da circa un mese, dopo una sospensione di un anno legata a problemi burocratici, le biblioteche delle carceri sarde possono di nuovo contare su un servizio di gestione unico affidato dalla Regione all’associazione temporanea di imprese formata dalla società Tesauro e da Recherche coop.

L’Ati avrà il compito di catalogare e curare il prestito dei circa 50 mila volumi presenti nei centri di lettura delle strutture di Cagliari, Iglesias, Nuoro, Lanusei, Alghero e Sassari, nell’istituto per minori di Quartucciu e nelle case di reclusione di Arbus, Lodè e Isili.

"I detenuti", ha affermato stamane a Cagliari alla presentazione dell’iniziativa il responsabile dell’amministrazione penitenziaria della Sardegna, Francesco Massidda, "leggono moltissimi libri, una media di cinque ogni anno. Si tratta di un dato considerevole, posto che, in media, ogni cittadino italiano non arriva a due volumi l’anno". Il servizio di gestione delle biblioteche carcerarie sarde è stato finanziato dall’assessorato regionale alla Cultura con uno stanziamento, per il 2010, di 100 mila euro. "Crediamo molto a questa iniziativa", ha commentato l’assessore Lucia Baire, "soprattutto in funzione del recupero sociale e culturale dei reclusi".

Sulmona: Pelino (Pdl); reintrodurre le "colonie penali agricole"

 

Il Velino, 29 gennaio 2010

 

"Più che la chiusura della Casa Lavoro del carcere di Sulmona chiederei più lavoro per i detenuti attraverso la reintroduzione della colonia agricola data la tradizione del nostro Abruzzo. Se la Casa Lavoro non è più sufficiente a soddisfare le esigenze dei 205 internati e dei 200 in arrivo è opportuno creare un nuovo modo per occupare le persone che stanno scontando una pena. E penso a una vera azienda agricola".

Così Paola Pelino del Pdl in risposta al collega dell’opposizione Giovanni Lolli che attraverso un’interrogazione parlamentare ha chiesto la chiusura e la considerevole riduzione del numero di internati. "La struttura sulmonese ha tutte le capacità per diventare un fucina lavorativa - continua Pelino - che sia in grado di far fronte a tutti i problemi legati alla psiche dei reclusi. Sarebbe bello poter vedere, come un tempo, i detenuti impegnati in lavori manuali proprio in strutture da realizzare fuori dal carcere e parliamo anche di una semplice serra con del terreno da coltivare.

Qui non stiamo parlando soltanto del problema del sovraffollamento, orami acclarato, ma anche della vetustà di molte strutture carcerarie e con celle non a norma". La parlamentare sulmonese è convita che l’attenzione oggi, deve puntare al lavoro che non c’è ed è proprio in questa direzione che chiederà un intervento al Governo affinché si provveda alle risorse per "occupare mentalmente" i reclusi evitando che si intacchi ancor più la personalità dell’individuo.

"L’organizzazione e i metodi di lavoro nella società libera - conclude la parlamentare azzurra - devono far acquisire una preparazione professionale adeguata. Un esempio di carcere "eccellente" è quello della Gorgona dove si pratica agricoltura biologica e si allevano bovini, suini ed altro.

Inoltre i detenuti percepiscono anche un salario. Insomma, oggi lavorare sulla salute significa anche lavorare sugli uomini e sul loro futuro".

 

Assessore: Nannarone: stravagante proposta On. Pelino

 

"È davvero stravagante la proposta dell’onorevole Pelino, che pensa di risolvere il sovraffollamento del carcere di Sulmona, facendo coltivare i campi ai detenuti". Lo dice l’assessore provinciale Teresa Nannarone che aggiunge: "Un’idea davvero bizzarra, che testimonia la scarsa conoscenza della questione da parte dell’onorevole, che tra l’altro non mi risulta si sia mai occupata del penitenziario peligno, né ha mai avuto la sensibilità di far visita ai detenuti o al personale impiegato.

A differenza della Provincia, che oltre ad investire risorse proprie nel penitenziario, si è sempre occupata sia delle condizioni di vita degli internati, sia delle condizioni di lavoro degli agenti. Recentemente - ricorda l’assessore - abbiamo anche sollecitato il Ministro Alfano ad adottare misure concrete per il potenziamento del personale. Il numero degli internati nella casa lavoro del carcere di Sulmona, che tra l’altro è divenuta la più grande d’Italia, va notevolmente ridotto per consentire condizioni più dignitose di vita e anche per risolvere il problema sanitario all’interno del carcere, di cui la Regione Abruzzo, non si è mai interessata. La proposta dell’on Giovanni Lolli va esattamente in questa direzione. L’on Pelino ha invece dato prova ancora una volta del suo approccio superficiale ai problemi", dice infine Teresa Nannarone.

Empoli: fa ancora discutere l’apertura di un carcere per trans

 

Panorama, 29 gennaio 2010

 

Un decreto ministeriale del 20 ottobre 2008 ha trasformato l’Istituto a custodia attenuata (dove cioè la funzione rieducativa della pena assume maggiore importanza rispetto a quella retributiva, offrendo maggiori opportunità al detenuto di riabilitarsi e di auto-sperimentare il grado di maturità e responsabilità raggiunta) della città toscana nel primo carcere italiano per transgender.

Ospiterà, dai primi giorni di marzo, venti giovani transessuali attualmente recluse in un’ala dedicata del penitenziario di Sollicciano, in provincia di Firenze. La scelta del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria toscana è stata dettata dalla volontà di alleggerire il carcere fiorentino sfruttando le potenzialità di quello empolese, ormai vuoto.

"La scelta di trasferire le transessuali a Empoli" precisa a Panorama, il provveditore Maria Pia Giuffrida "è nata per alleviare le loro condizioni di detenzione. Nella nuova struttura sarà più semplice riuscire ad attuare programmi e percorsi educativi e lavorativi". Attualmente solo tre delle future ospiti svolgono mansioni all’interno del carcere di Sollicciano. "A Empoli tutte avranno un’occupazione: potranno studiare ma anche imparare a lavorare la terra", precisa Giuffrida. L’istituto empolese è infatti provvisto non solo di bagni idonei, ma anche di una sala per dipingere, strumenti musicali, una biblioteca, un cortile all’aperto con un gazebo, tavoli e un piccolo orto.

E le trans che cosa pensano del nuovo carcere? Secondo il provveditore Giuffrida che le ha incontrati solo pochi giorni fa: "Sono entusiaste e mi hanno fatto moltissime domande sulla struttura e sulle possibilità di lavoro", racconta Maria Pia Giuffrida. "Ma la domanda più ricorrente è stata: quando? La voglia di iniziare questa nuova esperienza è veramente forte".

Mentre vanno ultimandosi i lavori di adeguamento al sistema idraulico e a quello elettrico della struttura e sono stati anche ridefiniti i livelli di sicurezza dell’istituto, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria sta anche concludendo il percorso formativo per gli agenti. Saranno uomini, come stabilisce la normativa, a vigilare all’interno dell’Istituto. Ma considerando la particolarità delle detenute il Provveditorato ha previsto anche la presenza di alcuni agenti di custodia donne. In parallelo con i corsi di formazione, è stato attivato anche un ciclo di incontri con endocrinologi e psicologi della Asl empolese.

Attualmente, le venti trans che saranno trasferite stanno scontando la pena all’interno della sezione femminile di Sollicciano, sorvegliati da donne, con il supporto di un solo agente maschile: svolgono attività culturali con le donne, giocano a pallavolo e fanno sport con le altre detenute di sesso femminile. "Questo è un carcere all’avanguardia, dove esiste l’integrazione concreta tra trans e altri detenuti" commenta il garante dei detenuti toscani, Franco Corleone. "Certo, con i problemi di sovraffollamento che investono anche l’istituto fiorentino, il trasferimento di venti detenuti in una struttura inutilizzata non può che essere positivo".

Parla di buona notizia Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay: "Questo progetto pilota non solo toglierà le trans da un ambiente dove sono costrette a subire umiliazioni ma le introdurrà in una nuova dimensioneche ne favorità il reinserimento e l’occupazione".

Più cauto il commento di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale: "L’esperimento toscano va monitorato. Empoli eviterà spiacevoli episodi di mobbing sessuale, ma il modello di carcere auspicabile per le trans è quello che prevede un’integrazione completa con gli altri detenuti uomini e donne senza correre rischi".

Dubbi sui quali invita a riflettere anche Franco Corleone, che paventa il rischi che il carcere di Empoli si possa "trasformare in un "ghetto" o peggio ancora in un "carcere spettacolo", o in uno "zoo", dice a Panorama il garante dei detenuti. E prosegue: "Sono perplesso su questo trasferimento, che avviene senza aver fatto un serio percorso di integrazione con la comunità empolese, l’Amministrazione comunale e le associazioni di volontariato. E poi trovo che ci siano tante contraddizioni da risolvere. Una su tutte il nome del nuovo carcere deciso dal decreto ministeriale del 2008: Istituto transgender maschile di Empoli. È sul "maschile" che, oggi come in passato, manifesto tutte le mie perplessità. Non si può parlare di integrazione, di progetto all’avanguardia se poi si ghettizzano in partenza".

Firenze: Toccafondi (Pdl); interrogazione sull'Opg Montelupo

 

Adnkronos, 29 gennaio 2010

 

Un’interrogazione al ministro della giustizia sul futuro dell’Opg di Montelupo Fiorentino. A presentarla, il deputato del Pdl Gabriele Toccafondi sul futuro dell’ospedale psichiatrico alla luce della notizia che l’Opg di Montelupo Fiorentino diventerà un carcere ordinario. "Occorre fare chiarezza sul futuro della struttura, sui lavoratori e sui degenti - afferma Toccafondi -. Nell’interrogazione si chiede se la struttura è realmente destinata ad essere riconvertita in carcere ordinario e in quali tempi, con quale capienza prevista, con quale dotazione di personale amministrativo, di polizia penitenziaria, medico e paramedico. Infine se è possibile il parziale utilizzo della struttura ovvero quella di interesse storico-artistico, per una fruibilità pubblica attraverso un accordo con il Ministero della cultura". "La volontà del Governo - conclude Toccafondi - è quella di superare l’emergenza sovraffollamento nei carceri italiani attraverso la ristrutturazione e la costruzione di nuove strutture e con l’assunzione di nuovo personale di polizia penitenziaria. In quest’ottica è apprezzabile, anche per la difficile situazione carceraria della Toscana, il ripensamento della struttura di Montelupo".

Ferrara: Balboni (Pdl); interrogazione sul carcere di Codigoro

 

La Nuova Ferrara, 29 gennaio 2010

 

Carceri sovraffollate in tutta Italia e un carcere mai utilizzato a Codigoro. Una incongruenza che il senatore Alberto Balboni pone all’attenzione del ministro della Giustizia Alfano attraverso un’interrogazione. Secondo i dati diffusi dal ministero, infatti, attualmente la popolazione carceraria è superiore di ben 20.000 unità alla capienza massima prevista e per far fronte a questa vera e propria emergenza il Consiglio dei Ministri ha approvato la scorsa settimana un piano carceri straordinario. A Codigoro risulta esservi una casa mandamentale in grado di ospitare 52 detenuti e inutilizzata da anni, tale struttura inoltre potrebbe essere ampliata in quanto collocata su un’area libera. Balboni si rivolge al governo per verificare la possibilità di utilizzare la struttura, una volta accertata la sua agibilità, per l’accoglienza dei detenuti che devono scontare meno di un anno di pena. La proposta di Balboni è anche valutare la possibilità di creare una comunità carceraria che, nel rispetto delle normative, possa essere "gestita" dai detenuti, prossimi al termine della pena, in modo da facilitarne l’imminente inserimento nella società.

Modena: Casa di Lavoro; troppi internati, gli agenti protestano

 

La Gazzetta di Modena, 29 gennaio 2010

 

Una manifestazione di protesta alla casa di lavoro di Saliceta San Giuliano è stata indetta per domani alle 11 dal Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - Sappe. La struttura ospita come internati soggetti che il magistrato di sorveglianza ha giudicato socialmente pericolosi pur avendo scontato le condanne a proprio carico. "Nonostante questa situazione, per ora il ministero non ha adottato alcun provvedimento riguardo un aumento di personale di sorveglianza", lamentano gli agenti di via Panni.

"A Saliceta alla carenza di personale - ha dichiarato il segretario generale aggiunto del Sappe, Durante - si aggiunge una gestione dell’istituto poco attenta alle esigenze di sicurezza, ragion per cui è stato chiesto, da più parti, il cambio dei vertici. Nei giorni scorsi, tra l’altro, sono stati rinvenuti nella casa di lavoro di via Panni tre telefoni cellulari, due schede sim e una siringa, usata probabilmente dai detenuti tossicodipendenti, che nella struttura sono più del 50%, per iniettarsi droga". Durante ha poi spiegato le ragioni della protesta inquadrandole in una situazione, a livello regionale, che ha "i maggiori problemi di sovraffollamento e di carenza di personale di polizia nelle strutture detentive".

Durante ha affermato poi di confidare nel nuovo piano carceri che il ministro Alfano ha illustrato martedì scorso alle organizzazioni sindacali. "Ci auguriamo - ha concluso in una sua nota - che venga finalmente realizzato il nuovo istituto di Forlì, in costruzione da anni, e che vengano ampliati gli istituti con maggiore sovraffollamento, come Bologna. Inoltre, sono previste due importanti misure deflattive come gli arresti domiciliari per coloro che hanno un residuo pena di un anno e la messa in prova per coloro che vengono condannati a pene fino a tre anni.

Prevista anche l’assunzione di 2 mila agenti di polizia penitenziaria". Del sovraffollamento delle carceri modenesi (131 detenuti contro gli 82 previsti a Castelfranco, 109 a Saliceta e addirittura 550 al Sant’Anna contro un massimo previsto di 230) s’è discusso in consiglio provinciale, dove è stato approvato un ordine del giorno presentato da Cecile Kyenge Kashetu (Pd) e sottoscritto anche da Luca Gozzoli e Fausto Cigni (Pd).

 

Sappe: evaso un internato

 

Un internato della casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, alle porte di Modena, è evaso questa mattina durante il turno di attività. A denunciare l’ennesimo grave episodio è il segretario generale aggiunto del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), Giovanni Battista Durante. "La polizia penitenziaria ha immediatamente allertato tutte le altre forze di polizia ha spiegato il sindacalista -. Le ricerche continuano ininterrottamente da questa mattina ad opera della polizia penitenziaria, della polizia di Stato e dei carabinieri. Questo ulteriore episodio conferma la gestione fallimentare di Saliceta e la necessità di procedere ad una immediata verifica ad opera dell’ufficio ispettivo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria".

Proprio alla casa di lavoro di Saliceta, domani mattina, il Sappe ha organizzato una manifestazione di protesta per denunciare il sovraffollamento delle strutture penitenziarie italiane. L’episodio riferito dal Sappe oggi non è il primo che solleva le lamentele del sindacato per la situazione di Saliceta, dove si trovano internati che hanno già scontato interamente le condanne subite, ma che sono stati giudicati socialmente pericolosi dal magistrato di sorveglianza. All’inizio dell’anno i rappresentanti sindacali avevano segnalato che nella struttura erano stati trovati telefoni cellulari e sim card utilizzati dagli internati, e una siringa.

Busto A.: scuola e carcere si incontrano per parlare di legalità

 

Varese News, 29 gennaio 2010

 

Scuola e carcere si incontrano all’Itc di Busto. È successo giovedì 14 gennaio: gli studenti hanno un incontrato alcuni operatori della Casa Circondariale di Busto e una persona detenuta.

Scuola e carcere si incontrano all’Itc di Busto. È successo giovedì 14 gennaio, quando gli studenti delle classi 5CC e 5DC dell’istituto "E. Tosi" di Busto hanno un incontrato alcuni operatori della Casa Circondariale di Busto e una persona detenuta. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito del progetto "Cittadinanza e Costituzione", promosso dalla professoressa Luisa Piacentini e dall’istituto stesso con la responsabile dell’area educativa Rita Gaeta e Sergio Preite, agente di rete nella stessa struttura.

Gli studenti coinvolti nel progetto hanno deciso di raccontare a Varese News la loro esperienza che non finisce qui, ma prevede altri tappe fra cui forse anche una visita alla redazione di Mezzo Busto, il giornale del carcere di Busto. Idee e pregiudizi? Stavolta abbiamo proprio dovuto metterli in discussione. È sicuramente questo il sentimento comune che circolava fra di noi alla fine dell’incontro con L.L., un ragazzo detenuto nella carcere di Busto, che ci ha regalato una testimonianza molto interessante, sia dal punto di vista educativo che umano.

Per questo abbiamo deciso di condividere con i lettori di Varese News la nostra esperienza. La mattinata, introdotta da una delle docenti che lavorano nell’istituto bustocco, è iniziata con la proiezione del cortometraggio realizzato dai detenuti "Via per Cassano 102" che racconta la vita in carcere dal punto di vista di coloro che lì vivono e lavorano. Da questo video e dalle parole degli operatori che ogni giorno si confrontano con questa realtà abbiamo compreso che in prigione non operano solo gli agenti di Polizia Penitenziaria (persone che qualcuno pretende ancora di chiamare "secondini"), ma una pluralità di figure. Naturalmente di dubbi e curiosità sulla vita quotidiana in carcere ne sono rimasti e quindi abbiamo approfittato dell’occasione per fare domande e osservazioni. "Nel momento in cui un detenuto ha bisogno di qualcosa, sia esso un oggetto o un servizio - spiega Gaeta, può avvalersi della cosiddetta "domandina", con la quale la direzione può autorizzare la sua richiesta. Tuttavia, prima che questi ottenga ciò che ha richiesto, deve attendere lunghi periodi. Infatti, l’amministrazione non può soddisfare il bisogno del singolo, ma deve attendere che altri inoltrino la stessa richiesta".

Ma è stata sicuramente la testimonianza della persona detenuta quella più incisiva. La realtà carceraria non è stata semplicemente descritta oggettivamente, ma le parole di L.L. hanno saputo trasmettere anche il lato umano della prigione, un luogo su cui la società nutre molti pregiudizi. "Il carcere - ci ha raccontato- rispecchia la società: non esiste solo il male all’interno di quelle mura. Difficilmente si trova altrove tanta solidarietà e tanta umiltà: quando un detenuto si trova in una situazione di disagio o malattia, tutta la sezione si mobilita in suo aiuto. Nonostante la struttura carceraria offra diversi percorsi e strumenti per la reintegrazione, questo risulta difficile perché spesso la società etichetta come criminali tutti coloro che hanno vissuto all’interno di una casa circondariale, rendendo pressoché impossibile l’accettazione degli ex detenuti all’interno della società". Per questo motivo L.L ha dichiarato di voler ritornare nella sua città natale dopo aver scontato la pena.

Tutti soddisfatti insomma dall’incontro, anche gli insegnanti. "L’insegnamento di "Cittadinanza e Costituzione" ha come obiettivo quello di creare un cittadino responsabile e critico - ha affermato Piacentini. Gli interventi che stanno impegnando la nostra scuola in questo momento mirano all’acquisizione della responsabilità sociale e morale e al consolidamento dello spirito di solidarietà e di un comportamento responsabile verso gli altri".

Cagliari: detenuto 30enne si laurea è il primo a Buoncammino

 

Agi, 29 gennaio 2010

 

Tra qualche mese un detenuto trentenne del carcere di Buoncammino conseguirà la laurea in Lettere all’università di Cagliari e sarà il primo recluso a completare il ciclo di studi nella storia della struttura penitenziaria cagliaritana.

Quando l’uomo è finito in cella nel 1992 dopo una condanna a 30 anni per un omicidio compiuto in un paese dell’hinterland cagliaritano, aveva in tasca solo la licenza elementare. Convinto dagli educatori a proseguire gli studi, ha dapprima conseguito la licenza media inferiore, quindi ha optato per gli studi di ragioneria e infine si è iscritto alla facoltà di Lettere.

Al traguardo manca solo l’esame di inglese, che sosterrà tra qualche settimana, quindi inizierà a stendere la tesi di laurea. "Il ragazzo", ha raccontato l’educatore che sta seguendo il laureando, Giulio Versari, "attualmente gode dei benefici previsti dall’articolo 21 della legge 354/75 sulle norme dell’ordinamento penitenziario: ogni mattina lascia il carcere per andare a lavorare come autista in una ditta edile cagliaritana o per andare a sostenere gli esami all’università per poi rientrare nella struttura penitenziaria. Credo che questa vicenda testimoni come, anche all’interno di una struttura detentiva, si possa costruire il proprio futuro".

Libri: con "Liberi per sempre", le storie dalle carceri minorili

 

Italpress, 29 gennaio 2010

 

Raccontare attraverso la musica le storie dei ragazzi detenuti negli Istituti Penitenziari Minorili. È l’obiettivo di "Liberi per Sempre", il progetto ideato dalla Associazione Liberi Onlus e presentato martedì scorso a Roma dal ministro della Gioventù Giorgia Meloni.

"Incontrare i ragazzi detenuti nelle carceri minorili è più difficile di quanto si possa pensare - ha spiegato il ministro. Alberto Mennini ha fatto un buon lavoro utile anche a chi sta fuori dal carcere". Mennini è l’autore del viaggio tra gli Istituti Penitenziari Minorili dell’Italia, da Milano a Caltanissetta, è un cantautore che ha portato la musica tra i giovani detenuti e ha raccolto in un libro - "Liberi per sempre", appunto - e in un dvd il suo percorso.

"Questo progetto vuole essere un inno alla libertà - ha detto Mennini -, racconto un percorso intenso e, a volte difficile, ma ricco di emozioni. Attraverso la musica abbiamo coinvolto i minori detenuti negli istituti, facendogli togliere quelle maschere esteriori che spesso non coincidono con i loro sogni". Il progetto è nato dalla collaborazione tra ministero della Giustizia - Dipartimento della Giustizia Minorile, Dipartimento della Gioventù, Provincia di Roma, Regione Lazio e Osa (Operatori Sanitari Associati), con lo scopo di stimolare una riflessione sui temi della devianza minorile utilizzando come linguaggio la musica e l’arte in genere.

"Due sono gli obiettivi del progetto - ha continuato il ministro Meloni -, uno è il recupero e l’altro è la prevenzione. Dare un’altra possibilità a chi ha sbagliato è sempre stato al centro del nostro sistema, questo non deve essere un privilegio ma un diritto, in particolare per chi è giovane e ha tutta la vita davanti. Lo Stato e le Istituzioni hanno poi la responsabilità di non far sentire soli e abbandonati questi giovani che hanno sbagliato, occorre incoraggiarli e stimolarli facendogli capire che una volta pagato il debito con la società hanno pieno titolo, al pari di chiunque altro, di riprendere il cammino interrotto e contribuire alla crescita economica e culturale del paese".

Il libro, pubblicato in 10 mila copie, sarà distribuito gratuitamente sia all’interno degli Istituti Penitenziari Minorili sia alle scuole secondarie. "Far incontrare queste due realtà - ha concluso il ministro - è molto più efficace di una campagna promossa dallo Stato o dalla politica, considerati spesso troppo lontani. Devono essere i protagonisti delle storie a raccontare in prima persona le esperienze evitando che altri giovani possano commettere gli stessi errori".

Serenella Pesarin, del dipartimento Giustizia Minorile, ha ricordato: "In Italia seguiamo ogni anno 30 mila ragazzi, sono persone splendide ma a volte molto difficili, ai quali grazie anche a questi progetti, bisogna dare forza". Gli incontri con gli studenti inizieranno da Roma a febbraio, le tappe successive del tour per le altre scuole italiane saranno pubblicate sul sito Internet del ministero per le Politiche Giovanili.

Immigrazione: Eurispes; per 64% italiani aumenta criminalità

 

Ansa, 29 gennaio 2010

 

Gli immigrati? Sono un po’ troppi e la loro presenza massiccia in Italia aumenta la criminalità. Ecco come la pensano gli italiani intervistati dall’Eurispes sulla questione immigrazione in occasione del Rapporto Italia 2010, presentato oggi. Lo studio parla di una convivenza fatta di luci e ombre.

Il 64,7% dei nostri concittadini, infatti, ritiene che gli immigrati aumentino la criminalità, il 46,1% pensa che un atteggiamento di diffidenza nei loro confronti sia giustificabile, seppur se solo in alcuni casi (il 22,8% lo reputa pericoloso, il 17,7% riprovevole), l’86,4% è dell’idea che svolgano i lavori che nessun altro ormai vuole fare, ma quasi un italiano su quattro (il 24,8%) è convinto che gli stranieri rubino il lavoro ai cittadini del Belpaese. A quest’ultima opinione si affianca quella del 60,4% di italiani secondo i quali i migranti aiutano la crescita del paese, mentre per il 59,1% permettono l’arricchimento culturale.

Ad essere più aperti (ma nemmeno troppo) con i migranti sono gli elettori di sinistra: per il 29% è "riprovevole" provare diffidenza verso gli immigrati, una percentuale che cala al 14,8% nel centro-destra. La convinzione che gli immigrati tolgano il lavoro agli italiani risulta tanto più diffusa quanto più a destra si collocano gli intervistati: si passa dal 17,3% dei soggetti di sinistra al 33,3% di quelli di destra. Gli immigrati aumentano la criminalità per il 51,2% del campione orientato a sinistra e per il 75% di quello di destra e centro-destra.

In totale il 58,8% degli italiani pensa che si sia raggiunto il limite: la capacità ricettiva del paese è stata superata (lo pensa anche il 53,4% degli elettori del centro-sinistra). E un terzo dei cittadini (33,6%) vorrebbe che fossero inaspriti i controlli alle frontiere, per ostacolare l’ingresso di stranieri senza permesso. Comunque più di un terzo (36,5%) crede nell’integrazione e vorrebbe che lo Stato facesse di più in tal senso. Ma niente cittadinanza breve: il 36,8% dei cittadini ha dichiarato che l’intervallo di tempo più adeguato per ottenere la cittadinanza siano dieci anni di residenza. Solo il 29,7% sostiene che sarebbe più giusto un intervallo di cinque anni, il 14,7% parla invece di sette anni.

Per quanto concerne il diritto di voto, quasi la metà dei cittadini (49,1%), ritiene che gli stranieri regolarmente residenti, ma privi di cittadinanza, non debbano votare alle elezioni italiane. Un occhio di riguardo in più c’è per i bambini: il 60,3% degli intervistati ritiene che può essere cittadino italiano anche chi è nato in Italia da genitori stranieri.

Immigrazione: Eurispes; 30% reati violenti opera "clandestini"

 

Ansa, 29 gennaio 2010

 

Un terzo dei reati violenti commessi in Italia sono per mano di uno straniero. In particolare - rilevano i dati dell’Eurispes più recenti in materia - gli immigrati sono autori del 39% dei casi di violenza sessuale, del 36% degli omicidi, del 27% dei denunciati per lesioni dolose. Significativa la rilevanza degli stranieri nei borseggi: 7 su 10 sono ad opera loro. Gli stranieri denunciati nel 2006 sono stati 100 mila; sono in aumento come è del resto è in aumento la popolazione straniera. Tuttavia - rileva sempre l’Eurispes - gli immigrati regolari non delinquono più degli italiani. Infatti, sul totale dei denunciati, la quota di stranieri in regola è del 6%.

La maggior parte dei denunciati stranieri risulta non essere in regola con il permesso di soggiorno e, verosimilmente, non l’ha neppure richiesto. È in condizioni di irregolarità l’80% degli stranieri denunciati per reati contro la proprietà. Ed è per questo che recentemente il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha affermato che meno clandestini equivale a meno criminalità.

"Non faccio equazioni tra immigrazione clandestina e criminalità - ha detto Maroni - ma sono i dati che dicono che nel 2009, insieme agli sbarchi di clandestini, sono diminuiti anche i reati commessi da immigrati extracomunitari". Nel 2009 - ha riferito - i reati commessi da immigrati extracomunitari sono diminuiti del 13% rispetto al 2008. Nello stesso periodo gli sbarchi sono passati dai 36mila del 2008 a meno di 9mila nel 2009. In carcere, infine, i detenuti stranieri rappresentano un terzo della popolazione. Secondo i dati del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), al 31 gennaio 2009, dei 59.060 detenuti, il 38% è straniero.

Immigrazione: Barbagli; poche espulsioni, lotta a "lavoro nero"

di Flavia Amabile

 

La Stampa, 29 gennaio 2010

 

Più clandestini più crimini, meno clandestini meno crimini. La formula è molto semplice, diretta, facile da comprendere. Ma la realtà è diversa, sostiene Marzio Barbagli, professore di sociologia all’Università di Bologna e studioso dei rapporti fra immigrazione e criminalità in Italia a cui ha dedicato un volume.

 

Il presidente dei Consiglio sostiene che una diminuzione degli extracomunitari vuol dire meno forze che vanno a ingrossare le file delle organizzazioni criminali. È così?

"Se fosse così corrisponderebbe a quello che sostengono gli strati più xenofobi della popolazione e non avrebbe senso. Il premier non si riferiva all’immigrazione tout court ma a quella clandestina come si comprende ascoltando l’intera sua dichiarazione".

 

Dunque meno clandestini meno criminalità?

"Bisogna innanzitutto intendersi sul concetto di clandestini. Soltanto un immigrato clandestino su 3 è quello che entra in modo illegale nel nostro Paese. Gli altri due su tre sono irregolari, persone entrate in modo lecito, con permessi di soggiorno, visti che poi sono scaduti e non sono più stati rinnovati".

 

Dovrebbero essere rimpatriati. Esiste anche un reato d’immigrazione clandestina varato dal governo Berlusconi.

"Quel reato finora è servito a ben poco, I dati sui reati più frequentemente commessi dagli irregolari come lo spaccio o la detenzione di stupefacenti ci fanno capire molto chiaramente che il numero degli irregolari non è calato, anzi".

 

Qual è il problema?

"Fino a metà del 2009 si rimpatriavano da 90 a 100 mila persone, si chiamano i "rintracciati". Sono persone emerse perché in base a controlli effettuati da magistratura e forze dell’ordine si pensava che avessero commesso attività illecite. Di questo enorme numero negli ultimi anni si è effettivamente riusciti a mandare ai Paesi d’origine solo il 25% dei rintracciati".

 

Cioè tre su quattro fra questi irregolari sospettati di aver già commesso illeciti sono rimasti in Italia.

"Esatto, ci sono problemi legati al sistema di rimpatrio. C’è bisogno di tempo per fare gli accertamenti. Molti non danno le loro generalità oppure le danno false. Altri non dicono da dove arrivano. Ci sarebbe bisogno di accordi tra l’Italia e i Paesi di provenienza per rendere più rapide le procedure".

 

Se questo è vero ci sono centinaia di migliaia di irregolari che ogni anno vanno a ingrossare le file dei criminali per colpa dell’incapacità italiana di rimpatriarli.

"C’è stato un periodo in cui il sistema funzionava meglio. Quando il centrosinistra introdusse i Centri di Permanenza Temporanea si riusciva a rimpatriarne il 50%. Poi i centri hanno perso incisività, ora hanno cambiato nome e in parte la fisionomia ma le cose non sembrano andare molto meglio".

 

Come mai è così difficile riuscire a rimpatriare gii irregolari?

"Perché la nostra è un’economia che ha caratteristiche strutturali che, favoriscono l’immigrazione irregolare. Si basa sul lavoro nero e non esistono controlli. Le norme ci sono, ma nessuno le fa rispettare".

 

Quale potrebbe essere una soluzione?

"Moltiplicare per mille i controlli. Rendere più severe le pene per gli imprenditori che sfruttano i lavoratori in nero ma lasciando che le conseguenze di questa pratica illegale siano tutte a carico dei lavoratori. E poi fare una politica attiva dell’immigrazione senza passare da una sanatoria all’altra".

Libia: non può liberare detenuti innocenti Ministro si dimette

 

Ansa, 29 gennaio 2010

 

Il Ministro della Giustizia libico, Mustapha Abdeljalil, in una dichiarazione alla radio e alla televisione libica, ha affermato oggi di volersi dimettere perché impossibilitato a superare "gli ostacoli" che gli impediscono di liberare 300 prigionieri la cui innocenza è già stata stabilita. L’inaspettato annuncio è stato fatto in tarda mattinata da Sirte, dove si sta svolgendo la sessione finale della riunione annuale del Congresso Generale del Popolo, l’organo legislativo libico.

Il Ministro, in diretta radiotelevisiva, ha parlato di "fallimento del sistema di giustizia" e di "impotenza di fronte ad ostacoli che fanno languire in carcere 300 persone giudicate innocenti". Abdeljalil ha anche dichiarato di "aver visto liberare dei condannati a morte senza il consenso delle famiglie delle vittime". Il leader libico Muhammar Gheddafi, anch’esso a Sirte, dove ha partecipato a una parte della riunione del Congresso, nel suo discorso ripreso dalla radiotelevisione di stato, ha commentato queste dichiarazioni del Ministro dimissionario limitandosi a un "è male informato" riguardo ai 300 detenuti e spiegando che e "si è trattato di una amnistia" a proposito dei condannati alla pena capitale. I 300 uomini di cui ha parlato il Ministro della giustizia libico Abedeljalil, sono gli stessi per i quali si sta battendo l’organizzazione umanitaria internazionale Human Rights Watch in Libia, con la collaborazione della Fondazione Gheddafi, presieduta da Seif al Islam, figlio del colonnello libico.

Israele: 84% palestinesi detenuti originario della Cisgiordania

 

Aki, 29 gennaio 2010

 

La grande maggioranza dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane proviene dalla Cisgiordania. Lo rivela un rapporto del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, secondo cui su 7.300 prigionieri, distribuiti in oltre 20 penitenziari, 6.155 (l’84,3 per cento) sono originari proprio della West Bank. Altri 400 detenuti provengono da Gerusalemme e dai territori del 1948.

Il rapporto conta 33 donne palestinesi detenute, una sola delle quali è della Striscia di Gaza, quattro di Gerusalemme, tre dei territori del 1948 e il resto della Cisgiordania. Ma secondo le stime, nelle carceri israeliane sono rinchiusi anche 300 minorenni. Elevato anche il numero dei prigionieri che si trovano in carcere da 20 anni e oltre: secondo il Fdlp sono 111, tre dei quali sono in prigione da più di 30 anni.

Il rapporto contiene anche alcuni dati su palestinesi morti mentre erano detenuti. Sarebbero 197 dal 1967, 71 dei quali, secondo il Fronte, a causa delle torture subite. Altri 49 sarebbero morti per mancanza di cure mediche e sette perché colpiti con armi da fuoco. Alla luce di questi dati, il Fdlp ha chiesto alle organizzazioni per i diritti umani di denunciare le violazioni israeliane e fare pressione per una maggior tutela della salute dei detenuti.

 

 

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