Rassegna stampa 21 gennaio

 

Giustizia: carceri aperte a giornalisti, aperte alla Costituzione

di Patrizio Gonnella (Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 21 gennaio 2010

 

Non c’è norma nella legge penitenziaria che vieti l’ingresso nelle carceri alla stampa. Ci sono disposizioni che nel tempo l’amministrazione penitenziaria ha emanato per evitare che potessero girare per le sezioni giornalisti travestiti da collaboratori parlamentari.

È difficile, a volte impossibile, per giornalisti televisivi, radiofonici o della carta stampata riuscire a entrare nelle carceri per raccontare la quotidianità della vita detentiva; per descrivere, senza mediazioni, come si svolge la vita in cella; per filmare i materassi per terra e i letti a tre piani, i bagni alla turca nel mezzo della stanza, le docce scrostate, i letti di contenzione negli ospedali psichiatrici giudiziari; per rappresentare con obiettività e non per sentito dire le migliori e le peggiori prassi. La campagna che abbiamo lanciato insieme al Manifesto non mira ad avere autorizzazioni ad hoc per intervistare singoli detenuti, non vuole minimamente mettere in difficoltà i responsabili della sicurezza.

Vuole sollevare un tema: quello dell’informazione liberata dalle gabbie di ingiustificati dinieghi. Vuole assicurare la possibilità ai giornalisti di visitare sezioni e reparti detentivi, di andare a incontrare le donne e i bambini ristretti nei reparti delle detenute madri, i malati nelle infermerie e nei centri clinici, i tossicodipendenti nelle sezioni a custodia attenuata, i mafiosi nelle sezioni di alta sicurezza, i ragazzi negli istituti per minori. Vuole consentire le visite nel carcere più affollato di Europa (Poggioreale a Napoli), in quello dove il rischio di morire suicidato è alto (Sulmona), nelle prigioni peggio e in quelle meglio gestite. La visita giornalistica ha un fortissimo valore preventivo.

Previene tentazioni di violenza, previene ipotesi di cattiva gestione, favorisce progettualità avanzate. La trasparenza toglie il carcere dalla sua perenne e pericolosa opacità. L’informazione obiettiva sul carcere, nonché sul rispetto o mancato rispetto della dignità delle persone recluse, evita che si formino idee stereotipate e si prendano posizioni pregiudiziali. Favorisce un’immagine pubblica dell’operatore carcerario che non sia quella che emerge dai prison movies. In questo momento storico il sovraffollamento è tale che richiede una particolare attenzione collettiva. L’amministrazione penitenziaria deve affrontare una situazione difficilissima, senza risorse e senza una guida politica.

Gli Stati Uniti - la cui durezza nella gestione delle pene è stata da molti politici evocata come modello da seguire - non hanno simili restrizioni e paure. Il Pentagono ha finanche concesso una visita di alcuni giorni a Guantanamo Bay, aprendo le porte delle celle di Camp Delta e delle prigioni Camp 5 e Camp 6. Da noi è praticamente impossibile ottenere il permesso per visitare e filmare un carcere in costruzione da cinquant’anni come quello di Gela. La legge italiana non ha divieti. La Costituzione riconosce il diritto e la libertà di informazione. Chiediamo che ai giornalisti sia consentito di entrare nelle carceri nel nome dei diritti umani e della democrazia.

Giustizia: oltre piano carceri, servono politiche di integrazione

di Gerardo Villanacci (Università Politecnica delle Marche)

 

Corriere Adriatico, 21 gennaio 2010

 

Non v’è dubbio che la situazione carceraria nel nostro Paese abbia assunto connotati di evidente drammaticità. La dimostrazione dell’assunto, al di là di ogni considerazione sul punto da parte di esperti e addetti ai lavori, è inequivocabilmente fornita dal fatto che negli istituti di pena italiani, ad oggi addirittura più affollati rispetto al periodo pre-indulto, si sta registrando un sistematico e triste aumento dei suicidi e degli atti di autolesionismo tra la popolazione detenuta.

L’impossibilità di tollerare un tale stato di cose ha conseguentemente indotto l’Esecutivo ad assumere misure volte a contenere, in primo luogo, il sovraffollamento delle strutture carcerarie.

La questione - di recente balzata agli onori delle cronache anche in ragione della condanna comminata al nostro Paese dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, a norma del quale "nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti" - non è di certo ulteriormente differibile, posto che negli istituti italiani sono recluse circa 65.000 persone, a fronte di una capienza sensibilmente inferiore.

Alla base del "Piano carceri" varato dal Consiglio dei ministri vi è, infatti, proprio la piena consapevolezza della eccezionale gravità della situazione, tale da giustificare la dichiarazione dello "stato di emergenza nazionale", decretata il 13 gennaio scorso dal presidente del Consiglio.

L’emanazione del provvedimento in oggetto è il primo punto del piano d’intervento predisposto dal Governo, che poggia su quattro "pilastri". Oltre alla procedura di emergenza, il cui limite temporale è fissato al 31 dicembre venturo, i cardini della politica statale sono rappresentanti dalla realizzazione di nuove strutture penitenziarie a partire dal 2011, tali da elevare di almeno 20.000 nuovi posti la complessiva capienza degli istituti di pena, l’introduzione di misure deflattive e l’implementazione dell’organico di Polizia Penitenziaria mediante l’assunzione di 2.000 nuovi agenti. Tuttavia, pur risultando le scelte in oggetto certamente apprezzabili, è ovvio che qualsiasi intervento in materia non possa prescindere da un effettivo ripensamento del sistema detentivo nel suo complesso.

Come confermato anche dai dati di recente diffusi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, circa il 40% della popolazione carceraria è attualmente di origine straniera. Alla luce di ciò, dunque, la valenza e la lungimiranza degli interventi governativi, volti a moderare il sovraffollamento negli istituti detentivi attraverso un sistema di prevalente potenziamento strutturale, vanno certamente valutate tenendo in debito conto le peculiarità della situazione italiana. È di tutta evidenza, infatti, che il problema in questione non può dirsi risolto solo con l’adeguamento e l’ampliamento dei penitenziari, ovvero con un maggiore impiego di forze all’interno degli stessi, ma presuppone una riflessione cosciente sulla sostanziale inidoneità delle politiche di integrazione fino ad oggi attuate dal nostro Paese.

Giustizia: al via l'iter del ddl per istituire Garante dei detenuti

 

9Colonne, 21 gennaio 2010

 

La Commissione affari costituzionali del Senato ha iniziato l’esame del disegno di legge, presentato dalla senatrice del Pdl, Barbara Contini, che istituisce "l’Agenzia nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani e la tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale". "Anche in questo caso - fa notare la senatrice Cintini nella sua relazione - l’istituzione di un Garante per la tutela dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale giunge in Italia con ritardo rispetto ad altri paesi europei, e non solo rispetto alle realtà scandinave dove istituzioni assimilabili al Garante sono state costruite sulle figure tradizionali degli Ombudsman, ma anche rispetto ai paesi dell’area mediterranea, come Portogallo e Spagna, o ai paesi con i quali l’Italia è solita misurarsi, come Francia e Gran Bretagna".

L’Agenzia ha il compito di: "a) promuovere la cultura dei diritti umani con riferimento alla Convenzione europea per la protezione e delle libertà fondamentali, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, e ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, dei Protocolli che la integrano, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 gennaio 1948, e della Carta sociale europea del 1950, la diffusione della conoscenza delle norme che regolano la materia e delle relative finalità, in particolare attraverso specifici percorsi informativi realizzati nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado; b) fornire alla Magistratura, dietro richiesta, pareri relativi all’applicazione nell’ordinamento italiano, dei testi internazionali sui diritti dell’uomo; c) svolgere il monitoraggio del rispetto dei diritti fondamentali in Italia; d) formulare, anche di propria iniziativa e sulla base degli elementi emersi dall’attività di monitoraggio di cui alla lettera b), pareri, raccomandazioni e proposte al Governo e al Parlamento su tutte le questioni concernenti il rispetto dei diritti fondamentali. L’Agenzia può in particolare proporre al Governo, nelle materie di propria competenza, l’adozione di iniziative legislative nonché di regolamenti e di atti amministrativi e sollecitare la firma o la ratifica delle convenzioni e degli accordi internazionali in materia di diritti umani.

Il Governo, a tal fine, trasmette all’Agenzia i progetti di atti legislativi e regolamentari che possono avere una incidenza su tali diritti; e) formulare raccomandazioni e suggerimenti al Governo ai fini della definizione della posizione italiana nel corso di negoziati multilaterali o bilaterali che possono incidere sul livello di tutela dei diritti umani, condurre e promuovere ricerche e studi nel campo dei diritti fondamentali".

L’Agenzia dovrà inoltre "f) contribuire a verificare l’attuazione delle convenzioni e degli accordi internazionali in materia di diritti umani ratificati dall’Italia; g) collaborare con gli omologhi organismi istituiti da altri Stati nel settore della promozione e della protezione dei diritti umani e dell’Agenzia Europea dei diritti fondamentali.

h) ricevere dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano segnalazioni relative a specifiche violazioni o limitazioni dei diritti di cui al comma 1 dell’articolo 1 e provvedere sulle stesse ai sensi dell’articolo 3, qualora non sia già stata adita l’autorità giudiziaria; i) promuovere, nell’ambito delle categorie interessate, nell’osservanza del principio di rappresentatività, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determinati settori, nonché verificarne la conformità alle leggi e ai regolamenti, anche attraverso l’esame di osservazioni di soggetti interessati a contribuire a garantirne la diffusione e il rispetto, migliorare la comparabilità e attendibilità dei dati con nuovi metodi e norme;

l) promuovere gli opportuni contatti con le autorità, le istituzioni e gli organismi pubblici, quali i difensori civici, cui la legge attribuisce, a livello centrale o locale, specifiche competenze in relazione alla tutela dei diritti fondamentali; m) prestare collaborazione alle istituzioni scolastiche e alle università per la realizzazione di progetti didattici e di ricerca concernenti le tematiche della tutela dei diritti fondamentali; n) promuovere il dialogo con la società civile per sensibilizzare l’opinione pubblica ai diritti fondamentali".

 

Marcenaro (Pd): primo passo per Agenzia diritti umani

 

Ieri mattina il comitato ristretto della commissione Affari Costituzionali ha varato un testo unificato per l’istituzione dell’Agenzia nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani. Il lavoro ha messo insieme un ddl della senatrice Barbara Contini ed uno a mia firma ed è stato coordinato in un clima pienamente bipartisan dalla senatrice Incostante". Ne dà notizia il senatore Pietro Marcenaro, presidente della commissione Diritti umani del Senato.

Il disegno di legge verrà ora esaminato dal plenum della commissione Affari Costituzionali e poi dall’Aula del Senato, prima di passare in seconda lettura alla Camera. "I due disegni di legge che abbiamo unificato, il mio e quello di iniziativa della senatrice Contini - spiega il senatore Marcenaro -, costituiscono un adempimento cui l’Italia è tenuta in base alla Risoluzione 48/134 adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite 20 dicembre del 1993.

La risoluzione, infatti, prevede che gli stati membri in sintonia con i principi di Parigi istituiscano sul loro territorio istituzioni nazionali indipendenti per la promozione e la protezione dei diritti umani. Ricordo anche che, il prossimo febbraio l’Italia verrà sottoposta a osservazione da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite di cui è membro. Si tratta di un’osservazione periodica alla quale vengono sottoposti tutti paesi aderenti alle Nazioni Unite e che fa riferimento all’attuazione del Patto sui diritti economici, sociali e culturali e del patto sui diritti civili e politici".

"Il nuovo testo - si legge in una nota - proposto istituisce un organismo che svolge le funzioni di garanzia istituzionale, con caratteristiche di indipendenza sia legale sia finanziaria. È previsto uno stanziamento economico di 8 milioni di euro all’anno, con infrastrutture adeguate, con proprio personale e libertà da tutte le forme di controllo che potrebbero limitarne l’indipendenza.

Il presidente dell’Agenzia sarà nominato congiuntamente dai Presidenti di Camera e Senato, e sarà affiancato da 4 membri eletti dalle Camere con voto a preferenza unica. "L’Agenzia - afferma ancora il senatore del Pd - è dotata di un ampio mandato che include l’insieme dei diritti umani: civili, culturali, economici, politici e sociali, oltre al diritto umanitario, rispettando il carattere in costante evoluzione della materia. L’organismo avrà un’ampia capacità collaborativa con tutti i settori della società civile e delle organizzazioni non governative, parte di una più larga famiglia di istituzioni che promuovono e proteggono i diritti umani.

Allo stesso modo promuoverà una rete di collaborazione sul territorio con le istituzioni che seguono a livello locale la tutela dei diritti fondamentali, con riferimento ai garanti dei detenuti e agli ombudsman. L’organismo avrà poteri di accertamento e di controllo sulla pubblica amministrazione e sui soggetti privati. Qualora le situazioni lo richiedessero avrà accesso agli atti di polizia giudiziaria. Potrà disporre ispezioni, accessi e verifiche sul posto, chiedendo l’assistenza, ove necessario, agli organi dello Stato".

Giustizia: indagini del Dap sul "mistero delle celle scomparse"

di Lirio Abbate

 

L’Espresso, 21 gennaio 2010

 

Intere sezioni chiuse o usate per altri scopi. Perché non ci sono guardie. E così molte carceri sono sovraffollate Intere sezioni destinate ai detenuti trasformate in uffici, ambulatori medici o magazzini. Celle chiuse e mai utilizzate. Si restringono così gli istituti di pena nel nostro Paese. Anzi, si riduce così la capienza regolamentare o tollerabile delle carceri, in particolare in quelle di provincia dove i detenuti vengono stipati in pochi metri quadrati, creando sovraffollamento. Si potrebbe parlare di truffa delle carceri, dove nella realtà gli spazi esistono ma sulla carta vengono cancellati. Tutto a discapito dei detenuti. Non è certo tutto così il pianeta carceri.

In alcuni istituti moderni e ampi si trova ancora spazio, come il carcere esemplare di Bollate, alle porte di Milano, che può contenere senza problemi 1.400 detenuti, e oggi ha spazio per altri 300 ma non possono arrivare perché mancano gli agenti di polizia penitenziaria. E questo è un altro fattore che intralcia l’amministrazione penitenziaria perché i poliziotti sono mal distribuiti: nelle regioni del Nord vi è il maggiore disagio e si registrano situazioni drammatiche, rispetto a quelle del Sud che non hanno carenze di organico.

I posti occultati e la mala organizzazione carceraria emergono da relazioni di servizio di cui è in possesso il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Dossier riservati che sono rimasti nei cassetti dei vertici dell’amministrazione e dai quali emergono considerazioni tecniche che già in passato avrebbero portato ad evitare il sovraffollamento delle carceri e ottenere una buona vivibilità dei detenuti. "Si deve considerare", si legge in una relazione del Dap, "quello che normalmente avviene nel momento in cui si attiva un nuovo istituto penitenziario, quando direttore e comandante di reparto si trovano con la necessità di dover avviare in tutta fretta (talvolta anche per ragioni estranee all’amministrazione penitenziaria) la struttura, potendo contare su un numero di unità di personale oggettivamente limitato.

Questo comporta, necessariamente, scelte che tendono a diminuire notevolmente i posti di servizio e, di conseguenza, a sacrificare gli spazi originariamente previsti per i detenuti e, dunque, i vertici dell’istituto devono "inventarsi", trovando normalmente l’accordo degli organi superiori, soluzioni apparentemente legittime ma che, in realtà, rispondono alla duplice esigenza di utilizzare meno unità di personale e ridurre la capienza dell’istituto". Questo è probabilmente quello che è avvenuto, fra gli altri, al carcere di Monte Acuto di Ancona, in quello di Modena e Reggio Emilia, a Siena, al Pagliarelli di Palermo, a San Cataldo in provincia di Caltanissetta e a L’Aquila.

Una riforma che può allentare l’emergenza carceri è dunque sotto gli occhi degli operatori, i quali, ottimizzando e recuperando le sezioni originariamente destinate ai detenuti, distribuendo meglio gli agenti, potrebbero fare largo a un migliaio di posti. Il giudice Alfonso Sabella è stato direttore dell’ufficio centrale dell’ispettorato del Dap fino al momento in cui l’allora capo del Dipartimento, Giovanni Tinebra, ha disposto la soppressione dell’ufficio, e in questo ruolo aveva riscontrato nelle carceri i posti occultati. "È un fenomeno che ho purtroppo constatato frequentemente", conferma Sabella.

"Per fare qualche esempio ricordo ad Ancona una sezione detentiva da oltre cento posti da cui sono stati addirittura rimossi i cancelli allo scopo di destinarla, ma solo apparentemente, a presunti laboratori di medici specialisti. Oppure un’intera sezione del carcere di Cassino che era stata adibita, e credo lo sia tuttora, ad accogliere gli archivi del vecchio carcere dell’isola di Santo Stefano, chiuso mezzo secolo fa. Mi viene in mente la sezione dell’alta sicurezza di Trapani dove le pareti venivano ciclicamente imbiancate per far apparire l’esistenza di lavori di ristrutturazione in corso oppure ancora le centinaia di stanze destinate formalmente a magazzini che ho trovato in molte carceri emiliane in cui erano sistemati solo un secchio e una scopa".

Il magistrato svela alcuni retroscena di questo sistema carcerario. "Potrei continuare a lungo", aggiunge l’ex direttore dell’ispettorato, "segnalando gli stratagemmi utilizzati da molte direzioni per non aprire le sezioni disponibili allegando inesistenti ragioni di sicurezza come per esempio a L’Aquila dove un intero piano detentivo veniva tenuto vuoto perché in quello sotto c’era Leoluca Bagarella, o ancora del padiglione D2 di Viterbo capace di quasi 400 posti che non veniva aperto perché la direzione non provvedeva, da anni, a collegare con un metro di tubo la rete fognaria a quella comunale.

O a Cassino dove la nuova sezione detentiva da oltre cento posti non veniva aperta perché mancavano due rubinetti delle cucine e la direzione, invece di comprarli con i fondi dell’economato, aveva inserito l’istanza di finanziamento dei pochi spiccioli necessari in una richiesta di rifacimento del muro di cinta per milioni di euro e che quindi sarebbe stata concessa dopo anni. E tutto ciò senza parlare delle numerosissime ex sezioni femminili perfettamente agibili e presenti in tante carceri e totalmente inutilizzate".

Per Sabella al Pagliarelli di Palermo vi è stata per molto tempo una sezione, originariamente prevista per oltre 250 donne, che non veniva aperta. Ma come possono essere trasformati i dati delle carceri? "Sulle capienze ufficiali il discorso sarebbe troppo lungo", precisa il giudice. "Mi limito a segnalarle che i dati ufficiali forniti dal Dap non corrispondevano nemmeno con quelli che mi avevano fatto avere i Provveditori regionali con scarti anche rilevanti di diverse migliaia di posti detenuto. Avevo infatti effettuato delle verifiche e avevo accertato, per esempio, che per il servizio informatico del Dap il Piemonte aveva una capienza inferiore di 1.400 posti rispetto a quelli che si ottenevano sommando i dati che mi avevano comunicato dalle singole carceri piemontesi e lo stesso era avvenuto per il Lazio con 1.200 posti in meno".

La responsabilità dell’occultamento dei posti detenuti, secondo Sabella, non è da attribuire ai direttori, i quali "svolgono con vera abnegazione e professionalità un compito difficilissimo". Il nostro Paese ha adottato, con rare eccezioni, la scelta del regime chiuso nel senso che i detenuti, compresi quelli considerati di bassa e media sicurezza, vengono tenuti nelle loro celle per 20 ore al giorno e fanno, normalmente, due ore d’aria in cortile e due di socialità ma sempre all’interno della loro sezione. Ciò, se da un lato rende inutilmente più gravose le condizioni di vita dei detenuti, tanto che l’Italia è ai primi posti nel mondo occidentale per suicidi ed atti di autolesionismo in carcere, dall’altro comporta che almeno un agente debba costantemente trovarsi all’interno della sezione per controllare i detenuti, posto di servizio - secondo ambienti del Dap - particolarmente sgradito al personale di Polizia penitenziaria. Da qui la scelta dei direttori di operare la concentrazione dei detenuti in modo da poterli controllare con un numero minore di agenti.

Nel carcere di Bollate vi sono 1.038 detenuti e 381 agenti di polizia penitenziaria, di questi solo 250 lavorano con i carcerati. E in questo istituto viene applicato il regime aperto. I detenuti sono liberi di circolare nella struttura. Non vi è sovraffollamento, nonostante il numero di reclusi, e lo scorso anno vi sono stati solo otto episodi di autolesionismo e nessun suicidio. Un dato che dimostra come questo regime aperto funzioni. Per i gravi motivi che affliggono il sistema penitenziario il deputato Augusto Di Stanislao (Idv) ha proposto alla Camera l’istituzione di una commissione d’inchiesta. E in una mozione sottolinea le condizioni di insicurezza in cui è costretta a lavorare la polizia penitenziaria rivelando che "mediamente un agente deve sorvegliare 100 detenuti di giorno, circa 250 nei turni notturni; per garantire le traduzioni il personale (circa 6 mila agenti al giorno, ndr.) è costretto a viaggiare anche per 20 ore consecutive su mezzi non idonei". Sulla base dei dati negativi del sovraffollamento il governo ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale e ha previsto, oltre all’assunzione di 2 mila poliziotti, la costruzione di 47 nuovi padiglioni (entro il 2010, quando finirà l’emergenza) e poi di 18 nuovi istituti, con 21.709 posti in più. Nel frattempo i detenuti sono diventati 64.406, i suicidi dietro le sbarre sono 72, e l’Italia è stata condannata per la prima volta dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo per "trattamenti inumani e degradanti " a causa della mancanza di spazio nelle carceri.

Per rendere esecutivo il piano è stato nominato commissario delegato Franco Ionta, capo del Dap, il quale avrà poteri "eccezionali in deroga alle procedure ordinarie" per velocizzare e semplificare le gare d’appalto, e potrà avvalersi, in deroga alle norme in vigore, anche di consulenti esterni e decidere la secretazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Insomma, l’iter della costruzione delle nuove carceri sarà semplificato, e sotto la regia del presidente del Consiglio, la documentazione relativa agli appalti potrà essere classificata come "riservatissima ". In questo modo consentirà di selezionare gli operatori economici interessati agli appalti e di proteggere tutta la documentazione relativa ai lavori milionari. Come braccio operativo avrà la Protezione civile spa ed a Ionta sono stati messi a disposizione 500 milioni di euro.

Giustizia: la "cura" di Alfano per un sistema carcerario malato

 

Il Velino, 21 gennaio 2010

 

La situazione carceraria nel nostro Paese mi ha spinto il 13 gennaio scorso a chiedere il pronunciamento da parte del Consiglio dei Ministri dello Stato di Emergenza Carcerario fino a tutto il 2010.

Svanito l’illusorio effetto dell’indulto del 2006 in conseguenza del trend continuamente crescente degli ingressi nelle carceri del nostro paese, la dichiarazione dello stato di emergenza costituisce uno strumento fondamentale per provvedere ad interventi strutturali di medio e lungo periodo che consentano di rispettare il precetto dell’art. 27 cost., secondo il quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Il Piano Carceri che scaturirà dagli atti conseguenti alla dichiarazione di emergenza si poggia su altri tre pilastri fondamentali: gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione, in prima battuta, di 47 nuovi padiglioni e successivamente di 8 nuovi istituti; gli interventi normativi che introducono la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità; l’assunzione di 2.000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria.

A partire dal 2011, poi, saranno realizzate le altre strutture previste dal Piano. Complessivamente, tali interventi porteranno alla creazione di 21.709 nuovi posti negli istituti penitenziari e al raggiungimento di una capienza totale di 80 mila unità. Per realizzare tutto ciò, saranno utilizzati 500 milioni di euro già stanziati in Finanziaria e altri 100 milioni di euro provenienti dal bilancio della Giustizia. Parallelamente a questo intervento, ho avviato - con l’appoggio del Vicepresidente della Commissione Europea, dei ministri della Giustizia spagnolo e svedese - un’azione europea per dare soluzioni concrete a quei paesi nei quali il problema del sovraffollamento nelle carceri è determinato anche dalla massiccia presenza di detenuti stranieri. Il mio obiettivo è quello di ottenere il trasferimento dei detenuti nei loro paesi d’origine e di giungere all’elaborazione di un piano europeo per le carceri, anche tramite l’uso di fondi dell’Unione. Ebbene nel quadro dell’approvazione del "Programma di Stoccolma 2010-2014 per un’area europea di libertà, di sicurezza e giustizia" il Parlamento europeo ha approvato nel novembre scorso una risoluzione che getta le basi per il raggiungimento di tale duplice obiettivo.

 

Il 41 bis (c.d. carcere duro)

 

Quanto alla concreta applicazione del regime detentivo di cui all’art. 41 bis O.P. esso riguarda ad oggi un totale di 645 detenuti. Le donne sottoposte a tale regime sono 3. Al 14 dicembre 2009, erano stati emessi 112 decreti ministeriali di prima applicazione, a fronte degli 87 emessi nel corso di tutto il 2008. Nell’ultimo anno il regime di carcere duro ha potuto trarre un notevole rafforzamento anche dalle novità introdotte dalla recente legge n. 94 del 15 luglio 2009. Si è infatti resa ancora più impermeabile la possibilità di contatto tra il mafioso detenuto e gli associati in libertà, allo scopo di stroncare ogni possibile forma di comunicazione sia interna che esterna. Inoltre, è stata introdotta una sostanziale innovazione dell’istituto, i cui punti più rilevanti sono: a) l’estensione della durata del provvedimento ministeriale e delle successive proroghe; b) la precisazione dei criteri cui il giudice si deve attenere nel valutare se disporre o meno la proroga stessa; c) l’accentramento della competenza in materia di reclamo in capo al Tribunale di Sorveglianza di Roma, per il quale è stata opportunamente avviata la procedura di aumento dell’organico. A riprova della funzione strategica che ho inteso attribuire al regime detentivo speciale 41 bis, va segnalato che - qualche giorno fa - in perfetta sincronia con la Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ho disposto, nei confronti di cinque pericolosi esponenti della mafia nissena già detenuti, l’immediata applicazione del regime speciale, così contribuendo a sventare il progetto di attentato, ordito dagli stessi, contro un magistrato operante nella medesima sede giudiziaria. Ancora una volta, dunque, la collaborazione tra procura antimafia ed uffici ministeriali ha consentito di dare una risposta immediata nel contrasto alla mafia, dando prova dell’importanza dell’impegno unitario dello Stato contro la criminalità organizzata.

Giustizia: Fedi (Pd); una strana maggioranza, governa l’Italia

 

Il Velino, 21 gennaio 2010

 

"È una strana maggioranza, quella che governa l’Italia. Passa al Senato il cosiddetto "processo breve", legge che farà arenare migliaia di procedimenti giudiziari in corso e che ha pesanti vizi di costituzionalità. Credo sia evidente a tutti che non riusciremo, nonostante la nostra forte opposizione, a fermare le leggi ad personam del centrodestra". È quanto afferma, in una nota, Marco Fedi, segretario III Commissione Affari Esteri e Comunitari. "Riformare la giustizia per ridurre i tempi di attesa nei processi - prosegue il comunicato - è un’esigenza sentita da tutte le forze politiche: la soluzione adottata, però, non farà celebrare dei processi e questo risultato non garantisce i cittadini, non migliora l’efficienza del nostro sistema giudiziario e non rende più rapida la giustizia. Si tratta dell’ennesima accelerazione, dopo alcune speranze di possibile dialogo subito tramontati.

Riguarda anche la norma sul "legittimo impedimento", l’obbligo per il giudice di riconoscere l’impossibilità a partecipare alle udienze di un eventuale processo per tutti i soggetti che stiano esercitando la funzione di governo, che inizierà il suo iter alla Camera dei Deputati. Nel frattempo, però, una seria discussione sulla condizione delle carceri in Italia, come quella proposta alla Camera la scorsa settimana dalle mozioni Franceschini e Bernardini, è stata derubricata dietro il proposito del Ministro Alfano di costruire nuove galere.

Ecco le contraddizioni quotidiane che affollano, purtroppo, la politica del nostro Governo". "Le carceri italiane scoppiano - prosegue Fedi - oltre 64.000 detenuti per meno di 44.000 posti di capienza, per un tasso di utilizzo di circa il 150%. La popolazione reclusa cresce di circa 800 unità al mese, tanto che si prevede che tra tre anni giungerà a sfondare le 100.000 persone, rendendo del tutto inefficace e insufficiente, se non vi saranno interventi di altra natura, il piano edilizio del Governo. Il 27% dei detenuti è tossicodipendente e il 37% straniero.

Questi ultimi sono la prova di un paradosso: molti di loro dovrebbero essere espulsi ma la Bossi-Fini li costringe in carcere. Solo il 20% dei reclusi è sano, mentre il 41% è in condizioni di salute mediocri o scadenti, come provano, tra l’altro, i 71 suicidi avvenuti nel 2009, record negativo da decenni a questa parte".

A queste emergenze - si legge ancora nella nota di Fedi - l’esecutivo in carica risponde decidendo ci costruire più carceri o di ampliare quelle esistenti. Ma, oltre ad essere insufficienti, le nuove strutture previste dal Governo andrebbero ad assecondare, inseguendone la tendenza, l’aumento della popolazione reclusa. Una spirale fatta di oneri aggiuntivi per l’amministrazione carceraria, in termini di personale da assumere, di gestione quotidiana delle carceri, per non parlare dell’eventuale costo del lavoro dei detenuti.

Inoltre, vi sarebbe un aggravio dei costi per la spesa sanitaria dei reclusi, capitolo a carico delle Regioni e dei propri contribuenti. Al contrario bisognerebbe favorire l’impiego delle misure alternative previste in taluni casi dalla legge, come la possibilità di scontare parte della pena fuori dalle mura del carcere, gli affidamenti in prova e i lavori esterni".

"Del resto - dichiara ancora Fedi - se tra il 2002 e il 2006 i beneficiari delle misure alternative sono stati circa 20.000 l’anno, dal 2007 sono tra i 5.000 e i 7.000. Ciò dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia ormai arenato, nonostante le statistiche spieghino che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28%), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68%. Ad oggi, soltanto un detenuto su quattro lavora, e di questi appena il 15% lo fa fuori dal carcere. Purtroppo, però, all’aumento delle misure alternative per i condannati si preferisce non condannare eventuali colpevoli - conclude - come dimostra il processo breve".

Giustizia: Ferrante (Pd); serve sfollamento e pene alternative

 

Adnkronos, 21 gennaio 2010

 

"Con la morte del giovane detenuto nel carcere di Spoleto si allunga sempre più la drammatica lista dei suicidi in carcere, essendo già ben sette dall’inizio dell’anno, in vari istituti distribuiti su tutto il territorio nazionale. È in corso una strage silenziosa che rende non più indifferibile, oltre alla realizzazione di nuove strutture carcerarie, l’avvio immediato di un piano per il disaffollamento delle carceri e il ricorso dove possibile a pene alternative". Lo dichiara il senatore Francesco Ferrante del Partito democratico.

"Per far fronte a quella che è una vera e propria emergenza - continua il senatore democratico - c’ è bisogno di fondi adeguati e volontà politica, di certo non di un piano carceri, che giunge colpevolmente in ritardo, che si intende realizzare in spregio alle procedure ordinarie. Le direttive che sarebbero allo studio dell’amministrazione penitenziaria per supportare psicologicamente alcuni detenuti sono sicuramente da considerare positivamente, ma sono misure che appaiono palliative quando si fanno i conti col trend che porterà presto la popolazione carceraria a 70 mila detenuti, mentre nella metà del 2012 potrebbe toccare le 100 mila unità".

"Per tre volte negli ultimi mesi - conclude Ferrante - ho rivolto un’interrogazione parlamentare al Presidente del Consiglio per affrontare in Aula questa preoccupante situazione e affinché si riferisse sulla reale consistenza del fenomeno delle morti nelle carceri e nei Cie, in modo che possano essere distinti i suicidi dalle morti naturali e dalle morti per cause sospette. A questo aspetto della giustizia il premier sembra però essere completamente indifferente. E nell’indifferenza continuano a consumarsi tragedia come quella di oggi a Spoleto. Si faccia chiarezza subito: come è potuto avvenire? Erano state prese tutte le misure precauzionali per impedirlo? Era stato assicurato adeguato supporto psicologico? Non ci stancheremo di porre queste domande a tutte le autorità competenti".

Giustizia: Verini (Pd); il piano del governo, non resti annuncio

 

Ansa, 21 gennaio 2010

 

"Abbiamo appreso la notizia dell’ennesimo suicidio in carcere. Stavolta a togliersi la vita, nel carcere di Spoleto, è stato un giovane di 29 anni, arrestato lo scorso 16 gennaio. Questa tragedia, che colpisce innanzitutto sul piano umano, e per la quale ci aspettiamo che il Ministro offra ogni informazione circa le sue modalità, è l’ennesima conferma dell’esplosiva situazione delle carceri italiane". È quanto dichiara il deputato umbro del Pd, Walter Verini, che aggiunge: "La situazione degli istituti di pena è davvero drammatica, in termini di sovraffollamento, mancanza di personale di vigilanza, scarsità di risorse finanziarie. Piani di formazione, figure di supporto anche psicologico ai detenuti sono tagliati. La funzione di pena finalizzata al reinserimento nella società viene meno e spesso il carcere da luogo di rieducazione diventa un luogo di abbruttimento e nel quale i diritti umani non vengono rispettati".

"Le carceri umbre - prosegue il deputato - non sono estranee a questi problemi, a partire dalla cronica mancanza di personale di vigilanza e di risorse e il piano annunciato dal Ministro Alfano non può, non deve rimanere un annuncio. E qualche dubbio serio lo abbiamo, perché questo governo - conclude Verini - dimostra interesse per i vari aspetti della giustizia solo quando questi servono a difendere gli interessi personali del presidente del Consiglio ed a limitare l’autonomia della magistratura".

 

Detenuto suicida arrestato dopo aggressione genitori

 

Era stato arrestato sabato scorso dai Carabinieri a Norcia dopo avere aggredito i suoi familiari e gli stessi militari Ivano Volpi, il ventinovenne che oggi si è suicidato nel reparto infermeria del carcere di Spoleto. Lesioni, violenza, minacce e resistenza a pubblico ufficiale i reati contestati. In particolare - secondo quanto accertato dagli investigatori - il giovane, risultato già inquisito in passato, si era avventato contro i genitori con un coltello nella loro casa di Norcia. Erano stati chiamati i carabinieri ma Volpi si era scagliato anche contro di loro. Uno dei militari era stato anche leggermente ferito. Di qui il suo arresto e il trasferimento nel carcere di Spoleto.

Giustizia: Sappe; bene Alfano su rimpatrio di detenuti stranieri

 

Il Velino, 21 gennaio 2010

 

"Non posso che esprime apprezzamento per i contenuti della relazione sull’amministrazione della giustizia riferiti al sistema penitenziario, illustrata oggi al Senato della Repubblica dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. Il primo sindacato della polizia penitenziaria, il Sappe, ha già avuto modo di esprimere nei giorni scorsi una giudizio sostanzialmente positivo sul piano carceri approvato dal Governo.

Ascoltare oggi il ministro Alfano che pone tra i suoi obiettivi anche quello di ottenere il trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine è un fatto indubbiamente positivo. Espellere tutti i detenuti stranieri e favorire al contempo la circolarità di quelli comunitari ristretti in Italia, facendo scontare loro la pena nelle carceri dei Paesi di provenienza, attraverso accordi bilaterali è una storica richiesta della segreteria generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, da ultimo indirizzata qualche settimana fa anche al presidente della Commissione europea Barroso". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe, a commento dell’intervento odierno del ministro Alfano al Senato della Repubblica.

Sull’ennesimo suicidio in cella di un detenuto, a Spoleto, Capece sottolinea che "indubbiamente la carenza di personale di Polizia Penitenziaria, che è quello che sta nella prima linea delle sezioni con i detenuti 24 ore al giorno, e di figure professionali specializzate nonché il costante sovraffollamento delle carceri italiani sono due temi che si dibattono da tempo e sono concause di questi tragici episodi. Si pensi che se non fosse proprio per il tempestivo intervento delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria, che salvano sistematicamente e con straordinaria tempestività la vita ai moltissimi detenuti che tentano il suicidio in cella, la conta delle morti in carcere sarebbe molto più alta di quella attuale, già significativamente pesante.

Basti pensare che i poliziotti e le poliziotte penitenziari italiani nel solo 2008 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita a ben 683 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che 4.928 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze per la loro vita. Di fatto, il personale di polizia penitenziaria è stato ed è spesso lasciato solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale. Ma stante anche la carenza di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, non si può e non si deve chiedere al personale del Corpo di accollarsi la responsabilità di tracciare profili psicologici che possano eventualmente permettere di intuire l’eventuale rischio di autolesionismo da parte dei detenuti".

Giustizia: Osapp; detenuti in aumento ma sempre meno agenti

 

Agi, 21 gennaio 2010

 

Circa 200 ingressi nelle carceri in più a settimana nel mese di gennaio e 800 agenti di Polizia Penitenziaria in meno nel 2010, possono anche significare 7 suicidi negli ultimi 20 giorni nella popolazione detenuta". Ad affermarlo è il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci sottolineando che ieri sera i dati ufficiali davano 65.058 detenuti presenti nelle carceri, "a cui ne vanno aggiunti almeno ulteriori 500 per essenze varie e giustificate", a fronte di una capienza regolamentare di 44.026 posti e con punte di sovraffollamento in più rispetto al tollerabile del 13% in Emilia Romagna (+509), del 10% in Veneto (+293), del 5,5% in Campania (+378), in Liguria (+85) e in Puglia (+207), del 4% in Lombardia (+310) per arrivare al 40% in Trentino (+122) e al 23% in Valle d’Aosta (+43).

"Anche se il 26 gennaio il ministro Alfano illustrerà ai sindacati il piano-carceri e, probabilmente, le modalità di assunzione straordinaria di 2.000 agenti di polizia penitenziaria nel triennio 2010/2012 - continua il sindacalista - lo sanno e lo sappiamo tutti che le misure approvate in Consiglio dei ministri per le carceri il 13 gennaio saranno insufficienti persino per affrontare l’anno in corso, figuriamoci il triennio 2010/2012, in cui 2.000 agenti per 21.749 posti in più saranno meno di una goccia nel mare. Anche interventi significativi quali la detenzione domiciliare per le pene residue fino ad un anno e i lavori socialmente per le condanne fino a quattro anni, stanti misure già esistenti, potranno portare benefici notevolmente ridotti al sistema se si escluderanno recidivi e delinquenti abituali o se non si considera che molti degli attuali detenuti extra-comunitari sono senza fissa dimora".

Secondo Beneduci, "se si voleva fare veramente qualcosa per le carceri, e sarebbero ancora in tempo per farlo, andavano riformati il codice penale e, soprattutto, la Polizia Penitenziaria e invece di dare maggiori poteri e, sicuramente, uno stipendio ulteriormente maggiorato al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, che ha gestito come possiamo vedere tutti le carceri negli ultimi due anni, andava affrontato e risolto il problema dell’assenza di presidi socio-sanitari all’interno degli istituti di pena, per prevenire il crescente numero dei suicidi visto che di agenti di Polizia Penitenziaria in grado di intervenire ce ne sono sempre di meno".

Abruzzo: Commissione Consiglio regionale in carcere Sulmona

 

Adnkronos, 21 gennaio 2010

 

La V Commissione Consiliare "Affari sociali e politiche della salute" del Consiglio regionale abruzzese si è riunita oggi sotto la Presidenza di Nicoletta Verì.

Nel corso della seduta la Commissione ha proceduto all’audizione dei Direttori del Carcere di Pescara, Franco Pettinelli e della sostituta del Carcere di Sulmona, Celeste D’Orazio. I dirigenti hanno illustrato in maniera approfondita la situazione sanitaria in entrambe gli istituti di pena anche in rapporto a quanto disposto dalla Dgr 544/2008 che trasferisce l’assistenza sanitaria dei detenuti alle Asl. Dalle relazioni sono emerse l’ottima collaborazione con i presidi ospedalieri e l’utilizzo di specialisti delle diverse branche, ma anche le problematiche generate dalle diversità delle procedure amministrative dei due enti.

Pettinelli ha illustrato anche le finalità e obiettivi dell’Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, con rappresentanti della Regione, dell’Amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile, al fine di valutare l’efficacia e l’efficienza degli interventi a tutela della salute dei detenuti, internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale, garantendo, nel contempo, l’utilità delle misure di sicurezza. Tale Osservatorio, avrà fra l’altro, il compito di redigere le Linee guida regionali per la tutela della salute in ambito penitenziario a favore dei detenuti, internati e minori sottoposti a provvedimento penale.

A conclusione la Commissione ha deciso anche i Componenti l’Osservatorio e di promuovere un sopralluogo presso il supercarcere di Sulmona. Questa missione istituzionale della Commissione è già stata programmata per mercoledì prossimo, 27 gennaio alle ore 14,30 presso l’Istituto di Via Lamaccio nella città Ovidiana che negli ultimi tempi è stato al centro di una serie di fenomeni di autolesionismo.

Sulmona: nata come "prigione modello" è diventata un inferno

 

Il Centro, 21 gennaio 2010

 

Reparto penale, quattro sezioni tra il primo e il secondo piano. Inizia da qui, tra verdi pareti che invitano alla speranza, il viaggio nella Casa lavoro del supercarcere di Sulmona, battezzata sezione degli internati. Era una delle quattro strutture modello del sistema giudiziario italiano, l’unica nata coi parametri del carcere di massima sicurezza. Adesso è il girone dell’inferno di un penitenziario maledetto, per usare le parole di Giulio Petrilli, il responsabile regionale Pd del Dipartimento dei diritti civili che l’altra settimana ha visitato il carcere di via Lamaccio. Perché a Sulmona c’è la Casa lavoro più affollata del Paese, rimasta in funzione insieme a quella di Saliceta San Giuliano di Modena.

Gli altri due istituti, a Castelfranco Emilia e Favigliana, hanno smesso di svolgere la loro funzione di recupero sociale. Così in due anni Sulmona ha visto quadruplicare il numero degli ospiti internati, saliti da 50 a 200. Quadruplicati gli ospiti, quadruplicati i problemi. Iniziati nel 2009 con le aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria ed esplosi in modo dirompente negli ultimi dieci giorni di questo nuovo anno, da quando ci sono stati un suicidio e tre tentativi nella stessa sezione degli internati.

Ed è di ieri l’ultimo, ennesimo segnale del malessere: un recluso romano di 30 anni, in sciopero della fame per protesta contro il sovraffollamento, è stato ricoverato in ospedale dopo uno svenimento accusato nel corso di un trasferimento verso il carcere di Villa Stanazzo a Lanciano. Il sindacato Uil, attraverso il proprio portavoce Mauro Nardella, invoca l’arrivo dell’Esercito. Il sindaco di Sulmona, Fabio Federico, che è anche dirigente medico del supercarcere peligno, si appella al ministro Alfano ed è pronto ad affrontare il problema in consiglio comunale.

La Casa lavoro accoglie persone che scontano misure di sicurezza detentiva alternativa al carcere vero e proprio. Si tratta di ex detenuti che lo Stato ritiene socialmente pericolosi, soggetti che una volta liberi potrebbero tornare a delinquere. Soggetti che arrivano da ospedali psichiatrici giudiziari, che hanno un vissuto fatto di alcol e droga, che si trascinano dietro situazioni familiari difficili, che in passato hanno avuto legami con la criminalità organizzata.

Provengono in gran parte da Campania, Sicilia, Puglia e Lazio. Sulmona ne potrebbe ospitare 75, in celle di nove metri quadrati concepite per un massimo di due persone. Si è arrivati invece a una capienza di duecento internati. Nelle quattro sezioni e per ogni turno di sei o otto ore è in servizio un solo agente. Uno per ogni cinquanta reclusi. Un singolo agente che ha compiti di controllo e di gestione della vita del carcere. Come tutti gli altri detenuti, anche gli internati devono sottostare al regolamento interno. Hanno facoltà di passeggio in alcuni momenti della giornata, possono frequentare la sala hobby o la saletta di socialità, il campo sportivo.

Più degli altri detenuti, invece, gli internati hanno la possibilità di ottenere 45 giorni di licenza in un anno (spettano ai soggetti che hanno dato prova del loro buon comportamento). E più degli altri detenuti, gli internati hanno l’obbligo di svolgere attività lavorative retribuite e socialmente sostenute. Ed ecco qui la nota dolente. Nei laboratori di falegnameria, calzoleria, sartoria e lavanderia della struttura di Sulmona non c’è lavoro per tutti. Non c’è lavoro neanche per quelli che "radio carcere" definisce gli "scopini", ovvero gli addetti alle pulizie o alla cucina. Allora il lavoro viene diviso. Si lavora per un massimo di due ore. Si guadagnano tra le 20 e le 50 euro e non i due terzi della somma prevista dai contratti di lavoro delle varie categorie. Il resto del tempo, al netto del passeggio e della socialità, lo si trascorre stipati nelle celle.

"E la Finanziaria 2010", sottolinea Matteo Balassone, coordinatore regionale della funzione pubblica Cgil di polizia penitenziaria, "ha ridotto del 40% il lavoro riservato ai detenuti". Senza dimenticare gli altri problemi. Centosessanta dei 200 internati hanno bisogno dello psichiatra. Ce n’è uno solo. Nell’Area trattamentale ci sono gli stessi cinque educatori da venti anni. L’Area sanitaria è in forte sofferenza, come più volte denunciato da Federico, e non riesce a garantire le adeguate cure. "Chiediamo la chiusura della Casa lavoro o il trasferimento immediato di almeno cento internati", riprende Balassone. Richieste rivolte al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, più volte sollecitato a trovare soluzioni per disinnescare la bomba a orologeria che sta nella prigione modello diventata inferno.

Modena: Pd; sfollamento di 150 detenuti e arrivo di 40 agenti

 

Sesto Potere, 21 gennaio 2010

 

L’arrivo immediato dei 41 agenti penitenziari promessi; lo spostamento in altre carceri di 150 detenuti del S. Anna; il recupero delle risorse non stanziate per il potenziamento delle forze di polizia; una ricognizione esatta nei tre istituti penitenziari di S. Anna, Saliceta S. Giuliano e Castelfranco. È quanto chiedono i tre consiglieri provinciali del Pd Cécile Kyenge, Fausto Cigni e Luca Gozzoli per far fronte all’emergenza carceri in provincia di Modena.

"La situazione degli istituti penitenziari modenesi - scrivono i tre consiglieri del Pd in un ordine del giorno - è giunta ad un punto in cui la vivibilità all’interno degli stessi è insostenibile e le condizioni di sicurezza degli agenti è tale che è ormai fortemente compromessa la necessaria capacità di vigilanza. Inoltre, a tutto ciò si aggiunge l’insicurezza stradale del personale a causa dei mezzi di trasporto che fanno in media 20 anni con 150 mila fino a 300 mila chilometri".

Il carcere di Castelfranco ospita 149 reclusi mentre la capienza dell’istituto è di 82 unità. In questa struttura si mescolano 131 internati (ancora sottoposti a misura di sicurezza in quanto socialmente pericolosi) con 18 detenuti a custodia attenuata (generalmente tossicodipendenti accusati di reati minori). L’organico di polizia penitenziaria è attualmente di 39 agenti a fronte di un organico di 59 agenti, che dovrebbe vigilare su 80 detenuti.

Analoga situazione si registra nella Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, dove il grado di sovraffollamento non è inferiore a quella di Castelfranco. Sono 109 detenuti, 38 agenti a fronte di un organico di 50. La situazione peggiore si registra presso la Casa Circondariale di S. Anna, dove a fronte di una capacità di 230 detenuti sono presenti 550 reclusi. Sono presenti 145 agenti, 73 addetti alla vigilanza dei detenuti divisi in tre turni di 8 ore, 28 impiegati nel trasporti di detenuti. L’organico previsto sarebbe di 226 unità per vigilare 220 unità. Questa situazione di sovraffollamento - sostengono i tre consiglieri democratici - è determinata da leggi come la Cirielli (che prevede la detenzione in caso di recidivo di reati comuni), la Fini-Giovanardi (che ha eliminato la dose di stupefacenti per uso personale) e infine il reato di clandestinità.

"A causa dei tagli - concludono Kyenge, Cigni e Gozzoli - non si riesce a fare manutenzione. Sono fuori uso gli impianti di videosorveglianza e i sistemi di sicurezza passiva. I mezzi di trasporto sono obsoleti. La situazione igienico-sanitaria e psicologica è precaria e mette a rischio la salute dei detenuti e del personale carcerario".

Lanciano: sindacati Polizia penitenziaria incontrano il Prefetto

 

www.primadanoi.it, 21 gennaio 2010

 

Martedì i sindacati della Casa Circondariale di Lanciano hanno avuto un incontro con il prefetto di Chieti Vincenzo Greco. Nel corso della riunione il prefetto si è avvalso della collaborazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, integrato dalla presenza del sindaco di Lanciano Filippo Paolini, dal presidente della provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio, dal direttore dell’istituto penitenziario di Lanciano Massimo Di Rienzo e dal comandante dell’istituto penitenziario di Lanciano commissario Pellicciaro Nicola.

Dopo aver esposto alcuni dati numerici sulla situazione preoccupante del personale attualmente in forza al carcere di Lanciano sono stati toccati gli argomenti inerenti la sicurezza interna dell’istituto e del territorio. "Abbiamo descritto una carenza organica di almeno 40 unità", raccontano i sindacati, "e nessuna prospettiva di incremento del personale, a causa di una pianta organica completamente disancorata dalla realtà lavorativa dell’istituto e dalle particolari tipologie di detenuti presenti nel carcere lancianese".

Il prefetto e l’intero comitato hanno dimostrato una certa attenzione verso le criticità descritte ed alla fine dell’incontro ha preso l’impegno di formalizzare le richieste in maniera "stringente e pressante" comunicando le motivazioni ai massimi livelli. Il presidente Di Giuseppantonio ed il sindaco Paolini hanno confermato l’intenzione di segnalare ai massimi vertici politici le problematiche del carcere di Lanciano. Nel frattempo all’interno del carcere si consumava l’ennesima violenza ai danni del personale di polizia penitenziaria, infatti un’altro agente ha subito l’aggressione di un detenuto.

"Mentre l’agente lo stava chiudendo in cella", raccontano gli agenti, "un detenuto in uno scatto d’ira gli ha sottratto violentemente il cancello dalle mani costringendolo a ricorrere alle cure del pronto soccorso. L’agente è stato giudicato guaribile in 7 giorni".

Cagliari: accordo per detenuti a scuola, senza presenza agenti

 

Agi, 21 gennaio 2010

 

"Importante salto di qualità nell’attività scolastica a Buoncammino. La scuola, costretta a funzionare a singhiozzo per la carenza degli agenti di polizia penitenziaria, svolgerà regolarmente la sua funzione didattica grazie ad un accordo raggiunto tra le diverse componenti della Casa Circondariale".

Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione "Socialismo Diritti Riforme, dopo aver incontrato questa mattina alcuni dei detenuti che nelle scorse settimane avevano lamentato lo svolgimento delle lezioni a giorni alterni. "Grazie ad un’intesa tra l’aerea educativo-comportamentale e quella della sicurezza i detenuti comuni - sottolinea Caligaris - potranno frequentare le lezioni senza la presenza di Agenti della Polizia Penitenziaria.

L’importante risultato, ottenuto per la prima volta in Sardegna, è stato ottenuto per la grande disponibilità degli Agenti in servizio nelle diverse sezioni che accompagneranno gli "studenti" nelle classi e andranno a riprenderli a conclusione delle lezioni".

Soddisfatti il Direttore Gianfranco Pala ed il comandante Michela Cangiano che devono fare i conti quotidianamente con la situazione di emergenza esistente a Buoncammino. "Il Ministro della Giustizia Alfano ed il Dap - ricorda Caligaris - non hanno infatti riconosciuto, escludendo la Sardegna dal piano carceri, l’abnegazione del personale, gravato, oltre che dai pesanti vuoti di organico, da un ingente numero di riposi e di ferie non godute.

Anche se oggi Buoncammino balza alla ribalta della cronaca per un episodio altamente positivo, la situazione rimane molto difficile - afferma ancora la Presidente di SDR - per le inadempienze del Ministero e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero degli Affari regionali che ritarda la convocazione della commissione paritetica Stato-Regione per il passaggio al Servizio Sanitario Regionale della sanità penitenziaria.

Un ritardo che ha effetti negativi per il personale medico e sanitario costretto ad operare da mesi senza percepire le retribuzioni per le prestazioni e più gravi per i detenuti, molti dei quali sofferenti di pesanti patologie e bisognosi di cure, visite specialistiche e di un’assistenza che sta diventando - come denunciano gli interessati - carente". "La Regione non può continuare a ignorare la situazione di Buoncammino e deve intervenire nei confronti del Governo - conclude Caligaris - per il rispetto degli accordi e per porre fine ad un atteggiamento irresponsabile".

Tolmezzo: Debora Serracchiani (Pd) domani visiterà il carcere

 

Asca, 21 gennaio 2010

 

Domani alle ore 10.00 l’europarlamentare Debora Serracchiani e i consiglieri regionali Paolo Menis e Sandro Della Mea saranno in visita alla casa circondariale di Tolmezzo. Sarà la direttrice, dott.ssa Silvia Della Branca, ad accogliere e guidare gli esponenti del Pd nel corso di questa tappa tolmezzina, che ha l’obiettivo di analizzare le difficoltà specifiche della sede, dov’è ospitata anche una sezione speciale per i detenuti in regime di 41 bis e altri imputati legati ad organizzazioni mafiose.

Il carcere di Tolmezzo, anticipa Serracchiani, "è una struttura afflitta dai consueti problemi di sovraffollamento e di carenza di organico, comuni ormai a tutto il sistema carcerario italiano, ed è stata al centro della cronaca per i due suicidi di qualche mese fa. Per questo, ma anche alla luce del lancio del cosiddetto ‘‘piano carceri’ da parte del Governo, abbiamo ritenuto necessario prenderne conoscenza diretta e sensibilizzare sulle problematiche legate al tema della detenzione".

Messico: 23 detenuti morti in scontri fra gang in una prigione

 

Apcom, 21 gennaio 2010

 

È di almeno 23 morti il bilancio degli scontri fra detenuti di bande rivali scoppiati oggi in una prigione dello Stato di Durango, nel nord ovest del Messico: lo hanno annunciato le autorità giudiziarie regionali. "Abbiamo la conferma di 23 morti. Gli scontri sono cominciati alle 7,10 e noi abbiamo mobilitato l’esercito, la polizia federale e quella dello Stato (di Durango) per mettere la situazione sotto controllo, cosa che è stata fatta nel giro di 40 minuti", ha dichiarato all’Afp un portavoce della Procura regionale, raggiunto telefonicamente.

Le autorità non hanno ancora accertato le ragioni degli scontri in questo penitenziario di 1.800 detenuti. Le vittime appartenevano ad una gang specializzata nei rapimenti, secondo dei media della regione. Simili scontri erano terminati nell’agosto 2009 con 20 morti e 25 feriti in questa stessa prigione, definita una "bomba a orologeria" dalle autorità penitenziarie per le rivalità fra le diverse bande di detenuti. Lo Stato di Durango è situato nella regione soprannominata "il triangolo d’oro" del Messico, con gli Stati vicini di Sinaloa e Chihuahua. Vi si coltiva clandestinamente la marijuana e il papavero, base dell’oppio e dell’eroina, e i trafficanti vi sono bene impiantati.

India: pene ridotte per i detenuti che seguono dei corsi di yoga

 

Ansa, 21 gennaio 2010

 

I detenuti indiani che seguono dei corsi di yoga saranno liberati più rapidamente. Lo hanno annunciato oggi le autorità del Madhya Pradesh, Stato del centro dell’India. Le lezioni permetterebbero ai prigionieri di migliorare il loro autocontrollo e ridurre l’aggressività. Per tre mesi di allenamenti di saluto al sole, d’esercizi di respirazione e di posizioni di equilibrio, il detenuto vedrà la sua pena ridotta di 15 giorni, ha spiegato l’ispettore generale delle prigioni del Madhya Pradesh, Sanjay Mane. "Lo yoga è buono per tenersi in forma, moderare il comportamento, controllare la collera e ridurre lo stress" ha aggiunto. Seguire dei corsi di letteratura e riuscire degli esami scolastici potrebbe anche portare a una riduzione della pena. Circa 400 detenuti hanno firmato per questo programma pilota testata nel centro di detenzione della città di Gwalior.

 

 

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