Rassegna stampa 25 febbraio

 

Giustizia: carceri sempre più da record verso 70mila detenuti

di Antonio Piazza

 

Articolo 21, 25 febbraio 2010

 

Non uno dei tanti annunci ad effetto che spesso si leggono sulla carta stampata scritti a tutta pagina in copertina per aumentare il numero delle vendite; si tratta realmente di un primato che la nostra civile società italiana si è aggiudicata. In tutta la storia della Repubblica, dal 1946 ad oggi, non si è mai registrato un numero così elevato di detenuti nelle carceri italiane. In questo preciso istante, credo che, con ogni probabilità, tutti i ristretti, le loro famiglie, la polizia penitenziaria e tutto il personale che lavora all’interno delle strutture carcerarie stiano rivolgendo un sincero ringraziamento a chi ha permesso che il nostro Paese potesse aggiudicarsi tale primato.

Ma per capire bene l’effettiva portata del fenomeno di cui stiamo parlando, credo che sia utile analizzare qualche dato numerico relativo alle nostre carceri. Capienza regolamentare: 43.327 Capienza tollerabile: 64.111 Detenuti presenti: 66.561. Presenze straniere: 24.496 (fonte: www.abuondiritto.it).

Per cominciare vorrei soffermarmi un attimo sul concetto di "capienza tollerabile" e per farlo vi propongo un immaginario colloquio con l’addetta all’accoglienza di un ipotetico hotel. Immaginiamo di dover organizzare una vacanza; siamo sei coppie di amici e telefoniamo alla struttura alberghiera presso la quale gradiremmo soggiornare.

Risponde la receptionist: "Sono spiacente, il nostro albergo possiede dieci stanze doppie per una capienza totale di venti persone che tutt’ora sono presenti. Non posso accogliervi". "Peccato" - replichiamo noi - "cercheremo altrove". "No, aspettate" - ci ferma l’addetta - "io mi riferivo alla capienza regolamentare. Ma se aggiungiamo un letto per ogni stanza possiamo agevolmente ricavare altri dieci posti; infatti la capienza tollerabile per la nostra struttura è di trenta ospiti". "Lei è gentile, ma noi siamo dodici" - rispondiamo un attimo interdetti. "Dodici?" - "Perfetto abbiamo anche un’ampia e accogliente cucina che può ospitare ancora cinque persone per un totale di ben trentacinque presenze. Cosa ne pensate?".

Bene, questo è il principio che sta alla base del concetto di "capienza tollerabile": utilizzare una struttura dimensionata e costruita secondo criteri di abitabilità e agibilità adatti per un certo numero di utenti, per ospitare una popolazione di gran lunga maggiore (la capienza tollerabile delle nostre carceri risulta essere circa il 146% di quella regolamentare).

La prima ovvia, giusta e legittima obiezione che può venire sollevata è che l’ulteriore spazio così ricavato non sia in grado di garantire agli "ospiti" gli stessi standard di vivibilità e sicurezza che verrebbero rispettati nel caso in cui la popolazione ristretta rispettasse il numero regolamentare. Ma pare che questo non costituisca un problema di grande rilevanza, tant’è che alla capienza tollerabile si aggiunge un ulteriore 4% circa di persone per approdare alle presenze reali. E così il numero effettivo di detenuti risulta essere circa il 150% di quello regolamentare. Un modello di efficienza abitativa.

Ma questo non è tutto; i dati appena esaminati sono di carattere generale; è sufficiente scendere nel particolare per constatare che le cose vanno ancora peggio. Un dato su tutti: il tasso di sovraffollamento che si registra nelle carceri emiliano-romagnole raggiunge ben il 193% (in Sicilia, Veneto e Friuli il 160% - fonte www.associazioneantigone.it), una situazione ampiamente oltre la soglia della sostenibilità. Ma non fermiamoci qui, spingiamoci oltre nell’analisi del particolare. Carcere della Dozza, Bologna: capienza di tolleranza, 480 persone, capienza reale, poco meno di 1.200 detenuti (fonte: www.carceriemiliaromagna.it). Questo significa che all’interno di celle adibite all’accoglienza di una persona, ne vivono mediamente ben tre (ed anche di più se consideriamo che gli ergastolani, fra i loro pochi diritti, hanno almeno quello di poter stare in cella da soli).

Ed ora veniamo al secondo aspetto, forse più sconcertante del primo e che riguarda i meccanismi di incarcerazione. Come tutti sanno, in Italia vige la presunzione di innocenza, vale a dire che ogni imputato è ritenuto innocente fino a prova contraria. L’onere della prova inoltre spetta all’accusa, cioè non è compito dell’imputato dimostrare la propria innocenza, bensì compito dell’accusa dimostrarne la colpevolezza. Tutto ciò è riassunto all’art. 27, comma 2 della Costituzione che recita: "L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva" (che prevede tre gradi di giudizio: primo grado, appello, cassazione). Ma come ben sappiamo, nell’Italia patria del diritto, ciò che è scritto nella Costituzione non sempre pare essere poi così vincolante, ma a volte è passibile di deroghe.

E così si registrano detenute 30111 persone (il 69.4% della capienza regolamentare, il 46.9% di quella tollerabile,il 45,5% di quella reale) che si trovano nella situazione di semplici imputati, reclusi in via cautelare, senza che nessun giudice li abbia dichiarati definitivamente colpevoli, alcuni di loro senza neanche avere affrontato neppure il primo grado di giudizio ma solamente l’udienza di convalida, altri neppure questa, ma semplicemente prelevati dalla polizia giudiziaria sulla base di un mandato di arresto emesso in seguito ad una accusa ancora tutta da dimostrare.

Tutto ciò comporta che ogni anno transitino all’interno delle carceri italiane decine di migliaia di persone, chi per qualche giorno, chi per settimane o mesi, chi per anni, che contribuiscono (non certo per volontà loro) ad aggravare la già complicata situazione. Ma la cosa che ritengo sconcertante è che una fetta significativa di costoro, verrà assolta in maniera definitiva, tuttavia non senza avere provato il dolore e l’umiliazione di una ingiusta carcerazione. Ed allora l’interrogativo che pongo è il seguente: è un’ingiustizia maggiore lasciare libero un colpevole o rinchiudere un innocente?

Infine c’è un terzo risvolto che non emerge direttamente dai numeri suesposti ma non è affatto da trascurare. L’elevatissimo numero di detenuti non ha un corrispondente nel numero degli educatori cosicché il rapporto detenuti/educatori risulta sempre più alto. Questo comporta che ad ogni singolo educatore spetti l’osservazione di un numero di reclusi troppo elevato con la conseguenza di poter dedicare una quantità di tempo ed attenzione via via inferiore ad ognuno di essi. Il risultato è che non sempre è possibile per il personale portare a termine le relazioni osservative che costituiscono parte integrante del percorso carcerario dei singoli individui e che sono necessarie per potere inoltrare istanze di affidamento o richieste di detenzione domiciliare. Perciò c’è chi rimane in carcere per "l’insufficienza della documentazione prodotta".

Bene, questa è la situazione italiana; c’è da essere veramente fieri del record stabilito, che peraltro verrà presto battuto da se stesso. All’attuale ritmo di crescita infatti, si stima che la popolazione carceraria raggiungerà le 70.000 unità a fine anno e le 100.000 unità nel 2012 (fonte www.associazioneantigone.it).

Prima di salutarci, voglio solamente citarvi un buffo dato statistico che esula dall’argomento trattato ma che la dice lunga sulla strada che noi tutti come Paese, consapevolmente o meno, stiamo percorrendo: mentre si fa di tutto affinché il numero dei detenuti aumenti (ad esempio con l’introduzione di nuovi reati), si fa altrettanto di tutto perché il numero dei docenti possa diminuire. E la civiltà? Beh, quella continua a scomparire.

Giustizia: Ferrante (Pd); i suicidi atto di accusa a Stato assente

 

Dire, 25 febbraio 2010

 

"Nelle carceri italiane è in corso una drammatica e inesorabile strage silenziosa, con già ben undici persone che dall’inizio dell’anno si sono tolte la vita in vari istituti penitenziari del Paese". Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, che presenta per la sesta volta un’interrogazione parlamentare in merito.

"Non si può rimanere inerti di fronte a questo fenomeno - aggiunge il senatore - perché i suicidi tra le mura degli istituti di pena hanno avuto un aumento esponenziale correlato al sovraffollamento carcerario che è indegno di un Paese civile. Torno, per l’ennesima volta, a chiedere che il presidente del Consiglio venga in Parlamento a riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere e nei Cie, in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette".

"È necessario - prosegue Ferrante - che il governo intervenga immediatamente per rendere più umane le condizioni della vita quotidiana nei penitenziari, senza aspettare di costruirne altre, perché da nord a sud si continua a morire di carcere e in carcere, con una frequenza impressionante, tale da far presagire che il drammatico numero di suicidi conteggiato lo scorso anno, 72 persone, possa essere ampiamente superato".

Il governo annuncia un piano carceri - continua Ferrante - che è teso solo a sostenere l’edilizia carceraria in deroga alle procedure ordinarie, mentre per rendere più umane le condizioni della vita quotidiana nei penitenziari occorre aumentare la pianta organica delle guardie carcerarie, occorre sfollare le carceri attraverso il ricorso, quando possibile, alle pene alternative, che vanno finanziate, e garantendo a chi sta scontando la pena un adeguato sostegno psicologico". "Nessuna impunità quindi, ma un meccanismo adeguato per evitare che per una pena si possa morire. Attendiamo risposte dal governo, che - conclude Ferrante - deve ricordare che il suicidio di una persona in carcere è un atto di accusa contro lo Stato assente e distante, che è stato incapace di impedirlo".

Giustizia: Sappe; troppi suicidi, serve la detenzione domiciliare

 

Asca, 25 febbraio 2010

 

"È giunto il momento che si potenzi maggiormente l’area penale esterna, lasciando in carcere solamente i soggetti davvero pericolosi. Deve far riflettere il dato che con il suicidio avvenuto ieri nel carcere di Vibo Valentia salgono a 11 i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. Erano in prevalenza persone giovani (6 con meno di 30 anni) e in carcere per reati non gravi, alcuni appena arrestati ed altri prossimi alla scarcerazione". È quanto dichiara Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Sappe a commento dei gravi episodi accaduti nelle carceri italiane nelle ultime ore. Il Sappe ha, quindi, chiesto al Governo di accelerare le procedure previste nel "Piano carceri" di introdurre la possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità. Capece ha, poi, sottolineato anche un "ulteriore dato preoccupante" come quello delle aggressioni ad appartenenti alla Polizia penitenziaria.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

Pagina di Radio Carcere su Il Riformista, 25 febbraio 2010

 

Rovigo: galera sovraffollata. Caro Arena, la situazione qui nel carcere di Rovigo è sempre più grave. Pensa che ormai nelle nostre piccole celle ci siamo rinchiusi in 4, in 5 e addirittura in 6. Persone chiuse e ammucchiate in una cella di pochissimi metri quadri. Un trattamento disumano che non credo sia considerato legale in Italia! Come in altre carceri, anche a Rovigo abbiamo seri problemi con le cure mediche, considera solo che quando il medico ci visita tiene in bocca una sigaretta!

Purtroppo lo spazio ci manca non solo in cella ma anche nel cortile dell’ora d’aria. Infatti quando facciamo l’ora d’aria ci è impedito di camminare, visto il poco spazio che abbiamo rispetto all’alto numero di detenuti che siamo. Noi abbiamo sbagliato, ma vorremmo solo essere trattati in modo giusto e non come degli animali. Se il carcere dovrebbe anche migliorarci, beh allora ci si dovrebbe chiedere se è giusto scontare una pena come a Rovigo e se è giusto essere abbandonati da tutti: educatori, psicologi e magistratura di sorveglianza.

Infine ti voglio segnalare che io mi trovo in carcere da 3 anni e pur potendo chiedere dei benefici secondo la legge, mi vedo rigettata qualunque mia istanza. Rigetti che, dopo 3 anni di carcere, mi fanno più male visto che in Italia ho una moglie e un figlio. Ciao Arena e grazie al Riformista!

 

Said, dal carcere di Rovigo

 

Noi abbandonati a Secondigliano. Caro Riccardo, anche qui a Secondigliano la situazione è grave perché i posti scarseggiano. Considera che in celle minuscole ci viviamo in due detenuti e questo solo perché manca in cella la spazio fisico per la terza branda, altrimenti già ce l’avrebbero messa. Infatti qui a Secondigliano molte persone vengono ammucchiate nelle celle di isolamento o dovunque ci sia spazio per mettere dei detenuti.

Inoltre volevo informarti che in questo carcere c’è negata la possibilità di accendere la luce in cella quando sono le otto e fa buio. Non abbiamo interruttori per accendere la luce nelle celle e di conseguenza dalle otto di sera alle otto di mattina siamo costretti a rimanere al buio, con solo la luce della tv e quella di una piccolissima luce notturna, che sembra di stare al cimitero. Tutto ciò ci impedisce anche di leggere un libro o di scrivere una lettera. Allora io mi domando sono stato condannato alla detenzione o anche al buio? Nonostante le nostre condizioni di vita speriamo che il Governo si decida a varare provvedimenti urgenti ma soprattutto efficaci e non si limiti ad insistere solo sulla costruzione di nuove carceri, soluzione che si dimostrerà un buco nell’acqua. Penso che sia meglio spendere i soldi pubblici per aiutare i terremotati in Abruzzo o per chi ha perso la casa sotto a una frana.

 

Andrea dal carcere di Secondigliano

Emilia R.: Cgil; sulle carceri, nessuna concretezza del Governo

di Rosario Di Raimondo

 

www.viaemilia.net, 25 febbraio 2010

 

La situazione delle carceri in Emilia-Romagna è stata definita "esplosiva" dalla Funzione Pubblica Cgil, sigla sindacale che comprende, tra gli altri, gli agenti di polizia penitenziaria. Accuse rivolte in particolar modo all’ultimo "piano carceri" discusso dall’attuale governo, che presenterebbe, secondo il sindacato, molti limiti. Marina Balestrieri, segretario regionale della Cgil, ci spiega il perché.

 

La Cgil ha proclamato lo stato d’agitazione per il problema carceri. Perché?

"Per le condizioni degli agenti e dei detenuti, oltre che per la condizione delle carceri in Emilia-Romagna. Ma il problema è nazionale".

 

Partiamo da chi lavora nelle carceri…

"Il governo aumenta gli orari di lavoro da 36 ore settimanali a 42 per risparmiare con gli straordinari, anziché assumere nuovi agenti. La carenza di organico è strutturale, ma non si fanno assunzioni. E non si tratta solo degli agenti: nelle nostre carceri abbiamo una media di 26 educatori per 4 mila detenuti. È difficile riabilitare con delle condizioni lavorative molto pesanti".

 

E gli altri problemi?

"L’Emilia-Romagna ha il tasso più alto di sovraffollamento nelle carceri. Un surplus del 180%, rispetto al 140% della media nazionale. Il numero massimo di detenuti nelle nostre strutture sarebbe di 2.500 unità; il limite di tolleranza prevede un migliaio di posti in più. Ma nella realtà, i detenuti sono più di 4 mila".

 

Nemmeno questo piano carceri può servire a qualcosa?

"Da anni manifestiamo per denunciare l’assenza di investimenti e la mancata assunzione di personale. Anche il presidente della Regione Errani scrisse al ministro Alfano per esporre questo problema. Non è cambiato nulla; niente concretezza, solo parole, annunci".

 

Però il piano carceri prevede la costruzione di nuovi padiglioni.

"La costruzione di nuove carceri è un buon punto all’ordine del giorno, per avere condizioni di vita più dignitose. Ma questi interventi hanno tempi più lunghi. Nell’immediato, chiediamo l’assunzione di personale, per condurre l’emergenza in condizioni dignitose".

 

Perché secondo lei non si investe sulle carceri?

"Credo che investire sulle carceri voglia dire attribuire un valore aggiunto all’idea di detenzione. Si è concordi sulla necessità della detenzione, ma non si dice che in carcere la gente va anche rieducata. Le nostre carceri sono sovraffollate e dovremmo avere misure alternative all’esterno. Si mostra il pugno di ferro ma ci vuole anche dignità per i detenuti".

Abruzzo: indagine parlamentare sui medici precari a Sulmona

 

Asca, 25 febbraio 2010

 

Nell’ambito dell’inchiesta già avviata su servizi e strutture penitenziarie, la Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali, presieduta da Leoluca Orlando, ha avviato un’indagine sulla situazione di precariato in cui versano gli operatori penitenziari presso il carcere abruzzese di Sulmona, medici specialisti che operano da anni con contratti di collaborazione senza essere stati ancora stabilizzati, con conseguente lesione di diritti previsti e in condizione di disparità con gli altri operatori. Lo riferisce una nota della stessa Commissione. Una condizione di precarietà che, secondo gli interessati, impedisce di lavorare con serenità all’interno di contesti delicati come il penitenziario di Sulmona, già noto alle cronache anche per i tragici eventi recenti e che attualmente ospita più di cinquecento detenuti. La Commissione ha chiesto all’Assessore Politiche della Salute della Regione dott. Lanfranco Venturoni una relazione in merito alla situazione, per tutte le valutazioni di competenza.

Lazio: nomina del Garante dei detenuti slitta a dopo le elezioni

 

Dire, 25 febbraio 2010

 

Slitta a dopo le elezioni del 28 e 29 marzo la nuova nomina del Garante dei detenuti della Regione Lazio. Il Consiglio ha infatti chiuso i lavori senza arrivare a una decisione definitiva a causa della mancanza del numero legale, ribadita dopo una prima sospensione della seduta: tutto rimandato a dopo l’insediamento dei nuovi consiglieri.

Sulla questione, durante il dibattito in sede consiliare, si era aperta una spaccatura fra chi voleva il rinvio della votazione e chi voleva procedere comunque. La scelta doveva ricadere tra il garante uscente, Angiolo Marroni, e Antonio Marchesi. All’avvio della discussione, era stato richiesto dal consigliere del Pdl, Antonio Cicchetti, il rinvio della votazione ritenendo "inopportuna questa fretta. La carica di cui parliamo di solito viene affidata all’opposizione e non sappiamo" a quale schieramento apparterrà "dopo le elezioni di fine marzo. Sembra ci sia la volontà di occupare per un tempo che poi non è revocabile". Dello stesso parere anche Anna Pizzo, consigliere di Sinistra Ecologia e Libertà, che ha parlato di "un autogol per il centrosinistra, perché sembra che stiamo occupando il territorio in zona ultra-Cesarini".

Il Consiglio aveva invece ritenuto a maggioranza, tramite alzata di mano, di procedere con la nomina. La votazione si è quindi conclusa per la mancanza del numero legale: hanno votato in 23, 4 le schede bianche, 19 i voti che avrebbero voluto riconfermare Marroni. Il regolamento prevedeva infatti l’elezione a maggioranza assoluta.

Lazio: il Garante; tutti detenuti possano esercitare diritto voto

 

Comunicato stampa, 25 febbraio 2010

 

In vista delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale del Lazio, il Garante dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni ha scritto una lettera al Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria del Lazio Angelo Zaccagnino e ai prefetti delle cinque province del Lazio per sollecitare "la messa in opera di tutto quanto necessario ad assicurare un’adeguata informazione elettorale ai detenuti e a garantire agli stessi la possibilità di esercitare il loro diritto di voto".

"Il voto è un diritto costituzionalmente garantito - ha detto Marroni, spiegando la sua iniziativa - Nelle carceri del Lazio ci sono centinaia di detenuti, in esecuzione pena e in custodia cautelare, che hanno mantenuto il diritto di voto, per questo mi è sembrato utile sollecitare per tempo le istituzioni affinché si adoperino per garantire tale diritto.

In questa ottica, ho anche chiesto ai miei collaboratori, alle associazioni e ai volontari che operano nelle carceri della Regione di effettuare verifiche anche di natura organizzativa per evitare disguidi e ritardi".

I detenuti possono votare nella carceri in un apposito seggio elettorale. L’esercizio del diritto di voto è, però, subordinato ad alcuni adempimenti, "che richiedono tempo e che non possono essere utilmente espletati se non attraverso una anticipata conoscenza degli stessi". Il detenuto deve far pervenire al Sindaco del comune di residenza, una dichiarazione della volontà di votare nel luogo dove si trova; ciò consente l’iscrizione del richiedente in un apposito elenco e il rilascio della tessera elettorale. La richiesta può arrivare al Sindaco non oltre il terzo giorno antecedente il voto.

Nella lettera, Marroni ha chiesto al Prap e ai Prefetti di "fornire notizie circostanziate in ordine ad eventuali provvedimenti adottati per l’istituzione dei seggi nelle carceri, per la verifica della sussistenza del diritto di voto in capo ai soggetti che non lo hanno perduto, per l’affissione nel seggio dei manifesti con le liste dei candidati e le modalità di voto, oltre agli accorgimenti adottati per consentire ai detenuti di votare anche quando non sono iscritti nelle liste elettorali dei comuni dove ha sede il carcere ma nei loro centri di residenza".

"Nei prossimi giorni - ha concluso Marroni - il mio Ufficio contatterà i Sindaci dei comuni dove hanno sede le carceri per sollecitare una collaborazione volta ad assicurare l’esercizio del diritto di voto nel rispetto della legge. Allo stesso tempo chiedo alle Prefetture di esercitare azioni ed interventi di sensibilizzazione utili al corretto svolgersi del voto nelle carceri"

 

Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio

Vibo Valentia: suicida detenuto 42enne è l’undicesimo del 2010

 

Redattore Sociale, 25 febbraio 2010

 

Aveva tentato di uccidere il suo vicino di casa e per questo era detenuto nel carcere di Vibo Valentia, dove ieri si è tolto la vita: è un quarantaduenne di Taurianova. Uilpa: "Davvero troppo. La questione penitenziaria è una questione sociale".

Aveva tentato di uccidere il suo vicino di casa nel gennaio 2008 e per questo era detenuto nel carcere di Vibo Valentia, dove ieri si è tolto la vita: è un quarantaduenne di Taurianova l’undicesimo suicida in meno di due mesi nelle carceri italiane. Dopo aver scritto una lettera ai familiari, l’uomo ha appeso il proprio accappatoio alla finestra della cella in modo da impedire la visuale e si è tolto la vita impiccandosi con le lenzuola. Si tratta del quarto suicidio in 36 ore nelle carceri italiane, dopo gli episodi di Padova, Brescia e Fermo.

"Troppo. Davvero troppo - è il commento dell’Uilpa -. Le undici auto soppressioni avvenute all’interno dei penitenziari italiani in questo 2010, ripropongono drammaticamente la necessità di individuare soluzioni necessarie a ripristinare condizioni di legalità , dignità e civiltà all’interno delle nostre prigioni. Per questo vogliamo auspicare che gli impegni assunti dal Ministro Alfano circa una corsia preferenziale per le norme accompagnatorie al piano carceri, utili a deflazionare le presenze detentive, trovino attenzione ed accoglimento nel Governo e nell’intero Parlamento. La questione penitenziaria è una questione sociale ed il suo dramma rappresenta una vergogna nazionale, che un Paese civile come l’Italia non merita e non deve consentirsi".

"Un’Amministrazione attenta e vigile avrebbe già trovato almeno una qualche soluzione tampone -prosegue il comunicato -. Penso all’adozione delle lenzuola monouso di carta, al posto di quelle in tela attraverso le quali si pongono in essere la maggioranza dei suicidi. Ma soprattutto è necessario implementare e recuperare risorse umane. Ciò deve avvenire attraverso la duemila assunzioni straordinarie annunciate da Alfano e attraverso un intelligente progetto di recupero degli sprechi, che sono tanti".

Fermo: detenuto suicida aveva scritto al Garante delle Marche

 

Ansa, 25 febbraio 2010

 

Aveva scritto anche al Garante regionale per i diritti dei detenuti Vincenzo Balsamo, il detenuto morto suicida nel carcere di Fermo. Lo rende noto lo stesso ombudsman Samuele Animali, secondo cui "non si tratta di fatalità, ma lo stato del nostro sistema carcerario ne è la concausa; lo sanno e lo denunciano anche gli operatori e tutti coloro che per lavoro, per le conseguenze di scelte scellerate o per impegno volontario frequentano i penitenziari".

"Balsamo - ricorda Animali - ci aveva scritto quand’era nel carcere di Fossombrone, chiedendo un colloquio che non c’è stato tempo di organizzare. Dopo poco uscì da quel penitenziario e ne perdemmo le tracce. È triste ritrovare ora il suo nome sulle pagine di cronaca. Anche le istituzioni possono essere crudeli, specie con i più deboli. Lo abbiamo visto anche con gli ammalati che non ricevono cure adeguate e tempestive o i bambini che vengono sottratti ai genitori o costretti a vivere in cella".

"L’appello - seguita Animali - è ad avvicinarsi al carcere, far entrare le persone negli istituti: volontari, politici, giornalisti, istituzioni pubbliche, scolaresche e altri visitatori. Solo una profonda consapevolezza che il carcere e le persone che lo abitano sono parte integrante della società civile può aiutare a capire che la strada da imboccare deve avere a riferimento la tutela della dignità di ogni uomo".

Balsamo, che era stato arrestato da pochi giorni in seguito alla revoca dell’affidamento in prova ad una comunità di accoglienza, aveva scritto con alcuni compagni di cella anche una lettera ad Antigone per fare ricorso, tramite l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, alla Corte europea per i diritti dell’uomo contro il sovraffollamento nel penitenziario di Fermo.

Perugia: due detenuti tentano suicidio, un terzo prova a ferirsi

 

Ansa, 25 febbraio 2010

 

Nel carcere perugino di Capanne, dove a causa del sovraffollamento alcuni detenuti non hanno neppure una branda e devono dormire su dei materassi a terra, nelle ultime ore ci sono stati due tentativi di suicidio; un terzo detenuto ha minacciato di ferirsi con dei vetri. Protagonisti di tentativi di suicidio sono stati un nordafricano, che ha ingoiato delle lamette, ed un tossicodipendente italiano, che ha infilato la testa in un sacchetto di nylon per inalare il gas contenuto all’interno di alcune bombolette.

Del terzo episodio è stato protagonista un campano, detenuto per questioni di droga, il quale dopo aver rotto lo specchio del bagno, ha minacciato di tagliarsi la gola perché i giudici - ha spiegato - non l’hanno scarcerato. Tutti sono stati subito soccorsi dal personale di polizia penitenziaria e medicati in ospedale. Il sindacato Sinappe spiega che coi problemi di sovraffollamento "il carcere rischia di trasformarsi in una polveriera dove diventa difficile garantire la sicurezza".

Roma: in sedia a rotelle e col catetere, messo in cella "normale"

di Fiorentina Barbieri

 

Terra, 25 febbraio 2010

 

Siamo stati a trovare Antonio a Rebibbia, ma la conversazione è risultata difficile per le sue condizioni: non riesce a parlare perché a tratti la parola gli si inceppa, non può articolarla, gli si blocca il respiro, i tratti del viso e del corpo appaiono deformati dagli spasmi della malattia. Antonio non ne sa molto, riferisce che dall’82-83 si sono manifestati i primi sintomi di una "astasia-abasia", una patologia che impedisce una postura normale, condiziona i movimenti del viso e del corpo, che appaiono tipici degli spastici, e dà dolori diffusi; era quasi scomparsa per ricomparire nel ‘97, in forma leggera. Ma di nuovo, dal 2007 è andata via via peggiorando.

Dal ‘98 Antonio è detenuto, deve scontare reati compiuti nel sud pontino; è stato in vari istituti del Lazio, gli hanno fatto alcune analisi e poi lo hanno mandato ad Opera, a Milano, dove un medico lo ha inviato al "Carlo Besta", un centro di alta specializzazione, dove gli hanno definitivamente diagnosticato la malattia.

Successivamente è stato trasferito a Rebibbia, nel 2007 nell’infermeria del carcere. Da circa un mese è però in un reparto "normale", in una cella con la porta blindata, dove la carrozzina non passava dalla porta; gli è stato lasciato il catetere, che dava meno problemi perché le dimensioni della cella rendevano l’accesso al water troppo complicato per chi ce lo doveva portare, ma così non poteva mai uscire e restava chiuso, a letto, 24 ore su 24, salvo che per i colloqui, quando veniva preso in braccio per passare dalla porta. Da qualche giorno gli è stata assegnata una cella più larga, dove, almeno, la carrozzina può passare.

Antonio viene dalla provincia di Latina, dove ha la famiglia, moglie e figli, sorelle. Sono stati i suoi familiari che hanno visto aggravarsi rapidamente le sue condizioni e, dato che non hanno avuto contatti facili con gli operatori dell’istituto, hanno segnalato il caso ai volontari, che ci hanno informato.

È però certo che nessun carcere può risultare adeguato ad affrontare le difficoltà di una persona in queste condizioni. Che mutano molto anche in relazione allo stato psicologico, ma si comprende come il fatto di dipendere per tutto, anche per l’igiene personale, da un compagno di cella non può non ledere il senso della propria dignità.

Pare che la nostra visita abbia dato un po’ di speranza ad Antonio, che si dia una qualche attenzione al suo caso. Certo, la condizione logistica e psicologica di un uomo con queste limitazioni non può non apparire disumana e se di recente ad Antonio è stata riconfermata la compatibilità con il regime carcerario e se non si mette in discussione - neanche Antonio lo fa - che la pena debba essere espiata, ciò deve avvenire in una collocazione più appropriata, probabilmente in un centro clinico, il più vicino, per non allontanarlo dalle attenzioni della sua famiglia.

Trieste: Sbriglia; sì a carceri galleggianti contro l’affollamento

di Pier Paolo Garofalo

 

Il Piccolo, 25 febbraio 2010

 

È senza contratto, come i suoi colleghi, da ben cinque anni ma la circostanza non toglie grinta a Enrico Sbriglia, direttore del Carcere di via Coroneo e assessore comunale alla Sicurezza nel presentare "Ideazione penitenziaria", convegno nazionale in agenda venerdì e sabato prossimi a Trieste, organizzato dal Sidipe (Sindacato direttori e dirigenti penitenziari).

"Il simposio di settore più importante degli ultimi anni, forse dei più recenti 20 o 30 - rimarca il segretario nazionale - perché la situazione è ormai insostenibile". Decine di dirigenti e addetti ai lavori, come il presidente dell’Istituto sui diritti dell’uomo Giacomo Borruso, discuteranno dell’esecuzione penale e del sistema detentivo in merito a infrastrutture, risorse finanziarie e di personale, regolamento carcerario.

Tutto sotto gli occhi del "logo" del convegno del sodalizio sindacale che raggruppa l’80% dei manager pubblici di tale area dei servizi: la dea Minerva, la cui statua è posta all’Università degli studi. "Ma l’effige del nostro ateneo - precisa Sbriglia - seppure armata guarda altrove, come se volesse rifuggire dalla violenza.

Noi invece, con un sistema arretrato e una logica emergenziale nell’affrontare da troppo tempo i problemi strutturali e ordinativi, ne creiamo anche di maggiore rispetto a quella insita nella vita tra le sbarre". Il direttore della Casa circondariale triestina è preoccupato per una lunga serie di motivi ma ne cita solo alcuni: "Anche una certa mentalità che permea il legislatore mette a disagio. Si stanno introducendo, o sono state varate di recente, norme che immaginano ulteriori ipotesi di reato. Le risposte dello Stato sono solo di tipo sanzionatorio e penale ma tutto questo non è sempre ragionevole.

Prima di licenziare un nuova norma penale, è necessario appurare se vi sono le necessarie risorse di bilancio per farla rispettare o applicare l’eventuale sanzione. Quindi ipotizzare a esempio il numero di potenziali condannati, per parametrare strutture e gestire costi. Tutto ciò non si fa, cito il caso dello "stalking", gli atti persecutori. Stiamo creando debiti che altri dovranno pagare". Intanto il numero di detenuti cresce: è l’emergenza forse più impellente, con una popolazione carceraria ormai a quota 66mila e 300 nuovi ingressi ogni settimana.

Riguardo a tale problema, Enrico Sbriglia presenta la soluzione proposta dal Sidipe di concerto con "Fincantieri": le navi-penitenziario, in realtà piattaforme galleggianti ancorate che potrebbero ospitare parte dei detenuti in eccesso in quasi ogni istituto. Un modello sarà esposto al convegno. "Senza scordare il possibile riutilizzo di caserme dismesse, il beneficio maggiore di tale progetto - precisa - è la rapidità di esecuzione, 12-14 mesi, lasso di tempo che a terra non basta neppure a stilare e fare approvare il progetto di massima". E la sensibilità tutta italiana garantirebbe che non si creassero, come avvenuto nel Regno Unito, da vecchie carrette del mare delle autentiche "galere" moderne.

Genova: Uilm; sconfitta non realizzare un carcere galleggiante

 

Adnkronos, 25 febbraio 2010

 

Opporsi alla costruzione di un carcere galleggiante a Genova sarebbe "un’ennesima sconfitta" per i cantieri di Fincantieri di Sestri Ponente. Ad affermarlo è il Segretario generale della Uilm (Unione Italiana Lavoratori Marittimi) genovese, Antonio Apa.

"Esiste un problema di emergenza penitenziaria dovuto al grave sovraffollamento delle carceri italiane, poiché si intravede la possibilità di costruire anche carceri galleggianti, Fincantieri ha già pronto il progetto in materia", dice Apa per il quale, una volta "individuata la scelta, la politica deve avere la capacità di decidere rapidamente tempi e modi per la realizzazione di quest’opera in grado di rispondere a questa emergenza".

"Se Genova dovesse essere scelta per la realizzazione di un carcere galleggiante e se le istituzioni o chiunque sia dovessero opporsi, commetterebbero - dice Apa - un autentico autogol, perché una commessa in questa situazione di crisi, per il cantiere di Sestri Ponente, rappresenterebbe un’ennesima sconfitta per Genova e per i lavoratori e sarebbe l’ulteriore dimostrazione che le Istituzioni locali non sono in grado di fare sistema".

"Fincantieri, con questo progetto, ha dimostrato - prosegue Apa - la sua versatilità approntando questo progetto. L’inversione di tendenza sul versante civile con l’acquisizione di nuove commesse va accompagnata dal sistema paese, Genova e la Liguria, non possono opporsi a scelte scellerate di rifiuto di lavoro, perché è inutile che le organizzazioni sindacali chiedono sostegno al Governo di interventi di sostegno di domanda pubblica, e questo venga cassato da forti resistenze locali".

Arezzo: interrogazione Radicali; assistenza psichiatrica carente

 

9Colonne, 25 febbraio 2010

 

I senatori radicali eletti nelle liste del Pd Marco Perduca e Donatella Poretti in una interrogazione ai ministri della Giustizia e della Salute tornano a chiedere il potenziamento dell’assistenza psichiatrica nelle carceri dopo un esposto di uno psichiatra in merito alla struttura penitenziaria San Benedetto di Arezzo che ospita 132 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 65, obbligando a convivenze di 8 persone in celle previste per 4 persone.

"Pur rivestendo un ruolo fondamentale nel trattamento, l’assistenza psicologica - scrivono - risulta deficitaria a cominciare da quella legata alle attività di osservazione dei detenuti, visto e considerato che a fronte di più di 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati una istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo".

Ricordano quindi che "il tasso dei suicidi nelle carceri italiane ha raggiunto livelli preoccupanti, arrivando alla cifra di 72 nel 2009, il numero più alto mai raggiunto", che "si registrano già 8 suicidi dall’inizio del 2010" e che "appare grave il numero degli atti di autolesionismo fra i detenuti, attuati con maggior frequenza dai detenuti di nazionalità straniera (2.123 contro 1.564 da parte di italiani nel 2007 e 3.083 contro 1.845, nel 2008), complice il fatto che il 15 per cento dei detenuti soffre di depressione e altri disturbi psichiatrici".

 

Nuove procedure della Asl nell’assistenza sanitaria in carcere

 

Nel corso di un incontro, chiariti, dai diretti interessati, anche tutti gli episodi oggetto di una interrogazione parlamentare. Un ampliamento e una rimodulazione dei servizi assistenziali nel settore psichiatrico, e sanitario in senso generale, per il carcere, anche con un aumento delle risorse disponibili. È quanto la Asl 8, tramite il distretto socio sanitario, sta realizzando. Il punto sulla situazione è stato fatto stamani nel corso di un incontro alla presenza del direttore del distretto Claudio Pedace, del responsabile della dipartimento psichiatrico Aldo D’Arco, del direttore del Carcere Paolo Basco, del coordinatore sanitario del carcere Umberto Carlesimo e del consulente psichiatra Giovanni Calella. La riunione, a suo tempo convocata per mettere a punto il piano di lavoro che la Asl intende adottare presso la struttura penitenziaria, è stata l’occasione anche per affrontare i temi oggetto della interrogazione parlamentare presentata dai senatori radicali ai ministri di Giustizia e della Sanità. Tra i due professionisti (Carlesimo e Calella) c’è stato un chiarimento pieno, sia sul rispettivo ruolo, sia sulle azioni compiute. In particolare è emerso che in nessun modo il dr. Carlesimo è intervenuto su prescrizioni o indicazioni terapeutiche date dallo specialista.

Sono stati nell’occasione anche ricostruiti gli episodi richiamati nella interrogazione parlamentare, ricondotti alla fine a semplici disguidi e incomprensioni, senza alcuna conseguenza sulla salute dei detenuti. La Asl sta comunque definendo procedure più dettagliate anche in considerazione dell’aumento delle prestazioni previste, con una crescita delle risorse messe a disposizione.

Bologna: scomparsa pistola in dotazione agli agenti del carcere

 

La Repubblica, 25 febbraio 2010

 

Da quattro giorni la stanno cercando ovunque. Ispezionando i cassetti di tutti gli uffici, spulciando negli angoli del cortile, rovistando nelle stanze in comune e soprattutto nelle celle e negli spazi frequentati dai detenuti, ma senza trovare nulla.

Dal carcere della Dozza è sparita una pistola, una Beretta 92 in dotazione alla polizia penitenziaria che era custodita in un cassetto di sicurezza e fino a ieri sera l’arma non era ancora spuntata fuori. Un vero e proprio giallo che suscita preoccupazione tra gli agenti di custodia e rischia di gettare in cattiva luce l’amministrazione penitenziaria bolognese.

Dov’è finita la pistola? È ancora all’interno del carcere riposta malamente da qualche parte oppure peggio ancora è stata persa o portata fuori consapevolmente dalla Dozza? Il mistero della Beretta scomparsa viene alla luce sabato, quando un agente si accorge che il cassetto di sicurezza dell’armeria dove era stata riposta la pistola, insieme a due caricatori anche questi apparentemente spariti nel nulla, era aperto.

Dentro non c’è nulla e quindi partono immediatamente le ricerche all’interno del carcere. La Beretta era stata consegnata all’addetto all’armeria lunedì 15, ma fino a quattro giorni fa nessuno si è accorto della sua sparizione. Come è possibile? La prassi è che gli agenti di polizia penitenziaria, prima di lasciare il carcere debbano consegnare l’arma in dotazione e la chiave del loro cassetto di sicurezza al responsabile dell’ufficio.

Spetta poi a quest’ultimo mettere al sicuro la pistola. L’intera operazione viene riportata su un registro, ma è già successo, in passato, che alcune armi siano finite per sbaglio in un cassetto diverso da quello in cui erano destinate. Anche perché con la stessa chiave è possibile, in alcuni casi, aprire più di un cassetto di sicurezza.

Milano: i ragazzi dell’Ipm "Beccaria", in scena con "l’Antigone"

 

Dire, 25 febbraio 2010

 

I ragazzi del carcere minorile Beccaria di Milano aprono oggi la stagione teatrale del Puntozero di Milano (via Bellagio 1) con l’Antigone di Sofocle. La stagione finirà a giugno con Alice nel Paese delle meraviglie. La compagnia è quella del regista Giuseppe Scutellà, per metà composta dai ragazzi del Beccaria, che da anni hanno la possibilità di poter partecipare a laboratori teatrali all’interno del carcere e per l’altra metà da attori-operatori.

"È una sfida continua", dice Scutellà, una "lotta alla ricerca dei fondi perduti" o un equilibrismo tra le maglie della burocrazia che di fronte al suo progetto teatrale nel carcere non riesce a catalogarli, perché "non sei né solo cultura né solo sociale e quindi non sanno dove metterci e a volte i fondi non arrivano". Ma nonostante questi rompicapo burocratici, Scutellà non molla.

Francia: le carceri ultra-tecnologiche senza speranza e umanità

 

Ansa, 25 febbraio 2010

 

In Francia i detenuti lamentano carceri troppo pulite, moderne e silenziose, insomma prive di umanità. Questa nuova generazione di prigioni, lanciate nel 2002 dall’ex ministro della giustizia francese Dominique Perben, doveva mettere fine a condizioni di detenzione drammatiche e sempre più spesso criticate dalla giustizia. Ma ora i detenuti, i loro avvocati e persino l’Osservatorio internazionale delle prigioni (Oip) parlano di "universi paranoici", "luoghi alla Kafka, con pareti grigie e tristi, dove ci si sente terribilmente soli".

Due detenuti si sono già suicidati dall’apertura della nuova prigione di Lione, la Lyon-Corbas, nel maggio del 2009 e 5 in quella di Mont-de-Marsan, nel sud della Francia, rileva Barbara Liaras dell’Oip: "Qui la sicurezza prevale sull’aspetto umano".

"A riprova che questi nuovi centri non sono riusciti a risolvere i problemi della detenzione - ha aggiunto un sorvegliante del carcere di Mont-de-Marsan - I detenuti sono certamente in celle individuali, dotate di doccia, ma si sentono ancora più soli". "Avevo lasciato un posto in cui c’era ancora umanità per andare in uno in cui non l’ho più trovata", ha raccontato un ex detenuto, Alain Cangina, intervistato dal quotidiano Liberation, descrivendo il passaggio dalla vecchia e sporca prigione Saint-Joseph a quella moderna e pulita Lyon-Corbas.

"A Saint-Joseph - ha continuato Cangina - era tutto vecchio e sporco. C’erano i topi, i piccioni. Ma almeno c’era vitalità. Ci hanno trasferito in una prigione pulita, senza ratti, né scarafaggi. Ma dopo qualche giorno, dietro la mia porta insonorizzata, credevo di impazzire". In queste nuove prigioni, alcune dotate di tv al plasma, tutte le porte si aprono in modo elettrico, a distanza. Tutto è automatico, non si vedono praticamente più i sorveglianti, ci sono i citofoni, gli altoparlanti, tutto è immenso, asettico, grigio. Per spostarsi da un posto all’altro ci sono decine di porte da attraversare: insomma, racconta l’avvocato di uno dei detenuti che si è suicidato a Mont-de-Marsan, Laure Darzacq, "sono luoghi senza speranza".

Turkmenistan: nelle carceri illegalità diffusa e violazione diritti

 

www.asianews.it, 25 febbraio 2010

 

Nelle carceri turkmene mancano cibo e medicine e si muore per malattie infettive come la tubercolosi. Ma se hai soldi, puoi avere anche alcool, droghe, telefoni cellulari. Nel "Rapporto sulle carceri turkmene", pubblicato a inizio febbraio, l’Associazione indipendente dei legali del Turkmenistan e la Turkmen Initiative for Human Rights esaminano 22 istituzioni penitenziarie e descrivono una situazione di illegalità diffusa e di sistematica violazione dei diritti dei detenuti.

Il Turkmenistan ha un’elevata percentuale di detenuti, rispetto agli altri Stati dell’Asia centrale, con 543 detenuti ogni 100mila abitanti (è di 348 in Kazakistan, 285 in Kirghizistan e 80-90 nell’Unione Europea). Molti crimini sono collegati a problemi sociali come la disoccupazione, le scarse opportunità di lavoro e sociali per i giovani e la diffusione di stupefacenti. Del resto, come nota il rapporto, il governo "non riconosce l’elevato tasso di disoccupazione e, di conseguenza, non adotta misure per abbassarlo".

"Le prigioni e le colonie turkmene - rileva il rapporto - ospitano un numero di persone oltre il triplo della capienza prevista". Le prigioni ricevono fondi commisurati alla capienza ufficiale, non al numero effettivo e molto maggiore dei reclusi, per cui scarseggia ogni cosa necessaria e "i detenuti non ricevono adeguato nutrimento, ricreazione, igiene e pulizia". "Di fatto, i penitenziari sono diventati luoghi dove le persone non possono mantenere la dignità personale".

Tra le conseguenze c’è "una rapida diffusione di malattie virali, da semplici raffreddori a forme gravi di tubercolosi" e un’alta mortalità. Nel carcere identificato come LBK-12, nella provincia Lebap, c’è una percentuale di decessi del 5,2%, un morto ogni 20 detenuti, anche perché "per le difficili condizioni climatiche e il sovraffollamento, i detenuti affetti da tubercolosi…. sono tenuti insieme a quelli sani, con scarso cibo, medicinali e prodotti per l’igiene". Un’altra piaga è la diffusa corruzione. I detenuti "devono" pagare per ottenere la visita dei parenti o cibo dall’esterno, "se non pagano una tangente tramite i familiari, i carcerati non possono avere quanto previsto per legge". Ma con adeguate "bustarelle" hanno anche quanto "in carcere è proibito, come telefoni cellulari, bevande alcoliche, droga e molte altre cose".

Nella colonia femminile DZK/8 a Dashoguz ci sono oltre 2mila recluse in una struttura che ne prevede 700, con 12-14 persone per cella anziché le previste 4. Il rapporto ha riscontrato "frequenti casi di percosse e violenze sessuali sulle recluse da parte del personale di vigilanza, l’uso di torture e pressioni psicologiche", con il risultato di "frequenti tentativi di suicidio". Qui l’80% delle recluse sconta condanne per traffico di droga, ma nella struttura ci sono anche le delinquenti minorili. Il rapporto conclude che per risolvere la situazione occorre anzitutto "fornire fondi alle strutture penitenziarie di base", ma anche consentire i controlli di autorità internazionali indipendenti.

 

 

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