Rassegna stampa 9 aprile

 

Giustizia: sulla "messa alla prova" l'Idv e la Lega contro Alfano

di Liana Milella

 

La Repubblica, 9 aprile 2010

 

Domiciliari a chi ha ancora un anno da scontare: sono 7-8 mila. Battaglia sul ddl che prevede anche la "messa alla prova" per le pene fino a tre anni.

Lega contro Alfano. Per via delle nuove norme che consentono di "mettere alla prova" con lavori socialmente utili chi è stato condannato a tre anni e di affidare ai domiciliari chi ha da scontare solo un anno di pena. Uno scontro all’insegna del nuovo clima politico frutto della vittoria elettorale che pone la Lega in modo protagonistico nella coalizione. Carroccio sulla stessa linea di Di Pietro contro "un indulto strisciante e un’amnistia mascherata".

Pd schierato col Guardasigilli per alleggerire, anche se con molte cautele e distinguo, l’emergenza carceri. Il sottosegretario alla Giustizia, l’ormai ex magistrato Giacomo Caliendo in quota Pdl (è andato in pensione), costretto a dire a brutto muso al leghista Nicola Molteni "ehi tu stai calmo e modera i toni".

Il relatore Alfonso Papa, toga pure lui ed ex di via Arenula, sdrammatizza i contrasti ("Siamo solo all’inizio"). Ma la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno, che condivide la ratio del ddl e cerca di mediare, è preoccupata per l’evidente tensione nella maggioranza e vede in pericolo la possibilità di approvare il testo prima di agosto, quando Alfano e il capo delle carceri Franco Ionta temono esplosioni di protesta per via di un sovraffollamento che non ha mai raggiunto picchi così alti (è giusto di ieri la "battitura" contro le inferriate, durata mezzora, in tre padiglioni di Poggioreale a Napoli).

Succede tutto in commissione Giustizia alla Camera dove s’avvia la discussione sui due istituti, messa alla prova e domiciliari per il residuo di un anno, che il ministro della Giustizia aveva portato in consiglio dei ministri il 12 gennaio. Allora il progetto era stato accolto dal gelo dei ministri leghisti Maroni e Calderoli. Ma ieri sono esplosi i distinguo. Molteni non ha nascosto le "forti perplessità", ha chiesto precise garanzie sull’impatto. Ha precisato che la ricetta della Lega, fedele al motto della "certezza della pena", è "costruire nuove carceri, senza svuotare quelle esistenti". Poi le parole forti, "indulto e amnistia mascherata" che fanno infuriare Caliendo. Il quale deve subire il fuoco amico dei pidiellini Francesco Paolo Sisto e Manlio Contento che contestano singoli aspetti tecnici.

La maggioranza si spacca. Ma pure l’opposizione è divisa. L’ex pm Antonio Di Pietro boccia severamente entrambe le misure perché la messa alla prova è "una scorciatoia di non punibilità che lascia impunita la microcriminalità". Mentre l’ultimo anno ai domiciliari "è una vera sconfitta dello Stato", in quanto non si capisce sulla base di quale criteri si dica "vabbè, ti abbuono un anno di carcere".

L’asse Lega-Di Pietro si scontra con la posizione del Pd. Dove, dopo un’iniziale incertezza, viene dato il via libera alla cosiddetta "legislativa", la possibilità di approvare il testo in commissione senza passare dall’aula. Per questo si batte la radicale Rita Bernardini che, reduce con Marco Pannella da visite pasquali nei penitenziari dell’Ucciardone (Palermo) e di Poggioreale, minaccia di ricorrere a nuove forme di protesta non violenta (scioperi della fame).

La democratica Donatella Ferranti condivide lo spirito delle due proposte, ma chiede precise garanzie sull’impatto e soprattutto sulle misure economiche per sostenere il progetto che invece non sono affatto previste, in quanto il governo esclude di investire anche un solo euro, come recita l’esplicita "clausola di invarianza finanziaria". La Ferranti vuole anche capire come si potrà mettere ai domiciliari chi, come gli immigrati, una dimora non ce l’ha e rischia di finire diritto nei Cie. Mercoledì prossimo si riprende. Toccherà a Caliendo portare i numeri e mediare tra posizioni che appaiono inconciliabili.

Giustizia: Ferranti (Pd); c'è emergenza umanitaria, iter rapido

 

Apcom, 9 aprile 2010

 

Nelle carceri italiane siamo all’emergenza umanitaria, servono interventi che siano realmente applicabili. La capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, lo scrive in una lettera inviata al presidente della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno. "Nelle carceri italiane - sottolinea l’esponente democratica - siamo ampiamente oltre la soglia di massima tolleranza e il livello di sovraffollamento sta determinando una situazione di vera e propria emergenza umanitaria. Il piano carceri è ancora avvolto da una coltre di indeterminatezza e anche il provvedimento sulla detenzione domiciliare e la messa in prova presenta molte criticità".

"La più rilevante - sostiene Ferranti - è che un provvedimento di quella portata non può essere fatto a costo zero. Per una reale riuscita della messa in prova e del carcere domiciliare c’è bisogno di investire su mezzi e risorse umane. In caso contrario quel provvedimento non riuscirebbe nel suo scopo, resterebbe lettera morta e sarebbe utile solo per la propaganda governativa.

Senza fondi aggiuntivi ad ogni detenuto che uscirà ad un anno dal fine pena ce ne saranno almeno due che entreranno per colpa del sistema della recidiva obbligatoria introdotta dalla legge Cirielli che non consente la valutazione dell`effettivo recupero del condannato".

"Questa, purtroppo, è la realtà! E allora, prima di accordare la legislativa diretta, abbiamo chiesto - spiega l’esponente Pd - di verificare in commissione la reale volontà di tutte le forze politiche ad avviare un percorso normativo e di investimento che sia durevole e capace a risolvere le cause primarie del sovraffollamento delle carceri. Se il governo e la maggioranza ci daranno segnali in questo senso, saremo i primi a richiedere il trasferimento in legislativa. Mi spiace che le parole strumentali e ingenerose della collega Bernardini abbiano potuto generare un così macroscopico equivoco. Noi non vogliamo alcun allungamento dei tempi: come sempre puntiamo ad un confronto in commissione costruttivo, efficace e celere. Il provvedimento è in ogni caso già calendarizzato in Aula per il mese di maggio".

Giustizia: Contento (Pdl); perplesso sul ddl, servono modifiche

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

"Ci sono diversi aspetti da rivedere del ddl Alfano per la messa alla prova e credo che potrà essere migliorato". Il deputato del Pdl Manlio Contento commenta così quanto avvenuto in commissione Giustizia della Camera sul ddl Alfano che prevede, tra l’altro, la detenzione domiciliare per coloro a cui resta da scontare l’ultimo anno di pena. La Lega infatti si è detta contraria al testo del governo per il quale ha negato l’esame in sede legislativa e molte perplessità sono state sollevate anche da parlamentari del Pdl tra cui, appunto, Manlio Contento.

L’esponente della maggioranza, dopo aver evidenziato una serie di questioni tecniche che potrebbero portare ad un miglioramento del testo, ha poi proposto una novità che potrebbe essere introdotta nel provvedimento. "Si potrebbe anche pensare di far scrivere direttamente al magistrato di merito nella sua sentenza, se prevedere o meno gli arresti domiciliari per l’imputato, in alternativa alla detenzione in carcere. Facendolo decidere direttamente al magistrato - osserva Contento - si potrebbero ridurre i tempi e alleggerire non poco le procedure. Oggi è cominciato l’esame di questo testo - conclude Contento - il confronto è appena cominciato". Il presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno ha comunque reso nota l’intenzione di calendarizzare il provvedimento per l’aula nel mese di maggio.

Giustizia: Di Pietro; il ddl Alfano è scorciatoia per non punibilità

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

"Il ddl per la messa in prova che porta la firma del ministro Alfano è di fatto una scorciatoia di non punibilità. Non è vero che svuoterebbe le carceri e porterebbe la microcriminalità a restare impunita". Il leader dell’Idv Antonio Di Pietro boccia così il provvedimento del governo ora all’esame della commissione Giustizia della Camera.

"Le perplessità su questo testo sono varie - spiega Di Pietro - prima di tutto se il magistrato ha previsto una determinata condanna è chiaro che si tratta di una disposizione che va rispettata. Non esiste che io modifichi la valutazione del giudice solo perché non ho spazio a sufficienza per far stare i detenuti. Sarebbe una vera sconfitta per lo Stato".

Poi, prosegue il parlamentare, "se il giudice ha stabilito una condanna a cinque anni invece che a quattro una ragione ci sarà. Pertanto non vedo su quale base e con quale pretesto si possa dire Vabbè ti abbono un anno di carcere. È chiaro che ci sarebbe l’elusione della sanzione rispetto al precetto".

Ma la cosa che Di Pietro critica più di ogni altra è l’ipotesi prevista nel ddl di sospensione del processo con messa alla prova che poi comporta l’estinzione del reato. "Si tratta di un vero e proprio invito alla microcriminalità a delinquere", commenta. Nel testo, infatti, si prevede che l’imputato che venga condannato per reati puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni, possa chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. La sospensione del procedimento con messa alla prova è subordinata alla prestazione di un lavoro di pubblica utilità.

Tale sospensione, dice ancora il ddl Alfano, non può essere concessa più di una volta per delitti "della stessa indole" e, comunque, non più di due volte. In più, non può essere concessa ai recidivi che abbiano riportato condanne per delitti della stessa indole rispetto a quelli per cui si procede. "Il che significa - incalza Di Pietro - che io per un determinato periodo non posso commettere due furti, ma un furto e una truffa sì, per arrivare all’estinzione del reato". Tra gli effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova, infatti, c’è quello che alla fine si estingua il reato per cui si procede. Anche se questo non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, nel caso siano previste dalla legge.

"E tutto questo poi - conclude Di Pietro - sarebbe in contraddizione con il principio ispiratore della legge che sarebbe quello di svuotare le carceri. È difficile infatti che ci siano molte persone in carcere con condanne a tre anni. Mentre si corre il rischio che con la tecnica del prima faccio un tipo di reato, poi aspetto un po’ e ne faccio un altro, alla fine si possa delinquere senza incappare in alcuna condanna".

Giustizia: Molteni (Lega); ddl è contrario a certezza della pena

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

Il ddl del governo che prevede la "messa alla prova" per gli imputati di reati fino a tre anni e la detenzione domiciliare per i detenuti a cui manca da scontare un anno di carcere non verrà esaminato dalla commissione Giustizia della Camera in sede legislativa. A dire no alla richiesta di un esame veloce del testo, sostenuta con forza dai Radicali, sono stati la Lega, l’Idv e il Pd.

"Noi abbiamo forti perplessità su questo provvedimento - avverte il deputato della Lega Nicola Molteni - e abbiamo chiesto al governo ulteriori chiarimenti soprattutto per quanto riguarda l’impatto che misure del genere potrebbero avere sui detenuti adulti, visto che sino ad ora sono state applicate solo sui minori".

Ma non è questa l’unica ragione per la quale gli esponenti del Carroccio si sono opposti a discutere il testo direttamente in sede legislativa. "Noi pensiamo - aggiunge il parlamentare - che il problema del sovraffollamento delle carceri non vada risolto semplicemente svuotandole, ma costruendone di nuove e mettendo a punto iniziative diplomatiche con paesi esteri che consentano di far scontare ai 25.000 detenuti stranieri che sono nelle nostri carceri la propria condanna nei paesi di provenienza". "Non bisogna dimenticare infatti - sottolinea - come circa il 40% della popolazione carceraria sia straniero". E poi, prosegue, "serve la certezza della pena".

Giustizia: altro decesso a Sulmona, nel 2010 morti 54 detenuti

 

Il Velino, 9 aprile 2010

 

"Con la morte di Domenico Cardarelli, internato nel supercarcere di Sulmona e ritrovato ieri sera cadavere nella sua cella, salgono a 54 i detenuti morti dall’inizio dell’anno, 1 ogni 2 giorni di media. Di questi 17 si sono suicidati (alcune altre fonti, forse a conoscenza di un caso che non abbiamo monitorato, parlano di 18 suicidi)". È quanto si apprende da una nota dei Radicali Italiani, associazione "Il Detenuto Ignoto", associazione "Antigone", associazione A "Buon Diritto", redazione "Radiocarcere" e redazione "Ristretti Orizzonti".

"Lo scorso anno - prosegue il comunicato - sono morte in carcere 175 persone (72 suicidi) e dal 2000 ad oggi i decessi sono stati 1.651 (578 i suicidi). Numeri impressionanti, se si tiene conto che la popolazione detenuta è costituita prevalentemente da persone giovani (i 2/3 dei reclusi hanno meno di 40 anni e soltanto 2.500 di loro sono ultrasessantenni) che raramente dovrebbero morire per "causa naturale". Per fare un esempio, se la stessa frequenza dei decessi in carcere si verificasse nell’intera popolazione italiana assisteremmo ogni anno alla scomparsa di tanti under 40 quanti ne abitano in una città delle dimensioni di Firenze".

"Nelle carceri su muore così spesso perché negli ultimi 20 anni sono diventate il ricettacolo di tutti i disagi umani e sociali, con decine di migliaia di detenuti tossicodipendenti, 5 o 6.000 malati di mente, migliaia di sieropositivi Hiv. Una recente ricerca della Simspe (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) ha riscontrato che soltanto il 20 per cento dei detenuti è in buone condizioni di salute". "Ma si muore anche perché le condizioni detentive sono sempre più difficili - sottolineano ancora -: il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti, il personale adibito al "trattamento" e alla sorveglianza è sempre più scarso, il lavoro per i detenuti sempre meno (negli ultimi 3 anni le risorse destinate alle "mercedi" per i detenuti lavoranti sono diminuite del 32 per cento - da 71milioni a 48milioni - Cap. 1671 del Bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), il che significa che in carcere c’è maggiore povertà, che la manutenzione e le pulizie sono meno curate, che i detenuti trascorrono più ore in cella. In molte carceri mancano anche i prodotti per la pulizia personale (carta igienica e sapone vengono forniti dal volontariato), la regione Toscana ha dovuto comperare i materassi per 4.500 detenuti, il vitto giornaliero è fornito dall’amministrazione con una spesa complessiva (fornitura dei prodotti e cottura pasti) di 3 euro a detenuto, con la qualità e quantità che si possono immaginare".

"L’attuale condizione delle carceri non consente un’esistenza dignitosa ai detenuti (e nemmeno agli operatori che ci lavorano): quando diventa difficile immaginare un futuro diverso e migliore, il suicidio (o anche lo "sballo") diventano l’unica strada per sfuggire alla sofferenza.

Probabilmente Domenico Cardarelli non voleva togliersi la vita. Secondo i primi rilievi effettuati la morte potrebbe essere stata causata da una overdose di sostanze stupefacenti e, benché a volte i tossicodipendenti intenzionati a suicidarsi assumano di proposito una dose eccessiva (e letale) di droga, è molto più frequente il caso del sovra-dosaggio accidentale, che più facilmente si verifica se la persona è rimasta in astinenza per un certo periodo di tempo. Sicuramente, come tanti altri - conclude la nota - Domenico era disperato e un carcere dove non c’è posto per la speranza non può certo cambiare in meglio le persone".

Giustizia: Favi (Pd): ancora un suicidio ed Alfano taglia risorse

 

Dire, 9 aprile 2010

 

"Ancora oggi un nuovo suicidio a Sulmona. Siamo al diciottesimo detenuto che si toglie la vita, all’inizio dell’anno e ad almeno 28 tentati suicidi sventati, solo grazie alla professionalità del personale penitenziario". Lo dice Sandro Favi, responsabile carceri del Pd, che aggiunge: "Il passaggio in commissione Giustizia della Camera, dalla sede referente alla sede legislativa, del disegno di legge del ministro Alfano sul carcere, dipende dalla sua maggioranza".

L’opposizione, chiosa Favi, "non può accettare a scatola chiusa le soluzioni della ricetta Alfano, di cui neanche la stessa compagine governativa sembra convinta". La posizione dei democratici è chiara: "Evitare che i primi passi nella direzione dell’utilizzo di pene alternative, non si risolva, per l’inadeguatezza dei mezzi o per approssimazione, in un fallimento". L’esponente Pd sottolinea come "Alfano non ha onorato e delle iniziative annunciate per decongestionare le carceri", mentre "il sistema penitenziario italiano viene spogliato di risorse, di professionalità e di opportunità di perseguire il fine costituzionale della rieducazione, del reinserimento e della tutela dei diritti della persona". Infine, conclude Favi, "vengono anche negate agli operatori penitenziari le regole ed i contratti a garanzie delle proprie condizioni di lavoro".

Giustizia: Corleone; per il governo, carcere è discarica sociale

di Mario Lancisi

 

Il Tirreno, 9 aprile 2010

 

"Porto Azzurro? Non mi stupisce quello che è successo. L’amministrazione penitenziaria in Italia sta giocando allo sfascio e alla disfunzione. Alla logica insomma del tanto peggio e tanto meglio è", commenta Franco Corleone, ex sottosegretario alla Giustizia e attuale Garante dei diritti dei detenuti a Firenze. Lo raggiungiamo a Fiesole, alla fondazione Michelucci, che da anni si occupa del problema delle carceri.

Prosegue Corleone: "Il mio timore è che non si faccia nulla per rendere le carceri più umane perché in realtà si vogliono gli incidenti in modo poi da intervenire con la forza per cancellare la legge Gozzini sul recupero dei detenuti. In realtà la linea dell’attuale governo punta a due obiettivi precisi".

 

Quali?

"Il primo è quello di caratterizzare sempre più il carcere come una discarica sociale, in cui già oggi il 60% dei detenuti sono tossici e immigrati. In Italia ci sono circa 67mila detenuti, i mafiosi sono appena 600, la gran parte è un’umanità disperata e senza speranza".

 

L’altro obiettivo?

"È quello del business. Non a caso il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è stato nominato anche commissario per la costruzione di nuovi carceri sul modello della Protezione civile, senza controlli sulla contabilità, sull’affidamento degli appalti e sulla scelta delle imprese. Il ministro Alfano ha preventivato di costruire 80mila posti letto, come se gli attuali 67mila non bastassero".

 

Lei per primo lamenta il sovraffollamento...

"Certo. Oggi - solo per riferirsi alla Toscana - ci sono in carcere quasi il doppio dei detenuti che potrebbero contenere. Gli effetti sono il degrado delle condizioni sanitarie e anche umane. Al detenuto viene sottratto anche lo spazio per le attività e per i colloqui con i parenti e gli avvocati. Detto questo ci dobbiamo chiedere quale carcere, perché e per chi. Per quanto riguarda la prima domanda io penso che occorra costruire un carcere che, come dice l’articolo 27 della Costituzione, favorisca il reinserimento sociale dei detenuti. L’architettura del carcere deve essere cioè funzionale al recupero del detenuto".

 

Per chi il carcere?

"Dovrebbe essere riservato solo per i reati gravi contro la persona, l’ambiente, la criminalità finanziaria e così via. La legge Fini-Giovanardi sulla droga, quella sull’immigrazione e la Cirielli per la recidività ha invece moltiplicato i detenuti con piccole pene e a bassa pericolosità sociale. Così dopo l’indulto si è assistito ad un enorme sovraffollamento dei nostri istituti di pena".

 

E invece?

"Penso che per i tossici e gli immigrati dovremmo individuare percorsi di recupero alternativi al carcere. Anche perché il carcere non aiuta la risocializzazione del detenuto. I dati sono chiari: il 70% dei detenuti, una volta fuori, ritorna dentro perché delinque nuovamente. La recidività riguarda invece solo il 17% di chi viene avviato a misure alternative".

 

Cosa si aspetta da Rossi?

"Molto. Ad esempio lo stanziamento di risorse economiche per far uscire mille tossicodipendenti dal carcere con progetti di recupero o di inserimento in comunità. Inoltre è importante l’istituzione a livello regionale del Garante dei diritti dei detenuti. Infine, visto che si parla tanto di federalismo, il diritto alla salute è di pertinenza delle Regioni. Rossi può fare molto per rendere le nostri carceri più umane".

Giustizia: Casellati; nel piano carceri anche le "stanze del sesso"

di Floriana Rullo

 

Affari Italiani, 9 aprile 2010

 

"Si dovrebbe pensare anche alla vita sessuale dei detenuti". Ad avanzare la proposta e spingere alla riflessione è il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, che sceglie il quotidiano online Affaritaliani.it per spiegare la sua idea sulle carceri italiane.

"È giusto che il detenuto saldi il suo debito nei confronti dello Stato e nei confronti delle vittime del reato, ma è importante anche che lo stesso sia messo nelle condizioni di non tornare a delinquere una volta lasciato il carcere. La riabilitazione è un percorso complesso che non può non comprendere, oltre agli aspetti del lavoro, della cultura, della formazione, anche la sfera dell’affettività. Interrompere il flusso dei rapporti significa separare l’individuo dalla sua stessa storia personale. È questa una mia riflessione, non un progetto governativo, basata anche su esperienze da tempo in atto in molti Paesi d’Europa.

Sono convinta che quando si comprime un istinto naturale quale appunto quello sessuale, il rischio di una polarizzazione non desiderata, e spesso imposta dall’ambiente, diventi concreto. Occorre permettere perciò ai carcerati di mantenere un’affettività normale e completa".

E ancora: "La mia, ripeto, è una riflessione e non un progetto operativo. Una soluzione, che tiene conto di quanto avviene in altri Paesi, potrebbe essere quella di stanze destinate ad ospitare gli incontri tra i detenuti e le loro mogli. È chiaro che oggi l’organizzazione di questi spazi è di difficile attuazione in presenza di un sovraffollamento emergenziale degli istituti penitenziari". E alle polemiche sollevate da Domenico Capece del Sappe il sottosegretario risponde: "Ho espresso una mia personale opinione avulsa da ogni riferimento a progetti governativi. In buona sostanza il mio è stato ed è un invito a una riflessione.

Infine sulle problematiche carcerarie il sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellati afferma: "Nel gennaio scorso è stato approvato il piano carceri. Si tratta di misure di carattere eccezionale che consentono di utilizzare strumenti agili per avviare interventi strutturali di medio e lungo periodo. Negli istituti penitenziari 47 nuovi padiglioni saranno messi in funzione; contestualmente saranno costruite 8 nuove carceri. Alla fine la capienza complessiva del sistema arriverà ad 80 mila unità. In questo piano, tra l’altro, sono previste misure importanti come la detenzione domiciliare per chi deve scontare un anno di pena residua e la messa in prova di detenuti per reati con pene fino a tre anni. Teniamo presente che la popolazione carceraria è composta per il 40% da detenuti stranieri: stiamo pensando perciò che sia utile stipulare accordi con i vari Stati affinché i detenuti scontino la pena nel loro Paese d’origine. Queste norme possono rappresentare una soluzione al problema del sovraffollamento".

E conclude sull’emergenza suicidi: "Si tratta di un tema doloroso, che non può essere affrontato senza che il pensiero vada alle famiglie, colpite da questi drammi. È di certo un problema reale malgrado le statistiche documentino come in Italia la media sia al di sotto di quella europea: 11,1 decessi ogni 10 mila detenuti, a fronte del 12,4% del vecchio continente. Ad esempio in Francia, dove la popolazione carceraria è sostanzialmente pari alla nostra, i suicidi in carcere nel 2009 sono stati il doppio di quelli avvenuti negli istituti italiani. Non sarebbe comunque a mio parere ipotizzabile che la scelta di togliersi la vita sia conseguenza del sovraffollamento. Penso al suicidio di detenuti in regime di isolamento come la brigatista Diana Blefari Melazzi. Del resto, l’approccio a questa materia è complesso e difficile; di certo va oltre la dimensione carceraria che comunque rappresenta, dal punto di vista psicologico, un terreno di particolare fragilità.

Giustizia: Cucchi; ma quali fratture pregresse se faceva sport?

 

Dire, 9 aprile 2010

 

"Ringrazio i pubblici ministeri per le indagini fin qui espletate e i nostri legali per il lavoro investigativo che ha permesso di ricostruire ciò che è avvenuto a Stefano prima e dopo il suo arresto". Così Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dopo le novità emerse dalle consulenze del pool di medici della Procura.

Sabato, in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, alle 11.30, saranno illustrate "le verità scientifiche dirompenti e incontestabili - dice ancora Ilaria Cucchi - portate alla luce dalla perizia dei nostri consulenti medici, con cui il quadro che si è delineato è compatibile".

"Continuare a sostenere la tesi delle fratture pregresse mi sembra quasi paradossale - conclude - mi domando come una persona possa condurre una vita normale e praticare attività sportiva quotidianamente con una vertebra rotta. Non sono un medico, ma sono la sorella di Stefano. Non pensate che me ne sarei accorta? Confido che venga resa giustizia alla morte di mio fratello". Intanto l’ordine dei Medici di Roma ha aperto due fascicoli su quanto successo al Pertini durante il ricovero di Stefano Cucchi.

Giustizia: Cucchi; gli indagati: siamo professionisti non nazisti

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

Sono "professionisti, non nazisti". Nel giorno dell’esito della perizia della Procura, che addita la negligenza dei medici come causa della morte di Stefano Cucchi, i camici bianchi del Pertini di Roma fanno quadrato attorno ai sei colleghi indagati per la morte del giovane detenuto romano nello stesso ospedale, ma la vicenda sembra destinata a dividere la categoria, visto che il "j’accuse" di oggi arriva da un’equipe di medici.

Il primo a difendersi è proprio uno degli indagati, Aldo Fierro, primario del servizio di Medicina protetta del Pertini. "Questa è una triste vicenda che mi fa apparire come il dottor Mengele. Né io né i miei collaboratori abbiamo fatto nulla per meritare questo", commenta Fierro amareggiato.

Esami, perizie, autopsie, indagini interne. Ormai la vicenda legale del caso Cucchi è un braccio di ferro a colpi di referti medici. In gioco, per qualcuno, c’è anche "la credibilità dell’intera categoria professionale". Comunque divisa. Da un lato l’equipe di periti con a capo il professor Paolo Arbarello, nominata dalla Procura, dall’altro i dottori del Pertini.

Secondo l’esito della perizia Cucchi "non è morto per disidratazione ma per negligenza dei medici che non lo hanno curato", mentre per i medici del Pertini "questa è una conclusione assurda, che rischia solo di gettare fango sull’ospedale e sui seri professionisti che lavorano ogni giorno dimostrando umanità a tutti i pazienti".

I sei camici bianchi indagati svolgono tuttora regolarmente il proprio lavoro nel reparto di medicina protetta del Pertini. Lo scorso novembre i primi tre medici erano stati trasferiti dal direttore generale in attesa di un’indagine interna dell’ospedale Pertini. Poi il provvedimento di reintegro, dopo qualche settimana, visto che l’analisi "non" aveva "messo in luce, sul piano organizzativo e procedurale, alcun particolare elemento relativo ad azioni e o omissioni da parte del personale sanitario". Malgrado tutto non c’è pace al Pertini.

Oggi, ironia della sorte, un blindato della polizia penitenziaria porta un detenuto nella struttura. "Ecco uno Stefano di turno viene trattato come tutti gli altri pazienti, con le stesse cure", dice un infermiere, mentre primari, professionisti in camice e infermieri girano dentro e fuori dalla struttura commentando "la brutta notizia del giorno".

Intanto l’Ordine dei medici di Roma ha fatto sapere di aver aperto due provvedimenti nei confronti di altrettanti medici coinvolti nel caso Cucchi e si stanno valutando le posizioni e gli ordini di iscrizione di altri tre medici. Adesso nei lunghi corridoi bianchi del Pertini, nell’odore di disinfettante, tra barelle e medicinali, tutti aspettano di capire se il giuramento di Ippocrate è stato macchiato dal sangue di Stefano.

Sardegna: Uil Penitenziari; da gennaio, un suicidio e 2 tentati

 

Agi, 9 aprile 2010

 

Un suicidio, due tentativi sventati dagli agenti di custodia e un caso di autolesionismo sono avvenuti dall’inizio dell’anno nelle carceri della Sardegna, secondo quanto riferito dalla Uil Pa penitenziari. Ai quattro episodi, accaduti nel gennaio scorso, si aggiunge una colluttazione fra minorenni del carcere minorile di Quartucciu, che risale al 3 marzo scorso: l’agente intervenuto per sedare la lite è rimasto ferito.

Il primo evento segnalato dal sindacato risale al 2 gennaio, nel carcere di Macomer, dove un detenuto si è autolesionato con una lametta e ha ferito due agenti. Alcuni giorni più tardi, il 5, a Cagliari un recluso di 62 anni nella casa circondariale di Buoncammino si è impiccato. Dopo quattro giorni, il 9 gennaio, un altro detenuto di Buoncammino ha tentato di uccidersi, ma è stato fermato in tempo dagli agenti. Il 16 gennaio un altro tentativo di suicidio è stato sventato a Sassari, nella sezione femminile, dove una donna ha cercato di impiccarsi.

Valle d’Aosta: sanità penitenziaria sarà di competenza regione

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

Sarà la Regione autonoma Valle d’Aosta e non più l’Amministrazione penitenziaria ad occuparsi dell’assistenza sanitaria dei detenuti nella casa circondariale di Brissogne. Il passaggio delle funzioni è stabilito in una norma di attuazione dello statuto speciale (relatore Luciano Caveri) che oggi ha ottenuto all’unanimità il parere favorevole del Consiglio Valle.

Le competenze riguardano, in particolare, i settori della medicina generale, delle prestazioni specialistiche d’urgenza, delle patologie infettive e terminali, delle dipendenze patologiche e della salute mentale. La Regione dovrà disciplinare con una legge l’esercizio delle funzioni trasferite. L’assessore alla sanità, Albert Laniece, ha ricordato che "un anno fa è stata insediata una Commissione paritetica in vista del trasferimento delle funzioni in materia di sanità penitenziaria, che ha già lavorato su dei punti ben precisi: modelli organizzativi, presa in carico della strumentazione, rapporto di lavoro delle figure sanitarie e priorità per la popolazione carceraria". La legge viene a normare un settore su cui di fatto si sta già sta lavorando in maniera congiunta ed efficiente", ha precisato il presidente della Regione, Augusto Rollandin. Il parere sarà ora trasmesso al Ministro per i rapporti con le Regioni per il prosieguo dell’iter, che si concluderà con l’approvazione del decreto legislativo da parte del Consiglio dei Ministri.

Sulmona: detenuto di 39 anni ritrovato morto, forse overdose

 

Agi, 9 aprile 2010

 

Domenico Cardarelli, 39 anni di Roma, internato nel supercarcere di Sulmona, ieri sera, alle 22, è stato trovato senza vita al fianco del suo letto. L’ipotesi, stando ai primi rilievi necroscopici esterni, è quella di un malore dovuto ad overdose. La salma dell’uomo è stata trasportata all’obitorio di Sulmona, a disposizione dell’autorità giudiziaria per l’autopsia. Tra ieri e l’altro ieri sono stati 30 i detenuti rientrati dal permesso per le festività di Pasqua, con possibile introduzione di stupefacenti all’interno del carcere. È stata aperta un’inchiesta interna alla casa di reclusione e una della magistratura.

 

Petrilli (Pd): Alfano chiuda sezione internati

 

Il Pd chiede la chiusura del reparto internati del supercarcere di Sulmona. "Dopo 11 suicidi - afferma in una nota il responsabile del dipartimento diritti e garanzie del Pd dell’Aquila, Giulio Petrilli - un altro detenuto muore in questo carcere e in particolare nella sezione internati che è un luogo pazzesco, un girone infernale, totalmente invivibile, che va chiuso immediatamente". "Il Ministro Alfano faccia questo passo", chiede Petrilli sostenendo che a "questo punto è necessario un cambio della direzione civile e militare del carcere. Una situazione di così alto degrado non è più tollerabile. Si è lasciato correre per troppo tempo e questo carcere, tra suicidi, tentati suicidi, morti è diventato il peggiore in assoluto".

Firenze: neo-governatore consegna materassi nuovi a detenuti

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

Il neo governatore ha tenuto fede all’impegno preso nello scorso novembre quando era ancora assessore al diritto alla Salute. In totale sono 2.300 i materassi che saranno distribuiti in tutti i penitenziari della regione. Enrico Rossi, il nuovo presidente della Regione Toscana, si è recato oggi in visita al carcere di Sollicciano in occasione della consegna dei 412 nuovi materassi per i detenuti, 717 guanciali e oltre 5.000 kit per l’igiene orale e personale.

Il materiale è stato acquistato grazie ad uno specifico finanziamento proposto da Rossi, assessore uscente per il diritto alla salute, alla Giunta regionale che poi ha approvato uno stanziamento di 620mila euro. Sono 2.300 in totale i materassi che saranno distribuiti nei vari istituti penitenziari della regione: ci sono poi 2.700 cuscini e 15mila kit per l’igiene personale. Prima di entrare nel carcere, Rossi ha ricordato che la consegna dei materassi era un impegno da lui preso a conclusione della visita compiuta a Sollicciano lo scorso 15 novembre. Il neogovernatore era accompagnato dai consiglieri regionali del Pd Severino Saccardi ed Enzo Brogi, dall’assessore comunale alle politiche sociali Stefania Saccardi e da Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze

 

Uil: plauso a Rossi per impegno verso Sollicciano

 

"Non si può non apprezzare il gesto, non solo simbolico, del presidente Rossi. Infatti, noi lo abbiamo molto apprezzato nell’auspicio che non resti un gesto isolato ma rientri in una politica di attenzione verso l’emarginato e dimenticato universo penitenziario". È quanto dichiara Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, commentando la distribuzione di materassi, guanciali e kit per l’igiene personale ai detenuti di Sollicciano da parte del neo governatore della Toscana Enrico Rossi. "Già da assessore regionale - continua - il presidente Rossi non aveva mancato di prestare concreta attenzione alle criticità del sistema penitenziario. C’è da credere che da presidente della regione non farà mancare il prezioso ausilio della Giunta e suo personale. La Uil Pa Penitenziari apprezza l’intenzione del governatore ad incontrare i sindacati della polizia penitenziaria, così come vengono registrate con favore le parole di solidarietà verso i poliziotti penitenziari di Porto Azzurro. Ho molto apprezzato l’intento dichiarato da Rossi ad incontrare le rappresentanze della polizia penitenziaria. Invero avrebbe qualche difficoltà ad incontrare, come ha dichiarato, i sindacati degli Agenti di Custodia, in quanto è un Corpo soppresso".

Firenze: Corleone; nuovo padiglione? mi sdraierò sotto ruspe

 

Redattore Sociale, 9 aprile 2010

 

Il Garante dei detenuti di Firenze auspica un ripensamento da parte dell’amministrazione penitenziaria al riguardo della realizzazione di una nuova struttura detentiva da 200 posti all’istituto fiorentino.

"Se inizieranno a costruire il nuovo padiglione al carcere di Sollicciano, mi sdraierò sotto le ruspe per evitarne la realizzazione". Lo ha annunciato il garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone, in merito alla paventata realizzazione di una nuova struttura detentiva (200 posti circa) da parte dell’amministrazione penitenziaria al carcere fiorentino di Sollicciano. Corleone è intervenuto anche al riguardo del carcere di Empoli, che avrebbe dovuto accogliere i detenuti transessuali e che invece è vuoto da oltre un mese. "È intollerabile e criminale - ha detto il garante - il fatto che il carcere sia vuoto quando gli altri istituti scoppiano per il sovraffollamento. L’amministrazione penitenziaria non si pronuncia in merito e questo è inaccettabile".

Porto Azzurro: Cisl; le condizioni interne, causa della protesta

 

Elba News, 9 aprile 2010

 

Per il sindacato degli agenti "quello che è accaduto a Porto Azzurro non deve meravigliare, anzi si spiega con gravi disagi segnalati e mai risolti. Nessun contrasto fra polizia e detenuti".

"Quanto accaduto non deve meravigliare perché la situazione interna all’istituto elbano era e rimane grave". È il sindacato degli agenti penitenziari a spiegare le ragioni della rivolta di ieri nel carcere di Porto Azzurro. A parlare il segretario generale della Cils-Fns, Fabrizio Ciuffini, che premette: "Quanto accaduto non discende da nessun contrasto tra popolazione detenuta e personale del carcere", anzi proprio per la mancanza di contrasti "la protesta è terminata senza registrare danni, alle persone o alle cose".

Poi spiega: "Alla base della protesta ci sono le condizioni in cui i detenuti vivono. Da circa un mese non vengono cambiate le lenzuola, questo perché da ulteriori 2 mesi la lavanderia interna è ferma. Le macchine hanno bisogno di manutenzione ma, nonostante segnalazioni e relazioni di servizio, non sono stati stanziati i fondi necessari alle riparazioni. In istituto i detenuti (circa 320) sono costretti a fare una doccia con acqua spesso fredda e con turni di 4 persone per volta".

Il sindacato parla del mancato funzionamento di una caldaia, e del fatto che un secondo impianto funziona al 30% delle possibilità. "Se a questo aggiungiamo che le caldaie in questione sono state installate lo scorso anno (per una spesa presunta di oltre 200mila euro) -osserva Ciuffini - definire ciò "incomprensibile" è poco". "Da tempo - ricorda la Cisl - i detenuti segnalano di non gradire la qualità del vitto e lo ritengono assolutamente inadeguato. Su questo aspetto lo stesso personale di Polizia penitenziaria ha ripetutamente segnalato il problema, ma tutto è rimasto inascoltato".

Certo, la Federazione della sicurezza condanna la presa in ostaggio dei colleghi, "perché non è con la violenza che i detenuti possono pretendere il rispetto di alcuni elementari diritti", ma ribadisce che è questo che ha scatenato la "protesta", per cui "si può comprendere come la protesta trovi motivazione in questi disagi".

"I detenuti - aggiunge Ciuffini - presenti sono circa 320, a fronte di una capienza regolamentare prevista, pressoché analoga, ma se i reparti fossero tutti regolarmente agibili. Ma così non è. L’aspetto più preoccupante è però che il ministero, ignorando le condizioni fin qui descritte, ipotizza (e non sappiamo sulla base di quale invenzione) di prevedere per Porto Azzurro una presenza di detenuti fino a circa 625 unità".

"Merita poi un discorso a parte - per il sindacato - la situazione del personale di Polizia penitenziaria. A Porto Azzurro sono previste 180 unità, ma ne sono presenti solo 112 (di queste 15 circa sono impiegate alla Base navale, sotto organico anch’essa) e quindi al Reparto di Polizia penitenziaria di Porto Azzurro opera una forza di Personale pari a circa il 50% da quella prevista. Anche i poliziotti hanno motivi di protestare; basta pensare che il ministero non paga circa 19mila ore di lavoro straordinario che è stato obbligatoriamente richiesto ai nostri colleghi. Uno scandalo!".

Questa - secondo la Cisl - la situazione di Porto Azzurro, che per i rappresentanti dei lavoratori è "non troppo diversa da quella che vivono altri istituti in Toscana e che non può vederci assistere in silenzio ad una gestione così imbarazzante da parte dell’Amministrazione penitenziaria, ad ogni livello decisionale". "Se non arriveranno risposte immediate ai problemi che anche oggi denunciamo - avverte la Cisl - qualcuno dovrà assumersi le responsabilità di questa situazione. Noi non accetteremo che - come spesso avviene in Italia - qualcuno possa cercare di scaricare colpe, di una situazione così grave, su chi non ne ha. Valuteremo nei prossimi giorni se assumere ulteriori adeguate iniziative sindacali".

Napoli: carcere sovraffollato, detenuti Poggioreale protestano

 

Ansa, 9 aprile 2010

 

È durata poco meno di 30 minuti la protesta dei detenuti, rinchiusi in tre diversi padiglioni del carcere di Poggioreale; per la precisione, i padiglioni erano: Salerno, Napoli e Livorno. Nessun gesto clamoroso ma i detenuti hanno battuto le stoviglie contro le inferriate per lamentare il sovraffollamento del penitenziario napoletano che, secondo quanto reso noto dal segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, conta "2.786 presenze a fronte di una capienza massima possibile di poco superiore alle 1.500".

Quella del sovraffollamento delle carceri è una vera e propria emergenza che, per effetto dell’indulto, sembrava essere stata in parte arginata; purtroppo, però, così non è stato e, ben presto, gli istituti penitenziari sono tornati ad essere più "pieni" di prima. Da qui l’allarme lanciato dai sindacati oltre che dalle diverse associazioni presenti sul territorio (a cominciare da quelle napoletane) che si battono per la tutela dei diritti dei detenuti e, una volta scontata la pena, per il loro reinserimento nel sociale.

Udine: poche misure alternative concesse, così carcere scoppia

 

Messaggero Veneto, 9 aprile 2010

 

Se solo qualche anno fa le alternative al carcere sembravano uno strumento molto diffuso, ora c’è un’inversione di tendenza. Tanto è vero che il carcere di Udine, invece di ospitare 160 detenuti, ne conta circa 230. A cui si aggiungono circa 100 persone nella sola provincia di Udine che scontano la pena in maniera alternativa, con lavori socialmente utili o attività di recupero, come previsto dalla legge Gozzini.

Proprio per ricordare il lavoro svolto dallo studioso, giornalista e politico Mario Gozzini, scomparso nel 1999, che ebbe l’intuizione di rieducare e reinserire il condannato, il Centro Balducci, insieme alla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Fvg, organizza per sabato prossimo un convegno dal titolo "Alternative in carcere e al carcere", in programma a Zugliano a partire dalle 9.30. Sarà un momento per capire se sia possibile promuovere e adottare sul territorio locale ulteriori misure alternative.

"Per ora sono circa 150 le persone che usufruiscono di questo strumento finanziato dalla Regione - ha spiegato il direttore dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna di Udine, Pordenone e Gorizia, Antonina Tuscano, ieri mattina durante una conferenza stampa tenuta nel carcere di via Spalato -. Di esse un centinaio, come detto, sono in Provincia di Udine".

Lo scorso anno, sempre secondo i dati dell’Uepe, erano circa 250 i detenuti che scontavano la pena in maniera alternativa, di cui 150 nella provincia di Udine. "Il territorio locale vanta il più basso tasso di recidiva, ovvero il 2 per cento, - ha detto ancora Tuscano - su misure alternative al carcere rispetto alle altre regioni".

In tutta Italia, come ha fatto notare Maurizio Battistutta della Conferenza regionale volontariato Fvg, il 20 per cento delle persone che usufruiscono delle misure alternative ricadono nella recidiva, contro il 70% dei detenuti in carcere. Tra le soluzioni, come è stato spiegato dal direttore della casa circondariale di via Spalato, Francesco Macrì, quella di favorire i corsi di formazione e istruzione. "Ma - ha aggiunto - non riusciamo ancora a gestire per motivi logistici le attività manuali e di artigianato".

Fra chi usufruisce delle misure alternative in Provincia di Udine, vanno ricordate anche le 12 persone in semilibertà, che rientrano a dormire in carcere ogni sera, e le 20 in detenzione domiciliare, che possono uscire di casa solo per attività autorizzate dal magistrato. Sabato prossimo si parlerà anche delle testimonianze dirette di vittime di reati, perché nell’intuizione di Gozzini c’era anche l’obbligo da parte del detenuto di adoperarsi per la vittima o per i suoi familiari. "Come diceva Gozzini, che era stato più volte a Udine - ha concluso don Pierluigi Di Piazza - il livello di umanità e di umanizzazione di un Paese lo si riscontra anche in come viene vissuta e organizzata la pena".

Pordenone: petizione Lega; no a costruzione di nuovo carcere

 

Messaggero Veneto, 9 aprile 2010

 

Oggi, dalle 8.30 alle 12.30, a Roveredo in Piano, in concomitanza col consueto mercato settimanale è in programma una raccolta firme della locale sezione della Lega nord contro la realizzazione del nuovo carcere in Comina, al confine tra i Comuni di Pordenone e Roveredo. L’iniziativa verrà ripetuta giovedì prossimo, quand’è prevista anche la presenza del capogruppo del Carroccio in consiglio regionale, il roveredano Danilo Narduzzi.

Il "no" della Lega alla struttura penitenziaria in Comina si basa su diverse considerazioni. Prima fra tutte, il fatto che la zona dove dovrebbe sorgere il carcere sarà oggetto nei prossimi anni di "pesanti trasformazioni". I militanti della Lega si riferiscono alla realizzazione di nuovo ospedale e all’asse viario meglio noto come gronda nord. Inoltre, il Carroccio "non sente la necessità di un carcere che possa contenere 450 persone, con pareti alte 15 metri, quando i detenuti attualmente sono un’ottantina".

Altra riflessione, quella sull’etnia dei detenuti. "Attualmente quelli stranieri sono oltre il 50 per cento, quindi per contenere quelli friulani il carcere attuale basta e avanza". La sezione roveredana del Carroccio sostiene che "nel progetto il sito dedicato al carcere sarà più vicino all’abitato di Roveredo che a quello di Pordenone, dal momento che sorgerà a confine col torrente Brentella, al centro di un’area di nuove residenze immerse nel verde". La struttura penitenziaria "aggraverà la percezione di insicurezza dei cittadini che risiedono nelle aree limitrofe e costerà una valanga di soldi". Le firme raccolte saranno inviate ai presidenti di Provincia e Regione, "con l’impegno che il nostro no non resti inascoltato".

Roma: Alemanno; perplessi se mantenere carcere Regina Coeli

 

Asca, 9 aprile 2010

 

"Mantenere la funzione carceraria all’interno di Regina Coeli ci lascia perplessi, anche da un punto di vista della condizione igienica dei detenuti e per la forza monumentale del complesso. Esiste una commissione, presso il Ministero di Grazia e Giustizia per studiare il problema, a cui partecipa anche il Comune". Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, nel corso della conferenza stampa al termine della prima sessione del workshop internazionale "Roma 2010-2020. Nuovi modelli di trasformazione urbana", in corso a Roma. L’assessore capitolino all’urbanistica Marco Corsini ha sottolineato che secondo lui "è una partita che vale la pena di essere giocata".

Giustizia: il MAE... per l’assistenza ai detenuti italiani all’estero

 

In rete con l’Italia, 9 aprile 2010

 

Lo scorso anno sono stati 808 i casi di nuovi arresti o fermi di connazionali all’estero registrati dagli Uffici consolari. Si tratta di un numero consistente, dovuto ad una casistica estremamente variegata. I reati più frequenti commessi dai nostri connazionali all’estero sono nell’ordine: consumo, spaccio e traffico di stupefacenti, reati sessuali, violazione della normativa sull’immigrazione e, a seguire, truffa, rapina, violenza, omicidio.

I cittadini italiani attualmente detenuti all’estero sono 2.772, la maggioranza dei quali si trova in carceri europee. Il numero complessivo negli ultimi anni è rimasto sostanzialmente stabile. Tra i detenuti italiani, molti sono già stati condannati e stanno scontando la loro pena nelle carceri straniere mentre circa mille sono in attesa di giudizio.

Il ruolo della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie e dell’Ufficio consolare. Alla delicata e complessa materia della tutela dei connazionali detenuti, il Ministero degli Affari Esteri rivolge un’attenzione particolare, perché si tratta di persone spesso costrette a vivere, soprattutto in alcuni Paesi extra-europei, in condizioni umane, sanitarie e psico-fisiche decisamente difficili. Il diritto consolare attribuisce al Console poteri specifici di protezione del cittadino detenuto, sia nella fase istruttoria e processuale, sia quando la condanna è passata in giudicato, sulla base di strumenti normativi internazionali che prevedono precisi obblighi per gli Stati firmatari in caso di arresto e detenzione di cittadini stranieri. Naturalmente tali poteri debbono essere esercitati nell’osservanza dell’ordinamento locale e nel rispetto del sistema giudiziario del Paese ospite, che generalmente ha come principio fondamentale l’indipendenza del Giudice.

 

Chi richiede aiuto?

Nella maggior parte dei casi fanno ricorso all’assistenza delle nostre Rappresentanze diplomatiche principalmente i connazionali che non erano residenti nel luogo dove sono detenuti, ma si trovavano temporaneamente in quello Stato: si tratta di persone non radicate nel Paese, la cui famiglia e rete di connessioni sociali rimane in Italia e che spesso non parlano la lingua locale. L’assistenza da parte dell’Ufficio consolare trova fondamento ovunque vi siano diritti e/o interessi del connazionale arrestato in un Paese straniero che non vengano rispettati. Più in generale, l’Ufficio consolare, su richiesta dell’interessato, può svolgere un’attività di supporto, finalizzata a fornire da un lato il rispetto dei suoi diritti in sede di giudizio e dall’altro l’assistenza necessaria in carcere. Naturalmente l’Ufficio consolare non può e non deve entrare nelle valutazioni di merito del singolo caso, ma si adopera per creare le condizioni affinché i detenuti e le loro famiglie possano gestire nel modo migliore possibile il loro rapporto con le Autorità competenti.

 

Le cifre (aggiornamento marzo 2010)

Totale cittadini italiani detenuti all’estero: 2.772, di cui 82% in carceri europee; 5% in Paesi occidentali; 12% in Medio Oriente, Africa e Asia.

Totale cittadini italiani che hanno riportato una condanna: 1.841.

Totale cittadini italiani in attesa di giudizio: 931.

 

Gli strumenti normativi

Art 36 Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963, relativo al dovere di notificare l’arresto di un cittadino straniero all’autorità consolare dello Stato di residenza, qualora l’interessato ne faccia richiesta.

Art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 sul diritto ad un equo processo ratificato da 47 Paesi europei membri del Consiglio d’Europa

Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 10 dicembre 1984

 

Cosa può fare l’Ufficio consolare all’estero

Effettuare visite in carcere, previa autorizzazione delle competenti Autorità locali Proporre il nome di un avvocato o una lista di avvocati che possa/possano rappresentare il connazionale in giudizio e, se necessario, un interprete che possa affiancarlo, nonché seguire l’avvocato designato perché agisca con ogni possibile strumento consentito. Resta inteso che la decisione circa la migliore strategia difensiva rimane esclusiva responsabilità del legale, competente a esercitare presso il foro locale, d’intesa con l’assistito.

Presenziare - ove possibile e previa autorizzazione sulla base dell’ordinamento locale - alle udienze in tribunale in qualità di uditore Curare le relazioni con i familiari in Italia, quando si tratti di persone non stabilmente residenti nel Paese e qualora il connazionale lo richieda.

Qualora il detenuto sia indigente, erogare sussidi in suo favore per il pagamento di una cauzione o come contributo per spese legali, o ancora per fornirgli assistenza medica, alimenti, ecc.

Intervenire, nell’ambito delle proprie competenze, per il suo trasferimento in Italia, qualora sia detenuto in Paesi aderenti alla Convenzione di Strasburgo.

 

Cosa non può fare l’Ufficio consolare all’estero

Intervenire se il detenuto si oppone

Costituirsi parte civile.

Intervenire in giudizio per conto di cittadini italiani.

Ottenere un miglior trattamento - rispetto a quello previsto dalle norme locali - della condizione carceraria.

Guantanamo: detenuti innocenti amministrazione Bush sapeva

 

Apcom, 9 aprile 2010

 

L’Amministrazione Bush era a conoscenza del fatto che centinaia di detenuti nel carcere militare di Guantanamo erano innocenti, ma si oppose al loro rilascio per timore che ne potesse derivare un danno nell’offensiva contro il terrorismo globale: è quanto riporta il quotidiano britannico The Times, citando la deposizione scritta di un ex funzionario del Dipartimento di Stato, Lawrence Wilkerson.

Wilkerson, capo di gabinetto dell’ex Segretario di Stato Colin Powell, accusa in particolare l’allora vicepresidente Dick Cheney e il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, ma afferma che anche George W. Bush era coinvolto in prima persona in tutte le decisioni riguardanti i detenuti di Guantanamo.

Secondo la sua testimonianza la maggior parte dei detenuti - di età comprese fra i 12 e i 93 anni - non aveva mai visto un militare statunitense prima della loro cattura, ma venivano consegnati da afgani o pachistani dietro un compenso che poteva arrivare a 5mila dollari. Il loro rilascio tuttavia "avrebbe rivelato come gli arresti e le catture fossero frutto di un’operazione terribilmente confusa, il che non era accettabile dall’Amministrazione e avrebbe severamente danneggiato la leadership del Dipartimento della Difesa".

Per Cheney e Rumsfeld il fatto che "delle persone innocenti potessero languire per anni a Guantanamo era giustificato dalla guerra contro il terrorismo e dal piccolo numero di terroristi responsabili degli attacchi dell’11 settembre": in poche parole, era una conseguenza accettabile se gli arresti avessero portato alla cattura di alcuni veri militanti in grado di fornire delle informazioni sui presunti legami fra Saddam Hussein e le stragi, "giustificando in tal modo i piani dell’Amministrazione per un intervento militare nel Paese ".

La deposizione di Wilkerson è stata presentata a sostegno della causa intentata contro numerosi funzionari dell’Amministrazione Bush da Adel Hassan Hamad, un ex detenuto sudanese che chiede di essere indennizzato per i cinque anni trascorsi nel carcere. Tra i funzionari denunciati da Hamad vi sono l’attuale Segretario alla Difesa Robert Gates, il suo predecessore Rumsfeld e l’ex Segretario della Marina, Gordon England; il 52enne sudanese afferma di essere stato impegnato come operatore umanitario in Pakistan dove venne arrestato, torturato e spedito a Guantanamo.

 

 

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