Rassegna stampa 6 aprile

 

Giustizia: le storie di "ordinaria invivibilità" nelle carceri italiane

di Pasquale Giordano

 

www.dazebao.org, 6 aprile 2010

 

Disperazione e depressione, minacce, soprusi e umiliazioni da mandare giù, sovraffollamento e scarse condizioni igieniche: la situazione nelle carceri italiane è drammatica. Solo nei primi 3 mesi del 2010 si sono registrati 16 casi di suicidio in carcere. Gli ultimi due sono avvenuti: uno nel carcere di Sulmona, in provincia dell’Aquila, dove un cinquantaquattrenne romano, si è tolto la vita nella notte tra il 2 e il 3 aprile scorso impiccandosi con un lenzuolo alla grata della sua cella nella "Casa Lavoro".

L’altro è avvenuto nella casa circondariale di Reggio Emilia, dove un detenuto tossicodipendente italiano di 47 anni ha usato una busta di plastica per sigillarsi il volto mentre inalava del gas della bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande. Naturalmente non rientrano nelle statistiche i detenuti "suicidi" ovvero i detenuti deceduti le cui cause della morte non sono mai state chiarite, ma archiviate come suicidio.

 

Osservatorio permanente sulle morti in carcere

 

In Italia sono oltre 67 mila le persone detenute in carcere, a fronte di 43 mila posti disponibili (fonte: Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), con un sovraffollamento di oltre il 155%. Numeri difficili da digerire e gestire. Esistono molte associazioni che vigilano sulle condizioni disperate delle carceri italiane, alcune di queste - Associazione "Il Detenuto Ignoto", Associazione "Antigone", Associazione A "Buon Diritto", Redazione "Radiocarcere", Redazione "Ristretti Orizzonti" Radicali Italiani - hanno costituito l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Nell’ultimo documento redatto lanciano un appello: "Appare necessaria e inderogabile una riflessione sulle cause che determinano il maggiore sovraffollamento delle carceri italiane, dovuto all’utilizzo della custodia cautelare come vera e propria "anticipazione della pena" (31.000 detenuti in attesa di processo), ma anche ad una minore concessione di misure alternative alla detenzione (oltre 67.000 detenuti e 15.000 persone in misura alternativa). Le carceri sono strapiene anche perché vi si trovano troppi imputati - il 40% dei quali è destinato ad essere assolto e troppi condannati con condanne minime che potrebbero scontare in misura alternativa. - Sempre secondo l’Osservatorio - In carcere muoiono 150 persone ogni anno, 30/35 persone, statisticamente, erano probabilmente innocenti".

 

Le reazioni del Sappe

 

Il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria parla per bocca del suo segretario generale Donato Capece: "L’intero Corpo di Polizia Penitenziaria è allo stremo. Serve che il Piano carceri del Governo trovi una prima urgentissima applicazione nelle parti in cui si prevedono interventi normativi che permettano l’assunzione di 2mila Agenti di Polizia Penitenziaria e l’introduzione della possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova delle persone. E se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese dieci tentativi di suicidio di detenuti nei penitenziari italiani." C’è un dato che più degli altri dovrebbe far riflettere e lo fornisce lo stesso Capece: "Come può un agente, da solo, controllare 80/100 detenuti?"

 

Il "Piano carceri" del Governo

 

Il Piano carceri con il quale il Governo intende risolvere i problemi degli istituti penitenziari italiani, si basa su quattro punti. Il primo punto è stato dichiarare lo "Stato d’emergenza" che permette di gestire le condizioni di sovraffollamento come se fosse materia straordinaria e non il frutto di anni di lassismo. La gestione è stata affidata alla Protezione Civile di Guido Bertolaso, mentre al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, saranno dati poteri di Commissario delegato. I finanziamenti per realizzare il Piano sono stati individuati: 500 milioni di euro stanziati in Finanziaria e altri 100 milioni di euro provengono dal bilancio della Giustizia.

Saranno edificati 47 nuovi padiglioni affiancati a strutture carcerarie già esistenti. A partire dal 2011 saranno realizzate 18 nuove carceri "flessibili", di prima accoglienza o destinate a detenuti con pene lievi. Saranno introdotte nell’ordinamento misure deflattive - possibilità di scontare con i "domiciliari" l’ultimo anno di pena residua, tranne condannati per reati gravi, le persone imputabili per reati fino a tre anni potranno svolgere lavori di pubblica utilità. Implementazione dell’organico di Polizia Penitenziaria di 2000 nuovi agenti.

 

Le storie dei "suicidati" in carcere

 

Le storie di Stefano Cucchi e Giuseppe Uva sono forse l’emblema della situazione in cui versa l’intero sistema carcerario italiano. Lo scaricabarile tra le forze dell’ordine e i medici delle strutture sanitarie in cui sono stati ricoverati i due arrestati è svilente e anche offensivo della dignità umana. È difficile per la società civile accettare che delle persone, che se anche avessero sbagliato avrebbero dovuto pagare in carcere e non con la vita, possano essere morte per l’ignavia di chi avrebbe dovuto vigilare su di essi.

Intanto un altro caso sospetto di morte in carcere rischia di venire insabbiato. La procura di Livorno ha chiesto l’archiviazione del procedimento sulla fine di Marcello Lonzi, trovato cadavere nella sua cella con evidenti segni di violenze sul corpo, attribuiti dai periti e dai magistrati a una "caduta accidentale".

Giustizia: l’Italia è Paese dei detenuti in attesa di confessione

di Peppino Caldarola

 

Il Riformista, 6 aprile 2010

 

C’è un volto della giustizia italiana che fa paura. È quello rivelato dalla pratica costante della carcerazione preventiva che chiude negli istituti penitenziari innocenti e probabili colpevoli prima ancora di un processo e di una sentenza. Sono migliaia in Italia i detenuti in attesa di giudizio, aspettando in celle affollate che la magistratura compia, con tempi lunghissimi, il suo lavoro.

Qualche volta la cronaca si imbatte in casi clamorosi. È accaduto tempo fa al padre dei fratellini di Gravina sbattuto in galera con l’accusa di aver ucciso i suoi figli e di aver nascosto i loro corpi che poi sono stati trovati vicino casa, precipitati senza violenza da un edificio diroccato. È accaduto all’ex presidente della regione Abruzzo chiuso in un regime carcerario odioso e che a tutt’oggi non sa ancora di quali colpe è stato accusato malgrado la sua vicenda abbia provocato un vero e proprio terremoto politico con le sue dimissioni, l’anticipo delle elezioni e la vittoria della parte a lui avversa. Non ci sono solo storie di ieri, ne vogliamo raccontare almeno tre che invece sono più recenti e alcune ancora in corso.

Meno di venti giorni fa lo stesso destino del padre dei fratellini di Gravina è toccato a Katerina Mathas, una giovane donna di Genova accusata di aver ucciso con la complicità del fidanzato suo figlio con terribili sevizie. La Mathas si è fatta sedici giorni di carcerazione preventiva, è stata indicata dai media come una terribile infanticida e poi sia il pm sia il gip l’hanno scarcerata perché non c’erano prove a sorreggere l’accusa. Ma nelle carceri italiane ci sono anche, fra gli altri, due detenuti eccellenti, di quelli che per aver ricoperto posizioni di potere e per l’odiosità delle colpe addebitategli vengono considerati dalla pubblica opinione come colpevoli prima che un tribunale ne accerti la responsabilità.

Uno è Silvio Scaglia l’ex amministratore delegato di Fastweb accusato con altri di una maxi-truffa e inseguito da un mandato di cattura internazionale. A fine febbraio Scaglia torna in Italia e viene rinchiuso a Rebibbia, quindi nei suoi confronti non potrebbe valere il sospetto di aver cercato la fuga visto che era nelle Antille e ha scelto spontaneamente di consegnarsi ai suoi giudici. Scaglia per di più si dimette dal consiglio di amministrazione di Fastweb quindi non è più in grado di svolgere attività che possano manipolare le eventuali prove a suo carico. Eppure da fine febbraio è in carcere come un delinquente comune senza che alcun tribunale abbia finora accertato la sua colpevolezza. Probabilmente viene sospettato di non aver rivelato tutto quello che sa, il che conferma che in Italia la carcerazione preventiva è la risorsa estrema dei magistrati per ottenere quella che non è più da secoli considerata in diritto la "prova regina", cioè la confessione.

L’altro personaggio pubblico che ha passato Pasqua in galera è Sandro Frisullo, ex leader del Pd pugliese nonché ex vicepresidente della Giunta Vendola. Frisullo si è allontanato da ogni attività politica e amministrativa all’indomani delle accuse formulate contro di lui. Ha ammesso la sua frequentazione con Tarantini e di aver goduto dei favori sessuali di alcune escori; amiche del faccendiere pugliese. Ma Tarantini ha dichiarato di aver dato anche soldi, una tangente in cambio di favori. Frisullo invece nega che ciò sia mai accaduto. L’ex esponente del Pd pugliese è in carcere malgrado sia notoriamente una persona mal messa fisicamente che in carcere non può curare le numerose malattie di cui soffre. Eppure anche per lui non ci sono state pietà e equità. Finché non confessa sarà detenuto.

Una politica che si rispetti e una magistratura efficiente dovrebbero aprire di comune accordo il dossier sulle carcerazioni preventive. Il carcere è il luogo terribile e giusto per imputati considerati colpevoli e a cui è stata comminata una pena rapportata alla gravità del reato. Il carcere dovrebbe essere escluso, invece, quando si sia ancora nella fase istruttoria e il cittadino va considerato, fino a prova contraria, innocente. Non a caso lo stesso codice disciplina in modo severo le ipotesi di carcerazione preventiva. Invece nella realtà il carcere viene utilizzato come strumento estremo di pressione sull’indagato per costringerlo a confessare il reato di cui è accusato. Spesso il tempo della carcerazione si rivela non solo ingiusto in sé ma insopportabilmente lungo anche rispetto alla violazione della legalità ipotizzata. Accade che l’onere della prova non spetti più a chi accusa ma a chi è costretto a difendersi. Può accadere, ed è accaduto, che persone non in grado di reggere la condizione carceraria si siano auto-accusate per cercare di tornar libere.

Siamo di fronte a casi di violenza giudiziaria che dovrebbero far riflettere. Innanzitutto il governo. Sono anni che siamo sommersi da leggi e leggine che cercano la salvaguardia per il premier e per i suoi sodali, ma nulla si é fatto sullo scandalo della carcerazione preventiva. La stessa opposizione, così sensibile ai richiami giustizialisti, non si rende conto che limitare i casi di carcerazione preventiva non significa indebolire la magistratura ma applicare norme elementari di diritto. Se vogliamo parlare di riforma della giustizia partiamo da qui e non dalle intercettazioni.

Giustizia: Ferrante (Pd); nelle carceri in corso strage silenziosa

 

Dire, 6 aprile 2010

 

"Il livello di suicidi nelle carceri italiane è un dato di enorme gravità, che è miope sperare di risolvere innalzando la capienza massima delle strutture di detenzione". Così il senatore Pd, Francesco Ferrante, che aggiunge: "Dall’inizio dell’anno sono 16 le persone che si sono tolte la vita in un penitenziario e l’ultimo caso, quello di Romano Iaria nel carcere di Sulmona, ci pone di fronte ad una questione gravissima perché in quella ed in altre strutture carcerarie i suicidi e le morti sospette si susseguono con una frequenza inquietante, che fa inorridire e pensare ad una moderna Cayenna?".

Il senatore Ferrante chiosa: "È in corso una strage silenziosa che colpisce alcune carceri più di altre: solo nel carcere di Cagliari, con una presenza media di 500 detenuti, vi sono stati 21 morti in 7 anni, mentre, per fare un paragone, a Regina Coeli a Roma, nello stesso periodo ci sono stati 20 decessi, ma a fronte di più di 1.000 detenuti, dunque un tasso doppio rispetto al sovraffollato carcere romano".

Giustizia: Casellati; pensare anche alla vita sessuale dei detenuti

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

Stanze per il sesso in carcere. La proposta del sottosegretario alla giustizia Alberti Casellati.

"Si dovrebbe pensare anche alla vita sessuale dei detenuti". Ad avanzare la proposta e spingere alla riflessione è il sottosegretario alla giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, che dagli studi di Radio2 ha ribadito la necessità di interessarsi anche degli aspetti più intimi della vita da reclusi. "Non è facile organizzarla ma potrebbe essere sano. Bisognerebbe predisporre delle stanze dove potersi incontrare con le proprie mogli per un intrattenimento di carattere sessuale-affettivo. Riserverei a questi incontri lo stesso tempo dedicato ai colloqui con la famiglia, diciamo un’oretta". Secondo la Casellati, "una persona repressa nel suo istinto naturale e sessuale può avere qualche altra polarizzazione sessuale, magari anche non desiderata o addirittura imposta dall’ambiente".

Giustizia: detenuti sardi "deportati" nelle galere della penisola

di Luciano Piras

 

La Nuova Sardegna, 6 aprile 2010

 

"Deportati nelle patrie galere". "Strappati ai loro affetti e condannati due volte". Per il delitto che hanno commesso e per i ritardi della solita Italia fanfarona. Che costringe così anche l’intero parentado a pagare a caro prezzo il conto aperto con la Giustizia. Eppure la legge parla chiaro: i detenuti vanno rinchiusi nel carcere più vicino alla residenza della famiglia.

I sardi reclusi lontano dall’isola, tuttavia, sono ancora troppi. Duecentoventicinque, al 31 gennaio scorso, secondo i dati ufficiali del ministero della Giustizia. Da Matteo Boe a Nicola Dettori, da Sebastiano Prino e Antonio Rubanu a Piero Melis. Quarantaquattro sono in Toscana, 36 in Lombardia, 31 nel Lazio. Gli altri sono sparsi qua e là: due sono in Calabria, due in Puglia, uno nel Friuli, uno nella Valle d’Aosta... Per non parlare dei "continentali" detenuti in Sardegna, a Badu ‘e Carros o a Buoncammino, a Is Arenas come pure a San Sebastiano a Macomer o a Lanusei.

Al 30 giugno 2009, per esempio, i lombardi rinchiusi nelle celle dei dodici istituti penitenziari sardi erano ben 140, i campani 135, i laziali 129, i veneti invece erano 69, 28 i piemontesi. Un paradosso. Peggio ancora: un colpo di mano che lo Stato mette a segno in barba alla legalità, da trentacinque anni a questa parte. È già dal 1975, infatti, che l’ordinamento penitenziario (legge nº 354) auspica la cosiddetta "territorializzazione della pena".

"Carta morta" sentenzia Carlo Murgia, il primo garante dei detenuti istituito in Sardegna, nel 2007 su delibera del Comune di Nuoro. E "carta morta" non è soltanto la normativa in vigore dal ‘75: è anche tutto il protocollo d’intesa firmato il 7 febbraio 2006 tra la Regione sarda e il ministero della Giustizia.

"Purtroppo anche questo accordo è rimasto lettera morta" conferma Silvestro Ladu, consigliere regionale, presidente della Commissione diritti civili. Ecco perché in quest’ultimo periodo c’è la corsa dei consigli comunali a votare per ricordare al Governo gli impegni già presi con l’amministrazione di Renato Soru in tema di detenuti sardi reclusi nella Penisola. Alghero ha dato l’esempio, il 14 novembre scorso.

Lula, ha deliberato all’unanimità lo scorso 29 gennaio. Lo stesso hanno fatto Bonorva, Sennori, Sorso, Nuoro, Bitti, Ozieri e altri. Ad aprire la pista, comunque, è stata la Provincia di Sassari, con un ordine del giorno del 12 novembre. Anche la Commissione regionale diritti civili è scesa in campo, il 16 aprile 2009 prima, e un’altra volta ancora appena una settimana fa, il 2 marzo. "Abbiamo approvato, all’unanimità, una risoluzione - spiega Silvestro Ladu - con la quale invitiamo la giunta Cappellacci all’attuazione dell’accordo del 2006 e a provvedere con la massima urgenza alla istituzione della Commissione interistituzionale permanente che dovrà avere il compito di dare esecuzione e prevedere strumenti di verifica e controllo sullo stato di attuazione dello stesso protocollo d’intesa".

"Un principio, quello della "territorializzazione della pena", che non ha mai avuto nessuna attuazione" sottolinea Carlo Murgia. Sociologo, profondo conoscitore del pianeta carceri, il difensore civico dei detenuti non usa mezzi termini: "Siamo davanti a una delle grandi incompiute della Costituzione". Non a caso anche gli altri punti dell’intesa del 2006 sono lettera morta. A cominciare dall’edilizia carceraria per finire con l’assistenza sanitaria dei detenuti tossicodipendenti.

 

Così si violano i diritti inalienabili

 

Arrivare dalla Puglia per andare a trovare un detenuto che sconta la sua pena a Mamone è impresa alquanto ardua. Le vie di comunicazione sono quelle che sono. Ci vogliono tre giorni di viaggio, in nave o in aereo poco importa. Da Olbia o da Cagliari, infatti, arrivare fino all’altopiano tra Onanì, Lodè e Bitti è una vera e propria odissea a volersi muovere con i mezzi pubblici. Sempre che si trovi un pullman di linea, magari uno solo, che passa davanti alla Colonia penale o che almeno ci si avvicini un po’.

È la stessa identica situazione che vive un sardo "costretto" a varcare il mare per fare visita al proprio caro detenuto in Puglia, in Calabria o in Sicilia. "Purtroppo - dice Silvestro Ladu, presidente della Commissione regionale Diritti civili - la mancata attuazione della "territorializzazione della pena" crea gravi disagi sia detenuti e sia alle loro famiglie rendendo la situazione oramai insostenibile dal punto di vista della violazione dei diritti inalienabili della persona".

Una storia paradossale, una storia tutta italiana che ha anche un’altra faccia della medaglia: quella degli agenti di polizia penitenziaria. "Mentre gli organici nelle nostre carceri sono sempre sguarniti e perennemente in difficoltà, visto il sovraffollamento dei detenuti - sottolinea Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti e riforme -, i poliziotti sardi che lavorano nelle carceri della penisola, lontano dalla loro terra d’origine e spesso lontano dalle loro famiglie, sono tantissimi. Ottenere il trasferimento, l’avvicinamento a casa, nella gran parte dei casi, è difficilissimo. Dovremmo batterci anche per loro, per farli tornare in Sardegna". Soprattutto perché la Sardegna ha davvero un gran bisogno di nuovi agenti al lavoro.

Lettere: la realtà del carcere in Italia è tragica come mai prima

di Adriano Ascoli

 

Liberazione, 6 aprile 2010

 

La realtà del carcere in Italia è oggi tragica come mai prima, sopravvivono con estrema difficoltà limitate esperienze carcerarie di tipo attenuato; prevale invece largamente un’impostazione ad un tempo anticostituzionale ed illegale della pena, si affama e si consolida un trattamento detentivo che non recepisce minimamente neppure le piccole aperture date dalla riforma penitenziaria di metà anni 70. Prevale, cioè, un sistema autoritario di tipo "concetrazionario" e metodi di repressione e annichilimento fisico e psichico degni di una dittatura.

In carcere si muore, si viene pestati per un nulla, si vivono condizioni di assembramento disumane, per le quali decine di detenuti si sono rivolti alla Corte europea di Strasburgo. Lo Stato italiano, le forze politiche locali e nazionali fautrici delle politiche repressive e securitarie si rendono una volta di più responsabili di violazioni di diritti umani fondamentali riservate sistematicamente agli esclusi da questo sistema e dalla crisi generale in cui versa. Nasce così un sistema autoritario che non vive solo nelle cosiddette istituzioni totali, ma si innerva nel tessuto sociale, costituendo un modello per nuovi codici disciplinari e stravolgendo i diritti conquistati in decenni di lotte. Ciò assume un particolare peso generale: nel momento in cui questo modello autoritario diventa egemone nei rapporti sociali e lavorativi, allora la tematica repressiva non riguarda più minoranze o soggetti isolati, ma diviene un problema per tutti noi.

Mentre si consuma la putrefazione morale e politica delle istituzioni, in galera continuano ad essere rinchiuse intere categorie sociali: i migranti, colpevoli in sostanza di esistere, i consumatori di sostanze stupefacenti, chi si vede troppo spesso costretto ad una vita di extralegalità e nell’impossibilità di costruirsi una esistenza ed un futuro dignitosi.

La risposta alla crescente precarietà sociale continua ad essere quella dell’emergenza e della repressione sociale e politica con lo sbocco obbligato della galera. Nel carcere, seguendo livelli differenziati, vigono codici non scritti e cavilli di ogni genere a mortificare la vita del detenuto. Sul carcere e sulla costruzione di sempre nuove strutture di detenzione, come i Cie (centri per la detenzione amministrativa e l’espulsione dei migranti), si gioca pure una importante partita speculativa dai risvolti non proprio lucidi. Mentre il ricorso alle misure alternative alla detenzione viene sempre più disatteso dalla Magistratura di Sorveglianza e da cavilli infiniti, l’unica risposta che pare dare l’Esecutivo, in buona compagnia di molti politici un tempo di "sinistra", è la costruzione di nuove carceri secondo un modello di internamento di massa e di criminalizzazione fine a se stesso.

D proposito governativo di costruzione di nuovi centri di detenzione per migranti e da ultimo il progetto (in fase avanzata di definizione) di varare chiatte galleggianti dove costringere le migliaia di detenuti stipati a forza nei penitenziari italiani, sono un esempio della tendenza prevalente e delle conseguenze del crescente autoritarismo. Nel progetto in ipotesi, per il quale Fincantieri ha già presentato un piano di fattibilità, queste chiatte-galera della lunghezza di 126 metri per circa 400 detenuti (ne sarebbero previste dieci per un costo unitario intorno ai 90 milioni di euro), verrebbero ormeggiate in alcuni porti (tra cui Genova, Cagliari e Livorno) ed è aberrante la descrizione delle possibili ubicazioni alternative, si legge: arsenali e zone militari, e ancora, strutture modulari che possono essere accorpate ed ampliate alla bisogna. Si tratterebbe dunque di un nuovo modello "panoptico", con al centro il punto di osservazione ed intorno l’area destinata ai detenuti, celle e strutture di servizio, il tutto racchiuso da un cordone di sicurezza.

Mentre sempre più famiglie vivono in condizioni di miseria e di disperazione, aumentano i business ed i profitti di pochi, settori economici legati a doppio filo con le doppiezze del capitalismo italiano e col suo governo di destra, ecco i beneficiari di questi progetti cantieristici ed edilizi per la concentrazione e la detenzione delle persone e più in generale il cospicuo giro d’affari legato all’industria della "sicurezza". Il carcere, la legge e la sua sistematica violazione da parte di chi si erge a tutore dell’ordine e della sicurezza. Una storia già vista che pare non avere fine.

Padova: esito autopsia; detenuto morì per emorragia cerebrale

 

Il Mattino di Padova, 6 aprile 2010

 

Una morte naturale per emorragia cerebrale che non poteva essere evitata. Questo l’esito dell’autopsia, eseguita ieri dal professor Giovanni Cecchetto, sul corpo di Luca Antoniol, il rapinatore morto in carcere la notte dell’1 aprile. L’esito sarà trasmesso alla pm Maria D’Arpa, che intanto ha dato il nulla osta alla sepoltura. Il giorno di Pasquetta, alle 15.30 a Tombolo, viene celebrato il funerale.

Antoniol era nato l’11 giugno 1969. Viveva in via Spiner; sposato, un figlio. Nei giorni scorsi, aveva confessato tutte le sue responsabilità. Lui era l’autista, l’accompagnatore-palo; il compagno di scorribande era il rapinatore. Da lui riceveva un "gettone di presenza" proporzionale al bottino: dai 100 ai 650 euro alla volta. Ne aveva bisogno. È durata poche settimane. Era seguito dall’assistente sociale del comune, ma pare non recepisse bene le proposte di reintegro, di recupero. Stava male. Poi, la galera.

Il cuore di Antoniol non ha retto a meno di due settimane in carcere. Si è sentito male. Ha lanciato l’allarme, sono intervenuti i soccorsi. È stato accompagnato all’infermeria del carcere. Gli sono state praticate le prime cure, ma non è stato possibile salvarlo. Da quel che è emerso, il quarantenne di Tombolo aveva la pressione alle stelle. E alla fine ha provocato l’emorragia che gli è stata fatale.

Palermo: Radicali in visita all'Ucciardone, una discarica sociale

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

Il leader radicale, Marco Pannella, e i colleghi di partito Rita Bernardini e Matteo Angioli hanno scelto oggi una location insolita per trascorrere il loro lunedì di pasquetta. In visita ispettiva alla casa circondariale dell’Ucciardone di Palermo, la delegazione radicale ha fotografato il disagio della struttura, stilando un impietoso "bollettino" teso ad evidenziare il malfunzionamento dell’intero sistema penitenziario nazionale.

"Le carceri in Italia - ha sentenziato Pannella - sono una discarica sociale; vi sono grandi situazioni di povertà. Si continua a usare la pratica della detenzione in un modo che non sarebbe permesso né dalla Costituzione né dalla giurisdizione europea e internazionale".

Soltanto ieri i tre esponenti politici avevano fatto visita ai detenuti di Poggioreale di Napoli, archiviando immagini e raccogliendo testimonianze sufficienti per denunciare uno stato generale prossimo al collasso. "Il carcere - ha continuato Pannella nella sua amara analisi - è il museo della barbarie e della partitocrazia del sessantennio che ha preso il posto del ventennio fascista. C’è la dimostrazione che in Italia siamo caduti antropologicamente in basso, ma all’Ucciardone - ha precisato - con la nostra visita abbiamo suscitato qualche sorriso che ci consente di sperare che proprio da queste comunità forse riusciremo a rendere più civile questo Paese".

Un quadro impietoso che trova conferma nelle parole di Rita Bernardini. "Sono stata qui - ha ricordato - nel marzo 2009 e da allora non è cambiato nulla, la situazione è peggiorata e questo non per colpa della direzione o del personale che opera in questo istituto, ma per responsabilità dell’amministrazione centrale".

L’esponente radicale ha quindi rafforzato il suo ragionamento, fornendo una serie di cifre sul carcere palermitano: "Ci sono per ora 720 detenuti - ha precisato - con un sovraffollamento enorme nelle celle. I reclusi vivono in una struttura fatiscente, senza riscaldamento. Si sta per aprire una nuova sezione, ma manca il personale per farla funzionare. L’organico - ha concluso la Bernardini - è sotto di almeno 200 unità: ci sono 300 agenti di polizia su 500 previsti".

Napoli: Pannella; a Poggioreale c'è una situazione drammatica

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

Il ministro Alfano venga qui: si renderebbe conto dell’urgenza di un intervento per diminuire la popolazione carceraria di Poggioreale. È l’appello della delegazione radicale composta da Marco Pannella, Rita Bernardini (membro della Commissione Giustizia alla Camera) e Matteo Angioli (del Comitato Nazionale di Radicali Italiani), che oggi ha fatto visita al carcere napoletano di Poggioreale. Da quando le prigioni sono diventate discariche sociali - ha sottolineato all’uscita il leader radicale Marco Pannella - raramente i detenuti sono in condizione di esercitare le loro difese nei confronti di uno Stato fuorilegge. A Poggioreale - ha evidenziato Rita Bernardini - la situazione è ormai drammatica.

Cagliari: detenuto incompatibile con la detenzione, ma in cella

 

Agi, 6 aprile 2010

 

"Ha trascorso anche la Pasqua in stato di detenzione nonostante le perizie, anche quella del tribunale, lo abbiano dichiarato incompatibile. Roberto Vinci, 38 anni, subisce il carcere ormai da 5 mesi. L’uomo, affetto da un grave disturbo depressivo cronico, con manie suicidarie, si trova in una cella del Centro diagnostico terapeutico di Buoncammino dove viene costantemente monitorato attraverso una telecamera. Le sue condizioni peggiorano quotidianamente e diventa sempre più difficile contenerne le reazioni. È improcrastinabile una alternativa al carcere. In attesa di individuare la Comunità più idonea è diventato indispensabile assegnarlo ai domiciliari o a una struttura non detentiva".

Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" segnalando ancora una volta il caso del detenuto di Genoni che, invalido all’80% proprio per la psicopatologia di cui è portatore, è stato dichiarato incompatibile anche all’ospedale psichiatrico giudiziario."È ormai inspiegabile - ha aggiunto Caligaris - un ritardo così grave nella soluzione di una condizione che determina una pesantissima sofferenza psichica.

Roberto Vinci fa i conti quotidianamente con crisi depressive, allucinazioni visive e auditive, stati di ansia con conseguenti difficoltà a dormire e a restare in equilibrio. Stanno fronteggiando la situazione, con sempre maggiore difficoltà, la psichiatra, la psicologa e l’educatrice. Non si può accettare che una persona venga tenuta di fatto in isolamento dentro un istituto di pena. La terapia farmacologica non è più sufficiente".

Roberto Vinci è affetto da sindrome bipolare di tipo I e disturbo di personalità. Un anno fa inoltre gli è stata diagnosticata una lombalgia e nello scorso mese di agosto ha subito un intervento chirurgico di nucleoplastica percutanea. In questi ultimi giorni in seguito a una risonanza magnetica gli sono state riscontrate altre due ernie del disco che gli provocano forti dolori.

Lucca: la Polizia Penitenziaria arresta detenuto nomade evaso

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

È stato arrestato in mattinata a Marginone (Lucca) dagli uomini del Nucleo investigativo centrale della Polizia Penitenziaria, Laki Fudorovic, trentenne nato a Velletri ed evaso dal permesso concessogli lo scorso 14 marzo dal magistrato di sorveglianza di Perugia. L’uomo era detenuto nella casa circondariale di Orvieto per i reati di rapina, furto ed altro.

Decisive, fa sapere il Nic, sono risultate le intercettazioni telefoniche disposte dalla procura di Orvieto che hanno permesso di individuare, anche se in maniera approssimativa, il luogo ove l’evaso si nascondeva. Nella notte, il personale del Nic ha fatto irruzione in due campi rom di Marginone, individuando prima la moglie dell’evaso, che si era nascosta sul ciglio della ferrovia posta nei pressi del campo e, successivamente, dopo un rocambolesco inseguimento, Fudorovic. L’uomo era andato nel cimitero di Marginone in bicicletta per nascondersi. L’evaso è stato così riassicurato alla giustizia e portato nel carcere di Lucca. La moglie e gli occupanti il campo rom dove Fudorovic aveva trovato ospitalità sono stati denunciati per il reato di favoreggiamento.

Si tratta dell’ottavo latitante catturato dal Nic negli ultimi otto mesi.

Chieti: un acquario allestito nella sezione femminile del carcere

 

Adnkronos, 6 aprile 2010

 

Un acquario allestito nella sezione femminile delle carceri di Chieti: è questa la più recente iniziativa dell’Associazione Acquariofili Abruzzese, sodalizio di appassionati attivo nella regione ormai da molti anni (la fondazione risale al 13 maggio 1982), che nell’occasione ha operato d’intesa con il sodalizio "Voci di dentro".

La vasca e l’attrezzatura tecnica sono stati messi a disposizione dal club, mentre piante e pesci li ha donati l’Arca di Giorgio Santacroce. L’acquario, in funzione già da alcuni mesi, è gestito direttamente dalle detenute e sta offrendo non poche soddisfazioni: le tre coppie di pesci inizialmente introdotte si sono già riprodotte e oggi nella vasca nuotano una trentina di esemplari tra giovani e adulti.

Gli acquariofili abruzzesi hanno nel frattempo rinnovato il proprio direttivo, in carica sino al 2012, anno nel quale il club celebrerà il proprio trentennale: alla presidenza è stato confermato Luciano Di Tizio. In questi giorni è infine in atto il concorso "L’acquario più bello... a casa mia", al quale si sono iscritte diverse decine di appassionati. Una giuria visiterà e valuterà le vasche a domicilio. I migliori allestimenti saranno premiati in una cerimonia pubblica prima dell’estate con prodotti offerti da tre grandi ditte nazionali del settore: Aquarialand, Tetra Italia e Acquario di Bologna.

Bologna: "boom" per il prestito dei libri ai detenuti della Dozza

 

Dire, 6 aprile 2010

 

Anche nel carcere della Dozza si legge. Lo dice la biblioteca Sala Borsa, che dal 2006 presta i suoi libri anche ai detenuti. L’iniziativa ha riscosso in questi quattro anni un grande successo secondo i dati resi noti da Sala Borsa: dalle 43 richieste del 2006 si è passati infatti alle 1.431 del 2009. Ma cosa leggono i detenuti? Gli autori più apprezzati sono Dan Brown, Robin Cook, John Grisham, Wilbur Smith, Edward Bunker, ma anche gli italiani Sveva Casati Modignani, Carlo Lucarelli e Andrea Camilleri. Tra le categorie più richieste ci sono quindi la narrativa contemporanea, ma anche la letteratura classica e la poesia, le arti e la musica.

Per quanto riguarda le lingue straniere i più richiesti sono i libri in cinese e quelli in albanese. I volumi vengono consegnati e restituiti grazie al sostegno di Ausilio per la cultura. Il servizio di prestito ai detenuti fa parte infatti della più ampia attività di prestito a domicilio partita nel 2005, ed è frutto della collaborazione fra comune, carcere e i volontari di Ausilio per la cultura. L’obiettivo è di garantire a tutti il diritto alla cultura.

Come funziona il prestito? I detenuti scelgono su un catalogo i libri disponibili nelle biblioteche bolognesi, le richieste vengono raccolte ed "esaudite" dai bibliotecari di Sala Borsa, che con l’aiuto dei volontari recuperano i libri nelle biblioteche cittadine e li fanno pervenire alle tre biblioteche penitenziarie. Il tutto è frutto di un’indagine sui bisogni culturali dei detenuti, svolta da Sala Borsa all’inizio del progetto. Va specificato infatti che i reclusi non possono accedere a Internet e quindi non possono consultare il catalogo online di Sala Borsa. Sulla base dei risultati del questionario, quindi, i bibliotecari hanno redatto alcune bibliografie, poi distribuite insieme alle schede per la richiesta dei libri ai detenuti addetti alla biblioteca.

Bollate: "Liberi di vivere"; rassegna di teatro, fino all’1 maggio

di Marta Calcagno

 

Il Giornale, 6 aprile 2010

 

Andare a teatro lasciando tutti gli oggetti personali in un armadio con lucchetto, passando attraverso un controllo elettronico, e camminando lungo corridoi pieni di ampie finestre, ma tutte sbarrate, prima di arrivare nella sala adibita a ospitare gli spettatori: siamo in carcere, nel carcere di Bollate, dove si apre domani la rassegna teatrale Liberi di vivere, terminerà il 1° maggio. All’interno della casa di reclusione i detenuti hanno realizzato, a partire dal gennaio 2001, uno spazio teatrale attrezzato che apre anche agli esterni.

In aprile, il teatro funzionerà come un vero e proprio stabile: a dare il via alle settimane di spettacolo è la compagnia residente, ovvero il Teatro In-stabile: nata nel 2001 grazie alla Cooperativa Sociale e.s.t.i.a, la compagnia è oggi costituita da attori detenuti e non. Dal 7 al 10 aprile, e poi dal 14 al 17, con un’ultima ripresa il 20, sarà in scena con Il rovescio e il diritto di Camus, un’opera giovanile degli anni 50. Si evocano storie di personaggi poveri, approdati su una riva sperduta lungo il mare di Algeria in cerca di qualche certezza, o storie di riscatti impossibili e amori confusi di una periferia francese.

"Quando iniziammo la nostra attività, qui non c’era niente che potesse somigliare a un teatro", spiega Michelina Capato, che ha fondato la cooperativa, da cui nasce la compagnia di Teatro Instabile, formata da attori professionisti e da detenuti: "Il progetto è stato quello di lavorare a ogni aspetto che riguarda la produzione di uno spettacolo. Dalle scenografie, ai costumi, alla recitazione". Infatti, in carcere, esiste una falegnameria vera e propria, in cui si formano tecnici e scenografi, oltre che attori. Oltre ad aprire la rassegna, la compagnia di Teatro Instabile sarà in scena anche con il secondo spettacolo in programma, Non sopporto più, dal 21 al 23 aprile: "si tratta di un lavoro di improvvisazione guidata" dice ancora Michelina Capato".

Il 22 aprile sarà la volta della Compagnia Evadere Teatro Sezione G8, del Carcere di Rebibbia con Viaggio all’Isola di Sakhalin, spettacolo liberamente ispirato al reportage che Cechov scrisse alla fine del 1800 visitando la colonia penale all’estremo oriente della Russia. Alla descrizione delle condizioni di detenzione degli ergastolani reclusi, si intreccia il racconto di una delle più sorprendenti esperienze dello scienziato Oliver Sacks.

E il 30 aprile il teatro lascerà il posto al video per la serata Videojail, la proiezione delle video lettere dalle carceri di tutt’Europa e i cortometraggi realizzati a partire dalle immagini d’archivio dell’Istituto Nazionale Audiovisuale Fr. La compagnia Instabile chiuderà con Psycopathia Sinpathica, che ha segnato l’inizio dell’attività di residenza. Info 331/5672144, estiacultura@cooperativaestia.it; ingresso intero 15 (ridotto 10). Obbligatorio l’accredito preventivo di tutti gli spettatori in cooperativaestia.it

Libri: "In attesa di Giustizia... un dialogo sulle riforme possibili"

di Massimo Martinelli

 

Il Messaggero, 6 aprile 2010

 

Adesso che si ritorna a parlare di riforma della giustizia, loro due si sentono più "leggeri". Sono Carlo Nordio e Giuliano Pisapia: magistrato liberale il primo, avvocato ed ex parlamentare di Rifondazione il secondo; ideologicamente distanti, ma accomunati da un destino professionale identico: entrambi hanno presieduto la commissione ministeriale incaricata di riscrivere il codice di procedura penale sotto governi diversi: Nordio con il Guardasigilli Castelli e Pisapia con il Guardasigilli Mastella. Identico destino anche per il lavoro che hanno portato avanti: dimenticato, o quasi, nei cassetti del ministero di Giustizia. Adesso hanno pensato di sovrapporle, le loro bozze di lavoro. E raccontarle in un libro che potesse anche spiegare alla gente il paradosso di una riforma - quella della giustizia - della quale si sente di più la mancanza e per la quale, al tempo stesso si conclude di meno. Ne è venuto fuori un saggio, "In attesa di Giustizia, dialogo sulle riforme possibili" (Edizioni Guerini e Associati, 191 pagine, 18,50 euro), che fin dalla prefazione curata da Sergio Romano allarga gli orizzonti anche al cittadino comune, con parole semplici e dirette. Come quando spiega perché il lavoro certosino di Nordio, di Pisapia e degli altri che si sono avvicendati in quella commissione di studio è

rimasto sotto gli incartamenti del ministero: "Forse perché i ministri Castelli e Mastelli avevano progetti diversi da quelli di Nordio e Pisapia? No, i loro suggerimenti non sono stati ascoltati perché la classe politica ha altre preoccupazioni e preferisce vivere alla giornata ascoltando gli umori della pubblica opinione". Così, raccontano gli autori, se c’è un reato che desta grande allarme sociale si preoccupa di innalzare le pene per quel reato. E se poi le carceri cominciano ad essere troppo affollate, ecco un indulto, o un’amnistia, per alleggerire i penitenziari. Perdendo di vista l’obbiettivo primario: salvare il sistema giudiziario.

Eppure, al ministero, le soluzioni di buon senso per far funzionare i tribunali ce le hanno tutte. E anche per evitare i processi burla che pure sono raccontati nel libro, come quello a Cernobbio per una multa da settanta euro che portò ad un processo di sei anni, con tre gradi di giudizio fino in Cassazione. Con precisione, semplicemente raccontando casi davvero accaduti, i due autori dimostrano come sarebbe possibile razionalizzare, risparmiare, velocizzare il sistema giustizia. Anche a cominciare dalle intercettazioni telefoniche, che per entrambi andrebbero regolamentate in maniera diversa, e utilizzate più come spunto per un’indagine che come prova processuale da esibire in aula.

Droghe: niente carcere, per chi entra in Comunità terapeutica

di Luca Liverani

 

Avvenire, 6 aprile 2010

 

Dal tribunale alla comunità terapeutica. Neanche un giorno di carcere per i tossicodipendenti condannati per spaccio o traffico di droga, se il Parlamento approverà la modifica legislativa che avvia direttamente al recupero chi accetta il trattamento. La proposta, elaborata dai tecnici del Dipartimento antidroga del governo, il 20 aprile verrà messa nero su bianco per essere discussa con gli operatori, tra cui Forum droghe, Cnca, Gruppo Abele. Poi l’iter parlamentare.

Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del consiglio dei ministri, punta all’obiettivo: "Io sono un medico. Al di là delle diverse posizioni politiche, è interesse di tutti che i veri tossicodipendenti non stiano in carcere. Senza dimenticare che sono in carcere perché hanno commesso reati. Chi detiene droga per uso personale non ci finisce".

Il numero uno del Dipartimento antidroga spiega la ratio della proposta: "Si tratta - spiega Serpelloni - di un trattamento sanitario condizionato. Vogliamo creare un dispositivo di legge che permetta al giudice di dire al tossicodipendente: hai commesso un reato collegato al tuo stato, se vuoi ti commutiamo la pena per farti curare, poi se non rispetti i patti vai in carcere". Una via che svuoterebbe i penitenziari italiani di molti drogati.

Molti o moltissimi? "I detenuti tossicodipendenti sono tra i 6 e i 7.000", sostiene Serpellloni. Cifra estremamente più contenuta di quella della Relazione 2009 al Parlamento sulle tossicodipendenze: nel 2008 "gli ingressi dalla libertà di persone che si sono dichiarate tossicodipendenti - vi si legge - sono stati 30.528". Numeri analoghi quelli denunciati nei giorni scorsi dalla fondazione Villa Maraini e dall’associazione Saman: "Secondo le statistiche ufficiali del ministero di Grazia e giustizia - dicevano Massimo Barra e Achille Saletti - al 30 giugno 2009 ne risultano già oltre 26 mila".

Chi ha ragione? "Quando chiedo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - puntualizza il capo del Dipartimento - di classificare i detenuti tossicodipendenti secondo standard clinici internazionali, i numeri sono quelli: non più di 7.000. Una cifra coerente col numero di detenuti affidati alle comunità terapeutica, circa 1.700 sui 5.530 detenuti in affidamento per motivi diversi". E la Relazione 2009? Serpelloni sostiene che allora "non era ancora chiaro che il censimento dei detenuti tossicodipendenti era fatto con parametri non corretti. Nella prossima Relazione ne terremo conto".

Le possibili cause dell’errore, sostiene, sono diverse. Una si anniderebbe in una certa confusione che nei penitenziari si fa ancora tra detenuti che entrano per droga e detenuti realmente dipendenti. "Chi è dentro perché ha spacciato o trafficato e si dichiara tossicodipendente ma non ha una dipendenza clinica - afferma Serpelloni - non può essere definito drogato". Senza contare, dice, i mafiosi definitisi tossici per poter uscire "avvalendosi di certificazioni estorte ai medici dei Sert".

Su un punto, però, Serpelloni e le comunità sono assolutamente concordi: i ritardi delle Regioni nel pagamento delle rette. "Molte stanno calmierando il numero di tossicodipendenti da curare in comunità, non solo detenuti. È questo il problema. Mi sono inimicato tutte le Regioni perché a febbraio 2009 il Dipartimento denunciò, fatture alla mano, che le comunità avevano crediti per 25 milioni di euro. Le comunità non possono pagare i debiti del servizio sanitario. Oggi però il 70% di quei debiti sono stati saldati".

Anche, spiega, grazie alla creazione - nel progetto Comunitalia sostenuto dal Dipartimento che raccoglie oltre 800 comunità - di una agenzia di recupero crediti che tratta con le Regioni con maggiore autorevolezza della singola comunità. "Il problema è con le regioni commissariate come il Lazio, che da solo ha il 60% del debito italiano in sanità. Non hanno soldi nemmeno per i farmaci oncologici. Alla quinta conferenza sulla droga avevamo concordato con l’opposizione di fissare l’1,5% dei fondi dei servizio sanitario per la droga. Ma le Regioni non ci sentono". Giovanni Serpelloni, dipartimento antidroga: l’obiettivo è commutare la pena detentiva con la possibilità di farsi curare in una comunità.

Russia: carceri superaffollate, sono in aumento donne detenute

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

Il numero dei reati commessi da donne in Russia è nettamente aumentato, rispecchiando una tendenza allarmante nella società. Sono circa 49 mila i detenuti di sesso femminile sistemate in 46 carceri per soli donne in Russia, quando la loro capienza non potrebbe superare i 38.500 detenuti. Secondo le statistiche i crimini più popolari commessi dalle donne in Russia sono il furto, il traffico di droga e quelli passionali. Secondo il vice procuratore generale Yevgeny Zabarchuk, la questione del sovraffollamento delle carceri in Russia potrebbe essere tamponato dall’apertura entro la fine della primavera di sette prigioni, 657 istituti penitenziari per adulti, di cui 160 insediamenti colonia penale, e 62 strutture correzionali giovanile. In tutto in Russia ci sono 861.687 detenuti.

India: per Angelo Falcone e Simone Nobili lunghi tempi rimpatrio

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

Si allungano i tempi per il rimpatrio di Angelo Falcone e Simone Nobili, i due italiani arrestati tre anni fa in India per droga e assolti con formula piena lo scorso 3 dicembre dall’Alta Corte di Shimla, nello stato himalayano dell’Himachal Pradesh. Contro la sentenza di assoluzione di secondo grado, l’accusa ha presentato ricorso alla Corte Suprema, il massimo organo giudiziario indiano che ha sede a New Delhi.

Il bobbiese Angelo Falcone, 29 anni e il piacentino Simone Nobili, 45 anni, si trovavano in vacanza nella città di Mandi, in Himachal Pradesh, quando il 9 marzo 2007 furono arrestati dalla polizia insieme ad altri due indiani con l’accusa di traffico di droga. Nella sentenza di primo grado erano stati condannati a 10 anni di carcere.

Svizzera: tre detenuti rinchiudono un agente in cella ed evadono

 

Ansa, 6 aprile 2010

 

Tre detenuti della prigione di Willisau, nel canton Lucerna, sono fuggiti ieri sera dopo aver aggredito un agente, rinchiudendolo in una cella. La guardia carceraria ha subito ferite di media entità, hanno comunicato le autorità lucernesi, sottolineando che si tratta della prima evasione con cui è confrontata la piccola prigione. I fuggitivi sono due serbi e uno svizzero tra i 20 e i 35 anni, tutti accusati di reati minori: uno sarebbe stato rimesso in libertà in maggio, un altro non è ancora stato condannato e il terzo era in procinto di iniziare una terapia.

 

 

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